Hannah Harendt-Oggi 4 dicembre ricorre la data della morte della scrittrice, filosofa e storica -Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Hannah Hannah Filosofa tedesca
Oggi 4 dicembre ricorre la data della morte della scrittrice, filosofa e storica –
Il 4 dicembre del 1975, a New York, muore la filosofa e storica tedesca Hannah Arendt. Nata da una famiglia ebrea, la Arendt studia filosofia con il teologo Rudolf Bultmann, Martin Heidegger all’università di Marburg.
Con Heiddeger, ricorda Rai cultura, «Arendt ha una relazione sentimentale segreta, scoprendo solo piuttosto tardi le simpatie naziste del filosofo, da cui si dissocia. Dopo aver chiuso questa relazione, la Arendt si laurea con una tesi sul concetto di amore in Sant’Agostino».
La tesi è pubblicata nel 1929, ma alla Arendt, viste le sue origini, non viene concessa l’abilitazione all’insegnamento nelle università tedesche. Lascia la Germania e si trasferisce prima in Francia e poi negli Stati Uniti, dove vivrà fino al 1975, anno della sua morte. Tra le sue opere più note, “Le origini del totalitarismo”, “Ebraismo e modernità” e “La banalità del male”».
Sessant’anni fa, nel 1964, Feltrinelli pubblica in Italia La banalità del male – Eichmann a Gerusalemme di Hannah Arendt.
«Il saggio – ricorda Elia Bosco sul sito della Radiotelevisione Svizzera di lingua italiana– fu scritto dopo la partecipazione della pensatrice politica, in qualità di giornalista, al processo contro il gerarca nazista Adolf Eichmann, uno dei principali responsabili della cosiddetta “soluzione finale”, svoltosi a Gerusalemme nel 1961, cui esito fu la pena di morte.
L’opera entrò a pieno titolo nella storia del pensiero del Novecento per la sua portata rivoluzionaria, che portò ad una inedita concezione delle categorie tradizionali di bene e di male.
Il concetto di banalità del male si mette in rapporto dialettico, nel pensiero della Arendt, con il concetto kantiano di radicalità del male, utilizzato dalla scrittrice nell’opera del ‘51 intitolata Le origini del totalitarismo. Sulle pagine del New Yorker, Hannah Arendt scrisse che il processo a Eichmann ha rovesciato completamente il tema del male come esso era stato presentato nel testo del 1951. Se in quell’opera i totalitarismi erano stati letti come conseguenza diretta del fallimento della democrazia e del pensiero critico, e piene manifestazioni del male assoluto e radicale, alla luce della macchina di sterminio industriale che Auschwitz rappresentò quella categoria non era più sufficiente per descrivere il dramma dei campi di sterminio e serviva dunque una rielaborazione concettuale».
Togliendoci qualsiasi appiglio metafisico, «che non di rado è stato utilizzato quale comoda uscita di sicurezza, e mettendoci in guardia dalla tentazione di estetizzare il male – scriveva nel 2015 Massimo Marottoli in un articolo su Riforma.it dal titolo Il doppio sguardo –sul film di M. Von Trotta, Arendt ci snida dalle menzogne in cui ci siamo appisolati; ci strappa di dosso gli alibi consolatori che preservano dal contatto diretto con il reale e ci chiama a responsabilità».
Breve biografia di Hannah Hannah Filosofa tedesca della politica, naturalizzata statunitense (Hannover 1906 – New York 1975). Significativo esempio di studiosa impegnata, A. ha lasciato una originale produzione scientifica che intreccia contributi filosofici, politologici e sociologici. Allieva di Husserl e Heidegger, laureatasi in filosofia a Heidelberg con Jaspers, fu costretta a lasciare la Germania (1933) perché di famiglia ebraica: lavorò a Parigi per un’organizzazione sionista fino al 1940; quindi emigrò negli Stati Uniti, dove fu attivista in organizzazioni ebraiche, fra cui la Jewish Cultural Reconstruction. La sua carriera accademica si svolse nelle univ. di Berkeley, Princeton, Chicago (dal 1963) e alla New School for Social Research di New York (dal 1967). Il problema dell’agire umano nella storia e della sua politicità (cioè del rapporto dell’uomo con gli altri uomini in comunità organizzate) è delineato in The origins of totalitarianism (1951; trad. it. Le origini del totalitarismo), una delle prime e più importanti analisi di un sistema politico manifestatosi, secondo A., per lo più nella Germania nazista e nell’URSS. Il totalitarismo si lega al declino dello Stato nazionale e al sorgere dell’imperialismo, alla rottura del sistema classista e all’atomizzazione della società di massa; e viene definito come «forma di governo la cui essenza è il terrore e il cui principio d’azione è la logicità del pensiero ideologico». Problemi ripresi in The human condition (1958; trad. it. Vita activa), in cui si afferma l’importanza della sfera pubblica come luogo privilegiato per la formazione del cittadino come protagonista della vita sociale e politica in tutta la ricchezza delle sue manifestazioni, secondo il modello della polis greca; a proposito del controverso rapporto sulla banalità del male come prodotto di un’organizzazione burocratica e dell’acquiescenza degli individui in Eichmann in Jerusalem (1963; trad. it. La banalità del male); nell’analisi della rivoluzione come fenomeno essenzialmente moderno inteso a liberare e a produrre libertà in On revolution (1963; trad. it. Sulla rivoluzione); nella riflessione sulle funzioni e sull’ubiquità della violenza in On violence (1970; trad. it. Sulla violenza). In polemica con le comunità ebraiche nell’affermazione della sua laicità, A. ebbe come filo unificante del suo pensiero la ricerca delle condizioni della libertà di fronte all’erosione della distinzione fra sfera privata e sfera pubblica, presentato nei volumi Pensare e Volere di un’incompiuta trilogia (manca Giudicare): The life of the mind (post. 1978; trad. it. La vita della mente).
Fonte-Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani –