Poesie di Daria Menicanti- una delle voci più nuove e singolari della letteratura italiana del Novecento –Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Poesie di Daria Menicanti- una delle voci più nuove e singolari della letteratura italiana del Novecento
Daria Menicanti è nata a Piacenza da padre toscano e madre croata, l’originale poetessa e traduttrice si laureò nel 1937 in Lettere e Filosofia con una tesi su John Keats. In seguito lavorò a Milano come professoressa e preside di Scuole Medie.
Le sue strofe, in apparenza leggere, sono il frutto di una profonda riflessione esistenziale che coltivò anche grazie al rapporto col marito, il filosofo Giulio Preti, sposato nel 1937, con cui mantenne rapporti di amicizia anche dopo la separazione, avvenuta negli anni Cinquanta.
“Ironia, unica salvatrice del genere umano”, affermò lei stessa ribadendo di fatto una dichiarazione di poetica.
“Daria aveva maturato una voce nuova, moderna e classica, per niente alla moda, ma libera e anche audace”, scriverà la narratrice Lalla Romano in un articolo pubblicato dal Corriere della sera il 20 gennaio 1995 per commemorare l’autrice, morta il 4 gennaio precedente a causa di un tumore alla gola in una casa di cura di Mozzate.
Un giudizio egualmente lusinghiero lo aveva già espresso parecchi anni prima, nel 1978, il critico Sergio Solmi: “La sua poesia, -affermava- priva degli strombazzamenti di cui godono normalmente i poeti alla moda, pare a me, nella sua nuda semplicità e sincerità, una delle più vive e schiette dei nostri giorni. Appartiene alla poesia d’ogni tempo, dai primi lirici greci fino a Leopardi. Il sottile brivido che essa insinua nel lettore è il brivido dell’autentica poesia.”
—————————————————————-
INVERNO AL BAR BOZZI
(Daria Menicanti)
Con la tazzina stretta tra le dita,
ben calda tra le dita,
sola, in pace,
in un tiepido alone
di vapori,
di aroma di caffè,
indugio presso il banco
insaziata di calore
tra gli urti continui
e i pardons.
Qui ritrovo la luce,
qui di nuovo la gente,
qui le parole,
vi si compra in una schedina
qualche gran sogno di poche ore
e, con lire duecento, si avventa
per voi
l’ultima voce dal juke box.
Ma gratuitamente a ciascuno
tremulo grida il video turchino
ora le stragi del Congo
le stragi d’Algère –
e in cima al mio alto sgabello
(dianzi quieta
quasi felice)
improvvisamente a disagio
mi sento uno stupido uccello
che tutti ha lasciato partire
i propri compagni
da soli
per il Sud.
PER UNA POETICA
Di solito succede a questo modo:
dopo un lungo silenzio le parole
anche le più comuni le più
consumate dall’uso e dalla pace
vita riprendono, colore.
Escono ardendo e si aggruppano in corone
di isole in arcipelaghi
o, se hai forza e fortuna, in continenti.
Con quel sapore nuovo con quel
mutante arcobaleno che hanno intorno
a fatica le riconosci e ancora
più a fatica le fermi mentre sciamano
da te veloci: ma è un altrove è un fuori
il grido amoroso intrattenibile
che le incalza saltuario
che le spinge lontano dagli orrori del vuoto.
Cedono a mano a mano
sommesse o sontuose – lo sai –
al divenire al duro precisarsi:
volanti comete di tanto
indugiano quanto una nota
quanto in lastra di specchio una presenza
e subito si arrendono spente
nel nuovo turno di silenzio.
L’ULTIMO MESE D’INVERNO
Con l’ultimo mese d’inverno
si fa delicata una stagione
già tanto mordace. La luna
riporta con gentili esche la sua
trasparente morte.
E’ FIORITO L’ALBERO DEL CORTILE
Una sfera
pallida e trasparente è caduta
sopra le braccia aperte
dell’albero in attesa.
Una sfera
di fiori brevi più bianchi dell’alba
s’è posata in cortile
tra vorticose pareti.
La sua presenza aerea
la sua improvvisa grazia da immortale
rende felice e disperato chi
la guarda.
Gabbiani
Gabbiani blu gridano ai pesci ingiurie
parolacce. Gridano in Gabbiano
ai pesci: ehi, voi! ehi, voi!
Ci si buttano sopra imprecando.
**Ultimamente i cieli
si erano fatti così muti che
perfino quest’ira dall’aria
sembra piacevole cosa se pure
atroce come la vita.
