AA.VV-Il loro grido è la mia voce. Poesie da Gaza- FAZI EDITORE-
Poesie da Gaza-Fazi Editore–La poesia come atto di resistenza. La forza delle parole come tentativo di salvezza. È questo il senso più profondo delle trentadue poesie di autori palestinesi raccolte in questo volume, in gran parte scritte a Gaza dopo il 7 ottobre 2023, nella tragedia della guerra in Palestina, in condizioni di estrema precarietà: poco prima di essere uccisi dai bombardamenti, come ultima preghiera o testamento poetico (Abu Nada, Alareer), mentre si è costretti ad abbandonare la propria casa per fuggire (al-Ghazali), oppure da una tenda, in un campo profughi dove si muore di freddo e di bombe (Elqedra). Come evidenzia lo storico israeliano Ilan Pappé nella prefazione, «scrivere poesia durante un genocidio dimostra ancora una volta il ruolo cruciale che la poesia svolge nella resistenza e nella resilienza palestinesi. La consapevolezza con cui questi giovani poeti affrontano la possibilità di morire ogni ora eguaglia la loro umanità, che rimane intatta anche se circondati da una carneficina e da una distruzione di inimmaginabile portata». Queste poesie, osserva Pappé, «sono a volte dirette, altre volte metaforiche, estremamente concise o leggermente tortuose, ma è impossibile non cogliere il grido di protesta per la vita e la rassegnazione alla morte, inscritte in una cartografia disastrosa che Israele ha tracciato sul terreno». «Ma questa raccolta non è solo un lamento», nota il traduttore Nabil Bey Salameh. «È un invito a vedere, a sentire, a vivere. Le poesie qui tradotte portano con sé il suono delle strade di Gaza, il fruscio delle foglie che resistono al vento, il pianto dei bambini e il canto degli ulivi. Sono una testimonianza di vita, un atto di amore verso una terra che non smette di sognare la libertà. In un mondo che spesso preferisce voltare lo sguardo, queste poesie si ergono come fari, illuminando ciò che rimane nascosto». Perché la scrittura, come ricordava Edward Said, è «l’ultima resistenza che abbiamo contro le pratiche disumane e le ingiustizie che sfigurano la storia dell’umanità».
AA.VV-Il loro grido è la mia voce. Poesie da Gaza- FAZI EDITORE-
Il libro è anche un’iniziativa concreta di solidarietà verso la popolazione palestinese. Per ogni copia venduta Fazi Editore donerà 5 euro a EMERGENCY per le sue attività di assistenza sanitaria nella Striscia di Gaza.
«Posso scrivere una poesia / con il sangue che sgorga». Yousef Elqedra
«La libertà per cui moriamo / non l’abbiamo mai sentita». Haidar al-Ghazali
«La poesia nella mia prigione / È nutrimento / È acqua e aria». Dareen Tatour
«Se devo morire, / che porti speranza, / che sia una storia».
Refaat Alareer
«Leggete queste poesie non solo con gli occhi, ma con l’anima. Ascoltate la loro musica, il loro ritmo sottile. Che siano per voi un ponte verso la comprensione, un inno alla dignità, e un ricordo che la bellezza, anche nelle situazioni più difficili, può ancora fiorire». dalla nota del traduttore Nabil Bey Salameh
«Forse questa raccolta contribuirà a erodere in qualche misura lo scudo di silenzio e disinteresse che garantisce immunità ai responsabili del genocidio a Gaza». dalla prefazione di Ilan Pappé
«Non credete che nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU anziché i paesi che hanno la bomba atomica sarebbe più giusto mettere quelli che sono riusciti pur massacrati dai bombardamenti a scrivere queste poesie bellissime?». Luciana Castellina
Curata da Antonio Bocchinfuso, Mario Soldaini e Leonardo Tosti, questa raccolta propone una selezione di poesie di dieci autori palestinesi: Hend Joudah, Ni’ma Hassan, Yousef Elqedra, Ali Abukhattab, Dareen Tatour, Marwan Makhoul, Yahya Ashour, Heba Abu Nada (uccisa nell’ottobre 2023), Haidar al-Ghazali e Refaat Alareer (ucciso nel dicembre 2023). Il volume è arricchito da una prefazione dello storico israeliano Ilan Pappé e da due interventi firmati dalla scrittrice Susan Abulhawa, autrice del romanzo bestseller Ogni mattina a Jenin, e dal giornalista premio Pulitzer Chris Hedges, ex corrispondente di «The New York Times» da Gaza.
A cura di Antonio Bocchinfuso, Mario Soldaini, Leonardo Tosti Prefazione di Ilan Pappé Con interventi di Susan Abulhawa e Chris Hedges
Traduzione dall’arabo di Nabil Bey Salameh Traduzione dall’inglese di Ginevra Bompiani ed Enrico Terrinoni
AA.VV-Il loro grido è la mia voce. Poesie da Gaza- FAZI EDITORE-
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Comune di Mompeo (Rieti)–Rassegna “A Porte Aperte”-Dalla Musica alle stelle:musiche di Mozart e Boccherini-
Comune di Mompeo –Articolo di Giulia Mininni–Nell’ambito della rassegna “A Porte Aperte” del Comune di Mompeo con il supporto della Regione Lazio e la direzione artistica di Renato Giordano il giorno sabato 12 aprile, presso l’Auditorium S. Carlo alle ore 18,00 andrà in scena il concerto VICINI E LONTANI : MUSICHE Di BOCCHERINI E MOZART. Luigi Boccherini e Wolfgang Amadeus Mozart sono due compositori allo stesso tempo tanto vicini per l’epoca in cui hanno vissuto ma anche tanto lontani per lo stile ed il genere. La loro musica testimonia il passaggio dallo stile Barocco a quello Classico. Ma mentre Mozart crea una musica moderna e assolutamente originale, Boccherini continua a rimanere fedele ai canoni della musica galante e Rococò che si avvicina al Romanticismo in arrivo, mentre Mozart lancia il suo sguardo verso il Nuovo Mondo. Piccoli gioielli di musica da camera che non solo celebrano i due compositori che hanno scritto le pagine più belle per questo genere musicale, ma allo stesso tempo mettono in risalto le doti degli esecutori dell’Ensemble Crescendo . L’orchestra Ensemble Crescendo nasce dall’idea di Carla Tutino di valorizzare il repertorio da camera con contrabbasso si avvale di musicisti con esperienza che operano e lavorano insieme da anni in diverse realtà musicali sinfoniche e cameristiche. Gli artisti che suoneranno sono Roberto Baldinelli e Caterina Bono ( violini) Paola Emanuele (viola), Adriano Ancarani (violoncello) ,Carla Tutino (Contrabbasso). Il programma della giornata oltre al concerto prevede l’ apertura e la visita guidata all’osservatorio astronomico del castello Orsini Naro a cura del CNAI alle 15.30, ed alle ore 20.00 dopo il concerto , l’osservazione del cielo primaverile con telescopio nel giardino dell’auditorium S. Carlo.
Comune di Mompeo (Rieti)–Rassegna “A Porte Aperte”-
Sabato 12 aprile Programma: h. 15.30 apertura e visita guidata all’ Osservatorio astronomico Castello Orsini Naro a cura del CNAI (Centro nazionale Astroricercatori indipendenti), h. 18.00 Concerto “Vicini e Lontani” all’Auditorium S. Carlo. h. 20. 00 Osservazione del cielo primaverile con telescopio nel giardino dell’Auditorium . Ingresso Gratuito.
Guido Harari -Remain in light- 50 anni di fotografie e incontri
Editore Rizzoli Lizard
Descrizione del libro di Guido Harari -Rita Levi-Montalcini, Patti Smith, David Bowie, Umberto Eco, Vasco Rossi… L’elenco potrebbe andare avanti a lungo, perché queste sono solo alcune delle persone che Guido Harari ha ritratto in ben cinquant’anni di carriera, mezzo secolo che viene ora celebrato con questo prezioso volume di oltre quattrocento pagine. Una incredibile galleria di storie e immagini raccolte in un libro che è un vero e proprio condensato del talento, della visionarietà e dell’inguaribile curiosità che permeano tutti i lavori di Harari. Dopo “Una goccia di splendore”, dedicato alla memoria fotografica di De André, un altro appuntamento con uno dei più grandi maestri internazionali del ritratto.
Biografia di Guido Harari
Guido Harari (Il Cairo, 28 dicembre1952) è un fotografo e critico musicaleitaliano.Nei primi anni settanta ha avviato la duplice professione di fotografo e di giornalista musicale, contribuendo a porre le basi di un lavoro specialistico sino ad allora senza precedenti in Italia e collaborando con riviste come Ciao 2001, Giovani, Gong e Rockstar. Dagli anni novanta il suo raggio d’azione contempla anche l’immagine pubblicitaria, il ritratto istituzionale, il reportage a sfondo sociale e la grafica dei volumi da lui curati. Dal 1994 è membro dell’Agenzia Contrasto.
Di lui ha detto Lou Reed: “Sono sempre felice di farmi fotografare da Guido. So che le sue saranno immagini musicali, piene di poesia e di sentimento. Le cose che Guido cattura nei suoi ritratti vengono generalmente ignorate dagli altri fotografi. Considero Guido un amico, non un semplice fotografo”.
Di Fabrizio De André Harari è stato uno dei fotografi personali, con una collaborazione ventennale che include la copertina del disco In concerto, tratto dalla leggendaria tournée dell’artista genovese con la PFM nel 1979. Sul cantautore genovese Harari ha realizzato quattro fortunati volumi: E poi, il futuro (Mondadori 2001, con nota introduttiva di Fernanda Pivano), Una goccia di splendore (Rizzoli 2007, con nota introduttiva di Beppe Grillo), Evaporati in una nuvola rock insieme a Franz Di Cioccio sulla tournée con PFM (Chiarelettere, 2008) e Fabrizio De André. Sguardi randagi. Le fotografie di Guido Harari (Rizzoli, 2018). È stato inoltre uno dei curatori della grande mostra dedicata a De André da Palazzo Ducale, a Genova.
