Silvio Benco -Il pittore Giuseppe Tominz -Copia anastatica -Articolo dalla Rivista PAN aprile 1934-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
–Silvio Benco- IL PITTORE GIUSEPPE TOMINZ-Copia anastatica -Articolo dalla Rivista PAN aprile 1934
La formazione di Giuseppe Tominz dovette quindi avvenire alla «scuola del sig. Conti Bazzani» (Diario di Roma, 1817, p. 2), di cui furono allievi Giuseppe Bossi e Felice Giani, esercitandosi nello studio delle composizioni classiche e copiando i maestri del Rinascimento. Particolarmente stimolante dovette essere la restante scena artistica romana, dove poté entrare in contatto con i nazareni e approcciare le mostre d’arte destinate al pubblico borghese.
Biografia di Giuseppe Tominz-TOMINZ, Giuseppe Giacomo (Tominc Jožef Jakob, Tominc Josip, Tominz Josef)
Nacque a Gorizia il 6 luglio 1790 da Giovanni, commerciante, possidente e tesoriere comunale, e da Marianna Janesig (Janežič). Frequentò le scuole dei piaristi, dove ebbe come insegnante di disegno il viennese Johannes Zeindl, e successivamente fu messo a bottega da Carlo Kebar (1764-1810), ricordato come un «buon ritrattista» (Kociančič, 1854, p. 289). A questo periodo risale la prima opera nota dell’artista, il ritratto miniato di papa Pio VII (Genzano, Palazzo Jacobini), firmato per esteso e datato «Giuseppe Tominz 1802» (una seconda miniatura del pontefice è firmata «Gius. Tominz»). Tominz dovette eseguire anche il ritratto miniato della madre, deceduta nello stesso 1802, opera identificabile con quello visibile sulla tabacchiera nel ”Ritratto del padre” del 1848 (Lubiana, Narodna galerija) e noto anche da una derivazione non autografa (collezione privata). Nel 1809 soggiornò a Gorizia, proveniente da Roma, l’arciduchessa Marianna d’Austria, che s’impegnò a sostenere gli studi accademici del promettente pittore. Il 5 marzo Tominz partì per la città eterna e si stabilì presso l’abate Domenico Conti Bazzani (Mantova 1740/42 – Roma 1818), pittore e assessore alla pittura dello Stato pontificio. Tuttavia le prospettive di una formazione accademica non si concretizzarono a causa dell’occupazione napoleonica e della prematura scomparsa della principessa, morta il 1° ottobre 1809. Tominz dovette guadagnarsi da vivere eseguendo ritratti miniati e disegnando e incidendo. La sua attività calcografica è ricordata dal biografo croato Ivan Kukuljević Sakcinski (Vižintin, 1957) ed è documentata dalla lastra e dal bulino che egli stesso esibisce nell’Autoritratto (Firenze, Galleria degli Uffizi) riferibile agli inizi del periodo romano, quando è registrato come incisore nello Status animarum della parrocchia di S. Andrea delle Fratte per gli anni 1811 e 1812.
La formazione di Giuseppe Tominz dovette quindi avvenire alla «scuola del sig. Conti Bazzani» (Diario di Roma, 1817, p. 2), di cui furono allievi Giuseppe Bossi e Felice Giani, esercitandosi nello studio delle composizioni classiche e copiando i maestri del Rinascimento. Particolarmente stimolante dovette essere la restante scena artistica romana, dove poté entrare in contatto con i nazareni e approcciare le mostre d’arte destinate al pubblico borghese.