*
“In interiore homine est”
Un’altra primavera! E il sole mite
mi tenta, mi ammicca dai vetri,
ma dentro alla mia casa io resto calda,
quieta, assai ricca:
come un segreto affidato,
come in cavo di mano una ben stretta
perla.
*
Ombre
Ombre mute sarebbero ombre
perdute per i muri o fra i sassi
di un marciapiede se non le ospitassi
qui da me. E’ allora che diventano
cose salde sangue voce.
Ha scritto Segio Solmi che la poesia della Menicanti appartiene al filone “della poesia d’ogni tempo, dai primi lirici greci fino a Leopardi, nei suoi poli fondamentali di amore-morte”. Non si potrebbe dir meglio, né con più provocante speditezza. In effetti, la poesia della Menicanti è lì, tutta da vedere e da gustare nella sua ammirevole semplicità e trasparenza, e sembra a prima vista impossibile compiere su di essa operazioni critiche che vadano al di là della pura certificazione, della pura conferma del fatto che (è ancora Solmi a notarlo) il “sottile brivido” che essa insinua nel lettore è il “brivido dell’autentica poesia”. E, quando a una ricapitolazione dei suoi contenuti, penso proprio non vi sia nulla di artificioso o di arbitrario nel rinviare tranquillamente, come fa Solmi, ai “poli fondamentali di amore-morte”, avendo in mente e all’orecchio, si capisce, i frammenti greci, primi fra tutti quelli di Saffo. Tuttavia, sono convinto che sia non solo possibile, ma proficuo definire la poesia della Menicanti anche in rapporto a una tradizione più recente e specifica, quella della poesia italiana del nostro secolo.
Giovanni Raboni
TETTO
All’alba – già è novembre – e sento ancora
dai nidi chiamare colombi
piccoli, azzurri, con la voce fina,
e degli ardenti padri per lo zinco
della gronda convessa affaccendarsi
su e giù gli artigli di porpora
e le lotte amorose
e le squisite agonie
e l’incalzante tubare.
TUTTI I GATTI LO CREDONO
Nerofumo e smeraldi, sulla vetta
di una colonna un gatto mi contempla
risibilmente piccolo, ma già
convinto di essere un dio.
QUASI
Quasi ce l’ho con lui. Per quel furtivo
andarsene che ha, gliene voglio;
per quel viso già pieno di nebbie.
Non sfuggirmi, lo supplico, gli piango,
non uscire così dalla tua casa,
le mie memorie. Se mi lasci, caro,
vivrai dove?
Chi ti riscalderà?
Fonte- Pingback: Ufficio poesie smarrite, la rubrica di Luca Mastrantonio dimostra che i giornali possono ancora fare cultura |
Biografia di Daria Menicanti nasce, ultima di quattro figli, nel 1914 a Piacenza da padre toscano e madre fiumana. Trasferitasi la famiglia a Milano, Daria frequenta il Liceo Ginnasio Berchet, dove sostiene l’esame di maturità nel luglio 1932. Si iscrive alla Facoltà di Lettere e Filosofia, e ha come docenti Antonio Banfi, Adelchi Baratono, Luigi Castiglioni, Mario Hazon e come compagni di corso Enzo Paci, Vittorio Sereni, Antonia Pozzi , Luciano Anceschi. Con Banfi, che Daria ritiene, insieme a Baratono, fondamentale per la propria formazione, si laurea nel luglio 1937 discutendo una tesi dedicata all’analisi della poetica e della poesia di John Keats. Allo stesso anno, oltre all’abilitazione all’insegnamento medio (Daria sarà per tutta la vita insegnante), conseguita nell’autunno, risale il matrimonio con Giulio Preti (1911-1972), dal quale si separa negli anni Cinquanta, pur mantenendo un fortissimo e tenace legame di affetto, di stima e di amicizia: più o meno esplicito dedicatario e oggetto di molte intense poesie; e conteranno nella sua vita gli amici Vittorio Sereni ed Enzo Paci, cui si aggiungeranno, negli anni successivi, Lalla Romano (con la quale condivide la pratica della pittura, che in Daria si accosta sempre di più a quella della poesia), Manlio Cancogni, Marco Marchi, Silvio Raffo, Lulli Paci (che di Daria, insieme a Maria Teresa “Pigot” Sereni, è allieva privata di greco), Fabio Minazzi.