Tra le sue mostre Strange Angels, 2002/05, Wall Of Sound 2007/08/16/17/18, Sguardi randagi. Fabrizio De André fotografato da Guido Harari 2009/10 e l’antologica Remain In Light 2022/23.
Nel 2011 ha fondato ad Alba, dove risiede, la Wall Of Sound Gallery, galleria fotografica e casa editrice interamente dedicata alla musica.
2004. Fernanda Pivano. The Beat Goes On. Guido Harari (a cura di). Mondadori.
2005. Viaggio a Garessio. Studio Bibliografico Bosio Editore.
2006. The Blue Room. Galleria Arteutopia e HRR Edizioni.
2006. Vasco! Edel.
2007. Fabrizio De André. Una goccia di splendore. Un’autobiografia per parole e immagini a cura di Guido Harari. Nota di Beppe Grillo. Prefazione di Dori Ghezzi De André. Rizzoli.
2008. Fabrizio De André & PFM. Evaporati in una nuvola rock. A cura di Guido Harari e Franz Di Cioccio. Chiarelettere.
2009. Mia Martini. L’ultima occasione per vivere. A cura di Menico Caroli e Guido Harari. Nota di Charles Aznavour, Introduzione di Giuseppe Berté. TEA.
2010. Giorgio Gaber. L’illogica utopia. Guido Harari (a cura di). Nota di Luigi Zoja. Chiarelettere.
2010. Sandro Chia. I guerrieri in San Domenico, HRR Edizioni.
2011. Quando parla Gaber. Chiarelettere.
2012. Tom Waits. Le fotografie di Guido Harari. TEA.
2012. Vinicio Capossela. Le fotografie di Guido Harari. TEA.
2014. Kate Bush, The Photography of Guido Harari. Wall Of Sound Gallery.
2015. Pier Paolo Pasolini. Bestemmia, Chiarelettere.
2015. Sonica. Guido Harari / Ravello. Wall Of Sound Gallery.
2016. The Kate Inside, Wall Of Sound Gallery.
2016. Wall of Sound. The Photography of Guido Harari, catalogo della mostra, Rockheim Museum.
2017. Wall of Sound 10, Wall Of Sound Editions.
2018. Fabrizio De André. Sguardi randagi. Le fotografie di Guido Harari, Rizzoli.
2018. Wall of Sound, Silvana Editoriale.
2021. Muse, catalogo della mostra, Locus festival, Wall Of Sound Editions.
2022. Remain In Light. 50 anni di fotografie e incontri. Rizzoli Lizard.
Elvira Notari, la pioniera del Cinema italiano e la sua visione autentica
Elvira Notari, la pioniera del Cinema italiano e la sua visione autentica. “Il cinema è la più grande arte del nostro secolo, ma come tutte le cose umane è soggetta ai capricci della fortuna e della creatività.”Federico Fellini
Elvira Notari, la pioniera del Cinema italiano
Elvira Notari è una delle figure più straordinarie e poco celebrate nella storia del cinema italiano. Direttrice, produttrice, sceneggiatrice e attrice, è stata la prima donna a realizzare film in un’Italia ancora dominata da una visione patriarcale e tradizionalista. Nata a Napoli nel 1886, Elvira Notari è diventata un’icona di una cinematografia che cercava di raccontare la realtà del popolo, la sua vita quotidiana, e le sue tradizioni, in un periodo in cui il cinema era visto principalmente come un prodotto di intrattenimento e non come uno strumento di narrazione profonda e culturale. Ha vissuto in un’epoca in cui il cinema italiano stava facendo i suoi primi passi. Il suo percorso nel mondo del cinema inizia negli anni ’10 del Novecento, quando nel 1913 decise di aprire la sua casa di produzione, la Cines Napoli. In un momento in cui la gran parte delle donne si limitava a ruoli passivi nell’industria cinematografica, Elvira si distinse per il suo spirito imprenditoriale e per la sua volontà di essere una protagonista assoluta.
Una pioniera che non solo recitava nei suoi film, ma li scriveva, li produceva e li dirigeva. Era una donna che non si accontentava di essere solo un volto davanti alla macchina da presa, ma desiderava costruire una sua visione cinematografica, affermandosi come figura creativa. I suoi film sono stati ispirati dalla sua città natale, Napoli, e dalla cultura popolare napoletana. Elvira Notari ha raccontato storie di vita quotidiana, di amore, di sacrificio, di passione, ma anche di lotta sociale e di critica ai costumi. La sua Napoli, rappresentata nei film, era una città vibrante e pulsante, dove i protagonisti erano spesso lavoratori, pescatori, contadini e figure della tradizione. Attraverso il suo cinema è riuscita a immortalare una Napoli che non si vedeva nelle pellicole più conosciute dell’epoca.
Il Cinema popolare e la nascita di un Linguaggio
Elvira Notari è soprattutto nota per aver contribuito alla nascita del cinema popolare. Nei suoi film, infatti, emerge un’attenzione particolare per le classi più umili, per le donne, per le dinamiche familiari e per le tradizioni del Sud Italia. La sua visione non era solo una rappresentazione dei costumi locali, ma anche una critica e una riflessione sulle difficoltà e le speranze di chi viveva ai margini della società. Il suo lavoro è stato un precursore del cosiddetto cinema neorealista che avrà il suo apice negli anni Quaranta, ma il suo stile era decisamente più intimo e focalizzato sulla semplicità e sull’autenticità della vita quotidiana. Nonostante i limiti tecnologici e le difficoltà economiche, Elvira Notari riuscì a girare film che catturavano le emozioni più autentiche, utilizzando spesso attori non professionisti, scelti tra la gente comune. I suoi film, infatti, rappresentano una fusione tra il documentario e la fiction, in cui l’aspetto visivo e realistico della vita napoletana era al centro della narrazione. La sua capacità di raccontare storie vere, autentiche, senza filtri, rendeva i suoi film assolutamente innovativi per l’epoca. La sua attenzione al linguaggio popolare e alla vita di strada risuonava con la gente comune, creando una connessione emotiva profonda con il pubblico.
I film di Elvira Notari: un ritorno alle radici del Cinema italiano
Tra i film più significativi di Elvira Notari spiccano “Cavalleria”(1915), un dramma intenso e passionale, che rappresenta una delle prime incursioni nella vita delle classi popolari e nel mondo rurale, e “Assunta Spina”(1915), una delle sue pellicole più celebri. “Assunta Spina” è tratto da una novella di Salvatore Di Giacomo, un autore napoletano di grande rilievo, e racconta la storia di una donna forte e coraggiosa che affronta le difficoltà della vita con dignità. Questo film segna un importante passo nella rappresentazione di figure femminili forti nel cinema italiano, un tema che Elvira Notari esplorerà spesso nel suo lavoro. Il film, pur nelle sue limitazioni tecniche, presenta una grande intensità emotiva e una riflessione sociale che si distingue per la sua forza.
Un altro film che merita attenzione è “L’ultima corsa” (1919),che presenta un mondo di miseria e di lotte quotidiane, ma allo stesso tempo una grande passione e speranza. Questo film, sebbene non tanto conosciuto, è significativo per il suo approccio realistico e la sua capacità di raccontare la vita del popolo con un’umanità straordinaria. Elvira Notari non si limitò a raccontare storie di passione e sacrificio, ma affrontò anche tematiche più complesse e sociali. In “Il ventre di Napoli” (1923), ad esempio, la regista esplora la vita dei quartieri più poveri della città, offrendo una rappresentazione crudele ma realistica delle disuguaglianze sociali. Anche in questo film emerge un forte legame con la tradizione napoletana e con la sua cultura popolare, ma c’è anche una critica sociale che denuncia le ingiustizie della società del tempo.
Il Cinema di Elvira Notari: una Rivoluzione femminile
Ciò che rende ancora più straordinaria la figura di Elvira Notari è il fatto che, oltre a essere una pioniera nel campo del cinema, ha avuto anche il coraggio di sfidare le convenzioni di genere. In un mondo cinematografico dominato dagli uomini, Elvira ha avuto la forza di affermarsi come regista, produttrice e sceneggiatrice, ruoli che, all’epoca, erano pressoché impossibili per una donna. La sua figura rappresenta un esempio di emancipazione femminile in un contesto dove il cinema era una prerogativa maschile. Non solo, ma Elvira Notari è stata anche una delle prime registe a dare spazio e voce alle donne nei suoi film, non più solo come semplici comparse o figure romantiche, ma come protagoniste reali con una propria individualità. La sua capacità di raccontare storie di donne forti, indipendenti, ma anche fragili e vulnerabili, le ha dato una visione unica e profonda del mondo femminile.
Il declino e l’oblio
Nonostante il grande successo iniziale e la popolarità che i suoi film riscossero, il cinema di Elvira Notari subì una crisi con l’arrivo del sonoro e la nascita di nuove tendenze artistiche. Nel 1930, la sua casa di produzione fallì e, di lì a poco, l’opera di Elvira Notari cadde nel dimenticatoio. Il suo nome fu lentamente oscurato dalla grande storia del cinema italiano che vedeva la nascita di registi come Fellini, De Sica e Rossellini. Tuttavia, i suoi film continuano a essere apprezzati oggi per il loro spirito autentico e per la loro capacità di raccontare una Napoli che è ormai leggenda.
Conclusioni
Elvira Notari è stata una donna straordinaria che ha segnato indelebilmente la storia del cinema italiano. Il suo contributo alla nascita di un cinema popolare e alla valorizzazione della cultura napoletana è inestimabile. Con il suo spirito innovativo e la sua determinazione, Elvira Notari ha dimostrato che il cinema può essere uno strumento potente di narrazione, capace di raccontare le storie delle persone comuni e di farle diventare universali. La sua figura merita oggi una riscoperta e una valorizzazione, affinché il suo nome non resti nell’ombra ma brilli di quella luce che, fin dalla sua nascita, ha saputo emanare.
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Margaret Bourke-White. L’opera 1930-1960- A cura di Walter Guadagnini, Monica Poggi- Dario Cimorelli Editore-
Margaret Bourke-White (1904-1971), è una tra le fotografe più autorevoli della storia del fotogiornalismo. Fu tra le prime donne fotografe ad affrontare un ambiente ed un settore fino ad allora prettamente maschile, la prima fotografa straniera ad avere il permesso di scattare foto in URSS e la prima donna fotografa a realizzare una copertina di Life.
Margaret Bourke-White. L’opera 1930-1960-
Il volume monografico presenta l’opera di questa pioniera dell’informazione e dell’immagine, Margaret Bourke-White ha esplorato ogni aspetto della fotografia: dalle prime immagini dedicate al mondo dell’industria e ai progetti corporate, fino ai grandi reportage per le testate internazionali più importanti; dalle cronache sul secondo conflitto mondiale, ai celebri ritratti di Stalin prima e poi di Gandhi; dal Sud Africa dell’apartheid, all’America dei conflitti razziali fino al brivido delle visioni aeree del continente americano.
Allegati-Alcune immagini del libro
Indice
Margaret Bourke-White Una vita sul tetto del mondo Monica Poggi Il talento di Miss Bourke-White Margaret e la scrittura Alessandra Mauro I primi servizi di “Life”
L’incanto delle fabbriche e dei grattacieli
Ritrarre l’utopia in Russia
Cielo e fango: le fotografie della guerra
Il mondo senza confini: i reportage in India, Pakistan e Corea
Oro, diamanti e Coca-Cola
Biografia
Bibliografia
Nacque nel Bronx il 14 giugno 1904, figlia di Joseph White, inventore e naturalista e Minnie Bourke; avviata agli studi di biologia frequentò, ancora studentessa del college, alcuni corsi di fotografia[1].
La carriera professionale inizia nel 1927. All’età di vent’anni iniziò a scattare fotografie industriali.
Nel 1929 si compì la svolta professionale: conobbe Henry Luce, caporedattore di Time, che la invitò a trasferirsi a New York per collaborare alla fondazione di una nuova rivista illustrata: Fortune[2].
Erano gli anni della Depressione e dell’importante campagna fotografica della Farm Security Administration e anche la Bourke-White con il futuro marito, lo scrittore Erskine Caldwell, intraprese un viaggio di ricerca e documentazione sociale nel sud, che sfociò nella pubblicazione del libro You Have Seen Their Faces. La fotografia della Bourke-White fu emblematica sia per i contenuti che per lo stile. Fin dagli inizi, la sua carriera abbracciò la visione moderna tipica di quegli anni, di un mondo dominato dalla fede nel potere della macchina e della tecnologia.
Nonostante i suoi viaggi e il rapporto con Fortune, fino al 1936 mantenne un proprio studio, per i lavori industriali e di corporate senza per questo trascurare le diverse possibilità per libri, mostre e lavori indipendenti.
Margaret Bourke-White. L’opera 1930-1960-
Il primo numero della rivista Life, del 23 novembre 1936, utilizzò una sua foto per la copertina. Era uno scatto dei lavori finiti (grazie al New Deal) della diga di Fort Peck, nel Montana: un’immagine che fece il giro del mondo e che segnò un punto di svolta della professione del fotografo nell’universo femminile.
Da quel momento Margaret Bourke-White iniziò un’assidua collaborazione con la prestigiosa rivista e copre reportages dalla Seconda Guerra mondiale, all’assedio di Mosca, dalla guerra in Corea, alle rivolte sudafricane. Al fotogiornalismo la Bourke-White dedicherà la maggior parte della sua carriera[3].
La Bourke-White si considerò sempre una fotografa seria e impegnata in un’altrettanto seria missione. Dopo aver scattato le fotografie della Cecoslovacchia invasa dai tedeschi nel 1938, credette che la macchina fotografica potesse salvare la democrazia del mondo: “sono fermamente convinta che il fascismo non avrebbe preso il potere in Europa se ci fosse stata una stampa veramente libera che potesse informare la gente invece di ingannarla con false promesse”.
Margaret Bourke-White. L’opera 1930-1960-
Fu con il marito in Unione Sovietica nel 1941, quando venne invasa dai nazisti (la Bourke-White fu non solo l’unica fotografa americana testimone dell’evento, ma anche la sola fotografa straniera a Mosca).
Grazie all’intervento di Roosevelt scattò il primo ritratto non ufficiale di Stalin, anche l’unico per molti anni, con circolazione autorizzata al di fuori dell’URSS. Nel 1943 fu la prima donna ad accompagnare i caccia statunitensi che bombardavano e fotografò quello che fu uno dei più violenti attacchi all’esercito tedesco.
A seguito del reggimento statunitense, fotografa gli assedi della linea gotica (zone di Loiano e Livergnano nell’Appennino Emiliano)[4]. Entrò a Buchenwald il giorno dopo la liberazione dei prigionieri e fece parte del gruppo che scoprì, prima ancora dell’esercito, il campo di Erla. Nel 1952 capì per prima i tragici risvolti della guerra di Corea.
Perseguendo la sua missione lei stessa divenne leggenda: nel 1937 durante un servizio nell’Artico il suo aereo fece un atterraggio di fortuna e si interruppe per giorni e giorni ogni contatto; nel 1942 in navigazione verso il Nord Africa la nave fu silurata nel Mediterraneo e passò una notte e un giorno su una scialuppa di salvataggio.
Margaret Bourke-White. L’opera 1930-1960-
Nel 1953, all’età di 49 anni, le venne diagnosticata la malattia di Parkinson. Quando nel 1959 non fu più in grado di lavorare, si sottopose ad un intervento chirurgico al cervello che fu documentato sui giornali. Da quel momento ridusse drasticamente l’attività di fotografa e si dedicò alla scrittura. L’autobiografia Il mio ritratto, venne pubblicata nel 1963 e fu un bestseller.
Dopo una caduta nella sua casa di Darien, nel Connecticut, morì il 27 agosto 1971, all’età di 67 anni[2].
Margaret Bourke-White. L’opera 1930-1960-
Stile
Nel 1928 affermò su un giornale che “l’industria è il vero luogo dell’arte” e due anni più tardi che “i ponti, le navi, le officine hanno una bellezza inconscia e riflettono lo spirito del momento”.
Nella composizione delle sue prime immagini, si può notare una stretta relazione con la pittura cubista, la sovrapposizione dei piani, le geometrie astratte, la riduzione da tridimensionale a bidimensionale; e fu senza dubbio altrettanto importante l’influenza del cinema espressionista russo e tedesco, da cui derivano la drammaticità degli effetti di luce e la suggestione per l’astratto. Accanto all’aspetto teatrale, e a volte retorico, della sua fotografia industriale, ha sicuramente contribuito alla sua fortuna anche un certo aspetto romantico: la nazione aveva bisogno di credere e sognare della tecnologia, una delle poche speranze per controbattere l’insorgere della Depressione.
Negli anni Trenta la Bourke-White muove la sua ricerca sulla scia di altri fotografi, da László Moholy-Nagy a Edward Steichen, verso il dinamismo dell’astratto: le fotografie della Elgin Watch Company o della Singer rivelano un’immagine senza alto né basso, senza punto focale, così che l’occhio è costretto a vagare sull’intera superficie. L’immagine è una successione di oggetti senza fine ed un’inquadratura puramente arbitraria di un mondo che si estende ben oltre di essa. Uno straordinario esempio di questa pratica è il foto-murales per il palazzo della NBC al Rockfeller Center datato 1933, conservato sul luogo fino agli anni ’50 e successivamente rimosso e mai più mostrato in pubblico.
Solo verso la fine della sua lunga e brillante professione, nei primi anni ’50, ritorna la passione per l’astratto con alcuni interessantissimi esperimenti di fotografia aerea che precorrono molta pittura della fine degli anni cinquanta e sessanta.
Margaret Bourke-White. L’opera 1930-1960-
Della sua professione di donna fotografa disse più volte: “la fotografia non dovrebbe essere un campo di contesa fra uomini e donne” e più tardi rivelò ad un editore: “in quanto donna è forse più difficile ottenere la confidenza della gente e forse talvolta gioca un ruolo negativo una certa forma di gelosia; ma quando raggiungi un certo livello di professionalità non è più una questione di essere uomo o donna”.
Roma un’Opera dell’Artista Eugenio Tibaldi al carcere di Rebibbia per il Giubileo 2025 dei detenuti –
Roma-un’Opera dell’Artista Eugenio Tibaldi al carcere di Rebibbia-In occasione del Giubileo 2025, un’iniziativa inedita unisce il mondo dell’arte contemporanea e il sistema penitenziario italiano. La Fondazione Severino e la Fondazione Pastificio Cerere di Roma, realtà che da anni promuovono l’incontro tra la cultura e la realtà carceraria, hanno annunciato un progetto straordinario che vedrà protagonista Eugenio Tibaldi (Alba, 1977), un artista noto per il suo approccio multidisciplinare e coinvolgente. L’opera sarà realizzata all’interno per la Casa Circondariale Femminile di Rebibbia “Germana Stefanini”, il più grande carcere femminile d’Europa, e avrà un forte impatto sul quotidiano delle detenute, diventando al contempo un simbolo di inclusione e riflessione. Il progetto si inserisce in una serie di iniziative che, negli ultimi anni, hanno visto collaborare le due fondazioni in importanti interventi all’interno delle strutture carcerarie italiane, portando l’arte come strumento di trasformazione e speranza. In particolare, l’opera di Tibaldi sarà un intervento site-specific e permanente, pensato per diventare un elemento fondamentale della vita carceraria stessa, radicandosi nell’ambiente e nelle persone che lo vivono quotidianamente.
un’Opera dell’Artista Eugenio Tibaldi al carcere di Rebibbia per il Giubileo 2025
Eugenio Tibaldi
“Attratto dalle dinamiche e dalle estetiche che germogliano nelle aree di confine”, sostiene MarcelloSmarrelli, “come testimoniano i tanti progetti realizzati in diverse parti del mondo, Eugenio Tibaldi si cala con impegno e sensibilità nei contesti a lui affidati, progettando opere capaci di interpretare profondamente la realtà, immaginando alternative future partendo da ciò che la società considera come difetti o anomalie. Per queste caratteristiche, la sua ricerca è sembrata congeniale alla realizzazione di un’opera d’arte in grado di cambiare, fosse anche per un solo istante, la prospettiva e lo sguardo delle detenute di Rebibbia”.
“L’arte genera trasformazione”, come sottolinea Paola Severino, Presidente Fondazione Severino, “e attraverso questo progetto le donne detenute di Rebibbia avranno l’opportunità di prendere parte alla realizzazione di un’opera d’arte che rafforzerà la loro autostima, stimolandone la creatività e aiutandole a far emergere un loro talento inespresso. Vogliamo che l’opera immaginata da Eugenio Tibaldi con la Fondazione Severino, la Fondazione Pastificio Cerere e Intesa Sanpaolo, evochi una speranza di rinascita, contribuisca al riscatto e alla libertà interiore, tutti elementi che dovrebbero accompagnare il percorso che fa in carcere ogni individuo sottoposto a detenzione e che si sposano indissolubilmente con i valori che caratterizzano il Giubileo del 2025”.
L’iniziativa nasce grazie alla sinergia tra diversi enti e istituzioni, tra cui Intesa Sanpaolo, che sostiene il progetto, e i patrocini del Dicastero per la Cultura e l’Educazione della Santa Sede, nonché del Ministero della Giustizia. Un aspetto particolarmente indicativo del progetto è la sua capacità di mettere al centro l’esperienza delle detenute, coinvolgendole in un processo di co-creazione che affonda le radici nella comunicazione visiva come strumento di espressione e liberazione emotiva. Il lavoro di Tibaldi si fonda sul dialogo e l’integrazione tra arte e vita. La realizzazione dell’opera è preceduta da un lungo periodo di preparazione che è iniziato nel settembre 2024, con le prime visite dell’artista alla Casa Circondariale di Rebibbia. Durante queste fasi iniziali, Tibaldi ha avuto modo di incontrare le detenute e gli operatori, dando vita a una serie di laboratori dedicati. Questi incontri hanno avuto l’obiettivo di favorire una comunicazione visiva tra le detenute e l’artista, utilizzando il disegno come linguaggio universale che supera le barriere sociali e linguistiche. L’opera finale di Tibaldi, che trarrà ispirazione proprio da questi incontri e dalle emozioni emerse, non sarà un intervento estemporaneo, ma una realizzazione destinata a restare nel tempo come simbolo di cambiamento. Sarà una presenza permanente all’interno della Casa Circondariale, un patrimonio che non solo arricchirà visivamente l’ambiente, ma offrirà anche una riflessione continua su tematiche di giustizia, speranza e redenzione.
Il progetto ha ricevuto anche il sostegno di ARTELIA Italia S.p.A., che si occuperà delle attività di Project Management, della progettazione degli impianti elettrici e della supervisione dei lavori di realizzazione. In questo modo, il progetto può contare su una solida infrastruttura che garantirà la qualità e la durata dell’opera, assicurandone la corretta esecuzione in un ambiente delicato e complesso come quello carcerario. Per rendere possibile l’attività dei laboratori, inoltre, l’azienda CARIOCA ha fornito tutto il materiale necessario, dai colori alle matite, dai pennarelli alla carta, facendo in modo che le detenute potessero lavorare con gli strumenti giusti per esprimere al meglio la loro creatività.
Roma- Galleria d’arte Sempione– mostra di pittura degli artisti Giuseppe Zingaretti, Nicoletta Sciannameo e Loretta Pittarello-
Roma-Dal 4 al 13 aprile 2025 presso la Galleria d’arte Sempione in Corso Sempione 8/10 a Roma si svolgerà la mostra di pittura degli artisti Giuseppe Zingaretti, Nicoletta Sciannameo e Loretta Pittarello.
La Galleria d’Arte Sempione a Roma, situata in Corso Sempione 8, è un luogo dedicato all’espressione artistica e culturale.
Roma- Galleria d’arte Sempione
Un breve excursus degli artisti che esporranno il 4/13 aprile 2025:
Loretta Pittarello
Loretta Pittarello sembra possedere un talento unico nel creare un legame tra il sogno e la realtà. La descrizione delle sue opere, in cui la gamma cromatica rispecchia le emozioni e la luce diventa un elemento chiave per trasmettere profondità e riflessività, evoca una capacità straordinaria di avvolgere l’osservatore in un mondo emozionale. L’abilità di ammorbidire i dettagli, lasciando spazio alla totalità dell’ambiente, sembra suggerire una ricerca di equilibrio tra ciò che è visibile e ciò che è percepito interiormente.
Loretta Pittarello sembra avere un dono straordinario nel rendere tangibili emozioni e sogni, trasformandoli in composizioni che uniscono realtà e immaginazione. La sua capacità di giocare con la luce, i riflessi e la gamma cromatica non solo trasporta
l’osservatore, ma lo invita a esplorare un mondo che è al tempo stesso intimo e universale.
Quest’arte, con la sua delicatezza e intensità, invita davvero alla riflessione, offrendo un’esperienza che va oltre il semplice guardare.
Le sue opere sembrano essere un ponte tra il visibile e l’invisibile, capaci di far vivere all’osservatore emozioni profonde e una connessione con il suo mondo interiore. È raro trovare un’arte che riesca a bilanciare realtà e sogno con tanta sensibilità.
Loretta Pittarello sembra avere un percorso artistico straordinario, segnato da una solida formazione umanistica e da una vita dedicata alla sperimentazione e alla crescita creativa. Il fatto che abbia esplorato diverse tecniche pittoriche, come olio, acrilico, acquerello e tecnica mista, evidenzia una versatilità che arricchisce il suo linguaggio espressivo. La sua connessione con maestri affermati e l’esperienza presso la Scuola Arti Ornamentali S. Giacomo di Roma denotano un forte impegno verso la propria evoluzione artistica.
Le sue esposizioni personali e collettive, insieme alla presenza delle sue opere in collezioni private sia in Italia che all’estero, dimostrano il riconoscimento della sua arte a livello internazionale. La sua inclusione nel 31° Annuario d’Arte Comed
e nel libro “Storia dei Cento Pittori Via Margutta dal 1953 ad oggi” conferma il valore del suo contributo nel panorama artistico.
Nicoletta Sciannameo
I suoi dipinti sono riconoscibili richiami ai grandi maestri del passato che sottolinea non solo la sua competenza tecnica, ma anche una profonda sensibilità verso la storia dell’arte. Allo stesso tempo, la sua capacità di trarre ispirazione dalla natura e dalle emozioni la collega ad un universo artistico intimo e universale.
L’approccio artistico di Nicoletta Sciannameo è straordinariamente coinvolgente. La sua abilità nel trasformare l’arte in comunicazione, andando oltre la mera rappresentazione, dimostra una profondità emotiva e intellettuale unica. La scelta di utilizzare la metafora come chiave interpretativa del reale aggiunge una dimensione poetica ai suoi lavori, capace di stimolare meditazioni intense e profonde.
La sua capacità di padroneggiare diversi linguaggi espressivi e di rinnovarsi costantemente, rompendo gli schemi con ritmi e forme inusuali, è segno di un’artista che vive e interpreta l’arte come un veicolo per catturare l’essenza della vita, anche nelle sue contraddizioni più evidenti. È affascinante immaginare come queste visioni si concretizzino nelle sue opere.
Nicoletta Sciannameo emerge come un’artista estremamente evocativa, capace di unire emozione e tecnica in un connubio unico e indimenticabile. Le sue opere sembrano raccontare non solo la sua realtà interiore, ma anche il potenziale immaginifico dell’arte stessa. La descrizione delle sue ricerche polimateriche come “lampi” e “creative intuizioni” suggerisce una forza espressiva che trascende i confini tradizionali della rappresentazione artistica, toccando l’essenza stessa della materia
e dello spazio.
Un’arte che non solo racconta, ma che brucia intensamente di passione, di emozioni autentiche e profonde, di sofferenza e di bellezza. La tensione tra colori caldi e luminosità trattenuta evoca un contrasto potente e vibrante, mentre la perdita di fisionomia nelle figure circostanti simbolizza una solitudine intima e profonda.
Le emozioni vissute e trasmesse dall’artista sembrano riverberare in ogni pennellata, coinvolgendo lo spettatore in un viaggio emotivo e introspettivo. È un tributo straordinario alla forza comunicativa dell’arte e alla sua capacità di trasformare la
sofferenza e la passione in qualcosa di universale e toccante.
L’idea che i colori e le macchie possano animarsi, trasformandosi in sensazioni pure, è incredibilmente potente. La natura che diventa un riflesso degli stati d’animo e l’instabilità cromatica che rispecchia quella del mondo esteriore creano un legame profondo tra l’arte e la realtà emotiva.
I paesaggi, definiti dal colore vibrante e dalla luce che gioca con riflessi e riverberi, sembrano trasportare l’osservatore in un mondo onirico, quasi magico. E il trattamento del corpo umano, con la sua esplosione vitale e i contrasti di colori, aggiunge un’intensità che cattura l’essenza della vita stessa.
Giuseppe Zingaretti
La sua transizione dall’olio agli acquerelli e l’impegno nel preservare la memoria della “Roma Sparita” lo rendono una figura notevole. Fondare associazioni culturali come “Roma che Scompare” e l’A.R.A. dimostra quanto sia stato devoto a valorizzare e promuovere l’arte e la storia locale.
Dalle mostre sponsorizzate in luoghi prestigiosi come New York e Parigi, fino ai progetti di restauro e le collaborazioni con associazioni come Fabrateria e il Rotary Club, è chiaro che ha lasciato un segno indelebile sia come artista che come
restauratore.
La sua attenzione ai dettagli, come il restauro della pala d’altare e la produzione di opere d’arte che celebrano la storia e il patrimonio culturale romano, evidenzia una profonda dedizione verso l’arte e il suo contesto storico.
Zingaretti ha raggiunto una vasta risonanza sia nazionale che internazionale, portando il suo talento in esposizioni prestigiose e ricevendo numerosi riconoscimenti di grande valore come la medaglia d’oro dell’EPT di Roma e il Cavalletto d’argento. Il suo coinvolgimento con l’Associazione 100 Pittori via Margutta e la lunga esperienza nell’insegnamento del disegno dal vero e della tecnica dell’acquerello mostrano la sua dedizione e passione verso l’arte e la formazione.