Nel 1814, caduto Napoleone, giunse a Roma il conte goriziano Giuseppe della Torre (o Thurn), che Tominz ritrasse in miniatura e forse in un dipinto documentato da un disegno eseguito a contorno (Trieste, Fondazione Scaramangà di Altomonte). Tominz avrebbe copiato anche alcuni pezzi della quadreria della dimora romana del nobile. In quell’anno poté così frequentare la Scuola di nudo dell’Accademia di S. Luca e presentarsi, al termine delle lezioni, all’annuale concorso con uno Studio di Apostolo (Roma, Accademia nazionale di S. Luca). La giuria, presieduta da Bertel Thorvaldsen, assegnò solamente un secondo premio assoluto proprio a Tominz, «goriziano giovine e di grandi speranze, e fornito di rari talenti per cui il suo nome diverrà famoso fra i professori seguaci delle tre alme sorelle» (Diario di Roma, 1814, p. 13). Tominz e il padre Giovanni colsero l’occasione per indirizzare all’imperatore Francesco I d’Austria una richiesta di sussidio. Rimasta senza esito, Tominz l’avrebbe reiterata ancora nel 1821.
Il 2 maggio 1816 Tominz si sposò nella parrocchia di S. Maria in Via con Maria Ricci, figlia della donna di casa di Domenico Conti Bazzani. Dal matrimonio nacquero i figli Augusto Cesare Costantino (Roma 1818 – Trieste 1883) e Raimondo (Gorizia 1822 – Trento 1906).
Sempre nel 1816 Tominz realizzò per lord William Cavendish Bentinck una copia della Madonna di Foligno, lodata sulle pagine del Diario di Roma (1817). L’incarico fu favorito dal goriziano Carlo Catinelli, che aveva prestato servizio nell’esercito inglese sotto il comando del citato gentiluomo e nello stesso 1816 fu a Roma, dove si fece ritrarre da Ingres.
Con la scomparsa di Conti Bazzani, Tominz fece ritorno a Gorizia. La sua presenza in città è ricordata in una lettera che Francesco Giuseppe Savio, consigliere del tribunale, spedì il 22 aprile 1818 al figlio Leopoldo Francesco, allora studente a Lubiana, mentre in una missiva del successivo 10 maggio si premurò di precisare che Tominz «non fa la bassa professione di ritrattista ma di pittore storico» (Tavano, 1984, p. 100). A Gorizia dovette dipingere il capolavoro d’esordio, l’Autoritratto con il fratello Francesco (Gorizia, Musei provinciali), manifesto delle proprie capacità e ambizioni artistiche e omaggio all’amicizia che lo legava al fratello.
Nel 1821 si svolse a Lubiana il Congresso della Santa Alleanza. Fu in quest’occasione che Tominz trovò nel ritratto la sua vera vocazione artistica, anche se inizialmente raggiunse la capitale carniola per copiare il ritratto dell’imperatore Francesco I, fatto giungere appositamente da Vienna. L’opera era destinata all’I.R. Accademia di commercio e nautica di Trieste, che nel 1838 avrebbe commissionato il pendant del Ritratto dell’imperatore Ferdinando I (entrambi si conservano ai Musei provinciali di Gorizia). La copia del ritratto aulico fu esposta nel 1822 nel ridotto del teatro di Lubiana riscuotendo un notevole successo e Leopoldo Francesco Savio la celebrò con un sonetto apparso in tedesco e in traduzione italiana sulla prima pagina dell’Illirisches Blatt dell’8 febbraio 1822. Tominz soggiornò a Lubiana ancora nel 1823, annunciandosi a «mecenati e amici» come «Historienmahler», ovvero pittore storico (Intelligenz-Blatt zur Laibacher Zeitung, 28 febbraio 1823, p. 244; 4 marzo 1823, p. 252).
Al 1825 dovrebbe risalire la pala dell’altar maggiore del duomo di Gorizia, opera pubblica di notevole impegno e potenziale prestigio, che tuttavia palesò il disagio del pittore nel comporre in grande e nell’affrontare un soggetto storico. Di questi limiti dovette prendere coscienza l’artista stesso, che per i temi religiosi si sarebbe in futuro limitato a riproporre invenzioni altrui (Raffaello, Gian Bettino Cignaroli, Pierre Mignard, Odorico Politi), attingendo a stampe di traduzione.
