ArchaeoReporter-La morte di Papa Francesco Il suo pensiero sui beni artistici e culturali da salvare-Articolo di Angelo Cimarosti-
Articolo di Angelo Cimarosti-ArchaeoReporter–Con la morte di papa Francesco scompare una figura centrale non solo per la Chiesa ma anche per il mondo della cultura. .”il patrimonio storico, artistico e culturale, insieme al patrimonio naturale, è ugualmente minacciato…”, ricordava il pontefice”
La scomparsa del Santo Padre Francesco è un momento di preghiera per i fedeli e di raccoglimento per chi ha apprezzato il suo impegno e la sua voce anche al di fuori della Chiesa. ArchaeoReporter si unisce al ricordo per la sua figura di Pontefice e per la sua persona.
Il vero ruolo partecipativo dell’arte, dei beni culturali e dei musei
Nel 2019 il Papa scrisse un discorso, che poi diffuse invece per iscritto, in occasione dell’incontro con l’Associazione dei Musei Ecclesiastici Italiani, che riportiamo quasi integralmente, in particolare sottolineandone l’aspetto dei beni culturali visti come mezzo partecipativo e sulla necessità di comunicarli con un linguaggio adeguato.
“...Nell’Enciclica Laudato si’ ho ricordato che il patrimonio storico, artistico e culturale, insieme al patrimonio naturale, è ugualmente minacciato. Esso è parte dell’identità comune di un luogo e base per costruire una città abitabile. Bisogna integrare la storia, la cultura, l’architettura di un determinato luogo, salvaguardandone l’identità originale, facendo dialogare il linguaggio tecnico con il linguaggio popolare. È la cultura intesa non solo come i monumenti del passato, ma specialmente nel suo senso vivo, dinamico e partecipativo (cfr n. 143). Per questo è fondamentale che il museo intrattenga buone relazioni con il territorio in cui è inserito, collaborando con le altre istituzioni analoghe. Si tratta di aiutare le persone a vivere insieme, a vivere bene insieme, a collaborare insieme. I musei ecclesiastici, per loro natura, sono chiamati a favorire l’incontro e il dialogo nella comunità territoriale. In questa prospettiva è normale collaborare con musei di altre comunità religiose. Le opere d’arte e la memoria di diverse tradizioni e stili di vita parlano di quella umanità che ci rende fratelli e sorelle.
Il museo concorre alla buona qualità della vita della gente, creando spazi aperti di relazione tra le persone, luoghi di vicinanza e occasioni per creare comunità. Nei grandi centri si propone come offerta culturale e di rappresentazione della storia di quel luogo. Nelle piccole città sostiene la consapevolezza di una identità che “fa sentire a casa”. Sempre e per tutti aiuta ad alzare lo sguardo sul bello. Gli spazi urbani e la vita delle persone hanno bisogno di musei che permettano di gustare questa bellezza come espressione della vita delle persone, la loro armonia con l’ambiente, l’incontro e l’aiuto reciproco (cfr Laudato si’, 150).
So bene che per voi questo lavoro è una passione: passione per la cultura, la storia, l’arte, da conoscere e da salvaguardare; passione per la gente delle vostre terre, al cui servizio ponete la vostra professionalità. E anche passione per la Chiesa e la sua missione. I musei in cui operate rappresentano il volto della Chiesa, la sua fecondità artistica e artigianale, la sua vocazione a comunicare un messaggio che è Buona Notizia. Un messaggio non per pochi eletti, ma per tutti. Tutti hanno diritto alla cultura bella! Specie i più poveri e gli ultimi, che ne debbono godere come dono di Dio. I vostri musei sono luoghi ecclesiali e voi partecipate alla pastorale delle vostre comunità presentando la bellezza dei processi creativi umani intesi ad esprimere la Gloria di Dio. Per questo cooperate con i vari uffici diocesani, e anche con le parrocchie e con le scuole.
Mi congratulo con voi perché curate la vostra formazione, per garantire una preparazione generale aggiornata anche presso i centri di studio ecclesiastici, oltre alla preparazione specifica nei diversi settori di competenza. Penso ad esempio al corso svolto quest’anno nella Pontificia Università Gregoriana. Ma anche al lavoro capillare di informazione e di comunicazione dei musei attraverso i media, le giornate di formazione e i contributi a riviste specializzate. Incoraggio anche le iniziative che portate avanti insieme con gli archivi e le biblioteche, mettendo in sinergia le vostre professionalità e la vostra passione. Insieme a volte si va più adagio, ma sicuramente si va più lontano!
Molti di voi si dedicano al dialogo con gli artisti contemporanei, promuovendo incontri, realizzando mostre, formando le persone a linguaggi di oggi. È un lavoro di sapienza e di apertura, non sempre apprezzato; è un lavoro “di frontiera”, indispensabile per continuare il dialogo che la Chiesa sempre ha avuto con gli artisti. L’arte contemporanea recepisce i linguaggi a cui specialmente i giovani sono abituati. Non può mancare questa espressione e sensibilità nei nostri musei, attraverso la sapiente ricerca delle motivazioni, dei contenuti e delle relazioni. Nuove persone si possono avvicinare anche all’arte contemporanea sacra, che può essere luogo importante di confronto e di dialogo con la cultura di oggi…”.
Rivista Collettivo R-Poesie pubblicate nel n° 29/30 Gennaio del 1983 –
Biblioteca DEA SABINA-Rivista Collettivo R-Poesie pubblicate n° 29/30 Gennaio del 1983 –
Rivista Collettivo R-La casa editrice venne fondata nel dicembre 1970 su inizativa di Luca Rosi, Ubaldo Bardi e Franco Manescalchi all’interno del movimento dell’underground culturale ed editoriale fiorentino in stretto collegamento con l’associazionismo politico culturale e ricreativo (Arci, Circoli culturali, Case del popolo, partiti della sinistra storica, sindacati e movimento studentesco). Lo scopo era di collegare la contestazione politica con orizzonti culturali più ampi attraverso la proposta della riflessione di scrittori e poeti, in particolare italiani e latinoamericani, poco noti al grande pubblico. L’iniziativa si concretizzò nella pubblicazione della rivista «Collettivo R», un nome derivato dalle unioni spontanee di quegli anni e una lettera simbolica R ad indicare un triplice richiamo: Resistenza, Ricerca, Rivoluzione.
La rivista mosse i suoi primi passi come “rivista al ciclostile” e visse nei luoghi di cui si volle fare icona e portavoce. Si interessò e propose accanto alla poesia anche lavori grafici, critiche letterarie, racconti. A fianco della rivista uscirono le serie dei “Quaderni” con raccolte poetiche contemporanee. Nel 1980 fu pubblicata L’utopia consumata: Antologia 1970-1980 che riassume le iniziative e le proposte del primo decennio di esperienza di “poesia militante”. Nel 1981 con la Casa della Cultura e il Consiglio di Quartiere 7 diede vita al Centro Due Arti di documentazione poetica e grafica e affiancò all’attività editoriale la produzione di spettacoli culturali, recital poetici e incontri di divulgazione nelle scuole. Tradusse, pubblicò e introdusse in Italia numerosi poeti latinoamericani in collaborazione con le cattedre di ispanistica delle università di Firenze, Siena e Venezia, tra questi ricordiamo Ernesto Cardenal padre trappista e ministro della cultura del Nicaragua rivoluzionario. Il primo maggio del 1994 Luca Rosi, Franco Varano e Paolo Tassi diedero vita all’attuale configurazione societaria l’Associazione culturale Athaualpa finalizzata al perseguimento di soli obiettivi culturali con il sostegno e l’impegno pratico di numerosi soci che dedicano gratuitamente la loro attività professionale alla realizzazione delle edizioni.
La Rivista Collettivo R mosse i suoi primi passi come “rivista al ciclostile” e visse nei luoghi di cui si volle fare icona e portavoce. Si interessò e propose accanto alla poesia anche lavori grafici, critiche letterarie, racconti. A fianco della rivista uscirono le serie dei “Quaderni” con raccolte poetiche contemporanee. Nel 1980 fu pubblicata L’utopia consumata: Antologia 1970-1980 che riassume le iniziative e le proposte del primo decennio di esperienza di “poesia militante”. Nel 1981 con la Casa della Cultura e il Consiglio di Quartiere 7 diede vita al Centro Due Arti di documentazione poetica e grafica e affiancò all’attività editoriale la produzione di spettacoli culturali, recital poetici e incontri di divulgazione nelle scuole. Tradusse, pubblicò e introdusse in Italia numerosi poeti latinoamericani in collaborazione con le cattedre di ispanistica delle università di Firenze, Siena e Venezia, tra questi ricordiamo Ernesto Cardenal padre trappista e ministro della cultura del Nicaragua rivoluzionario. Il primo maggio del 1994 Luca Rosi, Franco Varano e Paolo Tassi diedero vita all’attuale configurazione societaria l’Associazione culturale Athaualpa finalizzata al perseguimento di soli obiettivi culturali con il sostegno e l’impegno pratico di numerosi soci che dedicano gratuitamente la loro attività professionale alla realizzazione delle edizioni.