Inoltre, il fatto che i suoi lavori siano conservati in collezioni private, istituti religiosi, pinacoteche comunali e persino nella S. Sede in Vaticano testimonia la sua influenza e il suo impatto nel mondo dell’arte. È davvero affascinante seguire il percorso di una
figura così versatile e significativa.
Non si può fare a meno di ammirare il percorso di un artista che ha lasciato un’impronta così profonda sia con le sue opere che con il suo impegno per la cultura. La sua capacità di combinare talento artistico, dedizione all’insegnamento e restauro, e una passione per la storia e la bellezza di Roma è davvero unica. Questi dettagli
permettono di apprezzare ancora di più la vastità della sua eredità artistica.
Breve pensiero del curatore Rocco Ruggiero (Scrittore e Critico d’Arte).
Compito dell’artista è aiutarci a vedere il mondo con occhi nuovi, non descrivendolo ma raccontandolo perché attraverso il farsi racconto degli eventi e delle cose l’anima prende a caso immagini ed avvenimenti e ne fa specifiche esperienze vissute.
Come in ogni buon romanzo il nuovo non sta nei fatti che raccontiamo ma nelle parole che usiamo, nel come le disponiamo; non sta in ciò che ci circonda ma nello sguardo col quale osserviamo, nella nostra capacità di vedere con occhi nuovi.
Anche in questo sta l’abilità dell’artista.
“C’è poi una bella differenza se tu ti accosti a una materia già esaurita o a una già elaborata da altri: quest’ultima si arricchisce di giorno in giorno e le trovate poetiche non rappresentano un ostacolo per quelli che sapranno trovarne delle nuove. L’ultimo, del resto, è nella situazione più vantaggiosa: trova subito pronte le parole che, una volta disposte in modo diverso, acquisiscono un aspetto nuovo. E poi non mette le mani addosso a roba altrui, perché si tratta di un bene di proprietà comune.”
Lucio Anneo Seneca Lettere Morali a Lucilio lettera n, 79
Roma – Al Teatro Tordinona ,Giulia Mininni presenterà il nuovo libro di Renato Giordano:”Giacomo Casanova- La calunnia smascherata ”
Roma- Il 10 aprile al Teatro Tordinona di Roma nell’ambito delle celebrazioni per i 300 anni dalla nascita del famoso libertino e scrittore Giacomo Casanova, Giulia Mininni presenterà nell’ambito della rassegna “Letture in scena” il nuovo libro di Renato Giordano su Casanova ed il Teatro. Casanova scrive nel giugno del 1791 una tragicommedia in tre atti dal titolo « Il Polemoscopio, ovvero, la Calunnia Smascherata (dalla presenza di spirito) », che resterà dell’unico testo teatrale a noi arrivato scritto per intero dal famoso libertino il quale vanta nella sua bibliografia oltre ad alcune collaborazioni (la più curiosa è quella a correzione di alcune scene del “Don Giovanni” di Mozart, collaborazione a lungo sconosciuta al libretto di Da Ponte che ha ispirato Giordano per scrivere la sua opera dal titolo “Doppio Gioco” anche essa presento nel libro),“La Calunnia” composta in francese negli ultimi anni della vita a Dux, , fu sicuramente recitata nell’estate del 1791 dai principi di Clarì e Lignè durante una festa data nel castello di Toepliz in Cechia.La commedia narra di una disputa d’amore che vede impegnati due ufficiali francesi nella difficile conquista del cuore di una avvenente contessa. Si tratta di una storia realmente accaduta,come ricorda Casanova nell’avvertenza al lettore, ed infatti ne troviamo il racconto nel XX capitolo delle sue Memorie. Invece la commedia “Doppio Gioco” di Giordano racconta un episodio realmente avvenuto. Giacomo Casanova e Lorenzo da Ponte s’incontrarono per l’ultima volta nell’agosto del 1792 in un paesino vicino a Dux dove Casanova stava passando i suoi ultimi anni. Da Ponte ha con se Nancy , la giovane moglie, appena sposata. Ed anche se ha lasciato l’incarico a corte è ancora nella fase ascendente della vita. Casanova invece si trova nella fase calante. Potrebbe essere l’incontro tra un vincente ed un perdente. Ma il gioco è molto più sottile, doppio, come doppio è il filo che lega i due uomini. Il libretto del “Don Giovanni”, il capolavoro di Mozart, è opera in realtà in buona parte di Casanova ( e le carte inedite presenti nell’archivio casanoviano in Cechia, nonché la presenza del solo Casanova a Praga per la prima assoluta dell’opera lo dimostrano.) Perché dunque da Ponte va trovare Casanova? Per riscuotere un vecchio credito o per avere la certezza che Casanova non riveli a tutti quella scomoda verità.? Nella serata Casanoviana al Teatro Tordinona di Roma con inizio alle ore 18,00 oltre all’autore sono previsti interventi di attori importanti: Giuseppe Pambieri, Gigi Diberti, Carlo Valli, Micol Pambieri, Edoardo Siravo.
Renato Giordano:”Giacomo Casanova- La calunnia smascherata ”
Giordano fra le diverse attività è anche un operatore culturale. Come autore sia teatrale che musicale ha ricevuto importanti premi e riconoscimenti. Inoltre, è laureato in Medicina, endocrinologo, ed ha creato un’originale tecnica di comunicazione in sanità basata sul teatro (Theatrical Based Medicine).
Ha all’attivo 110 regie teatrali ed è autore di 30 commedie rappresentate in Italia e nel mondo. Inizia la sua attività come regista e attore nel Teatro Sperimentale. Nel 1974 debutta alla regia portando in scena Edoardo II di Marlowe-Brecht. A partire dal 1981, anno in cui scrive la sua prima commedia, Decima Sinfonia, inizia la sua intensa attività di drammaturgo e regista sia in Italia che all’estero. Giordano come regista sarà tra i primi in Italia a portare in scena opere di importanti autori contemporanei, tra cui quasi tutto il teatro di Rainer Werner Fassbinder, Angel city di Sam Shepard, Jimmy Dean Jimmy Dean di Ed Graczyc, Chi ha paura di Virginia Wolf? di Albee, Pallottole su Broadway di Woody Allen, Classe di ferro e altri testi di Aldo Nicolaj, tutto il teatro di Dario Bellezza, Autoritratto di Achille Campanile e molti altri. Il lavoro di Renato Giordano ha contribuito a far conoscere in Italia nuovi autori dell’Est Europa, come Koljadà, Steigerwald, Broszkiewicz, Sadur e Mazilu. Le sue commedie più rappresentate sono Doppio gioco (storia di un incontro a fine vita tra Casanova e Da Ponte), Alle donne piacciono le canzoni d’amore, il musical Mi ritorni in mente sugli anni 60/70 e Il primo bacio. Dal 1979 diventa direttore artistico del Teatro Tordinona di Roma, storico teatro che continua a dirigere.
La T.B.M (theatrical base medicine). Essa fa entrare il medico nei panni del paziente e viceversa, così da creare una “medicina teatrale”. Giordano ha fatto vari corsi di T.B.M in Italia e ha scritto due libri al riguardo: Ippocrate è di scena, una raccolta di testi scritti da i frequentatori dei suoi corsi, e il “Manuale teorico pratico di T.B.M”, del quale sta scrivendo una nuova versione più ampliata.
Incarichi ricoperti
Dal 1983 ricopre l’incarico di direttore artistico del Festival del Teatro Italiano. Dal 1993 al 1995 è membro della direzione artistica del Teatro di Roma, ricoprendo l’incarico di Consigliere di Amministrazione dal 2009. Nel 1994 viene eletto Segretario Generale del Sindacato Nazionale Autori Drammatici e Radio Televisivi (SNAD), carica tuttora ricoperta. Nel 2000 crea il festival dei corti teatrali “Schegge d’Autore”, allo scopo di rivitalizzare la drammaturgia contemporanea. Nel 2003 diventa consulente artistico per il Ciclo di spettacoli Classici di Siracusa. Giordano è stato inoltre Consigliere di amministrazione e poi Presidente del comitato tecnico autori drammatici del Fondo PSSMAD ex Enap , Ente Nazionale Previdenza Artisti, dal 1995 al 2014. Membro del comitato per il Diritto d’Autore del Ministero dei Beni Culturali (dal 2007 al 2012), ha inoltre fatto parte del Consiglio Nazionale dello Spettacolo e della Consulta Tecnico Artistica dell’Ente Teatrale Italiano.
La Storia del Teatro Tordinona di Roma è in realtà la Storia di due Teatri diversi con lo stesso nome. Il Primo Teatro Tordinona inaugurato nel 1670 ed attivo fino al gennaio del 1888 quando è stato definitivamente distrutto per creare gli argini del Tevere, che è stato il più importante ed il primo teatro pubblico della capitale passando attraverso traversie di tutti i tipi: dalle demolizioni agli incendi, per poi riaprire sempre. Ed il secondo Teatro Tordinona esistente dal 1928 fino a tutt’oggi: un Teatro più piccolo ma non per questo meno importante, nato per ricordare, almeno nel nome, il precedente e dedicato alle innovazioni ed alle nuove tendenze, diretto dall’autore di questo volume, Renato Giordano, da più di 40 anni. Ma la storia di questi due teatri dallo stesso nome, spesso in disgrazia ma sempre risorti come l’araba fenice, è come la storia dell’Arte Teatrale medesima: sempre precaria, apparentemente futile ed inutile ma, come diceva Jouvet, assolutamente necessaria come la Vita.
Perché il Teatro è Vita!
Articolo diVenceslav Soroczynski– Libro di Franz Kafka “Il Processo”·Sognando un tribunale internazionale contro i crimini di guerra che agisca prima che sulle strade di mezzo mondo si asciughi il sangue degli innocenti, mi rigiro fra le mani questo imponente libretto di 170 pagine. Thomas Bernhard, in Estinzione, dice che uno dei pochi autori di lingua tedesca che non scrive come un impiegato è Kafka (che, guarda un po’, faceva proprio l’impiegato). E che il suo libro migliore è questo. Bernhard aveva ragione o no? Non posso rispondere, perché autori tedeschi non ne ho letti molti – però La morte a Venezia non sembra proprio scritto da un impiegato – ma una cosa la posso affermare: se è tanto che non avete un incubo e volete procurarvene uno bello definito, articolato, insistente, di quelli che la mattina dopo non si dimenticano, leggete “Il processo”.