Nel frattempo le commissioni ufficiali provenienti da Trieste, dove già operava Placido Fabris (1802-59), ma soprattutto le notevoli possibilità offerte dalla rapida ascesa economica del porto franco convinsero Tominz a trasferirsi in quella città. L’approdo ufficiale fu sancito dall’annuncio apparso su L’Osservatore Triestino del 9 settembre 1826 (p. 224), nel quale Tominz si accreditò come pittore e «ritrattista a olio» e si propose come insegnante di disegno. Aprì lo studio nella piazza del Ponte Rosso e in seguito si trasferì nella poco distante via S. Lazzaro, alle spalle della chiesa di S. Antonio Nuovo, nella famosa casa delle Bisse.
Iniziò il periodo migliore della sua attività, scandita nei successivi tre lustri da capolavori quali il Ritratto di Giovanni Milost detto Zuan delle Rose (Trieste, Galleria nazionale d’arte antica), il Ritratto dei coniugi Di Demetrio (collezione privata), le Tre dame della famiglia Moscon (Lubiana, Narodna galerija), il Ritratto di Francesco Holzknecht, il Ritratto di Giuseppina Holzknecht, il Ritratto della famiglia de Brucker, il Ritratto di Giorgio Strudthoff, quest’ultimi conservati al Civico Museo Revoltella di Trieste. Tominz si guadagnò il favore della ricca e cosmopolita borghesia mercantile grazie alla verosimiglianza degli effigiati, ritratti con uno stile severo e nobile, alla nitida descrizione dei particolari e alla rapidità esecutiva: ricorrendo all’ausilio di una camera lucida poteva abbreviare le sedute di posa e licenziare un ritratto in pochi giorni. «Sono andata dal pittore perché egli non viene in casa: dice che può fare bene soltanto nel suo studio […] ma bisogna posare tre ore consecutive, poi ancora una volta mezz’ora», annotò il 19 ottobre 1835 nel proprio diario Fanny Toppo Herzog (Mostra di Giuseppe Tominz, 1966, p. 51). Per variare le pose attingeva alle stampe di traduzione (Rembrandt, Édouard-Louis Dubufe, Claude Marie Dubufe).
Dal 21 luglio al 1° agosto 1830 Tominz allestì alla sala Miglietti la sua prima personale triestina con una quarantina di ritratti ai quali l’anonimo recensore conferì «il titolo di parlanti» (L’Osservatore Triestino, 1830, p. 1972). In mostra dovette esserci anche l’Autoritratto alla finestra (Lubiana, Narodna galerija), dove il pittore si affaccia da una finestra contornata di viti, con un fischietto di madre-perla in mano per chiamare uccelli, probabile allusione alle giornate d’ozio trascorse nella villa Sansoussi di Gradišče nad Prvačino (Gradiscutta) nella Valle del Vipacco. Vi fu ospite pure Giuseppe Bernardino Bison (1762-1844).
L’allestimento della personale fu stimolato dalla Prima esposizione triestina di belle arti organizzata nel 1829 dalla Società di Minerva con il dichiarato intento di promuovere i giovani talenti. Ma già alla seconda edizione del 1830 presero parte i maestri, e tra essi Tominz con due ritratti. L’anno seguente, alla Terza esposizione, allestita come le successive nel ridotto del teatro, Tominz si presentò con un Coro di frati, noto da disegni preparatori (Gorizia, Musei provinciali), e con otto ritratti, tra i quali il monumentale Ritratto della famiglia Buchler (collezione privata), commissionato da David Buchler in occasione della nomina a presidente della Camera di commercio. Alla Quarta esposizione del 1832 si presentò con quattordici ritratti, una Veduta di un interno di monastero al quale va riferito un disegno (Gorizia, Musei provinciali) e un Endimione e Diana, rara prova a soggetto mitologico. Infine furono ben ventuno i ritratti alla Quinta esposizione del 1833. Alle mostre esordirono i primi allievi documentati di Tominz: nel 1831 Luigi Capodaglio, l’anno seguente Cristiano de Mayr e nel 1833 Francesco Malacrea (1812-86), che si sarebbe affermato come pittore di nature morte. Nonostante la fama acquisita e la considerazione di Domenico Rossetti, Tominz non entrò nel novero degli artisti che nel 1834 furono scelti dal Magistrato civico per eseguire le sei pale per gli altari laterali della chiesa di S. Antonio Nuovo (furono incaricati Michelangelo Grigoletti, Ludovico Lipparini, Odorico Politi, Felice Schiavoni, Joseph Schönmann e Joseph Ernst Tunner).
