Chiara Ventura warm waters dal 28 febbraio al 3 marzo negli spazi di Supermartek al B49 studio di Roma-
Roma- exibart e Supermartek presentano la mostra personale di Chiara Ventura, B49 studio warm waters, a cura di Alessio Vigni. L’opening si terrà il 28 febbraio alle ore 21:00 e sarà possibile visitare la mostra fino al 3 marzo. Il progetto sarà concentrato tutto in un unico weekend, con l’intento di creare un evento-mostra partecipativo, aperto al pubblico, provando a ribaltare i processi elitari vicini al mondo dell’arte contemporanea.
Chiara Ventura-
La mostra è costituita come un viaggio visivo che esplora la complessità dei sentimenti umani e le sue sfumature più profonde. Così come le acque calde, che in natura si trasformano in correnti impreviste, i rapporti umani possono sembrare rassicuranti, ma celano una complessità emotiva profonda e mutevole che ci può inghiottire. La dualità di questo concetto rappresenta perfettamente la dimensione del sentimento esplorata da Ventura: un territorio familiare e sicuro, ma anche denso di tensioni.
Chiara Ventura-Natura Impressa – Supermartek
Chiara Ventura
Chiara Ventura
Per questo progetto espositivo, l’artista ricorre quasi interamente alla pittura, che diventa metafora di una relazione umana, in cui la gestualità si trasforma in un rituale che assorbe e rilascia materia, così come accade in un legame di intimità tra due persone.
In questa mostra, la pittura si trasforma in uno strumento per affrontare la vulnerabilità emotiva e la liquidità dei sentimenti umani.
Il titolo warm waters si presta a diverse interpretazioni, che spaziano da un’essenza più fisica a riflessioni metaforiche ed emotive. Nello spazio espositivo, l’intimo diventa pubblico. In questa esperienza, estranei verranno accomunati in un viaggio interiore unico, dove potranno riconoscersi (se lo vorranno) nelle opere esposte.
Con video, fotografie, dipinti e installazioni, warm waters offre uno spazio sicuro di riflessione sul ruolo dell’emozione nell’arte e nella vita. L’umano sentire è tutt’altro che una pratica frivola o superficiale, è un campo complesso in continua trasformazione, proprio come le acque che scorrono, si scaldano e mutano in ogni istante.
Durante la serata di apertura ci sarà anche spazio per il DJ set di ZATAC, dalle ore 22, con l’intento di ribadire la natura esperenziale della mostra, come evento in cui condividere ogni propria emozione e dove quello che percepiamo personale diventa collettivo.
Chiara Ventura
Biografia di Chiara Ventura nasce a Verona il 19 giugno 1997,vive e lavora tra Verona e Venezia. Di formazione pittorica, giunge ad analizzare i comportamenti e le forme gestuali attraverso, principalmente, la pratica performativa, con attenzione agli aspetti minimali e semplici. Per un’indagine sullo sguardo e sulle capacità d’osservazione nei contesti quotidiani, di routine, le sue performance ed i suoi interventi assumono spesso un carattere mimetico che predilige il contesto extra-artistico, indagando e denunciando gli aspetti più subdoli delle forme di violenza presenti nella società contemporanea. Il lavoro di Ventura è prettamente di carattere esistenziale, dove la biografia diventa cifra. Nel 2020, in piena pandemia da COVID-19, co-fonda insieme a Romina Cemin, il progetto collettivo menodi30caratteri con il quale indaga e denuncia le problematiche che il mondo virtuale produce nel mondo reale attraverso un account Instagram (il progetto muore un anno dopo con la chiusura del profilo). Nello stesso anno co-fonda, insieme a Leonardo Avesani e Giulio Ancona, Plurale.
ROMA al Teatro Tor Bella Monaca va in scena “FIORI D’ACCIAIO”-
ROMA al Teatro Tor Bella Monaca va in scena “FIORI D’ACCIAIO”, spettacolo diretto da Michela Andreozzi e Massimiliano Vado in scena in Sala Grande il 5 e 6 marzo, inaugura la settimana al Teatro Tor Bella Monaca.
“Fiori d’acciaio” è per me l’occasione di costruire, con un cast così ricco e variegato, una banda di soliste, in grado di suonare insieme ma di battere in volata quando serve; disegnare personaggi anche estremi ma capaci di ascoltarsi, o di imparare strada facendo ad accogliersi senza snaturarsi_ annota Michela Andreozzi. “Solo da adulta ho scoperto che il film era una piece teatrale, ancora attualissima, sotto un superficiale strato di polvere fisiologico, e perfettamente rappresentativa di un microcosmo, quello del negozio di provincia, che è specchio di macrocosmi le cui dinamiche, perfino oggi, fanno fatica a cambiare. Per questo motivo si è deciso di lasciare l’ambientazione di fine anni ’80, perché permette di osservare un tempo appena trascorso e racconta che siamo già nel futuro. E forse anche perché l’immagine e lo stile di quel periodo, negli abiti, negli arredamenti, ma soprattutto nella musica, sono ormai identificativi di un momento storico diventato ormai glamour. Oltre al fatto che certe modalità, oggi, sarebbero condizionate dalla tecnologia. Un racconto di sentimenti e di ironia che qualche volta è crudele ma mai cinico, mai diventa sarcasmo. Se c’è una cosa che le donne sanno fare, è essere terribili, spietate e capaci di affrontarsi, insomma, dei fiori di acciaio, senza mai smettere di amare.”
Teatro Tor Bella Monaca va in scena “FIORI D’ACCIAIO”-
Teatro Tor Bella Monaca va in scena “FIORI D’ACCIAIO”-
Teatro Tor Bella Monaca va in scena “FIORI D’ACCIAIO”-
Dal 6 all’8 marzo va, invece, in scena in Sala Piccola dal romanzo di Sacha Naspini pubblicato da Edizioni E/O, uno spettacolo con Sara Donzelli e Sergio Sgrilli, per la drammaturgia di Riccardo Fazi e a cura di Giorgio Zorcù. Scrittore grossetano ormai tradotto in tutto il mondo, Sacha Naspini immerge i suoi romanzi in una cultura contadina stralunata e feroce. “Nives” è un romanzo che tiene incollato il lettore e lo sorprende, finalista all’American Literary Translator Association nel 2022 e tradotto in 25 lingue, tra cui cinese e arabo. Una donna è rimasta sola nella sua tenuta dopo la morte improvvisa del marito. Unica sua compagnia, una gallina zoppa che si incanta davanti alla réclame del Dash in Tv. Nives chiama così Loriano Bottai, il veterinario del paese. Inizia una lunga telefonata durante la quale due intere esistenze si mettono a nudo, in un dialogo fitto e ricco di colpi di scena. Gli spettatori ascoltano in cuffia, immersi sempre più a fondo nella conversazione che Nives e Loriano, come in una danza, imbastiscono dalle estremità di un lungo tavolo che unisce simbolicamente le due stanze lontane. Tra riletture di fatti lontani nel tempo e vecchi rancori si scoprono gli abissi di amori perduti, occasioni mancate e rivelazioni difficili da accettare in tarda età.
Le voci fuori campo sono di Graziano Piazza ed Elena Guerrini. Costumi di Marco Caboni. Collaborazione ai movimenti: Giulia Mureddu. Disegno luci di Marcello D’Agostino e disegno sonoro di Umberto Foddis. Grafica di Matteo Neri. Produzione Accademia Mutamenti, Muta Imago, con il contributo di regione Toscana, Città di Follonica / Teatro Fonderia Leopolda.