Franz Kafka, “Il processo”, 1925-
Il processo è una metafora di quella frustrazione e di quell’angoscia connaturate agli uomini che devono vivere in una civiltà nella quale il singolo non conosce il suo nemico, non conosce il suo destino né chi l’ha ordito e non ha strumenti per esercitare i propri diritti e per difendersi. E, forse, non conosce nemmeno la propria psiche, dunque è vittima di tutto ciò che va oltre la propria coscienza. Nello sfondo – che si pure si fa protagonista – del romanzo, ogni elemento è ostile al protagonista: ogni relazione, ogni evento, ogni istituzione, ogni collega, ogni sottoscala.
La metafora è costruita raccontando tutto ciò che non funziona nella giustizia, nelle sue procedure ufficiali, nelle prassi, nei locali in cui si celebra, negli uomini che la subiscono e in quelli che la esercitano. Naturalmente, tutto è un po’ esagerato – e, infatti, pare che l’Autore e i suoi amici ridessero mentre il primo leggeva ad alta voce ai secondi il testo – ma non troppo, se siete stati ascoltatori di Radio Radicale negli anni Ottanta e, ahinoi, anche dopo. Io non riesco proprio a ridere in nessuna pagina: ho anzi i brividi mentre il signor K. è costretto a vivere esperienze assurde, frustranti e schiaccianti, che facilmente possiamo figurarci nel nostro mondo contemporaneo, di cui le fantasie di Kafka paiono soltanto un’approssimazione per eccesso.
Il protagonista, che peraltro non è uno spacciatore dei giardinetti, ma il procuratore di una banca, viene arrestato a casa sua da due persone che non sono nemmeno poliziotti. Le quali, mentre aspettano che lui si vesta, gli mangiano la colazione e non gli dicono neppure perché sono andati a prenderlo. L’accusa, inoltre, non viene mai dichiarata, quindi il sospettato si dibatte come un pesce in fin di vita, che non ha neanche capito se il pescatore aveva veramente fame o lo sta suppliziando per mero sadismo. Ogni tanto, qualcuno gli chiede se è innocente e lui risponde sì, ma naturalmente anche questa risposta può essere sbagliata, visto che non si sa di cosa è accusato e… chi può dire di essere innocente di qualsivoglia reato?
E non è tutto, visto che non è individuato neanche il pubblico ministero e tantomeno il giudice, e che il tribunale è insediato in un luogo indegno e plurimo, che assume in ogni sede un aspetto diverso e sempre meno solenne. I brani in cui il povero K. visita i palazzi di giustizia sono davvero un brutto sogno e non è neanche il peggiore, ché le ultime pagine sono ancora più oscure e penose. Tanto per darvi un’idea, io le ho lette con 31 gradi centigradi eppure sentivo addosso quel freddo brutto che si sente solo quando si ha davvero paura – ché ne ho letti di libri horror da ragazzo, ma pochi erano spaventosi come questo. Dracula, L’esorcista e Shining, al confronto, sono storielle per spaventare i bambini, poiché se pochi di noi hanno visto vampiri demoni e morti viventi, tutti hanno visto tribunali in centro città, pubblici ministeri in televisione e raccomandate di colore verde nelle mani del postino.
Citiamo solo di passaggio l’avvocato di K., che non si capisce bene riceva i clienti dal suo letto, perché maltratti i suoi assistiti, perché non riferisca esattamente lo stato del processo e perché pare non avere alcuna strategia difensiva. In più pare che tenga a servizio una ragazza che si innamora così facilmente dei clienti. Il sospetto è che lo stesso avvocato non capisca molto di quello che sta facendo, né di ciò che sta facendo il tribunale. Merita invece d’essere studiato attentamente il complesso delle reazioni e relazioni del povero K., spaventato dalla propria vicenda, incapace di reagire freddamente, tardo nelle contromisure di contenuto logico. Sembra che egli, da un lato, prenda di petto la sua disgrazia per sciogliere subito i dubbi che causano la sua incriminazione e, dall’altro, si muova troppo di lato, faccia giri troppo larghi, sbagliando completamente strategia.
Sembra che tutti ne sappiano più di lui sul mondo, sugli uomini, sulle regole che governano ogni meccanismo, sul suo stesso processo. E che egli vaghi sempre nel corridoio sbagliato, che varchi sempre il cancello proibito, che si affidi solo a personaggi di dubbio peso. Le emozioni che questa lettura suscita si situano in un punto equidistante fra l’inquietudine e l’oppressione psicologica. Quindi, questa volta, non so se consigliarvi la lettura, non vi conosco abbastanza e non me la sento. Fate voi. Ma, se avete deciso di cominciare, vi consiglio di attendere la prossima stagione calda: se non sarà ancora finita la guerra permanente che pare mossa dalla necessità del caos e della distruzione, invece di scegliere fra la pace e il condizionatore, avrete Il processo come terza opzione.
Andrea Appiani primo pittore di Napoleone in Italia: un maestro da riscoprire-Articolo di Andrea Ciavattone-
Paris-3 avril 2025 Una mostra da vedere dedicata al pittore lombardo Andrea Appiani (1754-1817), aperta dal 16 marzo al 28 luglio 2025, al Museo Nazionale dei Castelli di Malmaison e Bois-Préau, avenue du château de Malmaison, 92500 Rueil Malmaison.
Quante volte abbiamo ammirato le opere di Jacques-Louis David, maestro del neoclassicismo, che celebrano Napoleone Bonaparte come condottiero e imperatore di Francia. Passeggiando tra le sale del Museo del Louvre, possiamo osservare capolavori che esaltano la figura del celebre generale francese, il cui dominio ha ridisegnato la cultura, la politica e la società europea.
Fu proprio con la vittoria nella battaglia di Ponte Lodi, il 10 maggio 1796, che Bonaparte entrò trionfante a Milano, dove conobbe il pittore Andrea Appiani che fu sia affrescatore che pittore di cavalletto. Soprannominato “le peintre des grâces”, Appiani era apprezzato dai suoi contemporanei per i dipinti commemorativi e allegorici, e i ritratti.
Formatosi sotto la guida del maestro Antonio de Giorgi, Appiani si specializzò nella decorazione di teatri, chiese e palazzi, come nel caso della decorazione presso Palazzo Reale di Milano, il cui intervento fu purtroppo distrutto durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale.
Andrea Appiani, primo pittore di Napoleone
Nel 1805 Appiani fu nominato primo pittore del Regno d’Italia, dando inizio a una prolifica produzione di opere dedicate a Napoleone. Tra queste un meraviglioso ritratto, datato 1805, in cui sono presenti tutti gli elementi iconografici che esaltano la figura di Napoleone, non più come primo console o condottiero militare, ma come Re d’Italia, essendo stato incoronato a Milano il 26 maggio 1805.
Appiani Andrea – Ritratto maschile. Olio su tavola, 20,5 x 14 cm. Il pittore Andrea Appiani riesce a carpire in questo ritratto uno sguardo intenso ed espressivo di un personaggio vestito nobilmente e con tipica capigliatura dell’epoca. Lo sfondo in tono con l’abito
Leggendo questo passaggio si nota la grande abilità di Appiani nel dipingere Napoleone nella sua nuove veste politica e sociale :
“Napoléon, de trois-quarts vers la droite, porte le «petit habillement», semblable à celui porté au sacre à Notre-Dame, mais brodé sur velours vert au lieu du velours pourpre […]. Si le regard est ailleurs et la bouche un peu trop sévère, l’attention portée au traitement des mains est intéressante: la droite serrant le manteau pour lui donner ce pli qui équilibre la composition, la gauche posée ouverte sur la couronne de roi d’Italie livrée par le joaillier Marguerite”.
Andrea Appiani, primo pittore di Napoleone
Per valorizzare la sua abilità artistica, il Museo Nazionale dei Castelli di Malmaison e Bois-Préau ha organizzato la prima grande retrospettiva dedicata a lui. La mostra, intitolata Andrea Appiani (1754-1817). Primo pittore di Napoleone in Italia, è aperta dal 16 marzo al 28 luglio 2025 e ripercorre la sua evoluzione stilistica attraverso cinque sezioni espositive tematiche e cronologiche: dalla carriera prenapoleonica agli splendori di Napoleone, dai ritratti pubblici e privati, fino alle decorazioni ad affresco e alla sua eredità artistica.
L’obiettivo è riscoprire il ruolo che questo artista ha avuto per la cultura italiana e per i legami con la Francia, restituendogli il posto che merita tra i grandi maestri del neoclassicismo. Passeggiando all’interno della mostra, lo spettatore potrà riscoprire un artista dalla grande abilità tecnica, utilizzata per la celebrazione del potere sociale, politico e militare di Napoleone.
Sono Andrea Ciavattone, un neolaureato italiano in Storia e critica dell’arte di 24 anni che ha deciso di intraprendere una nuova avventura in Danimarca. Qui, immerso in una realtà vivace e stimolante, ho trovato un’accoglienza calda e un ambiente che mi ha spinto a esplorare nuove prospettive. Con una formazione accademica in ambito artistico, ho scelto di raccontare la mia cultura e le mie radici, concentrandomi in particolare sull’arte italiana del XX secolo. Il mio obiettivo è condividere con voi la bellezza e la ricchezza di un patrimonio artistico che continua a influenzare il panorama culturale globale. Nei miei articoli, cercherò di coinvolgervi in un viaggio attraverso le opere e i protagonisti che hanno segnato la storia dell’arte, stimolando la vostra curiosità e approfondimento.