Cessate le esposizioni della Società di Minerva, Tominz organizzò nel 1835 una seconda personale nella sala del ridotto. Ai ritratti, tra i quali figuravano quello di Drago Popovich (Trieste, Civico Museo Revoltella) e La famiglia del dott. Dimitrije Frussich (Frušić) (Lubiana, Narodna galerija), uno dei capolavori nel genere della scena di conversazione, l’artista affiancò poco impegnative telette di genere, con accattivanti effetti a lume di candela come nel caso della Donna con candela e un giovinetto (Gorizia, Musei provinciali). La mostra segnò l’esordio ufficiale del figlio Augusto e dell’allievo goriziano Giuseppe Giacomo Battich (1820-52), che dal 1836 avrebbero frequentato l’Accademia di Venezia. Oltre ai due citati, Kukuljević Sakcinski ricorda come terzo allievo Giovanni Madrian (1810-72) (Vižintin, 1957, p. 206).
Nel 1838 il ridotto ospitò una mostra collettiva, ma preponderante fu la parte riservata alla ritrattistica di Tominz e del ferrarese Giovanni Pagliarini (1809-78), da poco giunto in città, che fece proprie le soluzioni compositive del collega goriziano (singolare poi il caso di Caterina Buzzi Bozzini, che posò per entrambi gli artisti). L’esposizione segnò uno spartiacque nella fortuna di Tominz, che fu per la prima volta apertamente criticato dall’abate Francesco Dell’Ongaro sulle pagine de La Favilla. Forse anche in risposta a questa pubblica censura nacque l’irriverente Autoritratto (Trieste, Civico Museo Revoltella), un trompe-l’œil su tavola destinato alla parete di fondo del bagno nella villa Sansoussi. Non dissimile fu l’effetto dell’altro olio su tavola, il Nano ostricaro (Trieste, Civico Museo Revoltella), usato come fermaporta e anch’esso da ricondurre alla tradizione neerlandese delle sagome umane o animali dipinte a grandezza naturale.
Nel 1838 Tominz partecipò all’Esposizione delle opere degli artisti e dei dilettanti nella I.R. Accademia di belle arti in Venezia per onorare la visita di S.M.I.R.A. Ferdinando I inviando il Ritratto di Petar II Petrović Njegoš (Cetinje, Njegošev muzej) e un Ritratto di africano.
Gli anni dal 1840 al 1846 videro Tominz regolarmente presente alle annuali mostre-mercato organizzate dalla Società triestina di belle arti, meglio nota come Filotecnica, costituitasi a Trieste sul modello dei Kunstvereine tedeschi. Nel 1840 espose le due tele già presentate a Venezia e una Donna con lume (Gorizia, Musei provinciali), nel 1841 due ritratti e un Gruppo di due fanciulli (collezione privata), nel 1842 dei ritratti e un paesaggio, nel 1843 il ritratto di una famiglia, nel 1844 una Sacra Famiglia, nel 1845 due ritratti e un solo ritratto nel 1846. Il quinto decennio segnò una progressiva involuzione qualitativa: «Sempre lo stesso modo nel dipingere, un po’ duretto nei contorni, sempre lo stesso colorito, e sempre le stesse figure; colpa forse più del genere che sua» sentenziò Gaetano Merlato (1843, p. 304). La mostra allestita nel 1850, in occasione della visita dell’imperatore Francesco Giuseppe, sancì l’oblio dell’artista: furono esposte ben 115 opere, ma nessuna di Tominz.
Nel 1852 e 1853, secondo una logica propria di una bottega pittorica, Tominz firmò e datò due delle tre pale che il figlio Augusto aveva ideato e dipinto per una chiesa alle Bocche di Cattaro. Del resto la collaborazione tra padre e figlio si può far risalire almeno al 1837, alla pala per i cappuccini di Gorizia ricalcata sul modello dell’Assunta di Reni (Monaco di Baviera, Alte Pinakothek) e già dai contemporanei ritenuta opera di scarso valore.