Rivista Collettivo R-Poesie pubblicate n° 29/30 Gennaio
IN RICORDO DI LUCA ROSI direttore della rivista di poesia “COLLETTIVO R- ATAHUALPA”
Sabato 21 settembre u.s. è morto Luca Rosi. Quanti l’abbiamo conosciuto abbiamo perso non solo il poeta, ma l’amico leale e sensibile, sempre vicino nei problemi di vita quotidiana; tutti noi dopo la sua morte siamo orfani di qualcosa,sentiamo la sua assenza come un vuoto e siamo affranti, questo vuoto era la sua dolcezza nei rapporti con tutti e il suo impegno tenace, di una persona forte e resistente moralmente, con la sua orientazione a portare a termine impegni di traduzione dei testi della rivista, di redazione dei “quaderni” di poesia o della preparazione dei diversi numeri della rivista. In questo impegno in cui si riconosceva pienamente e attraverso esso comunicava con tutti noi ed era felice quando inviava la rivista e spesso aggiungeva in un foglio allegato un caro saluto. Luca, con me, che abito a Roma, spesso era presente con una telefonata o con una lettera. Qualche volta veniva a Roma per i suoi impegni nel sindacato dell’editoria,ed era un’occasione di incontro e di riflessione, ugualmente avveniva nei miei ritorni a Firenze, anche dopo la conclusione del periodo universitario.
Luca era nato settanta quattro anni fa. L’ho incontrato la prima volta a Firenze, nella sua abitazione, per una riunione della redazione della rivista “Collettivo R”, fondata da Franco Manescalchi insieme allo stesso Luca. Quella sera, ricordo ci fossero Silvano Guarducci, Ubaldo Bardi e Paolo Tassi. Ero stato invitato, dopo aver scritto una lettera alla redazione in seguito alla presa visione di uno dei primi numeri che era arrivato alla redazione dei “Quaderni Calabresi” di Vibo Valentia. Siamo nei primi anni ’70, molto ricchi di fermenti culturali, e io ero alla ricerca di un percorso personale, che coniugasse politica e poesia. Allora mi sembrò – e fu poi così – di averlo trovato nella rivista fiorentina e nel gruppo di persone che l’animava.
Quando i rapporti redazionali divennero più frequenti con Luca, si andava formando anche una sincera amicizia, che col tempo si è consolidata, diventando molto preziosa. Io lo apprezzavo molto e gli volevo bene, e lui non mancava di farmi sentire il suo affetto e la sua stima, giudicando positivamente non solo i miei primi testi poetici per la rivista, ma spesso mi incoraggiava tantissimo a continuare a scrivere durante i miei periodi di dubbi e di insicurezza nel trovare un mio percorso. Io intanto scorgevo in lui (anche in Franco e Silvano e Paolo) l’unione tra intelligenza e sforzo morale: cioè l’attenzione che riversava verso la storia coniugata con la poesia. Lui , figlio di emigranti italiani in Venezuela, ritornato in Italia per studiare all’Università, aveva cominciato con l’interesse per i problemi degli studenti stranieri in Italia, con la redazione di un giornale degli studenti immigrati. Nel frattempo aveva avviato con la scrittura di testi poetici una comprensione del mondo e della sua storia. Penso alle prime due raccolte: “TERRA CALCINATA” E “AMORE SENZA TEMPO”. Per la prima volta ho cominciato a sentire da lui ( e da Franco) l’espressione caratterizzante: la poesia comepoesia della tensione. Essa era il risultato di riflessioni sul giusto rapporto morale con il mondo di quella storia che allora era divisa tra oppressione e movimenti di rivolta e rivoluzione. In quella concezione della poesia mi sembrava abitasse qualcosa di spirituale unito al politico. Luca era così, racchiudeva l’uno e l’altro. Lo spirituale mi sembrava basato su ciò che chiamiamo scelta, responsabilità, disponibilità all’apertura al mondo della storia. Così era fatto il suo mondo di poeta e di intellettuale, di poeta-intellettuale. Lui proponeva una poesia fatta con la passione della politica e con una tensione spirituale verso le singole persone oltre che per i fatti storico-collettivi. In Luca era molto presente anche l’orizzonte esistenziale, credo per dare un senso maggiore alla storia e alla vita stessa. Luca, già nei primi numeri della rivista “Collettivo R” individuava il ruolo del poeta come politico, con una sensibilità e una “tensione” verso le classi sfruttate e oppresse. Lui pensava possibile una <<lunga marcia>> in cui i poeti avrebbero lasciato da parte le ambizioni piccolo-borghesi, ogni prestigio personale per identificarsi con i problemi storici dell’oppressione. Luca è stato un innovatore : attraverso i testi classici del marxismo, denunciava nei primi scritti l’alienazione del lavoro intellettuale nell’industria, tra cui quello del poeta, che avrebbe perso l’aureola, eproponeva l’uscita dall’editoria tradizionale, con l’esoeditoria e il ciclostile e la diffusione a braccio della poesia tra gli strati popolari (case del popolo, scuole, ecc), collegandosi con le forze sociali che agivano a livello di massa. Così individuava il ruolo del poeta come ruolo politico in senso lato, con una tensione verso le classi oppresse. La Sua presenza alle feste dell’Unità, in alcune scuole, presso le Case del Popolo, e altri luoghi pubblici era determinante e necessaria: lui non riservava le sue energie che a questa attività di pedagogo, di amante della poesia, per far altresì innamorare gli altri. Una sua grande gioia era quella di poter invitare in questi incontri il poeta Cardenal o Rafael Alberti, o di tradurre dallo spagnolo moltissimi poeti latino-americani, per poterli far conoscere ai lettori italiani, cominciando dall’ antologia collettivamente tradotta: “Poeti a Cuba”. Il suo amore intenso per la poesia lo portava spesso a organizzare cene di sottoscrizione per continuare la pubblicazione della rivista, o a passare giorni interi a correggere le bozze di più di 50 libri di poesia di altrettanti autori, o a interessarsi alla redazione dell’antologia “L’Utopia Consumata” (o Anti-Antologia),o a curare periodicamente e con assiduità la corrispondenza con i poeti della rivista , o a tener testa ai diversi progetti culturali, relativi alla fondazione del Centro Eielson per la conoscenza della poesia latino-americana, o alla fondazione dell’Associazione culturale “ATAHUALPA, o alla edizione della nuova serie della rivista a cominciare dal 2006, o a preparare presso la biblioteca Marucelliana di Firenze la mostra di tutti i materiali di “COLLETTIVO R” e i diversi incontri di presentazione di libri per il quarantesimo anniversario della rivista.In questo suo impegno tenace era sempre sostenuto da una famiglia molto generose e a lui vicina: dalla moglie Felis, dalle figlie e dai nipoti, a cui ha saputo trasmettere con molto affetto il valore della poesia. Ecco, quando prendiamo in mano o pensiamo un numero della rivista o uno dei libri editati da Colletttivo R, pensiamo a Luca, al suo grande amore perché la poesia giungesse a tantissimi, perciò pensiamo a Lui come poeta, intellettuale e pedagogo. Oraquesto suo mondo apparentemente trascorso vivrà nel futuro, nella misura in cui noi lo ricordiamo riproponendolo. (Luca un grazie infinito da parte mia e a nome anche di coloro che ti hanno conosciuto attraverso la Rivista).
Maram al-Masri -(Lattakia Siria 2 agosto 1962)-Le donne come me, non sanno parlare; la parola le rimane di attraverso in gola come una lisca che preferiscono inghiottire. Le donne come me sanno soltanto piangere a lacrime restie che improvvisamente rompono e sgorgano come una vena tagliata. Le donne come me sopportano gli schiaffi senza osare renderli. Tremano di rabbia e la reprimono. Come leoni in gabbia le donne come me sognano la libertà …
( Versi tratti da Anime scalze, Maram Al- Masri, Multimedia Edizioni / Casa della poesia.)
Maram al-Masri
-M’infiamma il desiderio.
M’infiamma il desiderio.
E brillano i miei occhi.
Sistemo la morale nel primo cassetto che trovo,
mi muto in demonio,
e bendo gli occhi dei miei angeli
per un bacio.
-Dormi profondamente-
Dormi profondamente
e non ti preoccupare
per la mia insonnia,
lasciami sognare un po’
di strade alberate
e di vaste dune,
dove possa galoppare
sui miei cavalli bramosi,
io,
la donna che dovrà essere
buona
e ragionevole
domattina.
Ho osservato il mio specchio
Ho osservato il mio specchio
e vi ho visto
una donna
pienamente soddisfatta
con gli occhi brillanti
d’una squisita malizia.
L’ho invidiata
Abbiamo volti
che portiamo sulle spalle
sulle carte d’identità
nelle foto ricordo
Maram al-Masri
Abbiamo volti
Abbiamo volti
che strappiamo conserviamo
nascondiamo riveliamo
ai quali ci abituiamo che rinneghiamo
che amiamo
e odiamo
Abbiamo volti
che conosciamo…
diciamo: li conosciamo?
-Che follia-
Che follia!
Il mio cuore ogni volta che sente bussare
apre la porta.
-Uno straniero mi guarda-
Uno straniero mi guarda,
uno straniero mi parla,
sorrido ad uno straniero,
parlo ad uno straniero,
m’ascolta uno straniero,
davanti
alle sue pene
pulite e bianche
piango,
sulla solitudine che unisce
gli stranieri.
-La donna che guarda dalla finestra-
La donna che guarda dalla finestra
vorrebbe avere delle lunghe braccia
per prendere il mondo
il suo Nord e il suo Sud
il suo Est e il suo Ovest
nel suo grembo
come una tenera madre
vorrebbe avere grandi mani
per carezzare i suoi capelli
scrivere delle poesie
per alleviare la sua pena.
-Desideravo-
Desideravo
che le tue labbra sfiorassero
il mio collo,
per chiudere gli occhi
e assaporare
la magia di quel
momento
proibito.
-Io e la mia felicità-
Io e la mia felicità
aspettiamo
le vibrazioni dei tuoi passi.
-Sei molto diverso dagli altri-
Sei molto diverso dagli altri.
Il tuo segno distintivo:
il mio bacio
sulla
tua bocca.
-Sono la ladra dei dolci-
Sono la ladra dei dolci
esposti nel tuo negozio
le mie dita sono appiccicaticce
e non sono riuscita
a metterne uno solo
in bocca.
-Questa sera-
Questa sera
un uomo uscirà
in cerca
di una preda
per soddisfare il segreto dei suoi desideri.
Questa sera
una donna uscirà
in cerca
di un uomo che la renderà
la padrona del suo giaciglio.
Questa sera
la preda e il predatore si incontreranno
e si compenetreranno
e forse…
forse
si scambieranno i ruoli.
-Sul letto-
Sul letto
una macchia rossa
inumidita dalle lacrime del vergine desiderio.
Ama per la prima volta
e si immerge nell´acqua eterna della vita
quel sudore
caldo
e i suoi strani effluvi
che emanano da due corpi
che festeggiano la morte del desiderio.
-Specchio-
Mi sono guardata allo specchio
e ho visto
una donna
pienamente soddisfatta,
dallo sguardo radioso
e squisita malizia.
-Tristezza-
Sola
non le permetto
di farmi visita.
Volteggia intorno a me
la caccio via.
Eccola
simile a una mosca nera
simile a una orribile mosca nera
vola qui, ronza di là
per atterrare sul profondo del mio cuore.
Tristezza
una mucca impazzita
rumina
l´erba e il fieno
della mia estasi.
-Verso di lui-
Si è diretta verso di lui
per offrirgli
i suoi pori
e le sue unghie
decorate da ciliegie
che ha divorato
avidamente.
Se ne è andata
con il cestino del suo cuore
svuotato.
-Filo di luce-
Lo guardai
attraverso un filo di luce
che filtrava
dalla finestra della mia misericordia.
Il corpo affaticato
disteso accanto a me
affamato come me.
Gli ho fatto cenno
di avvicinarsi
ma ha rifiutato.
Glielo ho ordinato
ma ha disobbedito.
L’ho obbligato
si è avvicinato tremante dalla paura
di toccare
un altro corpo.
-L’Amore-
Lo voglio,
caldo
e profondo
che mi dia vertigine;
altrimenti, non ti avvicinare.
Che parta
dal mignolo della mia mano,
per finire alla punta dei miei piedi,
passando
per i miei monti,
le mie valli e le mie gole
e catturi
la mia anima.
– Aspetto,e cosa aspetto ?-
Aspetto,
e cosa aspetto ?
Un uomo carico di fiori
e di parole dolci.
Un uomo
che mi guardi e mi veda.
Che mi parli e m’ascolti.
un uomo che pianga
per me.
Provo pietà per lui
e l’amo.
-Impediscimi-
Impediscimi, mio saggio marito,
Impediscimi, mio saggio marito,
di issarmi sui tacchi della mia femminilità,
perché all’angolo
mi aspetta un giovane
-Lei mi apre-
Lei mi apre
le sue ampie porte.
Mi chiama
e mi spinge a lanciarmi
nel suo spazio
e come un uccello
davanti alla porta aperta della gabbia
non oso.
-Delitto-
Che
meraviglioso delitto
ho commesso?
Ho goduto
di un corpo
che mi ha donato
un fiume inebriante
e una ribellione di vita.
-Anime scalze-
Le ho viste.
Loro,
i loro volti dai lividi celati.
Loro,
gli ematomi nascosti tra le cosce,
Loro,
i loro sogni rapiti, le loro parole azzittite
Loro,
i loro sorrisi affaticati.
Le ho viste
tutte
passare nella strada
anime scalze,
che si guardano dietro,
temendo di essere seguite
dai piedi della tempesta,
ladre di luna
attraversano,
camuffate da donne normali.
Nessuno le può riconoscere
tranne quelle
che sono come loro.
-Vieni, vieni-
Vieni, vieni
ho preparato la tavola del mio ventre
il giardino delle mie cosce dai frutti maturi
le mie cosce calde e felici
succose di nettare di desiderio.
Ma
prepara la tua bocca affinché io possa mangiare.
Vieni, vieni
ben temperato è il mio vino sacro
che ti darà il godimento
di una donna
matura d’amore.
Maram al-Masri
– Mi ha detto che sarebbe venuta-
Mi ha detto che sarebbe venuta
quando?
non lo so
tuttavia lei verrà, è sicuro
ma prima
bisognerà che mi tolga
lo sfavillio degli occhi
la freschezza della pelle
la pienezza dei seni
l’umido dei passi
la lucentezza dei capelli.
Dovrà privarmi
della voglia di correre
di danzare
di scoprire le braccia
di guardarmi nello specchio.
Le servirà far morire il mio desiderio
il desiderio di baciare
di fare l’amore.
– È venuta tutta intera-
È venuta tutta intera,
con l’odore del suo letto
e della sua cucina,
con i baci di suo marito
nascosti sotto la camicetta,
con il suo sperma
ancora caldo
nel ventre.
È venuta,
con la sua storia e i suoi sogni,
le sue rughe,
e il suo sorriso screpolato,
con la peluria che si tesse
sul bordo delle sue guance,
con i resti delle loro colazioni
appiccicati ai denti.
È venuta con tutti i miei dolori,
la donna che vive con il mio uomo.
-Che dispiacere-
Che dispiacere
per ogni parola d’amore
che voleva dichiararsi
e che fu seppellita viva.
Che dolore
in gola.
-Aspetto dietro la tua porta-
Aspetto
dietro la tua porta,
non aizzarmi contro i tuoi cani rabbiosi
perchè mi caccino.
I tuoi cani
che ho visto nascere,
che ho nutrito,
che ho carezzato,
che si sono dimenticati
che li abbracciavo
e che nascondevano la loro testa
nel mio grembo.
Ah,gli ingrati!
Ogni volta
che apro la mia valigia,
ne esce polvere.
– Madame Chevrot-
Età : 75 anni Professione : ex stiratrice
È da molto
che non vedo Madame Chevrot,
la donna che di solito
incontravo nella strada principale.
Mi sorrideva
e il suo sorriso mi costringeva a fermarmi,
anche se avevo fretta,
per parlare del tempo,
della sua bellezza di un tempo
e degli uomini che l’hanno amata.
Madame Chevrot è piccola,
un naso grosso come una melanzana
e pochi denti
rotti e neri,
Lei giura con fierezza, che sono veri.
Elegante, per quanto l’età lo permetta.
Truccata, tanto che le cascano le palpebre …
Al nostro ultimo incontro
mi ha raccontato
di aver conosciuto un uomo
nella sala da ballo
dove stava imparando la salsa.
Lui avrebbe tanto voluto vivere con lei …
Ma lei?
Lei esitava,
divisa tra rinunciare alla sua libertà
e rinunciare al suo russare,
perché, mi diceva,
è tutto quello che lui può offrirle
la notte.
– Grazie a tutti quelli che.-
Grazie a tutti quelli
che mi hanno amato
e a tutti quelli che mi hanno detestato
a quelli che mi hanno abbandonato
e a quelli che ho abbandonato
Ogni volta mi hanno ridato fuoco
e riacceso in me il desiderio
Ci sono quelli che ho dimenticato
e quelli che non dimenticherò mai
Non mi hanno impedito
d’avventurarmi
ogni volta
ad amare di nuovo.
Maram al-Masri
Maram al-Masri -(Lattakia Siria 2 agosto 1962)-Le donne come me, non sanno parlare; la parola le Maram al-Masri rimane di attraverso in gola come una lisca che preferiscono inghiottire. Le donne come me sanno soltanto piangere a lacrime restie che improvvisamente rompono e sgorgano come una vena tagliata. Le donne come me sopportano gli schiaffi senza osare renderli. Tremano di rabbia e la reprimono. Come leoni in gabbia le donne come me sognano la libertà …
( Versi tratti da Anime scalze, Maram Al- Masri, Multimedia Edizioni / Casa della poesia.)
Maram al-Masri – Vive suoi primi vent’anni nella città portuale siriana di Lattakia, vicina all’isola di Cipro. Dopo gli studi a Damasco e in Inghilterra, è costretta a lasciare la sua terra d’origine insieme a suo marito perché oppositrice del regime di Assad.
Si trasferisce con lui a Parigi dove vive dal 1982. A seguito della fine del suo matrimonio, l’ex marito ritorna in Siria portando con sé anche il figlio di soli diciotto mesi. A Maram Al Masri per tredici anni viene proibito di vederlo.
Maram esordisce a Damasco dove pubblica “Ti minaccio con una colomba bianca”, presso la casa editrice del Ministero dell’ Educazione. Dopo un lungo periodo di silenzio, nel 1997 ritorna alla poesia con “Ciliegia rossa su piastrelle bianche”, pubblicato a Tunisi dalle Edizioni L’Oro del Tempo nel 1997, e salutato con entusiasmo dalla critica dei paesi arabi. Nel 1998 riceve il premio del Forum culturale libanese in Francia, al quale partecipò il poeta libanese Adonis.
Nella raccolta Anime Scalze la poetessa dedica la sua opera alle donne vittime di violenza in Francia e nel mondo, a quelle “anime scalze”, alle donne che non sono mai state amate.
Nel 2000 Al Manar Edizioni pubblica a Beirut la terza raccolta Ti guardo e nel 2002 viene pubblicata in Spagna la prima traduzione di Ciliegie rosse su piastrelle bianche. Le sue opere cominciano ad essere tradotte in molte lingue. L’edizione spagnola di Ti guardo resta per quattro settimane tra i primi dieci libri di poesia più venduti. Maram al-Masri ha partecipato a numerosi festival internazionali di poesia in tutto il mondo e per Casa della poesia nel 2004 a “Il cammino delle comete” e a “Sidaja”, nel 2005 a “Napolipoesia nel Parco” e agli “Incontri di Sarajevo”. Nel 2007 e nel 2009 ha preso parte a “VersoSud”, Reggio Calabria. Nel 2017 ha ricevuto il Premio Casa della poesia – Regina Coppola.
Bibliografia
PUBBLICAZIONI:
1984 “Ti minaccio con una colomba bianca”, Ministero dell’ Educazione, Damasco.
1997, “Ciliegia rossa su piastrelle bianche”, Edizioni L’Oro del Tempo, Tunisi. Questo libro è stato tradotto in spagnolo, in francese, in corso e in inglese (Gran Bretagna e Stati Uniti). Molte sue poesie sono state tradotte e pubblicate in riviste, in spagnolo, francese, inglese, tedesco, italiano, corso e turco.
2000, “Ti guardo”: è stato pubblicato originariamente a Beirut (e poi in Francia e in Spagna); è stato pubblicato nell’agosto del 2009 da Multimedia Edizioni (traduzione dall’arabo di Marianna Salvioli).
2011, “Les âmes aux pieds nus”: è stato pubblicato in Francia da Le Temps des Cerises, e in Italia col titolo “Anime scalze” nel 2011 dalla Multimedia Edizioni / Casa della poesia che nel 2014 dà alle stampe “Arriva nuda la libertà” (traduzione dall’arabo di Bianca Carlino). Nel 2018 con la traduzione di Raffaella Marzano viene pubblicato “La donna con la valigia rossa”, racconto illustrato dall’artista salernitana Ida Mainenti.
La sua poesia è inserita nel volume “Non ho peccato abbastanza. Antologie di poetesse arabe contemporanee” (Mondadori, 2007).
Maram Al-Masri Nella Siria martoriata c’è una città che si chiama Lattakia. Una città di mare, vicina all’isola di Cipro: lì il 2 Agosto del 1962 è nata Maram Al-Masri e lì ha vissuto i suoi primi vent’anni. Studia a Damasco, poi in Inghilterra. Si sposa giovanissima e con il marito è costretta a fuggire a Parigi, in quanto oppositrice del regime di Assad.
Lì ho sepolto mio padre il giorno in cui ho deciso di partire con una sola valigia colma di sogni senza memoria… e la sua fotografia.
Quando il suo matrimonio finisce il marito ritorna in Siria portando con sé il figlio che Maram non vedrà per i successivi tredici anni. A Lattakia, oggi presa di mira dall’ISIS, vive ancora tutta la sua famiglia.
Maram esordisce a Damasco nel 1984 con Ti minaccio con una colomba bianca; poi, dopo un lungo periodo di silenzio, pubblica nel 1997 la raccolta di poesie Ciliegia rossa su piastrelle bianche. Ti guardo viene invece pubblicato a Beirut nel 2000.
Nella raccolta Anime scalze del 2011 Maram dedica i suoi versi a tutte le donne vittime di violenza, alle profughe, alle donne sommerse. La sua scrittura diventa quasi fotografia, è come vederle queste donne: i loro lividi, i loro sogni rapiti, le parole che non possono dire, i sorrisi stanchi:
Le ho viste tutte passare in strada / anime scalze, / che si guardano dietro, / temendo di essere seguite / dai piedi della tempesta, / ladre di luna / attraversano, / camuffate da donne normali. / Nessuno le può riconoscere / tranne quelle / che somigliano a loro.
La poesia di Maram è un inno alla bellezza che sopravvive al di là degli orrori, della guerra, della violenza nelle piccole cose.
Oggi il dolore di Maram è quello del suo popolo, decimato in pochi anni. I siriani da venti milioni sono diventati undici milioni. Quelli che hanno deciso di restare nella loro terra affrontano ogni giorno fame, prigione e torture da parte del regime, e le bombe dell’ISIS. A loro Maram dedica la raccolta di poesie Arriva nuda la libertà del 2014:
La Siria per me… è una donna violentata tutte le notti da un vecchio mostro / violata / imprigionata / costretta a sposarsi. / La Siria per me / è l’umanità afflitta / è una bella donna che canta l’inno della Libertà / ma le tagliano la gola. / È l’arcobaleno del popolo / che si staglierà dopo i fulmini e le tempeste.
I versi di Maram sono un omaggio a coloro che hanno perso la vita sotto le bombe o che sono morti sotto le torture del regime. Sono “figli della libertà”, indossano abiti usati di stoffa ruvida, sono scalzi o hanno scarpe troppo grandi. I figli dei figli della libertà giocano con brandelli di pneumatici, con i sassi, con i resti degli ordigni esplosi. Nessuno ha più la forza di raccontare loro una favola, ascoltano solo “il frastuono della paura e del freddo / sui marciapiedi / davanti alle porte delle loro case distrutte / negli accampamenti / o / nelle tombe.”
Ha un sogno Maram: diventare un uccello dalle grandi ali e sorvolare finalmente la sua nazione liberata da guerra e violenza, risorta dalle rovine.
Un esilio è paragonabile ad un albero privato delle radici. Una migrante come me / […] / non attecchisce da nessuna parte. / Senza patria / viene da ogni orizzonte, / portata dalle ali del vento.
Lontana dalla sua terra, la voce di Maram grida forte il proprio dissenso. I suoi versi diventano atti civili di resistenza al regime, richiesta di rispetto dei diritti umani. La sua poesia vola dalla Francia alla Siria, dall’Occidente all’Oriente: inno di giustizia e di libertà sia per i siriani che hanno deciso di restare sia per quelli che, in cammino per le strade del mondo, cercano pace e accoglienza.
Nel 2020 è stato tradotto in italiano dalla casa editrice Medinova il suo libro autobiografico “Le Rapt” con il titolo “La lontananza”.
Fonti, risorse bibliografiche, siti su Maram Al-Masri
Ugo Foscolo l’inquieto e la inattualità della rivoluzione-Articolo di Pierfranco Bruni saggista e antropologo-
Ugo Foscolo è Il Poeta che traccia il silenzio dei “Sepolcri” e la grecità di Zante nel canto sublime di un ulissismo dolorante. La rivoluzione e l’eresia.Ugo Foscolo- Un binomio che permette di leggere Ugo Foscolo tra il superamento della Ragione e la “rappresentazione” del rivoluzionario nella sua attualità. L’inquietudine dell’intellettuale moderno nell’eresia del rivoluzionario è un percorso fondamentale per comprendere l’agonia di un’epoca e la solitudine di un uomo.
Pierfranco Bruni
Articolo di Pierfranco Bruni -Il secolo che precede il decadentismo con alcuni autori assume una profonda visione tragica che anticipa il Novecento.
Ugo Foscolo e l’inattualità del rivoluzionario che recupera la tradizione. Un percorso che resta fondamentale in una età della ragione che in Foscolo ritrova la malinconia e il tempo tragico. Foscolo è la tradizione post medievale ma è anche il rivoluzionario che annuncia il romantico sentire la vita con la metafisica dell’anima. Infatti non si può prescindere da una osservazione che si apre alla modernità della letteratura attraverso il disegno della tradizione e della memoria: “L’arte non consiste nel rappresentare cose nuove, bensì nel rappresentare con novità”.
Ugo Foscolo. Il poeta che traccia il silenzio dei “Sepolcri” e la grecità di Zante nel canto sublime di un ulissismo dolorante. La rivoluzione e l’eresia. Un binomio che permette di leggere Ugo Foscolo tra il superamento della Ragione e la “rappresentazione” del rivoluzionario nella sua attualità. Ugo Foscolo. L’inquietudine dell’intellettuale moderno nell’eresia del rivoluzionario è un percorso fondamentale per comprende l’agonia di un’epoca e la solitudine di un uomo.
È uno dei temi centrali e riguarda anche il ruolo che ha svolto Foscolo a cominciare dall’ode “A Luigi Pallavicina” e all’ode “Bonaparte liberatore” passando attraverso “Dell’origine e dell’ufficio della letteratura” sino a toccare i suoi saggi su Petrarca, su Boccaccio, su Dante.
Ma è l’impegno del Foscolo che emerge dalle “Ultime lettere di Jacopo Ortis” che diventa il fulcro intorno al quale ruota la visione post illuminista e prettamente romantica e risorgimentale oltre che rivoluzionaria nell’eresia. Su questi aspetti bisogna attentamente riflettere attraverso elementi filosofici, grazie ai quali si cerca di sottolineare come il Foscolo vada oltre l’Illuminismo e segna l’inizio di quella decadenza post rinascimentale sino a toccare l’estetica e l’inquietudine dannunziana.
Ugo FOSCOLO
Infatti il legame tra Foscolo e D’Annunzio è uno dei perni fondamentali. Così il suo raccordarsi costantemente con Dante: “Che Dante non amasse l’Italia, chi vorrà dirlo? Anch’ei fu costretto, come qualunque altro l’ha mai veracemente amata, o mai l’amerà, a flagellarla a sangue, e mostrarle tutta la sua nudità, sì che ne senta vergogna”. Così il suo itinerario intorno a Petrarca.
Petrarca viene vissuto come il poeta della lingua che rinnova in una modernità profonda: “Benché il Petrarca siasi studiato di ricoprire d’un bel velo la figura di Amore, che greci e romani poeti ebbero vaghezza di rappresentar nudo; questo velo è sì trasparente, che lascia tuttavia scernere le stesse forme. La distinzione ideale tra i due Amori derivò primamente dalle differenti cerimonie con cui gli antichi prestavano culto alla Venere Celeste, che presedeva a’ casti amori delle zittelle e delle maritate, ed alla Venere Terrestre, riconosciuta divinità tutelare delle galanterie delle donne più in voga a que’ tempi”.
