Stefano Garzaro – “Per la libertà – Raccontare oggi la resistenza “
Per un nuovo 25 aprile- Articolo di Gian Mario Gillo-Il libro Per la libertà – Raccontare oggi la resistenza di Stefano Garzaro (edito da Piemme) è stato recentemente presentato nei locali della libreria Claudiana di Torino. L’ultima fatica editoriale dell’autore, professionista nel campo dell’editoria scolastica e saggista, è un antidoto alla riscrittura della storia. Ripercorre la tragedia delle ultime due guerre mondiali e si sofferma in particolar modo sulla Seconda, preceduta dal Ventennio fascista che aveva attuato in Italia persecuzioni contro gli oppositori con la promulgazione di leggi “fascistissime”, antiebraiche e razziali, razziste; racconta poi la lotta per giungere alla Liberazione.
Stefano Garzaro – “Per la libertà – Raccontare oggi la resistenza “
Le circa duecento pagine sono anche un omaggio ai tanti martiri della giustizia e della libertà; soprattutto partigiani e partigiane, come ben ricorda nella prefazione la segretaria nazionale dell’Anpi, Michela Cella.
Il libro risponde a domande dirimenti: perché si festeggia il 25 aprile? Che cosa è stata la Resistenza? Chi furono e come operarono i partigiani? Perché l’Italia fascista decise di entrare in guerra? Soprattutto, consegna al lettore tante storie, alcune delle quali inedite. I nomi citati sono un mosaico narrativo dal quale emergono figure importanti legate all’antifascismo.
Dall’opposizione del torinese Gobetti (morto in Francia per le botte prese in Italia) si passa a quella di Giacomo Matteotti (di cui lo scorso anno ricorreva il centenario della morte), un uomo capace di essere la sintesi di qualità diverse in una persona sola: politico, intellettuale, pubblicista antiregime: per questo ucciso dai fascisti nel giugno 1924.
Cita Willy Jervis, il “traghettatore” di perseguitati su irti sentieri di montagna, che, ricercato nella zona di Ivrea, trovò rifugio in val Pellice, dove proseguì l’attività della Resistenza. Il volume ricorda anche aneddoti come quello di Sandro Pertini che, quand’era presidente della Camera dei deputati, non volle ricevere il fascista che lo teneva recluso in confino a Ventotene, all’epoca questore di Milano.
Garzaro racconta anche le tragedie belliche, sociali e antropologiche più dolorose: le stragi naziste contro i civili, come quella di Sant’Anna di Stazzema, e altre, dimenticate dalla storia; entra nell’abisso umano della Shoah, ricorda le deportazioni di politici e di dissidenti, e di coloro che erano considerati diversi.
Il libro è un omaggio al grande valore civile e umano di tante persone. Garzaro ricorda ad esempio Nunziatina, la staffetta partigiana «che visse due volte» perché sopravvissuta alla fucilazione (seppur fucilata), e ancora i due bambini napoletani, che persero la vita per liberare – impugnando le armi – la loro città.
Uno scrigno prezioso di pagine che dona nuova vita a coloro che la persero, proprio per difendere quella che oggi è la nostra libertà. Elenca nomi, fatti, storie che rischierebbero di perdersi. Partigiano della memoria, l’autore, ci regala questo piccolo manuale da leggere tutto d’un fiato come esercizio democratico in vista del prossimo 25 Aprile.
* S. Garzaro, Per la libertà – Raccontare oggi la resistenza. Milano, Piemme, 2022, pp. 192, euro 14,50.
Fonte- Riforma.it- Il quotidiano on-line delle chiese evangeliche battiste metodiste e valdesi in Italia.
Sinossi-1911: la Triangle Waist Company di New York occupa i tre piani più alti dell’Asch Building di New York. La compagnia produce camicette e occupa circa 500 lavoratori, in gran parte giovani donne immigrate. Il 25 marzo scoppia un incendio. I proprietari si mettono in salvo e lasciano morire le donne e gli uomini intrappolati. L’incendio fa 146 vittime di cui 129 giovani donne italiane e ebree dell’Europa orientale. 62 di loro muoiono lanciandosi dalle finestre.
Il racconto del più grave incidente industriale della storia di New York, per voce di una di quelle camicette che, esposta in una vetrina davanti al grattacielo, vede tutto e tutto sa. Le sue parole illuminano sulle condizioni di sfruttamento delle lavoratrici, ma anche sulle lotte per l’emancipazione delle donne.
L’incendio di New York in cui perirono 146 operai, fra cui 129 giovani e giovanissime donne immigrate dall’Italia, dalla Germania e dall’Europa orientaleraccontato da una prospettiva insolita
Lei le vide quelle giovani operaie gettarsi dall’ottavo, dal nono, dal decimo pia della Triangle Shirtwaist Factory, la fabbrica di New York andata a fuoco in quel 25 marzo del 1911.
Lei, la voce narrante, è una di quelle camicette esposte in una vetrina di un negozio davanti al palazzo della manifattura. Da lì vede tutto e tutto sa. Il suo racconto illumina sulle condizioni di sfruttamento delle lavoratrici, ma anche sulle lotte sindacali e politiche che le donne in quegli anni stanno conducendo.
Per mille camicette al giorno ha sullo sfondo l’incendio di una fabbrica tessile di New York. Le operaie immigrate dall’Italia, dalla Germania e dall’Europa orientale muoiono arse vive, per asfissia, per i traumi riportati o per essersi gettate dall’ottavo, nono e decimo piano dell’Asch Building, sotto lo sguardo scioccato dei passanti.
Venduta e avvolta nella velina, alla fine lei attraversa l’oceano per approdare in Sicilia, quella terra che molte di quelle operaie avevano lasciato in cerca di una vita migliore.
Serena Ballista e Sonia Maria Luce Possentini scrivono un libro “per”: per riflettere sulle morti bianche, per ragionare sullo sfruttamento sul lavoro, per mettere a confronto passato e presente, per ricordarci di quando i migranti eravamo noi e infine per regalarlo insieme a una mimosa, da sempre simbolo di lotta politica delle donne.