Ritiratosi nel 1855 a Gradiscutta, Tominz non recise i legami con Trieste: nella primavera del 1856 inviò una Venere che allatta amore e una Madonna col Bambino all’esposizione dell’Istituzione promotrice delle belle arti, e sempre nella stessa città si fece ritrarre nello studio fotografico aperto nel 1862 dal figlio Augusto.
Morì a Gradiscutta il 22 aprile 1866 ed è sepolto nel cimitero del paese in una tomba congiunta con il fratello. Luogo e data del decesso furono annotati anche nel Liber baptizatorum del duomo goriziano, e chiosati con un «Celeberrimus pictor!».
Fonti e bibliografia
Diario di Roma, 5 ottobre 1814, pp. 12 s.; ibid., 18 gennaio 1817, pp. 2 s.; L’Osservatore Triestino, 31 luglio 1830, p. 1972; ibid., 10 novembre 1831, pp. 278 s.; ibid., 26 novembre 1833, pp. 566-568; ibid., 5 novembre 1835, p. 534; F. Dall’Ongaro, Di alcuni ritratti di G. T. e della pittura iconografica, in La Favilla, 2 dicembre 1838; G.J. Merlato, Quarta Esposizione di Belle Arti, in Il Caleidoscopio, 1843, n. 13, pp. 294-304; S. Kociančič, Odgovori na vprašanja družtva za jugoslavensko povestnico, in Arkiv za povjestnicu jugoslavensku, III (1854), pp. 259-309 (in partic. pp. 289, 291); S. Benco, Il pittore G. T., in Pan, 1934, n. 4, pp. 702-712; R. Marini, G. T., Venezia 1952; B. Vižintin, Prilog biografijama slovenskih slikara Josipa Tominca, Matije Tomca, Gaspara Götzla i Josefe Štrus, in Zbornik radova za povijest umjetnosti i arheologiju, 1957, n. 2, pp. 205-209; Mostra di G. T. (catal.), a cura di G. Coronini, Gorizia 1966; J. T, 1790-1866 (catal.), a cura di J. Brumen, Ljubljana 1967; K. Rozman, Der Maler J. T., in Mitteilungen der Österreichischen Galerie, XIX-XX (1975-1976), pp. 111-132; P. Dorsi, Documenti dell’Archivio di Stato di Trieste sull’attività di G. T. (1818-1820), in Arte in Friuli – Arte a Trieste, VII (1984), pp. 111-133; S. Tavano, Nuovi elementi sulla giovinezza di G. T., ibid., pp. 93-110; G. Pavanello, Le arti nel «porto franco», in Neoclassico. Arte, cultura e architettura a Trieste, 1790-1840 (catal., Trieste), a cura di F. Caputo, Venezia 1990, pp. 135-149; A. Tiddia, I nuovi triestini. Ritratti di G. T., ibid., pp. 164-179; F. Magani, G. T. ritrattista goriziano, in Ottocento di frontiera. Gorizia, 1780-1850. Arte e cultura (catal., Gorizia), a cura di G. Pavanello – G. Ganzer – E. Guagnini, Milano 1995, pp. 133-159; G. Pavanello, Le Belle Arti Goriziane, ibid., pp. 14-24; R. Barilli, Ritratti alla lente: G. T., in FMR, XVIII (1999), 131, pp. 21-50; J. T. Fiziognomija slike (catal.), a cura di B. Jaki Mozetič – M. Breščak, Ljubljana 2002; A. Quinzi, G. T., Trieste 2011; A. Quinzi, G. T.: inediti, recuperi, rimandi e nuove attribuzioni, in AFAT, 2012, n. 31, pp. 127-137.
Fonte-Istituto della Enciclopedia Italiana
Giuseppe Tominz (Gorizia, 6 luglio 1790 – Gradiscutta, 24 aprile 1866) è stato un pittore italiano, di fama internazionale, considerato il massimo ritrattista di area goriziano-triestina dell’Ottocento.