La figura e l’opera di Ugo Foscolo, nato a Zante nel 1778 morto Turnham Green nel 1827 diventa il fulcro dell’inquieto decadentismo e dell’uomo completamente libero ed eretico che rompe gli schemi sia dell’Illuminismo che del Romanticismo e si intaglia nella modernità del cuore dell’uomo. Sull’inquieto della modernità si scava tra i testi di Foscolo ed emerge un Foscolo nostro contemporaneo, anticipatore della tragedia ‘nicciana’.
Un Ulisse in costante fuga e non in viaggio. Una fuga esistenziale, metafisica geografica. Ugo Foscolo è, infatti, un eretico rivoluzionario. Il dolore dell’inquietudine non è solo tra le sue pagine. È soprattutto nel sua vita di costante Ulisse in fuga che intreccia il senso e della tragedia e la tragedia della storia. La storia è nella lingua dei popoli.
Foscolo, come ebbe a dire De Sanctis, annuncia Leopardi. Lo dichiara sia sul piano delle realtà semantiche sia su un versante di una lingua considerata come vera metafisica di un vocabolario in il concetto di parola scava nel dimensione dei linguaggi: “Nel dare principio alla serie de’ discorsi intorno alla storia letteraria ed a’ poeti d’Italia, giudico cosa necessaria, quantunque forse non dilettevole, di premettere l’opinione mia su l’origine della poesia fra gli uomini.T utti i ragionamenti su la poesia in generale, e quindi tutti i giudizj intorno alle qualità ed ai gradi di merito di ogni poeta di tutte le età, e gl’infiniti canoni e teorie degli antichi retori e de’ moderni metafisici si sono sempre fondate su l’osservazione, «che l’uomo è animale essenzialmente imitatore, e l’origine della poesia manifestamente ed unicamente ritrovasi nella naturale tendenza che l’uomo ha di riprodurre ogni cosa per mezzo d’imitazioni.» Da questa osservazione, che realmente trovasi in Aristotile, sgorgò la conseguenza che gli fu attribuita, e commentata in mille volumi, «che la poesia non è che imitazione della natura, e che i poeti eccellenti sono soltanto quelli da’ quali la natura è fedelmente imitata.»”.
Ciò porta il viaggio foscoliano verso una eredità che è fortemente dentro la visione della filosofia dei linguaggi. Odi e Sonetti sono il sublime. I Sepolcri sono la memoria e l’attraversamento del senso di morte che resta nel presente. Jacopo Ortis è il personaggio del tragico nella melanconia.
Ugo FOSCOLO
Eliot nei suoi “Quattro quartetti” recita: “Noi moriamo con quelli che muoiono:/ecco, essi partono e noi andiamo con loro./Noi nasciamo con i morti:/ecco, essi tornano e ci portano con loro”. In Eliot vive Foscolo oltre Dante e il viaggio nel regno delle “stelle”. Perché Eliot è tempo e morte, come nel righello paudiano del viaggio: “Pentimenti sul passato, noja del presente, e timor del futuro; ecco la vita. La sola morte, a cui è commesso il sacro cangiamento delle cose, promette pace”.
Qui Ortis è necessità ma anche virtù. In Eliot e Foscolo è centrale il concetto virgiliano: “Stat sua cuique dies”. Come si vive attraversando l’Ecclesiaste. Ma è Leopardi che non smette di spingere Foscolo verso Eliot e in Eliot non c’è il Dante dell’esilio ma della perdita dell’esilio in profumo di pellegrinaggio. Il Leopardi di “Due cose belle ha il mondo: amore e morte”, ovvero di “Consalvo”. Il Leopardi annunciato da Foscolo è qui: “È purtroppo destino ineluttabile che il tempo distrugga ogni cosa nel suo fluire perenne”.
La metafisica dell’illusione si legge nella metafisica della nostalgia. In Foscolo è il nostos una “malattia” dell’anima che sanguina nei versi dedicati al fretello e nel suo guardare lo sguardo di Teresa che non ha però gli occhi di Beatrice, mentre la morte “incespica” nel ricordare.
Il ricordare è il viatico più potente di ogni destino. Ricordare è destino. Dimenticare è destino. Foscolo sa che il ricordare è l’ontologia che allontana ogni finzione. Il tragico si fa più scavante nella memoria e la morte diventa il vissuto nella vita che si cioncede al presente. Siamo Sepolcri che non smettiamo di avere sguardi. Le parole non possono essere cedute alla voce, ma agli occhi.
Il mio Foscolo è il “vizio” che mi “trascina” a Pavese. Dove l’oltre è soltanto il “gorgo muto”. Come Pavese, Foscolo resta l’inattuale di un contemporaneo che aveva ben compreso la malattia della modernità.
Tragico e inquieto diventano un “sapere dell’anima”. Foscolo era già dentro questo ironico e tragico esilio.
Pierfranco Bruni
Pierfranco Bruni è nato in Calabria.
Archeologo direttore del Ministero Beni Culturali, presidente del Centro Studi “Grisi” e già componente della Commissione UNESCO per la diffusione della cultura italiana all’estero.
Nel 2024 Ospite d’onore per l’Italia per la poesia alla Fiera Internazionale di Francoforte e Rappresentante della cultura italiana alla Fiera del libro di Tunisi.
Per il Ministero della Cultura è attualmente:
presidente Commissione Capitale italiana città del Libro 2024;
-Benedetto Croce-Soliloquio e altre pagine autobiografiche-
-A cura di Giuseppe Galasso-
-ADELPHI EDIZIONI-
Benedetto Croce
Risvolto–Alla propria «autobiografia mentale» Benedetto Croce ha dedicato, oltre al Contributo alla critica di me stesso, numerosi luoghi delle sue opere, della corrispondenza e, soprattutto, del diario che per oltre quarant’anni ha tenuto nell’austero intento di «invigilare» sé stesso. Ritagliando da queste fonti i passi più rivelatori, con una finezza pari alla sua competenza, Giuseppe Galasso ha costruito un’antologia capace di farci vivere dall’interno l’ininterrotto dialogo che Croce ha intrattenuto con sé stesso e di svelarci così le ragioni profonde di un’attività tanto prodigiosa. Un’attività che nasce da un’intima tendenza per la letteratura e per la storia e che, dopo avergli consentito di superare gli anni dolorosi e cupi successivi alla scomparsa dei genitori e della sorella nel terremoto del 1883, varca i confini dell’erudizione per poi aprirsi alla vita politica e sociale. Anche di questo ruolo centrale sulla scena pubblica cogliamo qui i risvolti più personali e segreti: dall’«amaro compiacimento» che gli deriva nel 1925 – dopo il rifiuto di sostituire Gentile come ministro dell’Istruzione – dal «sentirsi libero tra schiavi», al senso di liberazione «da un male che gravava sul centro dell’anima» suscitato dall’arresto di Mussolini, sino all’emblematica con fessione del 1951: «La morte … non può fare altro che così interromperci, come noi non possiamo fare altro che lasciarci interrompere, perché in ozio stupido essa non ci può trovare».
A cura di Giuseppe Galasso.
Prefazione di Piero Craveri.
Piccola Biblioteca Adelphi, 784
2022, pp. 123
isbn: 9788845937330
Temi: Diari
Vincenzo USSANI “Storia della letteratura latina nell’età repubblicana e augustea”-
Vallardi Editore-Milano 1933
-Articolo scritto da Gennaro PERROTTA per la Rivista PEGASO N°6 del 1933–
Breve Biografia del Professor Vincenzo USSANI–Filologo classico (Napoli 1870 – Roma 1952). Fu prof. di letteratura latina nelle univ. di Messina, Palermo, Padova, Pisa e Roma. Accademico d’Italia e socio nazionale dei Lincei (1938-46). Collaborò alla preparazione del dizionario latino dell’Alto Medioevo e alla Bibliografia internazionale delle scienze storiche (1930 segg.). Fra le sue opere: Sul valore storico del poema lucaneo (1903); Storia della letteratura latina (1929); edizione critica della trad. latina della Guerra giudaica di Giuseppe Flavio, tramandata sotto il nome di Egesippo (1932).
Roma UniversitàVincenzo USSANI “Storia della letteratura latina nell’età repubblicana e augustea”-Vincenzo USSANI “Storia della letteratura latina nell’età repubblicana e augustea”-Vincenzo USSANI “Storia della letteratura latina nell’età repubblicana e augustea”-Roma Università LA SAPIENZAVincenzo USSANI “Storia della letteratura latina nell’età repubblicana e augustea”-Roma Università LA SAPIENZA
Breve Biografia del Professor Vincenzo USSANI-Filologo classico (Napoli 1870 – Roma 1952). Fu prof. di letteratura latina nelle univ. di Messina, Palermo, Padova, Pisa e Roma. Accademico d’Italia e socio nazionale dei Lincei (1938-46). Collaborò alla preparazione del dizionario latino dell’Alto Medioevo e alla Bibliografia internazionale delle scienze storiche (1930 segg.). Fra le sue opere: Sul valore storico del poema lucaneo (1903); Storia della letteratura latina (1929); edizione critica della trad. latina della Guerra giudaica di Giuseppe Flavio, tramandata sotto il nome di Egesippo (1932).
Sopra le coltri elefantine delle aiuole
un cactus gotico fiorisce in teschi regali
e nelle cavità di malinconici organi,
nei metallici grappoli cannosi,
marciscono antiche melodie.
Palle di cannone, semi di guerra
ha disperso il vento.