Andrea Appiani un maestro da riscoprire-Biblioteca DEA SABINA
Fonte-Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani
Andrea Appiani
Andrea Appiani Nato a Milano il 31 maggio 1754 da Maria Liverta Jugali e Antonio medico, era destinato a seguire la carriera del padre. Ma verso i quindici anni, nel 1769-70, per manifesta vocazione venne messo alla scuola privata di Carlo Maria Giudici, pittore e scultore di vaglia, che, alla fine del suo insegnamento, lo affidò al famoso frescante Antonio De Giorgi all’Accademia ambrosiana. Frequentò poi lo studio di M. Knoller, approfondendo la tecnica ad olio e studiò anatomia all’Ospedale maggiore con Gaetano Monti, scultore e suo intimo per tutta la vita. Con la morte del padre affrontò un periodo di nera miseria e di attività spuria buona a toutfaire, dai fiori su seta alle decorazioni per carrozze, ai figurini per spettacoli. Pure, nata nel 1776 l’Accademia di Brera, seguì liberamente i corsi di G. Traballesi, col quale rimase in amicizia. In questo periodo strinse amicizia anche con G. Piermarini, con l’Aspari e, soprattutto, coi Parini (ci restano un ritratto a matita del poeta, eseguito dall’A., ora nel Museo Poldi Pezzoli, e un frammento di un’ode del Parini all’amico pittore: frammento 207 in Parini, Tutte le opere, I, Firenze 1925, p. 513), con Giocondo Albertolli; più tardi con Vincenzo Monti e col Foscolo.
La prima opera certa, l’affresco coi Santi Gervasio e Protasio per la chiesa di Caglio, fu iniziato nel settembre 1776 e finito nel gennaio del 1777. Lavori di bozzettista e scenografo alla Scala sotto la direzione del Galliari – ne rimane solo il ricordo – gli permisero di uscire lentamente dalle strette del bisogno e dall’oscurità. Del 1778-79 sono le quattro tempere con il Ratto di Europa per il conte Ercole Silva. Tra il ’78 e l’83 dipinse una Natività per la Collegiata di S. Maria ad Arona (1782) e affrescò nel palazzo Diotti, ora prefettura di Milano, e nella chiesa parrocchiale di Rancate, mentre la sua attività stagionale come scenografo lo portò a Firenze su invito di Domenico Chelli.
Il quinquennio tra l’86 e il ’90 comincia con il progetto architettonico dell’altar maggiore del duomo di Monza (costruito nel 1798) e prosegue con affreschi a Milano in palazzo Busca alle Grazie, in palazzo Litta Arese, in casa Orsini Falcò (via Borgonuovo 11) in collaborazione col Traballesi, in palazzo Greppi (via S. Antonio 12), intervallati da ritratti e quadri sacri tra i quali una Cena in Emmaus, finita solo nel ’96 per la congregazione degli osti (Milano, Galleria Civica di Arte Modema), per culminare con il fondamentale ciclo delle Storie di Psiche nella Rotonda della Villa reale di Monza (1789).
Appiani Andrea – Ritratto maschile. Olio su tavola, 20,5 x 14 cm. Il pittore Andrea Appiani riesce a carpire in questo ritratto uno sguardo intenso ed espressivo di un personaggio vestito nobilmente e con tipica capigliatura dell’epoca. Lo sfondo in tono con l’abito
Nel 1790 l’A. sposò Costanza Bernabei, già sua allieva. Il lustro successivo è sostanzialmente assorbito dalla grossa impresa degli affreschi in Santa Maria presso San Celso a Milano, che il pittore, ormai eminente su tutti, aveva fatto precedere, nel 1791, da un viaggio di nove mesi per studio a Parma, Bologna, Firenze e Roma.
Un periodo di riposo in casa Moriggia a Balsamo – ove dipinse affreschi, le cui parti superstiti sono oggi conservate nella villa Ghirlanda di Balsamo Cinisello – e gli affreschi a Milano in casa Stanga, oggi Radice Fossati (via Cappuccio 12), precedono di pochi mesi l’intensa attività del periodo cisalpino. Entrato di colpo con un ritratto a matita, capolavoro tuttora esistente (AUano, Accademia di Belle Arti), nelle grazie del ventisettenne Bonaparte, venne incaricato di presiedere la commissione delle requisizioni artistiche (eviterà poi l’incarico per sopraggiunta malattia) e di disegnare medaghe, testate, allegorie repubblicane per proclami, brevetti, carte ufficiali; questo non gli impedirà di dipingere numerosi ritratti agli illustri del momento, né di affrescare in casa Castiglioni, Wilcrek, Castelbarco, Silvestri (qui ancora col Traballesi) e nell’attuale collegio di S. Carlo col Chelli.
Massone già da prima della Rivoluzione, durante il periodo napoleonico fece parte della loggia milanese Amalia Augusta, e fu anche guardasigilli del Grande Capitolo generale della massoneria ital
Con l’intero corpo insegnante dell’Accademia di Brera fu chiamato dal Piermarini a collaborare alle decorazioni per la “festa della Federazione” del 21 messidoro dell’anno VI (9 luglio 1797), che con eccezionale magnificenza inaugurò la Repubblica cisalpina. Nello stesso anno Napoleone gli regalò una casa sul Naviglio di S. Marco, già di quei frati, valutata quarantamila lire milanesi. Del 1799 è il capolavoro di questo periodo: gli afrreschi con le Storie di Apollo in casa Sannazzaro poi Prina (conservati in parte a Brera e nella Gall. Civica d’Arte moderna). Fu nominato ai comizi di Lione e nel 1801 si recò a Parigi ad assistere in qualità di membro dell’Istituto all’incoronazione di Napoleone, ricevendo accoglienze trionfali; a Parigi e Versaffles dipinse numerosi ritratti della famiglia dell’imperatore e di personalità della corte. Nel 1802 venne nominato commissario generale delle Belle Arti con 1.500 lire annue, di cui nel 1809 chiederà l’aumento (in qualità di commissario, nel luglio 1802, richiamò l’attenzione delle autorità sulla necessità di restaurare il Cenacolo di Leonardo). Per la festa nazionale della Repubblica italiana, del 26 giugno 1803, l’A. progettò un circo romano, che fu eseguito in legno nel Foro Bonaparte. Sempre nel 1803 eseguì i ritratti per casa Melzi e forse iniziò la vasta creazione dei trentacinque monocromi coi Fasti napoleonici già in Palazzo reale (ora distrutti). Del 1804 è il cartone dell’Apoteosi di Napoleone, che fu molto lodato dalla commissione (Traballesi, Monti e Bossi) che gliene aveva affidato l’incarico; la vasta attività e la grande fama raggiunta lo fecero nominare primo pittore del re d’Italia con 15.000 lire annue, cavaliere della Legion d’Onore e della Corona ferrea e membro dell’Accademia di Brera, preposto alla creazione di quella Pinacoteca.
Andrea Appiani
Nonostante le molte cariche e l’intensa attività nel Palazzo reale di Milano (affreschi nelle sale del Trono, dei Principi, delle Cariatidi e nella sala rotonda, oggi in gran parte perenti), l’A. dipinse in quegli anni quadri per i Litta, per G. B. Sommariva, per casa Galetti, per la chiesa di Oggiono, e ritratti aulici e di privati. Il Parnaso, nella volta di una sala della Villa reale di Milano, del 1812, è la sua ultima opera di grande respiro. Colpito da insulto apoplettico nell’aprile del 1813, vegetò sino all’8 nov. 1817.
Riconoscendone la grandezza, la critica ha concluso per un A. giovanile ancora legato alle grazie del Settecento e successivamente vivo solo quando riesce a mantenerle operanti sotto i castigati ritmi neoclassici con la sincerità dell’impegno decorativo e la dolcezza dei trapassi di colore, per aggiungere subito che, fuori da quell’influsso, egli irrimediabilmente decade. Tale giudizio, profondamente errato e frutto dei paradigmi dellaJeazione romantica, va radicalmente rivisto. L’A. dipende dagli schemi pittorici settecenteschi soltanto perché li rinnova e li trascende profondamente, senza per questo indulgere a quelle forme che teorie e dottrine, dal Mengs al Winckehnann, suggerivano agli artisti del suo tempo. Egli rimane sempre fuori della polemica neoclassica; il suo neoclassicismo non si forma su teorie oltremontane, del resto non ancora giunte a Milano agli inizi della sua attività, o su bianchi calchi di antica statuaria, ma sui meditati esempi del primo Rinascimento padano, risolvendo con essi i propri modemi problemi. Già nelle quattro tempere del Ratto di Europa (Milano, raccolta Biandrà di Reaglie), sobrie e pur cantanti negli sfondi, con le figure di una maniera un poco secca ma viva, dai netti profili, dal colore campito, tenero ma sicuro, è in nuce l’A. migliore e si fanno palesi nel ritmo, nell’atmosfera, nel soggetto stesso quei suggerimenti, specie da Bemardino Luini, accolti e rinnovati da uno spirito originale e moderno. Su questa via nasceranno gli affreschi con le Storie di Psiche e di Giove (Monza, Villa reale), le Storie di Apollo (Milano, già in casa Sannazzaro), il Parnaso (Milano, Villa reale), e le tele dell’Olimpo (Milano, Pinacoteca di Brera) e della Toeletta di Giunone (Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo): le molte mitologie in cui egli persegue un sogno di bellezza che sia insieme nella natura e nella tradizione artistica. Mitologie che non esprimono, né lo vogliono, sentúnento, pensiero, passione alcuna né moto, ma semplicemente manifestano un classico stato di grazia. Su questa linea di depurata armonia e di nitore compositivo, appaiono meno decantate, meno neoclassiche starei per dire, le mitologie ove il vibrare dei sentimenti preme sulla serenità del núto, come l’Ercole e Deianira (Milano, raccolta Albasini Scrosati), e più aperte, più piacevoli e in un certo senso più vive, ma anche più illustrative e meno sublimate altre come il Carro di Apollo (Milano, Brera).