Inoltre, dal 7 al 9 marzo, in Sala Grande ci si immerge in I. A. LO STRANO CASO DEL DOTTOR JEROME STORM, spettacolo di Rocco Bucciarelli con la regia di Zenone Benedetto. Il testo ci porta in un futuro lontano e precisamente nell’era galattica 3000 su un esopianeta in via di Terraforming (terra formazione) dove il dottor Jerome Storm, capo missione del presidio sperimentale del mondo interplanetario Delta, trascorre le sue giornate creando nuovi mondi accoglienti per l’umanità avida di conquiste. Nelle sue funzioni il dottor Storm è aiutato da Absyde, un computer quantico di ultima generazione e precisamente una I.A. (Intelligenza artificiale) di livello 1000. Le giornate scorrono tranquille all’insegna dei lavori di routine volti a controllare i piani di avanzamento della missione. Un giorno, però, il dottor Storm interagendo con Absyde si accorge di alcune anomalie di sistema e tramite un confronto intenso e serrato sul senso stesso della missione scopre il suo terribile piano segreto e il suo delirio di onnipotenza. Egli allora fa di tutto per impedire alla I.A. di prendere il controllo totale delle operazioni e non riuscendovi prende la drammatica decisione di premere il tasto dell’auto distruzione distruggendo l’intero sistema e ovviamente lui stesso. Ma il finale sarà imprevedibile e sconvolgente….
Lo spettacolo – tra filosofia, scienza e fisica quantistica – pone al centro dell’attenzione il delicato rapporto uomo-macchina. L’interazione tra questi ultimi è infatti uno dei temi centrali sui quali la ricerca scientifico-tecnologica e la riflessione umanistica si sono spese negli ultimi cent’anni, generando un investimento incredibile nella ricerca e aprendo fette di mercato notevoli e prima impensabili.
Per i più piccoli e per le loro famiglie domenica 9 marzo alle 17 appuntamento con IL GRUFFALÒ – A SPASSO CON IL MOSTRO di Marco Zordan.
“Ha zanne tremende, artigli affilati e denti da mostro di bava bagnati”. Questa è la descrizione che fa del Gruffalò un piccolo topolino, impegnato ad inventare un mostro tremendo che lo avrebbe vendicato se qualche belva feroce lo avrebbe mangiato, fino a scoprire che il Gruffalò … esiste veramente. Uno spettacolo con rime, canzoni e animali parlanti che tra lo scherzo e l’intrattenimento fa riflettere su tutto quello che è diverso da noi.
La programmazione dei Teatri in Comune 2024-2025 è finanziata dall’Unione Europea, Next Generation EU nell’ambito del PNRR, e rientra tra gli Interventi “Il Giubileo dei Pellegrini: eventi artistici e culturali nella città di Roma, dal centro alla periferia, al fine di favorire la fruizione turistica nel periodo giubilare” (PNRR – M1C3-Inv.4.3 Caput Mundi. Next Generation EU per grandi eventi turistici).
Teatro Tor Bella Monaca – Arena Teatro Tor Bella Monaca
Via Bruno Cirino angolo Via Duilio Cambellotti raggiungibile con Metro C o Linea Bus 20
Ampio parcheggio disponibile
SPETTACOLI ORE 21; DOMENICA ORE 17:30
Per informazioni e prenotazioni:
Telefono 062010579 (dalle 10:30 alle 19:30)
Messaggi whatsapp 3920650683 promozione@teatrotorbellamonaca.it
Botteghino: dal martedì alla domenica dalle 10,30 alle 21,30
www.teatrotorbellamonaca.it – www.teatriincomune.roma.it
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ridotto 10,00 Euro
giovani 8,00 Euro
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Pescara-“Ines e le altre” al Museo delle Genti d’Abruzzo la mostra di Primarosa Cesarini Sforza-
Pescara, 25 febbraio 2025- Al Museo delle Genti d’Abruzzo la mostra di Primarosa Cesarini Sforza.Le sue dimensioni sono il segno e il tempo, combinate in un percorso che diventa emozione, racconto, visione. Sarà inaugurata sabato 1 marzo, alle ore 18, nelle sale del Museo delle Genti d’Abruzzo ,la personale dell’artista Primarosa Cesarini Sforza “Ines e le altre”, curata da Mariano Cipollini.
Un viaggio in un universo creativo che si rigenera attraverso l’utilizzo di tecniche originali e raffinate, materiali evocativi, espressione di una sensibilità che non mantiene il ricordo come citazione retorica, ma lo acquisisce come elemento di un presente in continua evoluzione.