Sopra ogni cosa svetta la notte,
e nel bosso di cupole sempre verdi
lo sventato imperatore in punta di piedi se ne va
ai giardini magici delle sue stòrte,
e nella bonaccia delle rosee serate
tintinna un fogliame vetroso,
che le dita degli alchimisti toccano
come vento.
Accecano i telescopi per orrore del cosmo;
e i fantastici occhi degli stellonauti
se li è bevuti la morte.
e intanto la luna ha deposto uova nelle nubi,
stelle nuove sono sgusciate a frotte come uccelli
che migrano da terre nericce
canticchiando la canzone dei destini umani,
ma nessuno c’è che li possa intendere.
Ascoltate le fanfare del silenzio,
su tappeti logori come sindoni di secoli
ci incamminiamo verso l’invisibile futuro
e Sua maestà la polvere
si adagia lieve sul trono vuoto.
Da: Vestita di luce, a cura di Sergio Corduas, Einaudi, Torino 1986, p. 23
Vi sono città che sembrano fatte per la poesia. Una di queste certamente è Praga. Fu uno dei centri artistici principali dell’epoca barocca, poi della mitteleuropa (oltre a Franz Kafka vi era nato qui anche Rainer Maria Rilke nel 1875). Nel 1918 divenne capitale della Cecoslovacchia. Allora Jaroslav Seifert aveva diciassette anni (era nato a Žižkov, un sobborgo operaio di Praga). A quel tempo aiutava il padre al suo negozio di quadri, unica fonte di sostentamento della famiglia, che però chiuse i battenti nel corso della guerra per via delle dure condizioni di vita imposte dal conflitto bellico. Si diplomò come privatista nel 1919 e già allora simpatizzava per la Rivoluzione Russa e per la causa del comunismo. Quell’anno cominciò a pubblicare su riviste e nel ’21 pubblicò la sua prima raccolta di poesia, La città in lacrime. Nello stesso anno si iscrisse al Partito comunista e cominciò a lavorare per la stampa di partito (scriveva sul quotidiano «Rude pravo», collaborava con la casa editrice di partito e fece parte della redazione di alcune riviste letterarie). Conobbe in questi anni František Halas, il quale si era da qualche anno trasferito da Brno. Anche quest’ultimo simpatizzava con la causa del comunismo, frequentava gli stessi ambienti di Seifert e pubblicò sulle riviste in cui quest’ultimo lavorava. Tra i due poeti nacque un’amicizia fraterna. Seifert fu tra i fondatori del gruppo di poeti e artisti del movimento Devětsil, fondato a Praga nel 1920 e attorno a cui si erano raccolti critici e poeti di primo piano (in seno a questo gruppo nacque nel 1924 il poetismo, un movimento artistico e poetico di fondamentale importanza nel ‘900 ceco e non solo, che propugnò e attuò un impetuoso rinnovamento nella scena letteraria sotto il segno delle avanguardie letterarie europee). Figura di primo piano di questo raggruppamento fu il critico Karel Teige, col quale nel 1924 Seifert fece un memorabile viaggio in Italia proprio nel momento in cui il fascismo stava prendendo il potere. Nel 1925 fu in Unione Sovietica e l’anno successivo pubblicò la raccolta L’usignolo canta male, nella quale si avverte il passaggio da una prima fase influenzata dalla poesia proletaria a una fase più matura sotto il segno delle avanguardie europee (surrealismo, dadaismo). Notevole e profetica per quanto riguarda i futuri destini dell’Europa è la poesia dal tono espressionista Il vecchio campo di battaglia (“Il sole gira l’ombra alle cose,/ la terra è incinta di morti./ Già si spacca, andiamo e balliamo/ in tondo!// È notte, è mattino e fra le nebbie fa giorno,/ avvolti in brandelli tutti dormono./ È il mantello di Arlecchino, la terra,/ una scacchiera sfondata,/ è l’Europa”). Nel 1929 Seifert firma un manifesto contro l’affermazione della linea stalinista all’interno del Partito Comunista cecoslovacco e per questo ne venne espulso. Proprio in quell’anno pubblicò la raccolta di poesia Il piccione viaggiatore nella quale compare la citata poesia dedicata alla sua città natale. L’allontanamento dal partito fu una svolta importante nella sua biografia intellettuale e artistica. A partire da questo momento guardò l’Unione Sovietica e la causa del comunismo mondiale in modo sempre più scettico e critico. Anche dal punto di vista formale le sue poesie cambiarono: si passò da forme metriche irregolari o assenti a metri più regolari e tradizionali mentre dal punto di vista stilistico il poeta gradualmente passò a un tono più intimista e lirico. Il soggetto della sua poesia a cui rimase fedele per tutta la sua vita, fu proprio Praga, città nella quale i suoi ricordi d’infanzia si intrecciano con i riferimenti al mito di una città nella quale l’arte e la storia avevano lasciato tracce indelebili. Con lo smembramento della Cecoslovacchia del ’39 e l’occupazione di Praga da parte delle truppe naziste prevalsero nella sua poesia gli accenti di indignazione civile. Nel 1948 si espresse chiaramente contro la “sovietizzazione” del suo paese (per questo fino al 1956 fu costretto al silenzio). Nel 1968, a seguito della sua posizione fortemente critica nei confronti dell’invasione sovietica del suo paese, fu di nuovo ridotto al silenzio (anche se le sue poesie circolavano sotto forma di samizdat). Il premio Nobel assegnato nel 1984 (due anni prima della sua morte) non giovò molto alla sua fama a livello mondiale. Forse proprio perché per tutta la sua vita rimase così fedele alla sua amata città.
Poesie inedite per Roberto Volponi – edito da Interlinea–
La storia della toccante amicizia amorosa fra Alda Merini e Roberto Volponi, figlio dello scrittore Paolo, nata nelle serate trascorse al bar milanese Chimera, rifugio di poeti e sognatori come Tondelli, Busi, Raboni e Lamarque.
Poesie che parlano di amore e morte, amicizia e dolore, che rivivono grazie a un lavoro di interpretazione dei dattiloscritti dell’autrice, composti su una macchina per scrivere dai tasti e nastro rovinati.
Un’inedita Alda Merini riemerge nei testi ritrovati di “Di parlarti non ho coraggio”, curati da Ambrogio Borsani ed editi da Interlinea, in libreria dal 28 ottobre, con anteprima al festival internazionale di poesia civile di Vercelli sabato 9 novembre alla libreria Mondadori di Vercelli alle ore 12.
Le poesie inedite della raccolta celebrano la storia di un’amicizia insolita tra la poetessa dei Navigli e il giovane Roberto Volponi, figlio dello scrittore Paolo, nata nelle serate trascorse fino alle due a conversare nel bar libreria Chimera di Milano, rifugio di poeti e sognatori, da Tondelli a Busi, da Raboni a Lamarque.
«Lui era affascinato dalla vicenda umana e letteraria della poetessa e soprattutto dalla sua libertà lessicale nel raccontarla» ricorda nella premessa il curatore Borsani, amico della Merini ed egli stesso frequentatore del Chimera: «mentre lei vedeva in lui un ragazzo appassionato, curioso, tenero, con una fede ostinata nelle utopie e una sorprendente partecipazione agli abissi delle umane vicende».
Dopo la morte improvvisa del giovane Volponi in un incidente aereo nel 1989, Merini donò alla famiglia il gruppo di poesie di straordinaria intensità rimaste ignote fino a oggi anche per problemi filologici oggi risolti, ricordo della stima e dell’affetto profondo tra i due: «Purissima ambizione la mia / che tocco le tue vesti / colme di ingegno e poi / ti lasciarono andare le mie mani / come avessero avuto la maggiore / folgorazione. In vita eri sì bello / che ogni profilo tuo pieno di vento / diventava commiato di parola».
I testi sono stati dattiloscritti dall’autrice con una macchina per scrivere con tasti dissestati e nastro scarico di inchiostro (tanto che in sostituzione del nastro spesso usava anche fogli di carta carbone) e pertanto la trascrizione ha dovuto interpretare le molte lettere digitate erroneamente.
Di parlarti non ho coraggio. Poesie inedite per Roberto Volponi «Io di parlarti non ho coraggio, / né nominarti come solo amore»: un inedito sorprendente che la poetessa dei navigli ha composto su una macchina per scrivere dai tasti e nastro rovinati per ricordare l’amico Roberto Volponi, il figlio dello scrittore Paolo morto giovane in un incidente aereo. Sono testi che parlano di amore e morte, amicizia e dolore, con le illuminazioni di Alda Merini tanto amate dai suoi lettori. Come ricorda Ambrogio Borsani, amico di entrambi, frequentati al bar milanese Chimera con Tondelli, Busi, Consolo, Raboni e molti altri, è la testimonianza di una stagione unica da cui sono nate queste poesie che meritano di trovare «un posto nella vasta e variegata geografia poetica della Merini: la storia di un’amicizia insolita vissuta in un luogo rifugio di poeti e sognatori». Scrive lei: «Eri sì puro come una medaglia, / ed io medaglia che mi sono sfatta / brillo appena di luce sul tuo cuore».