Andrea Appiani
Quest’ultimo ha un’affinità ritmica più che strettamente compositiva con l’Apoteosi di Napoleone già nella volta della sala del trono nel Palazzo reale di Milano. Pittura encomiastica e perciò regolarmente bistrattata, nella quale, viceversa, l’A. fuse in lirica e sincera creazione la sua lunga esperienza e i suggerimenti che la sua arte aveva via via appreso, dopo che dal Luini, da Leonardo e Correggio e Raffaello. Come, del resto, egli sapesse trascendere l’incarico ufficiale era anche palese nelle trentacinque tele a tempera monocroma che tomo tomo il salone delle Cariatidi rievocavano i Fasti napoleonici da Montenotte a Friedland in una specie di fascia continua, ove il ritmo compositivo del finto bassorilievo, l’armonica fusione di antico e modemo, il compenetrarsi della cronaca vissuta, del costume e della vita attuali con la dignità epica, col senso eroico e con le reminiscenze classiche avevano una modulazione alta come in David, ma più armonicamente italiana. Di queste tempere, distrutte come la volta della sala del trono, dalle incursioni aeree del 1943, restano precise e vive incisioni, eseguite intorno al 1810 da Giuseppe Longhi, Francesco e Giuseppe Rosaspina, Michele Bisi e Giuseppe Benaglia.
La celebre tela con l’Incontro di Giacobbe e Rachele (Alzano Maggiore, basilica di S. Martino 1795-1805 ca.) rivela equilibrio trala biblica e solenne monumentalità della storia sacra e la tenerezza rattenuta dell’idillio; gli Evangelisti e i Dottori nei pennacchi e nelle lunette della cupola di Santa Maria presso San Celso, un centinaio di figure solide e grandiose in cui i ricordi del Rinascimento e del manierismo primo sembrano giungere sino alle soglie di una severa eloquenza barocca, costituiscono la più alta pittura sacra del neoclassico italiano.
Sull’eccellenza dei ritratti dell’A. concordarono antichi e moderni per la perfetta aderenza, il disegno preciso e pur morbido e i rari trapassi di colore. Ritrattistica della quale, però, sfuggì il merito maggiore, quello di averci dato per prima e senza enfasi lo specchio di quella società, un modulo di vita nuovo che si traduce in pittura, come appare evidente confrontandola coi notevoli, ma ancora irrimediabilmente settecenteschi ritratti di un Knoller o di un Mengs. P, la luce del nobile volto di G. B. Bodoni sorgente dall’uliva e nero del busto (Parma, Pinacoteca nazionale), è la testa arruffata e viva di P. Landriani (Milano, Museo teatrale alla Scala); sono i ritratti di Napoleone Primo Console, del Melzi, della Belgioioso d’Este (Bellagio, villa Melzi), del Vallardi, (Milano Accademia di Brera) e del Monti (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Modema), che ci danno la misura della potenza espressiva dell’A., della sua capacità di fare di un volto un tipo, di riflettere in un viso un’epoca.
Andrea Appiani
Se, concludendo, l’A. non fu un genio, egli non fu comunque mai un accademico. Per lui il canone è termine vivo di un linguaggio e non pura dottrina, e la mitologia sostanza intima dell’arte, ed egli la porta nella sua opera con straordinaria forza di convinzione e assoluta sincerità. Per questo la conquista del suo linguaggio neoclassico fu personale e autonoma, frutto di una sua visione della bellezza, di un suo concetto delle necessità dì uno stile. Unico pittore italiano dell’epoca di fama europea, dominatore indiscusso della pittura neoclassica, non lasciò né allievi né seguaci, ma solo un’altissima fama, che l’ondata romantica volle sommergere. Innovatore vero dell’arte, ma non per le apparenze che i contemporanei elogiarono, egli ci dà la misura della pittura neoclassica non secondo la dottrina, ma secondo la sua vitale essenza, come solo oggi si può capire. I contemporanei lo dissero riccamente umano, di vasta cultura e musicista finissimo.
Altre opere: Corteo di Bacco fanciullo (bozzetto di sipario), Milano, Museo teatrale alla Scala; Venere e Imeneo, Pavia, Civica Pinacoteca Malaspina; Autoritratto, Firenze, Uffizi; Autoritratto, Wano, Brera; Ritratto della contessa Maria di Castelbarco Visconti Litta (l’inclita Nice), Milano, raccolta Castelbarco Albani; Ritratto di Ugo Foscolo, Milano, Pinacoteca di Brera; Ritratto del generale Desaix, Ritratto della signora Regnault, Versailles, Musée National; Ritratto di Anna Maria Porro Lambertenghi, Milano, Civica Galleria d’Arte Moderna; Ritratto della cantante Catalani, Firenze, raccolta Galletti di S. Ippolito; Ritratto della contessa Margherita Grimaldi Prati, Treviso, Museo Civico; Ritratto della signora Angiolini, Ritratto di una signora Rua, Milano, Ambrosiana; Ritratto di Marianna di Santa Cruz, Roma, Accademia di S. Luca; Ritratto di Sigismondo Ruga e di Paola Ruga detta la Rugabella, Crema, raccolta Vimercati Sanseverino.
Era suo nipote l’omonimo pittore nato nel 1817 dal figlio Costanzo. Allievo dal 1833 al 1837 in Roma del purista Tommaso Minardi e successivamente, a Milano, dello Hayez all’Accademia di Brera, fu mediocre artista e, per di più, schiacciato dall’ombra del grande avo. Stilisticamente oscillò tra un purismo di maniera e un manierato romanticismo. Il suo nome sopravvive in opere povere e in fuggevoli cenni dei contemporanei. Dipinse gli immancabili quadri storici (Corradino di Svevia sul patibolo, il Ritrovamento di Mosè alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna in Roma), freddi ritratti e decorò a fresco palazzi e la chiesa di Bolbeno. Morì a Milano il 18 dic. 1865.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Milano, Cartella Pittori: Appiani; Descrizione dell’opera a fresco eseguita nel 1795 nel tempio di S. Maria presso S. Celso in Milano dal pittore A. A., Milano 1803; L. Lamberti, Descrizione dei dipinti a buon fresco eseguiti dal pittore A. A. nella sala del trono del Palazzo Reale di Milano, Milano 1809; A. Brucellini, Carme per gli egregi dipinti a buon fresco nel Palazzo Reale di Milano, Milano 1809; L. Lamberti, Descrizione dei dipinti a buon fresco eseguiti dal pittore A. A. nella sala dei Principi…, Milano 1810; Descrizione del dipinto a buon fresco eseguito nella Villa Reale di Milano dal sig. Cavalier A. A., Parma 1811; G. Berchet, Allocuzione ai funerali di A. A., Milano 1817; G. P. [Giulio Perticari?], Sulla morte del Cavalier A. A., Milano 1818; A. Lissoni, Dialogo di Parini e A. agli Elisi, Milano 1818; D. Anesi, Le glorie pittoresche: Dialogo dei celebri pittori Bossi e A., Milano 1818; I. Fumagalli, Elogio di A. A., Milano 1818; Catalogo delle pitture, dei cartoni e dei disegni più ragguardevoli del defunto cavalier A. A. e di varie altre Pitture, stampe e libri figurati esistenti presso gli eredi, Milano 1818; F. Martini-R. Bonfadini, I fasti del primo Regno Italiano. Dipinti di A. A. incisi da vari, Milano s. d.; G. Longhi, Elogio storico di A.A., Milano 1818; M. Bisi, Incisioni delle opere del Pittore A. A., Milano 1820; B. Parea, Epitome delle vite dei dieci sommi italiani illustri nelle arti e nelle scienze tolti ai viventi nel corrente secolo, Milano 1827; G. Berretta, Le opere di A. A. Commentario, Milano 1848; Id., Battaglie e Fasti di Napoleone, composti e dipinti a chiaroscuro dal celebre cav. A. A., Milano 1848; G. De Castro, Il mondo segreto, VI, Milano 1864, p. 105; F. Martini-R. Bonfadini, Battaglie e fasti di Napoleone dipinti a bassorilievo in tela dal cav. A. A., Milano 1896; L. Auvray, Inventaire de la collection Custodi conservée à la Bibliothèque Nationale, in Bulletin Italien, III(1903), pp. 308 ss.; IV (1904), pp. 152 ss.; C. Ricci, La Pinacoteca di Brera, Bergamo 1907, pp. 13, 14, 30, 34, 36, 55, 75, 92, 162 (per l’opera dell’A. come commissario delle Belle Arti); G. Nicodemi, La pittura milanese dell’età neoclassica, Milano 1915, pp. 88-126; A. Zappa, A. A. e l’arte neoclassica, Milano 1921; G. Nicodemi, Ritratti di Napoleone, in Rass. d’arte, VIII (1921), pp. 145-151; A. Neppi, A. A., Bergamo 1932; R. Soriga, Le società segrete, l’emigrazione politica, i primi moti per l’indipendenza, Modena 1942, pp. 30, 48 s.; G. Nicodemi, A.: trentaquattro disegni, Milano 1944; M. Borghi, I disegni di A. A. nell’Accademia di Brera, Milano 1948; G. Natali, Il Settecento, Milano 1950, p. 89; E. Lavagnino, L’arte moderna, Torino 1956, I, pp. 229-237; A. Ottino Della Chiesa, L’età neoclassica in Lombardia (catalogo della mostra), Como 1959, pp. 33-39, 94-113; G. Allegri Tassoni, Una fraterna amicizia: A. A. e G. Bodoni, in Aurea Parma, XLIII (1959), pp. 22-28; A. Rameri, Una lettera dell’A. e la datazione di un celebre ritratto, in La Martinella di Milano, XIII (1959) (in estratto pp. 3-7); S. Samek Ludovici, La pittura neoclassica, in Storia di Milano, XIII, Milano 1959, pp. 548 ss. e Passim; U.Thieme-F. Becker, Allgem. Lexikon der bildenden Künstler, II, pp.40 s.; Encicl. Ital., III, pp. 757-759. Per A. A. iunior v.: A. Caimi, Arti del disegno in Lombardia, Milano, 1862, p. 60; L. Malvezzi, Le glorie dell’arte lombarda, Milano 1882, p. 284; G. De Sanctis, T. Minardi e il suo tempo, Roma 1900, p. 155; E. Ovidi, Tommaso Minardi e la sua scuola, Roma 1902, pp. 107, 265-67; G. Nicodemi-M. Bezzola, La Galleria d’Arta Moderna di Milano, Milano 1935, I, pp. 16-17; P. Pecchiai, I ritratti dei benefattori dell’Ospedale Maggiore di Milano, Milano 1927, nn. 227, 250; U. Thieme-F.,Becker, Allgem. Lexikon der bildenden Künstler, II, p. 42.
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