Francesco Cardelli Romarcord Divagazioni su Roma tra nostalgia e amnesia
Descrizione del libro di Francesco Cardelli-Una vita raccontata attraverso i cambiamenti di una città amatissima, o meglio: una città raccontata attraverso il pretesto di un’autobiografia, quella di Francesco Cardelli, nato allo scoppio della Seconda guerra mondiale e cresciuto in una Roma che poteva essere allo stesso tempo aristocratica e popolare, cinica e bonaria, obbediente alla Chiesa eppure già aperta alla controcultura di sinistra. Da una parte la «scola de preti», i riti familiari, il Circolo della Caccia, le udienze papali, gli scout, i rosari serali; dall’altra il Folkstudio, i primi cinema d’essai, il teatro delle cantine: luoghi trasgressivi, eccitanti per i figli di quella Roma ancora provinciale e bigotta che andavano così scoprendo il blues, il cinema d’autore, le avanguardie. I dettagli, soprattutto linguistici, sono registrati perché resti una traccia della città che non c’è più: i richiami degli ambulanti, i menù delle osterie, i giochi dei bevitori, i proverbi, le tante parole di un romanesco che nessuno parla più (la fojetta per versare il vino, la giannetta che soffia da nord), i cibi dimenticati (le fusaje, i mostaccioli), le filastrocche. E così le tradizioni dimenticate: gli zampognari con le «cioce» ai piedi, la «Befana del vigile», le corse dei cavalli «barberi» in via del Corso, la banda musicale al Pincio; e i mestieri scomparsi, come il bottijaro, il robbivecchi, l’ombrellaro o l’«uomo del sacco». Poi c’è la piccola storia: le rare memorabili nevicate, Mister Okay che si tuffa nel Tevere, le Olimpiadi del ’60 con gli atleti a zonzo per via del Corso, Bob Dylan al Folkstudio, Sartre e Beauvoir alla birreria Santi Apostoli, Liz Taylor intravista nel pubblico al concorso ippico di piazza di Siena. E ovviamente ci sono le strade, i cui nomi evocano «una piccola città da libro di fiabe», i quartieri, i negozi ormai chiusi, i mercati, tutta una topografia che tiene insieme, nel lutto dei tanti irreversibili cambiamenti, passato e presente.
L’autore
Francesco Cardelli
Francesco Cardelli è nato accidentalmente a Lugano, nel 1940, ma è sempre vissuto a Roma. Questa è la sua prima pubblicazione
Francesco Cardelli
Romarcord
Divagazioni su Roma tra nostalgia e amnesia
ISBN 9788822906274 2021, pp. 192 145×210, brossura € 14,00 € 13,30 (prezzo online -5%)
Francesco Cardelli Romarcord
Recensioni / Tuffo nella Roma Anni ’60 ritratto di tutta l’Italia-Giacomo Giossi da «L’Eco di Bergamo»
Roma è quasi sempre sinonimo di passato: passato artistico e culturale, passato geopolitico e imperiale così come cinematografico come quando Roma veniva definita la Hollywood sul Tevere e la dolce vita era uno stile di vita famoso nel mondo. Questa idea di un passato quale riferimento ideale e assoluto è chiaramente un limite allo sviluppo e all’idea stessa di città ed è in parte anche la causa dei tanti limiti soprattutto strutturali – che oggi rendono complicata la vita ai suoi cittadini e visitatori. Tuttavia il rapporto vivo e continuo di Roma con il passato la rende anche uno dei pochi luoghi al mondo in cui il passato riesce ad avere un ruolo attivo potenzialmente virtuoso e in cui la memoria può intrecciarsi con la contemporaneità regalando visioni e possibilità uniche. Il romanzo di Francesco Cardelli, Romarcord, centra fortemente questo punto perché costruisce un vivido racconto autobiografico che prende il via dai primi anni del secondo dopoguerra e descrive Roma attraverso un lessico famigliare. La Roma di Cardelli è quella composta da strade e quartieri che fanno da sfondo ad una quotidianità anni Sessanta che tuttavia pulsa ancora oggi viva nella memoria nazionale: la prima auto, la prima coca cola, la cena in pizzeria, il cinema e la scuola. Cardelli assembla i propri ricordi intrecciandoli con quelli di un Paese che esce poverissimo dalla Seconda guerra mondiale e conosce la prima ricchezza (e le prime contraddizioni) con il boom economico. Romarcord è un ricordo affettuoso e malinconico di un tempo finito e concluso, ma anche della forza e della presenza assoluta di quel tempo nelle strade e nei palazzi di Roma. Una memoria dunque non antica, ma che riguarda il passato possibile nel tempo breve di un’esistenza. Ed è in questo lasso di tempo, di un Novecento complicato ed oggi esaurito, che si palesa anche la forma di una città che altro non potrebbe essere che la capitale d’Italia. Un titolo e un ruolo che veste a pennello non tanto per la centralità del potere (che è pure effettiva) o per la maestosità dei suoi palazzi e delle sue opere d’arte, ma per quella capacità minima se si vuole di rappresentare in ogni suo borgo un qualunque altro possibile borgo italiano. Un tempo si diceva che a Roma si diventava dopo pochi giorni tutti romani, e lo si diceva come nota di demerito. La verità è che quella romanità attraversa come un fiume carsico tutto il Paese rappresentando la nostra storia tra vizi e virtù, e soprattutto chi potremo essere in futuro.
Francesco Cardelli
Romarcord
Divagazioni su Roma tra nostalgia e amnesia
ISBN 9788822906274 2021, pp. 192 145×210, brossura € 14,00 € 13,30 (prezzo online -5%)
Elizabeth Jane Howard romanzo «La ragazza giusta»Fazi Editore
Descrizione del romanzo di Elizabeth Jane Howard,Fazi Editore -Articolo di Hilary Mantel:”È nelle librerie «La ragazza giusta» un romanzo di Elizabeth Jane Howard, finora inedito in Italia che delizierà tutti i lettori affezionati all’autrice della saga dei Cazalet. Traduzione dall’inglese di Manuela Francescon.