Biografi di Alda Merini è nata a Milano nel 1931. Ha avuto riconoscimenti importanti alle sue prime raccolte, tra La presenza di Orfeo (1953) e Tu sei Pietro (1961). Sono seguiti vent’anni di silenzio per la drammatica esperienza dell’ospedale psichiatrico. Il suo capolavoro, La Terra Santa, uscì nel 1983 accolto da una sostanziale indifferenza. Nel 1986 raccontò l’esperienza del manicomio in L’altra verità. Diario di una diversa. Grazie a Giovanni Raboni riemerse all’attenzione del pubblico con Delirio amoroso, prose liriche del 1989. Nel 1993 vinse il premio Librex-Montale. Con Ballate non pagate (1995) vinse il premio Viareggio. La prima antologia, Fiore di poesia, curata da Maria Corti, uscì per Einaudi nel 1998 creando un caso editoriale. Iniziò una vasta produzione di plaquette e libri sparsi tra decine di editori. Nell’ultimo periodo scrisse diversi libri segnati da una vena di misticismo, come Francesco. Canto di una creatura (2007), e tra le ultime raccolte per Einaudi troviamo Superba è la notte (2000). Si spense all’Ospedale San Paolo di Milano il primo novembre del 2009. Il suono dell’ombra (2018) è la più ampia raccolta della sua produzione in prosa e poesia negli “Oscar” Mondadori. Interlinea ha già pubblicato di lei Più della poesia, due conversazioni con Paolo Taggi, che per primo la portò in tv, un libro-verità con dvd in cui lei si racconta come mai aveva fatto prima (link alla scheda del libro).
Di parlarti non ho coraggio- di Alda Merini, a cura di Ambrogio Borsani ed edito da Interlinea, sarà presentato in anteprima sabato 9 novembre al festival di poesia civile di Vercelli
A cura di Ambrogio Borsani, pp. 64, 12 euro
In libreria dal 28 novembre
Ordinabile sul nostro sito senza spese di spedizione fino al 31 ottobre.
Riccardo Zandonai Musicista (Sacco, Trento, 1883 – Pesaro 1944). Riccardo Zandonai studiò a Rovereto con V. Gianferrari e a Pesaro con P. Mascagni. Esordì (1902) con un poema sinfonico: Il ritorno di Odisseo per soli, coro e orchestra. Scriveva intanto romanze e altri pezzi il cui pregio gli procurò da Ricordi la commissione d’una opera: Il grillo del focolare (1908). Musicista di facile vena, sensibile all’influsso di R. Strauss, di G. Puccini, ecc., scrisse numerose opere e composizioni d’altro genere, tra le quali emergono: Conchita (1911), Melenis (1912), Francesca da Rimini (1914), l’opera più celebre di Z., La via della finestra (1915), Giulietta e Romeo (1921), I cavalieri di Ekebù (1925), Giuliano (1928), Una partita (1933), La farsa amorosa (1933), oltre i lavori sinfonici: Primavera in Val di Sole, e Patria lontana (1914-18), Ballata eroica (1929), Quadri di Segantini (1930), Concerto romantico per violino (1919), Serenata medioevale per violoncello e strumenti (1909), Concerto andaluso per violoncello (1934), e varie liriche per canto e pianoforte e canto e orchestra.
Biblioteca DEA SABINA-Gabriele D’Annunzio- “FRANCESCA da RIMINI”- Musica di Riccardo Zandonai con autografo – Edizione 1914-Gabriele D’Annunzio- “FRANCESCA da RIMINI”- Edizione 1914-Gabriele D’Annunzio- “FRANCESCA da RIMINI”-Gabriele D’Annunzio- “FRANCESCA da RIMINI”- Edizione 1914-Gabriele D’Annunzio- “FRANCESCA da RIMINI”- Edizione 1914- Autografo di Riccardo ZANDONAIGabriele D’Annunzio- “FRANCESCA da RIMINI”- Edizione 1914-Gabriele D’Annunzio- “FRANCESCA da RIMINI”- Edizione 1914-Gabriele D’Annunzio- “FRANCESCA da RIMINI”- Edizione 1914-Gabriele D’Annunzio- “FRANCESCA da RIMINI”- Edizione 1914-Gabriele D’Annunzio- “FRANCESCA da RIMINI”- Edizione 1914-Gabriele D’Annunzio- “FRANCESCA da RIMINI”- Edizione 1914-Gabriele D’Annunzio- “FRANCESCA da RIMINI”- Edizione 1914-Gabriele D’Annunzio- “FRANCESCA da RIMINI”- Edizione 1914-Gabriele D’Annunzio- “FRANCESCA da RIMINI”- Edizione 1914-Gabriele D’Annunzio- “FRANCESCA da RIMINI”- Edizione 1914-Gabriele D’Annunzio- “FRANCESCA da RIMINI”- Edizione 1914-Gabriele D’Annunzio- “FRANCESCA da RIMINI”- Edizione 1914-Gabriele D’Annunzio- “FRANCESCA da RIMINI”- Edizione 1914-Gabriele D’Annunzio- “FRANCESCA da RIMINI”- Edizione 1914-Gabriele D’Annunzio- “FRANCESCA da RIMINI”- Edizione 1914-Gabriele D’Annunzio- “FRANCESCA da RIMINI”- Edizione 1914-Gabriele D’Annunzio- “FRANCESCA da RIMINI”- Edizione 1914-Gabriele D’Annunzio- “FRANCESCA da RIMINI”- Edizione 1914-Gabriele D’Annunzio- “FRANCESCA da RIMINI”- Edizione 1914-Gabriele D’Annunzio- “FRANCESCA da RIMINI”- Edizione 1914-Gabriele D’Annunzio- “FRANCESCA da RIMINI”- Edizione 1914-Gabriele D’Annunzio- “FRANCESCA da RIMINI”- Edizione 1914-Gabriele D’Annunzio- “FRANCESCA da RIMINI”- Edizione 1914-Gabriele D’Annunzio- “FRANCESCA da RIMINI”- Edizione 1914-Gabriele D’Annunzio- “FRANCESCA da RIMINI”- Edizione 1914-Gabriele D’Annunzio- “FRANCESCA da RIMINI”- Edizione 1914-Gabriele D’Annunzio- “FRANCESCA da RIMINI”- Edizione 1914-Gabriele D’Annunzio- “FRANCESCA da RIMINI”- Edizione 1914-Gabriele D’Annunzio- “FRANCESCA da RIMINI”- Edizione 1914-Gabriele D’Annunzio- “FRANCESCA da RIMINI”- Edizione 1914-Gabriele D’Annunzio- “FRANCESCA da RIMINI”- Edizione 1914-Gabriele D’Annunzio- “FRANCESCA da RIMINI”- Edizione 1914-Gabriele D’Annunzio- “FRANCESCA da RIMINI”- Edizione 1914-Gabriele D’Annunzio- “FRANCESCA da RIMINI”- Edizione 1914-Gabriele D’Annunzio- “FRANCESCA da RIMINI”- Edizione 1914-
Marta López Vilar- Poesie inedite-Rivista Atelier-
traduzione dallo spagnolo di Marcela Filippi Plaza
Marta López Vilar (Madrid, 1978) è una poetessa, traduttrice di letteratura, professoressa universitaria e scrittrice spagnola. Mantiene una partecipazione attiva a eventi culturali e letterari quali la distribuzione del Premio Cervantes, la gestione di attività di critica letteraria o commentatore radiofonico (SER) tra gli altri. Si è laureata in Filologia Spagnola e ha una vasta conoscenza del portoghese e del catalano. Ha realizzato diversi lavori di traduzione di poesia catalana, portoghese e greca contemporanea. Ha studiato lingua, letteratura e filosofia neo-elleniche all’Università di Atene. Ha conseguito un dottorato di ricerca in Letteratura Spagnola presso l’Università Autonoma di Madrid, con una tesi sul misticismo e il simbolismo delle Elegie di Bierville di Carles Riba. Per il libro Di ombre e cappelli dimenticati nel 2003 ha vinto il premio di poesia “Blas de Otero” e nel 2007 ha vinto il premio “Arte Giovane di Poesia” della Comunità di Madrid col libro La parola attesa. La sua terza raccolta di poesie che si chiamerà Nelle e acque d’ottobre sta per giungere nelle librerie. Insegna presso l’Università di Alcalá. Ha trascorso un anno a Debrecen (Ungheria) contribuendo alla diffusione della lingua e cultura spagnola in Europa centro orientale.
Porto de Mágoas
Elegí los puertos que más se parecieran a tu voz.
Elegí los barcos, las olas, los peces
que tuvieron que morir entre cenizas…
Elegí los puentes desde donde mirar la noche.
Pero nada importa.
Elegí la vida y tus palabras nunca regresaron.
Marta López Vilar
Porto de Mágoas
Ho scelto i porti che più somigliassero alla tua voce.
Ho scelto le navi, le onde, i pesci
che hanno dovuto morire nelle ceneri…
Ho scelto i ponti da dove guardare la notte.
Ma nulla importa.
Ho scelto la vita e le tue parole non sono mai ritornate.
Marta López Vilar
Después de un sueño
De muy lejos vengo, como el viento claro
que abandoné en tu voz
para protegerte de la muerte.
No me despedí de tí.
Por eso ven a mí
y sálvame como tantas otras noches
de mis sueños.
Marta López Vilar
Dopo un sogno
Da molto lontano vengo, come il vento chiaro
che ho lasciato cadere nella tua voce
per proteggerti dalla morte.
Non ti salutai.
Perciò vieni a me
e salvami come tante altre notti
dai miei sogni.
Marta López Vilar
Melancolía de una statua
Cansada, reclinas la cabeza buscando tu memoria
entre esa pesadumbre.
Cierras los ojos en busca de ese mar
que a otros cuerpos se llevó de tu lado,
vuelto en cenizas y vejez, siendo calor
prematuro de la muerte.
Reclinas la cabeza y no sientes la mano
frágil que sostiene tu cansancio,
esa oscuridad que albergan tus ojos
en pleno amanecer.
Nada tienes salvo la soledad esculpida
en todo lo guardado, el oleaje minucioso
del dolor horadando el tiempo
hasta borrarte.
Cansada, te preguntas dónde se hará
el cántico hermoso de la noche,
en qué lugar recogerás tu luz y tu presencia,
y hacia qué lugar se marcharon las palabras
de todo lo perdido.