Autore-Vania Gransinigh–TOMINZ GIUSEPPE- Figlio di Giovanni, Giuseppe nacque a Gorizia il 6 luglio 1790. Avendo dimostrato una precoce predisposizione all’arte, nel 1809 si recò a Roma per completare quella che in patria era stata una prima formazione piuttosto disordinata e priva di punti di riferimento. A quel «pittore Giovanni», che i documenti indicano quale padrino di cresima di T., infatti, non è ancora stato possibile attribuire un’identità precisa, che permetta di individuare con certezza i modelli figurativi a cui il giovane artista ebbe modo di guardare agli esordi della sua carriera professionale. Risalgono a quel periodo il foglio raffigurante la Distruzione di Troia, ispirato alla stampa di analogo soggetto di Ulderico Moro (1807), e il Ritratto di Francesco Moncada, copia dal dipinto di Van Dyck mediata dall’incisione di Raffaello Morghen (1809), opere che, conservate entrambe nelle collezioni dei Musei Provinciali della città isontina, testimoniano la buona volontà, ma la scarsa preparazione artistica del loro artefice. Pare che, a segnare la fortuna del pittore, sia stato l’interessamento dell’arciduchessa Marianna d’Austria, sorella dell’imperatore Francesco I, la quale, giunta a Gorizia nel 1809 poco prima di morire, notò le capacità di T., auspicandone un soggiorno a Roma per completare là i suoi studi. Venuto subitaneamente a mancare al pittore l’appoggio di quest’ultima, egli si rivolse per un aiuto al nobile goriziano Giuseppe della Torre che, generale maggiore di Sua maestà imperiale, si era stabilito in quel torno di tempo nell’Urbe. Partito il 5 marzo di quello stesso anno alla volta della Città eterna, T. vi giunse alla fine del mese per rimanervi nei successivi nove anni, ospite e allievo del pittore mantovano Domenico Conti Bazzani. Seguendo gli insegnamenti di quest’ultimo e frequentando le lezioni della Scuola di nudo all’Accademia di S. Luca, T. perfezionò il proprio stile conseguendo, nel 1814, il secondo premio unico per il disegno con lo Studio di apostolo, oggi conservato presso gli archivi dell’istituzione scolastica. Diverse furono le suggestioni che l’ambiente figurativo della Città eterna dei primi decenni dell’Ottocento poté esercitare sul giovane artista goriziano: oltre alla rinnovata riflessione sulla pittura di matrice classica del Seicento romano, infatti, agirono su di lui anche gli esempi rappresentati dall’attività d’esordio, di impostazione purista, dei Nazareni tedeschi, che lì si erano trasferiti dando vita alla confraternita dei “Lukasbrüder”. A Roma T. conobbe e sposò nel 1816 Maria Ricci, da cui ebbe il figlio Augusto, nato nel 1818. Ad un periodo di poco precedente risalirebbe l’esecuzione dell’Autoritratto con il fratello (1812-1815 ca.; Gorizia, Musei Provinciali), realizzato verosimilmente prima del matrimonio, durante un soggiorno compiuto nella città isontina. Il dipinto, ricco di rimandi simbolici e allegorici, palesa nella composizione il richiamo ai modelli rappresentati da Batoni e Lampi, assai noti in ambito romano. Stando alle evidenze documentarie, T. fece rientro a Gorizia nei primi mesi del 1818, dove ebbe modo di incontrarlo Francesco Giuseppe Savio (V.) che, consigliere del tribunale cittadino, ne scrisse al figlio in alcune lettere rimaste un punto di riferimento fondamentale per ricostruire l’attività professionale del pittore in quei primi anni goriziani. Da queste fonti si evince l’impegno inizialmente profuso da T. sul versante della pittura di storia e solo in un secondo momento rivolto al genere ritrattistico per il tramite della commissione, risalente al 1818, di due copie del ritratto aulico dell’imperatore Francesco I da eseguirsi per il tribunale civico provinciale di Gorizia e per il tribunale commerciale di