Elizabeth Jane Howard
In una Londra di fine anni Settanta trascina i suoi giorni il giovane Gavin, un timido e sensibile parrucchiere di modesta estrazione. Il suo mestiere lo porta a essere il confidente di molte donne: con loro Gavin è brillante e prodigo di consigli, mentre è assai goffo con le ragazze che gli piacciono. Ha anche un caro amico, un ragazzo omosessuale di nome Harry. È proprio lui a rimescolare le carte della vita del giovane aprendogli le porte della mondanità e portandolo a una festa presso una casa aristocratica. La padrona di casa, Joan, è una donna adulta molto carismatica, colta, capace di sfidarlo intellettualmente, e Gavin ne è subito irretito. Quella sera, però, conosce anche la giovanissima Minerva: ricca e infelice, cresciuta in un ambiente indifferente e anaffettivo, ha un disperato bisogno di attenzioni. Dopo aver sperimentato, non senza scottarsi, i due opposti modelli femminili, Gavin sembra finalmente accorgersi dell’esistenza di una ragazza che gli è sempre stata molto vicina…
Elizabeth Jane Howard confeziona una frizzante commedia punteggiata di ironia – all’epoca dell’uscita al terzo posto nelle classifiche inglesi dopo Frederick Forsyth e Wilbur Smith –, da cui fu tratto un film girato da Randal Kleiser, il regista di Grease, con Lynn Redgrave e Helena Bonham Carter.
«Che romanzo fantastico: divertente, commovente e molto intelligente. Molte, molte congratulazioni».
Angus Wilson
«Ciò che affascina Howard sono le bugie e le verità che ci raccontiamo… Il suo tocco abile si sente ancora una volta».
«The Telegraph»
«Elizabeth Jane Howard è una scrittrice che dimostra attraverso il proprio lavoro a cosa serve un romanzo. Ci aiuta a fare quello che è necessario: aprire occhi e cuore».
I suoi romanzi di maggior successo sono i cinque volumi della cosiddetta «Cazalet Chronicle», una saga familiare che racconta i cambiamenti nella vita inglese durante gli anni di guerra, specialmente per le donne: Gli anni della leggerezza (The Light Years, 1988), Il tempo dell’attesa (Marking Time, 1991), Confusione (Confusion, 1993), Allontanarsi (Casting Off, 1995) e Tutto cambia (All Change, 2013), pubblicati da Fazi Editore[3].
Nel 2002 ha pubblicato l’autobiografia Slipstream.
Opere
Una vacanza incantevole (The Beautiful Visit, 1950), traduzione di Manuela Francescon, Collana Le strade n.587, Roma, Fazi, 2024, ISBN979-12-596-7613-9.
We Are for the Dark: Six Ghost Stories, 1951 (con 3 racconti scritti da Robert Aickman)
Il lungo sguardo (The Long View, 1956), traduzione di Manuela Francescon, Collana Le strade n.237, Roma, Fazi, 2014 [col titolo Vite a rovescio, trad. Maria Gallone, Rizzoli, 1957], ISBN978-88-762-5388-1.
Doug Gold “La scelta di Josefine “Newton Compton Editori
Doug Gold
Descrizione del libro di Doug Gold-Un’incredibile storia vera in cui l’amore sopravvive all’orrore della guerra-Dopo l’arresto e la tortura dei fratelli da parte dei nazisti, Josefine Lobnik decide di unirsi ai partigiani e combattere per la liberazione della Slovenia. Se questo significa aiutare gli inglesi e gli Alleati, è ben felice di dare il suo contributo. Quando assiste all’esecuzione sommaria di venti innocenti nella piazza della città di Maribor, Josefine teme che la stessa sorte possa essere toccata anche a uno dei suoi fratelli, di cui non ha più notizie. E così prende una decisione coraggiosa: avvicinarsi al campo di lavoro per chiedere notizie a un prigioniero. Quando lo portano al campo Stalag XVIII-D, vicino a Maribor, Bruce Murray promette a sé stesso che farà tutto il possibile per sabotare i tedeschi e scappare. Mentre passeggia lungo la recinzione, una domenica mattina, una giovane donna gli consegna un biglietto. È l’inizio di un grande amore, nato nell’ora più buia della storia europea, e destinato a durare per sempre.
«Indimenticabile. Ci ricorda che l’amore può vincere anche nei tempi più bui. Non potrò mai raccomandare abbastanza questa lettura.»
Heather Morris, autrice del bestseller Il tatuatore di Auschwitz
«Un libro sensazionale, risucchia magistralmente il lettore tra le pagine.»
Australian Women’s Weekly
«Una storia appassionante, fonte di grande ispirazione.»
Sunday Star Time «Una commovente storia vera, che Gold ha saputo ricostruire basandosi su articoli dell’epoca, registri militari, testimonianze dirette e lettere originali.»
«Un grande romanzo, che racconta le difficoltà e le sfide superate da due persone innamorate durante la seconda guerra mondiale.»
Doug Gold
Informazioni su Doug Goldis a retired broadcaster with a passion for historical and fact-based stories. This is the second book he has had published. The first, Fun Is a Serious Business, was the non-fiction account of More FM’s David-versus-Goliath success story.
The Note Through The Wire is based on the true story of Bruce Murray, a prisoner of war, and Josefine Lobnik, a Slovene resistance heroine, who first met in a chance encounter in Nazi-occupied Europe. As soon as he first heard their remarkable tale of bravery, resilience, resistance – and love – he knew it was a story that had to be told.
His broadcasting career included various management roles, culminating in ownership of the More FM radio network and NRS Media, an international media company with offices in London, Atlanta, Toronto and Sydney. He has won numerous broadcasting awards and consulted to major media networks globally. He lives in Wellington with his wife, Anemarie, the eldest daughter of Josefine and Bruce.
Articolo di Paola Rocco-Fonte Blog Pane e Scorpioni-Sellerio Editore
Si può parlare di un libro partendo dalla copertina? Quella de La mala erba, l’ultimo romanzo di Antonio Manzini ,come sempre edito da Sellerio Editore , raffigura una ragazza seduta in una stanza, il caschetto di capelli neri che sembra dipinto sul cranio spigoloso, le occhiaie fonde, le labbra strette in una smorfia di malcontento, o di lucido e concentrato rancore. Indosso ha un camiciotto di tela bianca; accanto, una pianta grassa con un unico fiore, rosso, che si allunga di lato, perpendicolare al gambo verdastro e carnoso. Intorno, una stanza nitidamente geometrica, assediata dal buio. Dame in Weiß (Fräulein Sokal), signora in bianco, è il titolo del quadro di Sergius Pauser.Anche Samantha, protagonista de La mala erba, è fin dall’inizio una ragazza chiusa in una stanza incalzata dal buio; sua la storia raccontata in questo libro, che nelle parole dell’autore è però anche e forse soprattutto “la storia di un paese, un piccolo paese di trecento abitanti nascosto tra le montagne dell’Appennino (fra Lazio e Abruzzo, più o meno). È la storia dei suoi abitanti, che non vivono ma sopravvivono; non hanno molte speranze di futuro, soprattutto Samantha De Santis, la ragazza di diciassette anni che è un po’ la protagonista del racconto. Ho voluto raccontare la storia di questo paese per raccontare la storia di un paese più grande, il mio paese, l’Italia. È un microcosmo che somiglia tanto al macrocosmo che lo comprende”(intervista all’autore).
Antonio Manzini
Forse la stanza di Samantha non ha in realtà molto in comune con quella, nitida e scabra, dell’imbronciata e bellissima Dame in bianco. Con un padre disoccupato e una mamma casalinga, quella di Samantha è inevitabilmente una casa triste e spoglia, goffamente ingentilita dalle incongrue fioriere di cemento volute da mamma Marinella in ossequio a un decoro piccolo borghese che papà Enzo sta ora pagando carissimo: con quelle rate dell’affitto scadute, e quei lavori in muratura pur tanto modesti che il padrone di casa – il ricchissimo Cicci Bellè, che possiede in pratica tutto il paese e con il quale tutto il paese è in varia misura indebitato – non mancherà di rinfacciargli (“Uno non chiede prestiti, non compra legna e soprattutto non fa dei lavori in muratura in casa se non ha una lira. Nespà?”).
Antonio Manzini
L’ingrugnato castelletto di Cicci Bellè, con le sue quattro torrette appollaiate sul tetto, è il palazzo incantato e maligno che domina il borgo; una costruzione antica, affacciata su una piazza proibita ai bambini (“grida o pallonate sul muro disturbavano”): “Tutto quello che il suo sguardo assonnato abbracciava, era roba sua… Da sempre la famiglia Bellè possedeva Colle San Martino. A parte la casetta di Ida e Primo e l’ex stalla di Fulvio Ceracchi, non c’era paesano che non versasse l’affitto ogni mese che mandava Iddio. Delle case come dei campi”. E Oreste Capone è il tuttofare di Bellè, la spia, il condorchesopravvive sui cadaveri dei compaesani e che verrà appunto mandato in missione da Enzo, il padre di Samantha, per chiedere all’uomo soldi che non ha: l’inizio dell’inevitabile tragedia che vedrà però anche il riscatto finale della diciassettenne.
Protagonista di una mutazione genetica che la trasformerà in una versione per così dire contemporanea della temibile donna lupo dipinta sul poster appeso in camera sua, Samantha si renderà infatti artefice di una macroscopica rivincita (su Bellè, sul paese, sul destino stesso): una rivincita che, pur declinandosi attraverso la parziale accettazione di quella stessa logica del più forte che ha consumato e consuma l’esistenza del padre e degli altri compaesani, la consegnerà infine al futuro che s’è scelto. E che nella sua apparente, facile normalità – studiar veterinaria a Perugia – dà con icastica precisione la misura di quanto la normalità stia diventando o sia già diventata per molti un sogno irraggiungibile.
Ma al di là del riscatto di Samantha: un riscatto, ripetiamo, che in parte è una sconfitta, una trasformazione che di fatto è un’assimilazione, una resa – volontaria e lucida, sì, ma pur sempre una resa – alla logica incarnata da Bellè, con i cui metodi l’identificazione è a tratti totale (si veda la scena del bar, con la richiesta dell’ultimo Quattroruote per verificare la quotazione di mercato dell’automobile offerta in garanzia dall’ennesimo debitore in difficoltà); al di là della rivincita della ragazza, dicevamo, in questo libro a prender campo davvero è la disperata, solitaria quotidianità del nostro vivere.
Stretti l’uno all’altro, sepolti sotto un grumo di tetti gravati da un cielo incombente, i trecento abitanti di Colle San Martino (pur sapendo facilmente tutto gli uni degli altri, la prossimità fisica sostituendo l’intimità psicologica, il pettegolezzo vacuo e in fondo prudente subentrando a comprensione e compassione) non si toccano realmente mai. Come i chicchi di mercurio dei vecchi termometri, pur raccolti e imprigionati in uno spazio angusto si sfuggono, rimbalzando via l’uno dall’altro al pari di magneti dello stesso segno; nessuno scambio può dirsi reale, nulla accade tra queste anime smarrite, sradicate senza aver mai fatto un passo fuori dal paese; niente al di là, appunto, della diceria superficiale, della chiacchiera monotamente condivisa (“Aria fritta, spifferi, colpi di vento inutile” pensa Primo, uno dei protagonisti, sdraiandosi tra i teschi accatastati nella cripta sotto l’abside della vecchia chiesa).