Agli anni Trenta, gli anni della formazione universitaria, risalgono le prime prove poetiche, poi ripudiate, inclini ai modi dell’ermetismo; Daria, sulla scia della mediazione banfiana, li definirà asfittici. Nonostante il ripudio di queste prime prove inadeguate a esprimere la propria indole toscana «ridente e piangente» (della quale, in una intervista del 1993 pubblicata nel numero di febbraio 1995 di «Poesia», rivendica la diversità rispetto a quella, per esempio, dell’amico Sereni), continua a scrivere in segreto. Soltanto nel 1964, presso Mondadori, esce la sua prima raccolta poetica, Città come (premio Carducci 1965), alla quale seguiranno, sempre per Mondadori, Un nero d’ombra (1969) e Poesie per un passante (1978); per Forum/Quinta generazione (Forlì), esce nel 1986 Altri amici; per Lunarionuovo (Acireale), Ferragosto, nel 1986; per Scheiwiller, nel 1990, Ultimo quarto, con una nota di Lalla Romano.
Intensa è anche l’attività di traduzione dall’inglese (e, secondo la testimonianza di Francesca Romana Lulli Paci, figlia di Enzo, Daria è anche ottima grecista e latinista, in grado di comporre esametri latini): a partire dalla fine degli anni Trenta traduce John Henry Muirhead, Filosofi inglesi contemporanei (introduzione di Antonio Banfi, Milano, Bompiani, 1939); di Paul Nizan, Aden Arabia (Milano, Mondadori, 1961) e La cospirazione (ivi, 1980); di Noel Coward, Amore e protocollo (Milano, Club degli Editori, 1962); di Jean Paris, James Joyce (Milano, Il Saggiatore, 1966); di Betty Smith, Al mattino viene la gioia (Milano, Mondadori, 1967); di Paul Geraldy, Toi et moi (ivi, 1978); di Sylvia Plath, La campana di vetro (ivi, 1979). Sue poesie sono inoltre presenti in molte antologie, tra cui Donne in poesia, curata da Biancamaria Frabotta per Savelli nel 1976.
L’impronta dell’innovativa cultura dalla cifra europea ricevuta negli anni Trenta presso l’Università di Milano emerge dalla poliedrica attività di Daria Menicanti: è poetessa secondo modi inclini e alla riflessione filosofica; traduttrice, aderendo a una tensione generazionale (si pensi al Vittorio Sereni di Frontiera), rivolge la propria attenzione verso le contemporanee letterature straniere. Soprattutto, a connotare la sua scrittura e a distanziarla da altre esperienze coeve, è la lucidità, che si rivela anche a livello tecnico, della riflessione e della scrittura che la sostiene. Poesia che, pur apparentemente distante rispetto alla temperie storica e politica, intende dare ascolto a tutta la realtà, animali e piante compresi, presenze peraltro insostituibili nella vita di Daria.
Muore, per un tumore alla gola, in una casa di cura di Mozzate, tra Varese e Como, il 4 gennaio 1995. Lalla Romano le dedica un appassionato contributo che appare sul «Corriere della Sera» del 20 gennaio, sostenendo che già a partire dalla sua prima raccolta:
«Daria aveva maturato una voce nuova, moderna e classica, per niente alla moda, ma libera e anche audace. »
NOTE
1. Daria Menicanti, Epigramma per un filosofo [aprile 1965, a G. P.], in Ead., Un nero d’ombra , Milano, Mondadori, 1969, p. 110.
Torna su
Fonti, risorse bibliografiche, siti su Daria Menicanti
Daria Menicanti, La vita è un dito. Antologia poetica 1959-1989, introduzione e cura di Matteo M. Vecchio, con uno scritto di Fabio Minazzi e una lettera di Marco Marchi, Borgomanero, Giuliano Ladolfi Editore, 2011
Daria Menicanti, Città come, Milano, Mondadori, 1964
Daria Menicanti, Un nero d’ombra, Milano, Mondadori, 1969
Daria Menicanti, Poesie per un passante, Milano, Mondadori, 1978
Daria Menicanti, Altri amici, Forlì, Forum/Quinta Generazione, 1986
Daria Menicanti, Ferragosto, Acireale, Lunarionuovo, 1986
Daria Menicanti, Ultimo quarto, con una nota di Lalla Romano, Milano, Scheiwiller, 1990
Matteo M. Vecchio (a cura di), con una nota di Silvio Raffo, Due racconti inediti di Daria Menicanti: «Il nonno», «Marta» , in «Studi Italiani», a. XXI, n. 42, fasc. 2, luglio-dicembre 2009, pp. 81-91
Referenze iconografiche: Daria Menicanti, anni trenta. Immagine in pubblico dominio.
Voce pubblicata nel: 2012
Ultimo aggiornamento: 2023