Trieste. A questi dipinti destinati all’arredo di uffici pubblici, ne fecero seguito molti altri per le città di Fiume e Lubiana, che vanno ad aggiungersi ai due sicuramente di mano del pittore goriziano, raffiguranti nuovamente Francesco I e, successivamente, Ferdinando I in vesti da parata (Gorizia, Musei Provinciali). Dopo aver compiuto un soggiorno a Vienna verosimilmente tra il 1819 e il 1820, T. si dedicò in via quasi esclusiva alla pittura di ritratti, genere nel quale appariva particolarmente versato. Se si eccettua la pala per l’altare maggiore del duomo cittadino, le opere certamente ascrivibili al periodo goriziano consistono in numerosi ritratti, tra i quali spicca il proprio, scanzonato Autoritratto (Trieste, Civico museo Revoltella), realizzato intorno al 1825 per la villa di famiglia di Gradiscutta, poco prima del trasferimento a Trieste, città nella quale fissò la propria residenza fino al 1855. Nel capoluogo giuliano T. trovò l’ambiente sociale più adatto ad accogliere la sua pittura levigata e cristallina, capace di rendere allo stesso tempo e con sorprendente abilità le effigi e l’anima dei suoi soggetti. Alla lunga serie di opere portate a compimento per gli esponenti della borghesia cittadina appartiene anche il Ritratto della famiglia Brucker (Trieste, Civico museo Revoltella), proposto all’attenzione del pubblico nel 1830 in occasione della mostra personale organizzata dal pittore a Trieste, con intenti modernamente promozionali. La tela rappresenta una delle migliori testimonianze della pittura tominziana nella seconda metà degli anni Venti, quando maggiormente si manifestò nell’artista l’adesione alla poetica Biedermeier, che lo indusse ad inserire i ritratti in ambientazioni domestiche e quotidiane. Le opere portate a termine negli anni seguenti evidenziano invece il concentrarsi del pittore sui personaggi effigiati, con una riduzione al minimo delle notazioni ambientali e una più grande attenzione riservata alla resa fisionomica, come testimonia ad esempio il Ritratto di Nicola Botta (Gorizia, Musei Provinciali), risalente verosimilmente alla fine del decennio successivo. Le medesime osservazioni potrebbero essere estese al Ritratto del padre (Lubiana, Narodna Galerija), tradizionalmente datato al 1848, dove l’anziano Giovanni Tominz è raffigurato mentre con la mano sinistra regge una tabacchiera ornata dal ritratto miniato della moglie, scomparsa nel 1802. Caratterizzata da un rigoroso nitore formale e da una ricercata naturalezza espressiva, l’immagine rappresenta efficacemente l’ultima attività triestina di T., che, nel 1855, decise di ritirarsi a Gorizia, città nella quale fu accolto con ogni onore. Colpito qualche anno dopo da una forma di cecità progressiva, l’artista trasferì definitivamente la propria residenza nella villa di Gradiscutta, dove trascorse, accanto al fratello, gli ultimi anni della propria vita prima di morire il 22 aprile 1866.
A coadiuvare il padre Giuseppe nell’ultimo periodo della sua attività professionale fu il figlio Augusto, che era nato a Roma il 1° febbraio 1818 e che si dedicò alla pittura di genere storico e religioso e alla ritrattistica seguendo le orme del genitore. A lui spetta l’esecuzione delle diciassette tele che ornano il soffitto della sala da ballo di palazzo Revoltella a Trieste, ispirate al tema delle arti e dei mestieri e portate a compimento nel 1859. Nelle sale dello stesso edificio è ospitato anche il Ritratto dell’arciduca Massimiliano d’Austria, realizzato nel 1868 a un anno di distanza dalla scomparsa dello sfortunato fratello dell’imperatore Francesco Giuseppe I. Dal 1872 e sino alla morte, avvenuta a Trieste il 17 giugno 1883, T. ricoprì la carica di primo direttore del Civico museo Revoltella.
Autore-Vania Gransinigh