Nell’apparente serenità del paesotto sui monti intanto si consuma la disperazione altrui: una disperazione fatta di soldi, naturalmente. La disperazione dei trecento abitanti di Colle San Martino (provincia di Rieti, Lazio, Italia, mondo, universo) è fatta di debiti, disoccupazione, trecento euro sul conto, fra un po’ ci tagliano luce e telefono, carne una volta al mese, maglioni rosa così lisi che avrebbero dovuto riposare da anni tra gli stracci per spolverare, cinghiali cui dar la caccia per poi venderne la carne al macellaio della frazione vicina, vecchie macchine da offrire in garanzia, poveri cristi da minacciare, case da perdere, affitti da onorare, straniere da sfrattare, padri di cui vergognarsi, misere fioriere di cui inorgoglirsi (un po’, appena un po’), gravidanze da cui fuggire (perché si è troppo giovani, certo, e prima ci sarebbero tante altre cose, ma anche perché a un’altra bocca da sfamare non si può nemmeno pensare).
A Colle San Martino, paese d’invenzione – dove a lavorare in un ufficio a stipendio fisso erano in tre, gli altri dovevano campare sulle proprie forze – chi da tempo non lavora e quindi non ha soldi da spendere è di fatto un uomo morto, e meglio sarebbe se la facesse finita con le proprie mani perché il resto del mondo lo strangolerà, inesorabile e tenace come la mala erba del titolo (che però attenzione, a forza di soffocare tutto e tutti resterà da sola e a sua volta morirà, come Marinella urlerà in lacrime a Bellè). A Colle San Martino, paese immaginario che, come l’ambiguo e reazionario padre Graziano tuonerà dall’altare in una delle consuete, vacue omelie, prende il nome dal ricco che divise il mantello col povero, preferendo patire un po’ di freddo piuttosto che girar le spalle alla miseria altrui…
Antonio Manzini
A Colle San Martino sono i soldi a far sparare una fucilata in pieno viso, quasi a cancellare quel viso dalla faccia dalla terra; i soldi, o meglio ovviamente la loro assenza, dovuta all’assenza del lavoro, a spegnere le speranze, cancellare la dignità, polverizzare esistenze e legami.
“Io avevo il mio solco, e ne sono uscito” spiegherà anche il piccolo impiegato Leonard Bast, ridotto alla fame da una scelta improvvida che ne ha causato il licenziamento, alle compassionevoli e generose – ma inevitabilmente miopi e un po’ viziate – sorelle Schlegel, le facoltose protagoniste di CasaHoward, apologo dei primi del secolo scorso firmato da E. M. Forster. Chi non ha soldi deve morire, e Leonard morirà; morire o cambiare, subire cioè quella stessa mutazione che trasformerà la disordinata e vulnerabile Samantha de La mala erba in una spietata e lungimirante donna lupo (“C’era stato un mutamento ineluttabile. L’involucro di Samantha De Santis era sempre quello, ma il suo cuore, il suo cervello, avevano subito un cambiamento rapidissimo e frenetico”).
La mancanza di soldi stigmatizza e contiene il morto di fame, il poveraccio, il fallito: “Sono una morta di fame” urla la De Santis a Stefano, il bello e ricco di turno, che ne è un po’ innamorato ma non abbastanza da vederla davvero (e che fugge a gambe levate non appena uno scampolo della reale quotidianità della ragazza gli si svela per dir così di rimbalzo). E i poveracci finiscono a vivere a Colle San Martino: “Bè, c’è una pace lì, no?”, commenta incoraggiante Alfredo, l’amico cui Enzo s’è rivolto per un lavoro (Enzo fece una smorfia. Alfredo lo guardò negli occhi).
Non è un caso che, alla fine, tra i pochi a poter dormire il tradizionale sonno tranquillo, per giunta tenendosi per mano, ci siano Ida e Primo, i due vecchi coniugi che ascoltano la pioggia cadere sul tetto della loro casa, che era loro e che nessuno avrebbe potuto togliergli, perché se l’erano sudata, anno dopo anno. E non c’era Bellè, preti o Stato che potesse bussare a quella porta e dire: fuori di qui! Questa non è più casa vostra! Loro due, Samantha e i lupi: che sono arrivati in paese ma in quest’ultima notte, fra il rumore della pioggia e del vento, nessuno li sente. “Erano in tre, nascosti fra gli alberi e i rovi, coi loro occhi gialli e i denti a sciabola, bianchi e taglienti vicino alla vecchia chiesa. Avevano fatto la tana proprio lì sotto, fra le macerie di una cripta piena di ossa”.
Paola Rocco
Articolo di Paola Rocco
Paola Rocco è nata e vive a Roma. Dopo gli studi classici si laurea in Lettere Moderne alla Sapienza (con una tesi su Giovan Battista Giraldi Cinthio, un drammaturgo del Cinquecento che prima scriveva le sue novelle e poi le trasformava in testi teatrali, un genere di cose che tuttora la appassiona) e inizia a scrivere articoli, collaborando con diverse testate e con l’agenzia di stampa Adnkronos e specializzandosi in critica teatrale, cinematografica e letteraria.Nel 2017 pubblica il romanzo giallo La carezza del ragno per Il Ciliegio Edizioni, che si svolge a Roma alla fine dell’estate 1956 e vede il commissario Giovanni Leoncavallo, pronipote del compositore, indagare sulla morte di una ragazza precipitata dall’abbaino di un palazzo disabitato a due passi dal Ghetto.Scrive di gialli ma non solo, occupandosi in particolare, per La Bottega del Giallo e Sherlock Magazine, dei romanzi di Agatha Christie e delle loro trasposizioni cinematografiche e teatrali.Che cose emozionanti accadono in campagna! per Echos Edizioni è il suo ultimo libro, un saggio dedicato alla Christie (e a chi altri?)