Marta López Vilar
Malinconia di una statua
Stanca, inclini la testa cercando la tua memoria
in quella pena.
Chiudi gli occhi alla ricerca di quel mare
che portò via altri corpi che ti erano accanto,
trasformato in cenere e vecchiaia, essendo calore
prematuro della morte.
Inclini la testa e non senti la mano
fragile che sostiene la tua stanchezza,
quell’oscurità che i tuoi occhi ospitano
in piena alba.
Non hai nulla tranne la solitudine scolpita
in ciò che è custodito, il moto ondoso minuzioso
del dolore penetrando il tempo
fino a cancellarti.
Stanca, ti chiedi dove si farà
il bellissimo cantico della notte,
in quale luogo raccoglierai la tua luce e la tua presenza,
e in quale luogo sono andate le parole
di quel che è perduto.
Marta López Vilar
Marta López Vilar (Madrid, 1978) è una poetessa, traduttrice di letteratura, professoressa universitaria e scrittrice spagnola. Mantiene una partecipazione attiva a eventi culturali e letterari quali la distribuzione del Premio Cervantes, la gestione di attività di critica letteraria o commentatore radiofonico (SER) tra gli altri. Si è laureata in Filologia Spagnola e ha una vasta conoscenza del portoghese e del catalano. Ha realizzato diversi lavori di traduzione di poesia catalana, portoghese e greca contemporanea. Ha studiato lingua, letteratura e filosofia neo-elleniche all’Università di Atene. Ha conseguito un dottorato di ricerca in Letteratura Spagnola presso l’Università Autonoma di Madrid, con una tesi sul misticismo e il simbolismo delle Elegie di Bierville di Carles Riba. Per il libro Di ombre e cappelli dimenticati nel 2003 ha vinto il premio di poesia “Blas de Otero” e nel 2007 ha vinto il premio “Arte Giovane di Poesia” della Comunità di Madrid col libro La parola attesa. La sua terza raccolta di poesie che si chiamerà Nelle e acque d’ottobre sta per giungere nelle librerie. Insegna presso l’Università di Alcalá. Ha trascorso un anno a Debrecen (Ungheria) contribuendo alla diffusione della lingua e cultura spagnola in Europa centro orientale.
Marcela Filippi Plaza (1968) è una traduttrice cilena che vive in Italia. E’ impegnata da molti anni nello studio e nella traduzione della poesia contemporanea in lingua spagnola, portoghese e italiana. Ideatrice del progetto delle antologie bilingue Buena Letra 1 (2012) e Buena Letra 2 (2014) di scrittori ibero-americani tradotti per la prima volta in italiano, e della collana bilingue Fascinoso Verbum che, nei primi tre volumi, comprende il poeta e critico letterario italiano Domenico Cara, la poetessa cilena Jeannette N. Catalàn e il poeta spagnolo Miguel Veyrat. Per Atelier ha tradotto Edmundo Herrera.
La poesía de Marta López Vilar: Convivencia con la herida
Marta López Vilar (Madrid, 1978) es ganadora del Premio de Poesía Blas de Otero, con De sombras y sombreros olvidados (Amargord, 2007), y del Premio Arte Joven de la Comunidad de Madrid, con La palabra esperada (Hiperión, 2007). Continúa su andadura literaria al ritmo con el que regresan los ecos y recuerdos de personas y lugares que demandan una traducción en palabras precisas. La poeta y profesora vuelve con su nuevo poemario, En las aguas de octubre (Bartleby, 2016), y la antología (Tras)lúcidas, poesía escrita por mujeres (Bartleby, 2016). Como en el resto de sus anteriores trabajos, en estos se concentran, una vez más, el poso de una erudición y una sensibilidad tan penetrantes como prudentes.
Entiendo que, para los autores, no debe ser fácil —por no decir, no debe ser divertido— someterse a estos procesos inquisitoriales del periodismo y la crítica literaria que son las entrevistas. Sobre todo en los años en que, como es tu caso, son varias las obras que han salido a la luz. Me planteo: «seguro que piensan… otra vez las mismas preguntas, las mismas respuestas…» ¿Puede, entonces, el escritor sacar algún provecho de estos mecanismos mediáticos?
Personalmente, creo que sí que se puede sacar provecho. Es más, creo que siempre ayuda a comprender lo que se escribe. La mirada ajena —en este caso la del entrevistador— siempre saca a la luz cuestiones que, en el extraño e inexplicable proceso de escritura, nunca nos habíamos planteado. Esa misma mirada ajena genera preguntas. Responderlas hace que lo escrito tome cuerpo, lógica interna, cierto orden. Por todo esto, no pienso en absoluto que siempre sean las mismas preguntas ni respuestas. De hecho, esta pregunta es la primera vez que me la hacen, y me ha hecho comprender cómo el otro puede crear una nueva existencia ajena al escritor, convirtiendo la escritura —su creación— en un objeto nuevo para cada lectura, prismático.
¿La propia obra se puede enriquecer?
Sí que puede enriquecerse. Creo que siempre hemos cometido el error de pensar que una obra se acaba cuando el poeta decide concluir un libro. Bajo mi punto de vista, es un error porque la obra siempre está en continuo movimiento: nunca acaba, y no concluye tampoco cuando el poeta decide poner fin a un libro. Tras esa conclusión —ficticia— queda la otra mirada que da sentido, aquella que pertenece al lector que siente todo aquello amoldado a su mundo, a sus razones y necesidades. No hay libro sin escritor, como tampoco lo hay sin aquel que lo lea. Con ello no quiero decir que sea indispensable la publicación del libro. El propio escritor, pasado un tiempo, ya se ha convertido en el otro. Leer lo escrito tras las huellas del tiempo hace que el texto tenga otro lugar, otro sentido y necesidad.
Tu poesía brinda por la poesía, la respeta, se preocupa por ella, por la intimidad humana y el recuerdo. Además, no eres dada a la proliferación de textos ni a la publicidad, sino a la precisión y la brevedad. ¿Cómo lidiar, entonces, con los mecanismos a los que nos obliga el mercado literario?
Confieso que, para mí, es complicado. Siempre he sentido la poesía, su escritura, como un ejercicio íntimo, alejado del ruido. Me resulta muy difícil asimilar el proceso posterior de exposición pública. Por ello, aunque una vez que se publica un libro existen esos mecanismos del mercado literario que son inevitables, procuro que cada acto público sea un espacio cercano para «entregar» los textos a los asistentes, explicar cómo es ese lugar íntimo del que nacieron, para que ellos los acojan en sus espacios de intimidad.
¿Cómo congeniar la pureza con el comercio?
Es algo muy complicado. Por ello, más allá de estos gestos, procuro mantenerme alejada del ruido, permanecer en ese espacio silencioso y humilde que, sin embargo, provoca deslumbramiento cuando leo; y un encuentro callado conmigo misma, cuando escribo. Las excesivas voces del afuera, los movimientos muchas veces previsibles y, en otros casos, luciferinos, las muestras estruendosas de logros, me disuelven, no me siento cómoda en ellos, me dicen que ahí no estoy yo. Las redes sociales están ayudando mucho a generar ese ruido —con el añadido de la distancia que produce una pantalla de ordenador—, sin embargo, casi nunca uso las redes para difusión de mi propia obra, sino para compartir textos literarios de otros autores que me han conmovido, que me han dado una respuesta a algo que desconocía, con la esperanza de que para alguien signifiquen lo mismo que han significado para mí. En ese caso sí que siento que las redes sociales ayudan. Sólo siento la literatura desde el lugar interior. Comparto un fragmento literario con la esperanza de que, después, alguien a quien le ha conmovido se acerque a una librería o a una biblioteca a por ese mismo libro.
Como profesora, ¿qué se siente cuando pasamos de críticos a criticados? Supongo que debe de ser una de las mayores frustraciones eso de leer desvaríos sobre la obra propia.
Bueno, eso forma parte del mecanismo de publicación de un libro, y hay que aceptar las cosas. Creo que hay un tipo de crítica, cada vez más minoritario, que sí que construye de manera esclarecedora la obra que reseña, aunque pueda destacar cosas negativas. Ese tipo de crítica, constructiva, muestra un pensamiento estructurado y lúcido aunque, repito, muestre aspectos negativos de una obra. Pero hay otros tipos de crítica que, confieso, no entiendo: aquellas que sólo se escriben para hacer publicidad editorial, o bien para destruir.
Creo que nos equivocamos, porque cada lectura es subjetiva, y aquel crítico que parece mostrar su verdad como única no está siendo justo con su trabajo. Siempre me espantaron los pensamientos extremos. Por supuesto que he tenido situaciones en las que, si no he leído desvaríos completos —bueno, alguno sí—, sí que no he entendido realmente lo que el crítico quería decir, como si la reseña hubiera sido un medio para mostrar su teoría acerca de algo —generalmente sin mucho que ver con el libro del que tendría que hablar—, o para encapsular en la página su malestar por algo que poco tiene que ver con el libro. Eso no he llegado a entenderlo y creo que empobrece el concepto de la crítica literaria. Hace que deje de ser un género desde el momento en el que el crítico piensa que por destruirlo todo muestra mejor sus conocimientos, o es más lúcido, más llamativo. La destrucción empobrece en todos los aspectos. Mientras te estoy diciendo esto, recuerdo una carta que le escribió Walter Benjamin a Gershom Scholem en 1930, creo. En ella le decía que la crítica literaria ya no era considerada un género serio en Alemania. Creo que aquí está ocurriendo lo mismo aunque, afortunadamente, hay excepciones, por supuesto. Sigue leyendo en Revista Borrador
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