Giuseppe Aragno- Le quattro giornate di Napoli. Storie di antifascisti
Editore Intra Moenia
Descrizine del libro di Giuseppe Aragno-Le quattro giornate di Napoli-Questo libro racconta una “storia civile”. Al centro della scena uomini e donne che vincono la paura e lottano per la dignità in una notte disperata. Sullo sfondo, la dittatura, la repressione, la guerra e un’occupazione spietata. Il libro ha i toni e l’andamento di un romanzo storico. Non rinuncia al rigore della ricerca, ma dà la parola a chi non l’ha mai avuta e diventa il canto corale della Napoli antifascista. Questa ricostruzione storica delle Quattro Giornate non solo smantella lo stereotipo della città di plebe, ma restituisce alla memoria collettiva i nomi, le storie umane e la vicenda politica degli sconosciuti protagonisti di una delle più belle pagine della millenaria storia di Napoli, quella dell’antifascismo popolare colto nel suo momento più alto, fatto di speranza e sacrificio. Un messaggio di grande attualità nel nostro tempo che sembra tornare ad essere buio.
Giuseppe Aragno-
Giuseppe Aragno si è formato alla scuola di Renzo De Felice, con cui è stato esercitatore all’Università di Salerno alla fine degli anni Settanta; dal 1994 collabora, in qualità di cultore della materia e docente a contratto, con la cattedra di Storia Contemporanea della Facoltà di Scienze politiche dell’Università “Federico II” di Napoli. Un suo saggio sulle politiche culturali nell’Italia dall’Unità ai primi anni della repubblica, intitolato Un giacimento in fondo allo stivale, Laterza, Roma-Bara, 1997, ha vinto il premio Laterza. Ha partecipato, come membro del Comitato di Redazione e autore di 40 voci biografiche, al progetto di rilievo nazionale, finanziato dal MIUR e realizzato dalle Univerisità di Messina, Milano, Teramo e Triete, da cui è nato il Dizionario Biografico degli anarchici Italiani, Biblioteca Serantini, Pisa, 2003-2004. I suoi ultimi saggi si intitolano Antifascismo popolare, Il manifestolibri, Roma, 2009 e Antifascismo e potere, Bastogi, Foggia, 2012. Dall’anno accademico in corso insegna Storia contemporanea presso la “Fondazione Humaniter”. Collabora col Manifesto, Liberazione e l’edizione napoletana di Repubblica”.
Giuseppe Aragno- Le quattro giornate di NapoliGiuseppe Aragno- Le quattro giornate di Napoli
Erik Larson-Il demone dell’inquietudine- Neri Pozza Editore-
Descrizione del libro di Erik Larson– Traduzione di Laura Prandino-Tra il 6 novembre 1860 e il 12 aprile 1861, gli Stati Uniti vivono un periodo di tensioni che sfocerà alla Guerra civile. La vittoria di Abraham Lincoln segna l’inizio della secessione degli stati del Sud, alimentata dalla questione della schiavitù. Attraverso diari e lettere, l’autore esplora errori fatali e drammi personali, raccontando le voci di protagonisti che vedranno la nascita della guerra più sanguinosa della storia americana.Quando una nazione è sull’orlo di un abisso, può accadere che l’arroganza, la malafede o la brama di potere di un pugno di persone la spingano nel vuoto. Tra il 6 novembre 1860 – giorno in cui il repubblicano Abraham Lincoln diventa il 16° presidente degli Stati Uniti – e il 12 aprile 1861 – giorno in cui a Fort Sumter, South Carolina, si spara il primo colpo della Guerra civile – accade proprio questo. La vittoria di Lincoln suggella un periodo di tensioni disgreganti: gli stati del Sud vogliono distruggere l’Unione e il neoeletto deve fermare l’emorragia secessionista. L’abolizione della schiavitù è il combustibile che fa divampare le fiamme dello scontro tra la borghesia dell’èra industriale e l’aristocrazia terriera arroccata in un anacronistico privilegio. Ma questa è storia nota. L’incredibile cronaca di quei cinque mesi, cruciali e convulsi, lo è invece molto meno. Com’è potuto avvenire che il South Carolina, «staterello arrogante» tetragono a qualsivoglia forma di progresso, abbia scatenato il conflitto più sanguinoso di tutte le guerre americane messe insieme? Quando il «demone dell’inquietudine» ha avuto la meglio su ogni altra ragione? Attingendo a diari, documenti, lettere, Larson ci immerge in una storia di errori fatali, fraintendimenti assurdi, egotismi incendiari, tragedie personali e orribili tradimenti. Sentiremo, sopra le altre, le voci di Robert Anderson, comandante di Fort Sumter, ex proprietario di schiavi eppure fedele all’Unione; di Edmund Ruffin, deputato vanesio e sanguinario che tiene a bada la depressione con l’ardore secessionista; di Mary Boykin Chesnut, moglie di un piantatore, in conflitto sia sul matrimonio che sulla schiavitù. E poi c’è lui, il presidente altissimo e triste, che non potrà evitare la guerra da cui uscirà vincitore ma umanamente sconfitto.
Erik Larson-Il demone dell’inquietudine-
Vi invito ora a entrare in quel passato, in quel tempo di paura e discordia, e a sperimentare la passione, l’eroismo, il dolore come se viveste davvero in quell’epoca e non conosceste ancora il finale della storia.
«Il talento narrativo e la profondità storica rendono la vicenda della Guerra civile un thriller irresistibile: questo è Erik Larson al suo meglio». The Wall Street Journal
«Anche gli ossessionati dall’argomento hanno di che imparare da questa ricostruzione di una nazione in tumulto». Los Angeles Times
«Sconcertante il resoconto di un’èra in cui le tensioni politiche e sociali sono sfociate in una polarizzazione letale. Ipnotico, irresistibilmente cinematografico». Publishers Weekly
Erik Larson-
Erik Larson è nato a Freeport, Long Island, nel 1954. Collaboratore di Time, New Yorker, Atlantic Monthly, Harper’s e altre prestigiose riviste americane, ha scritto numerose opere, tra le quali si segnalanoIl giardino delle bestie, Gugliemo Marconi e l’omicidio di Cora Crippen e Scia di morte. L’ultimo viaggio di Lusitania, tutte pubblicate da Neri Pozza. Il diavolo e la città bianca ha vinto l’Edgar Award in the Best Fact Crime 2004. Erik Larson vive a Seattle con la moglie e tre figlie. moglie e tre figlie.
Leonardo San Pietro-Festa con casuario -Sellerio Editore –
Descrizione del libro di Leonardo San Pietro-Sellerio Editore-Un romanzo d’esordio. Dialoghi serrati, personaggi vividi e spiazzanti, una tensione narrativa altissima. Una voce che pensa, racconta, piena di sorpresa e stupore. Torino, inizio d’estate. Isa, ventenne studentessa universitaria di Lettere, organizza una festa nella villa con giardino dei genitori. Arrivano i compagni di corso, i vecchi amici, gli amici di amici, i conoscenti, gli imbucati. Alcol e cibo in abbondanza, la musica giusta, all’occorrenza qualche droga per rilassare la testa e il corpo. L’unico a non essere ancora arrivato è Ezio, l’invitato che Isa aspetta con più ansia.
Leonardo San Pietro-Festa con casuario -Sellerio Editore
Un piccolo episodio accende gli eventi. Da un regalo anonimo salta fuori un biglietto minaccioso: se entro l’una di notte nessun invitato avrà il coraggio di toccare il casuario dei vicini, Ezio morirà. È uno scherzo, si dicono gli amici. E poi, cos’è un casuario? E perché ce n’è uno proprio nel giardino accanto?
Il casuario è una sorta di struzzo, ma parecchio più pericoloso: con il suo artiglio lungo e affilato come un coltello, è in grado di uccidere una persona e non ama essere disturbato. Isa e i suoi amici, mentre la festa si dilata e si amplifica nelle parole e nei gesti, reagiscono ciascuno in modo diverso. Tutto sembra convergere verso uno spazio, un orario, un istante preciso e fatale, accanto a una rete di metallo, a decidere per sé e per gli altri. A domandarsi chi sarà così pazzo da varcare il recinto per toccare il casuario.
Leonardo San Pietro tratteggia sbandamenti e reticenze, ansie e inquietudini, creando una tensione e una suspense inaspettata. La misteriosa prova del casuario innesca un gioco di camuffamenti e disvelamenti in un momento speciale della vita, gli anni dell’università, in cui si supera il confine che porta alla «realtà». Nel suo romanzo c’è la felicità della festa, dell’abbandono e del divertimento, una gioia luminosa che serra lo stomaco e lucida lo sguardo. Poi incontenibile irrompe lo sgomento del futuro, il buio di un precipizio, e si svela il volto nascosto della sfrenata voglia di vivere e di sfidare tutto e tutti, reclamando a gran voce un posto nel mondo.
Cenni Biografici di Leonardo San Pietro è nato a Torino nel 1997. Si è laureato in Culture e Letterature del Mondo Moderno e frequenta la magistrale di Scienze Linguistiche a Bologna, città in cui vive. Ha pubblicato i suoi primi racconti su «Domani» e su «’tina», la rivista di Matteo B. Bianchi dedicata agli esordi. Festa con casuario è il suo primo romanzo.
Traduzione di Gianni Pannofino-ADELPHI EDIZIONI SPA
SINOSSI
Raymond Chandler –L’aria di Pasadena è «immobile, rovente e profumata» quando Marlowe, sigaretta spenta fra le labbra e cappello calcato sulla fronte, fa il suo ingresso nella sontuosa residenza di Mrs. Elizabeth Murdock. L’incarico che la donna gli prospetta dalla sua chaise-longue di vimini, mentre si scola un bicchiere di porto dopo l’altro, non si direbbe dei più difficili, né dei più pericolosi: ritrovare un’antica e rarissima moneta d’oro – il prezioso doblone Brasher – sottratta alla collezione del defunto marito, probabilmente dalla nuora scomparsa. Ma non appena Marlowe fiuta una pista promettente e sente a portata di mano la soluzione del caso, una serie di omicidi indecifrabili fa calare sull’indagine una fitta coltre di mistero. Per vederci chiaro dovrà spingersi a Bunker Hill – «città vecchia, perduta, fatiscente e piena di balordi» – e frugare palazzi popolati da inquilini sfuggenti, portieri che «sono sempre un po’ cani da guardia e un po’ ruffiani», «uomini anziani dai volti che sembrano battaglie perse». Niente, comunque, che un detective del suo calibro, armato come sempre di laconico cinismo e un’aria imperturbabile da eroe romantico, non possa affrontare, e come sempre nella sua inimitabile maniera, attraversando la nera notte di Los Angeles fra ricatti, night club, pinte di whisky e segreti celati dal tempo.
Negli anni venti conobbe colei che diventò l’amore della sua vita, Cissy Pascal, moglie di un pianista, di 18 anni più grande di lui; per lui divorziò dal marito, ma solo nel 1924, alla morte della madre di Chandler, contraria a quest’unione, Raymond e Cissy si sposeranno. Iniziò un periodo di relativa tranquillità per i due, fino al 1931 circa, Chandler fece carriera in una serie di aziende petrolifere e non scriveva più, nemmeno come giornalista. In una lettera di anni dopo confessò di aver odiato quel lavoro per cui, nonostante il successo, ai primi degli anni trenta entrò in crisi profonda: il matrimonio non funzionava, iniziò ad avere rapporti extra-coniugali con le sue segretarie, ma soprattutto iniziò a bere, avendo problemi al lavoro (come il suo personaggio alter-ego, Philip Marlowe).
Nel 1932 il licenziamento portò Chandler a una crisi esistenziale ed economica, ma fu grazie a questa crisi che trovò una sorta di “disperazione rabbiosa e speranzosa” che gli fece dire: “io sono vivo, attraverso la pagina, attraverso il racconto”. Iniziò quindi a scrivere pulp fiction per guadagnarsi da vivere e pubblicò il suo primo racconto “I ricattatori non sparano” nel 1933, all’età di quarantacinque anni, sulla rivista Black Mask, una rivista che pubblicava racconti di vita vissuta, di indagini della strada, pieni di azione, con inseguimenti e casi risolti con “pugni e pistole”. Chandler era un fervente ammiratore di Dashiell Hammett che, a suo dire, aveva restituito il delitto alla gente, perché “se la gente ammazza qualcuno lo fa per un motivo”. Pur non guadagnando molto, Chandler era soddisfatto, e il rapporto con la moglie tornò sereno.
Nel 1939 pubblicò il suo primo romanzo, Il grande sonno, dove compare per la prima volta il detective Philip Marlowe, che si muove nella Los Angeles bella e corrotta del decennio degli anni trenta. Il libro ebbe un discreto successo, ma solo nel 1942, quando fu scoperto da Hollywood, il successo gli arrise davvero, sia come romanziere che come sceneggiatore, per cui firmò un contratto con la Paramount nel 1943. Scrisse una trentina di racconti nonché otto romanzi e un racconto incompiuto, tutti e nove con il detective Marlowe come protagonista, dal 1939 al 1953, alcuni dei quali sono capolavori, non solo del genere Noir. Come sceneggiatore per Hollywood, Chandler traspose per il cinema molti dei suoi romanzi, con Robert Mitchum ed Humphrey Bogart considerati i migliori interpreti del suo rude detective dal cuore d’oro. Il suo lavoro ad Hollywood incluse anche sceneggiature per altri noir e polizieschi, le più importanti sono quelle de La fiamma del peccato (di Billy Wilder, 1944), Il fantasma (di Lewis Allen, 1945), La dalia azzurra (di George Marshall, 1946) e L’altro uomo (di Alfred Hitchcock, 1951).
Precipitò nuovamente nel tunnel dell’alcolismo e tentò una sorta di suicidio nel 1955, un anno dopo la morte dell’adorata moglie Cissy. Prima di aver ultimato l’ottavo romanzo della saga di Marlowe, morì di polmonite a La Jolla nel 1959. Nel 1988, per il centenario della nascita dello scrittore, venne dato il compito di terminare l’ultima opera di Chandler al giallista Robert B. Parker.
Contatti
ADELPHI EDIZIONI SPA
Via S. Giovanni sul Muro, 14 – 20121 – Milano
Tel. 02.725731 (r.a.) Fax 02.89010337 info@adelphi.it
All’inizio si parlava di libri unici. Adelphi non aveva ancora trovato il suo nome. C’erano solo pochi dati sicuri: l’edizione critica di Nietzsche, che bastava da sola a orientare tutto il resto. E poi una collana di Classici, impostata su criteri non poco ambiziosi: fare bene quello che in precedenza era stato fatto meno bene e fare per la prima volta quello che prima era stato ignorato. Sarebbero stati stampati da Mardersteig, come anche il Nietzsche. Allora ci sembrava normale, quasi doveroso. Oggi sarebbe inconcepibile (costi decuplicati, ecc.). Ci piaceva che quei libri fossero affidati all’ultimo dei grandi stampatori classici. Ma ancora di più ci piaceva che quel maestro della tipografia avesse lavorato a lungo con Kurt Wolff, l’editore di Kafka.
Per Bazlen, che aveva una velocità mentale come non ho più incontrato, l’edizione critica di Nietzsche era quasi una giusta ovvietà. Da che cosa si sarebbe potuto cominciare altrimenti? In Italia dominava ancora una cultura dove l’epiteto irrazionale implicava la più severa condanna. E capostipite di ogni irrazionale non poteva che essere Nietzsche. Per il resto, sotto l’etichetta di quell’incongrua parola, disutile al pensiero, si trovava di tutto. E si trovava anche una vasta parte dell’essenziale. Che spesso non aveva ancora accesso all’editoria italiana, anche e soprattutto per via di quel marchio infamante.
In letteratura l’irrazionale amava congiungersi con il decadente, altro termine di deprecazione senza appello. Non solo certi autori, ma certi generi erano condannati in linea di principio. A distanza di qualche decennio può far sorridere e suscitare incredulità, ma chi ha buona memoria ricorda che il fantastico in sé era considerato sospetto e torbido. Già da questo si capirà che l’idea di avere al numero 1 della Biblioteca Adelphi un romanzo come L’altra parte di Kubin, esempio di fantastico allo stato chimicamente puro, poteva anche suonare provocatorio. Tanto più se aggravato dalla vicinanza, al numero 3 della collana, di un altro romanzo fantastico: il Manoscritto trovato a Saragozza di Jan Potocki (e non importava se in questo caso si trattava di un libro che, guardando alle date, avrebbe potuto essere considerato un classico).
Quando Bazlen mi parlò per la prima volta di quella nuova casa editrice che sarebbe stata Adelphi – posso dire il giorno e il luogo, perché era il mio ventunesimo compleanno, maggio 1962, nella villa di Ernst Bernhard a Bracciano, dove Bazlen e Ljuba Blumenthal erano ospiti per qualche giorno –, evidentemente accennò subito all’edizione critica di Nietzsche e alla futura collana dei Classici. E si rallegrava di entrambe. Ma ciò che più gli premeva erano gli altri libri che la nuova casa editrice avrebbe pubblicato: quelli che talvolta Bazlen aveva scoperto da anni e anni e non era mai riuscito a far passare presso i vari editori italiani con i quali aveva collaborato, da Bompiani fino a Einaudi. Di che cosa si trattava? A rigore, poteva trattarsi di qualsiasi cosa.
Questo sito usa i cookie per migliorare la tua esperienza. Chiudendo questo banner o comunque proseguendo la navigazione nel sito acconsenti all'uso dei cookie. Accetto/AcceptCookie Policy
This website uses cookies to improve your experience. We'll assume you're ok with this, but you can opt-out if you wish.Accetto/AcceptCookie Policy
Privacy & Cookies Policy
Privacy Overview
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the ...
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.