Museo delle Genti d’Abruzzo la mostra di Primarosa Cesarini Sforza
“La memoria, sicuramente presente nelle sue opere – sottolinea infatti nelle note critiche il curatore Mariano Cipollini – non ha né valenza archeologica, né assume struttura cronologica portante. In buona parte resta depositaria di un’iconografia efficace, necessaria quanto variabile, parallela al quotidiano, espressamente correlata al gesto creativo e svincolata dalla retorica della nostalgia.
Una storia iniziatica, un vero imprinting che ne ha favorito l’utilizzo a piacimento, in un tempo modificabile e funzionale alle sue esigenze.
Esperienze accordate con le sue sensibilità e le sue richieste. Con i tempi che, fin dagli esordi, scanditi dall’alternanza della luce e del buio, dai giochi favoriti dagli sguardi semplici e benevoli delle adulte, ne hanno amplificati i contenuti e costruito il bagaglio conoscitivo.”
Le opere sono il frutto di una ricerca artistica che guarda alla comunicazione con chi guarda attraverso un linguaggio capace di trasmettere un messaggio essenziale, facilmente comprensibile, una sorta di porta che favorisce lo scambio di conoscenze, che si incontrano per comprendere ed essere comprese.
Mariano Cipollini -Testo critico -Ines e le altre
La memoria è lo spazio virtuale tra i più fecondi nel quale operare il recupero di temi essenziali per costruire un esaustivo percorso d’arte, e non solo.
Il ricordo, sicuramente fonte inesauribile di argomenti, a volte, può rigenerarsi e trovare applicazioni insolite che danno ampio spazio alle considerazioni.
Nel caso di Primarosa Cesarini Sforza, si configura come un tassello necessario ma non prioritario, tanto da non rappresentare il punto focale per operare in seno alle arti visive.
Tale opinione, in apparenza discordante con la corposa documentazione critica che accompagna il lavoro dell’artista, nasce da alcune personali riflessioni.
Osservazioni che mi consentono di ipotizzare una collocazione non comune del ricordo, e un differente sistema applicativo all’interno del percorso artistico e personale.
La forza interventista della sua personalità, combinata a una relazione preponderante tra l’osservazione e il saper cogliere le versatilità potenziali dell’osservato, le consente di concepire l’accoglienza, nel senso più vasto del termine: punto d’incontro delle sue esperienze, luogo tanto virtuale quanto geografico, pronto a modificare nella sostanza il processo relazionale tra le conoscenze e il tempo che le distanzia.
Museo delle Genti d’Abruzzo la mostra di Primarosa Cesarini Sforza
Prerogativa insolita quanto fortuita, nella quale far convergere le innumerevoli annotazioni per costruire il collegamento risolutivo tra la donna e l’artista.
Ambito che amalgama le peculiarità in cui il tempo ha valore sommatorio e non sedimentante all’interno di un programma di vita, che diventa luogo deputato nel quale far convergere gli interessi essenziali del suo far arte.
Un corpo unico che le consente di accostarsi al cenacolo artistico con una visione possibilista e prendere in considerazione una quantità vasta di argomenti.
Temi che vanno a soddisfare sia il processo creativo, sia la struttura portante del pensiero che ne è il motore.
Osservando i suoi lavori, più che riferirsi a un recupero di storie o emozioni derivanti in buona parte dal passato, penso, piuttosto, che si possa parlare di trascrizioni a getto continuo, generate da una singolare struttura pensante, ben modellate da un’ infanzia formativa trascorsa positivamente.
Una risultante tra la sua essenza priva di condizionamenti e una libertà, o vita liberamente condotta, in una natura benigna che l’ha accolta, un regalo casuale dettato dalle circostanze.
Coincidenze formative che le hanno consentito e le consentono ancora di esprimersi attraverso uno stato di fatto determinato e libertario, in un tempo disposto a duplicare un alto numero di variabili che restano costanti, alternabili ed esentate dall’essere archiviate.
Le stesse collegate a un’affettività ad ampio raggio, in cui la memoria ne rigenera continuamente la figurazione, senza un prima o un poi.
Variabili che hanno fatto dell’addizione una costante narrativa.
Una sommatoria di esperienze e sperimentazioni in cui l’accumulo è trascrizione continua dei temi d’elezione. Sovrapposizione di argomenti utilizzabili all’occasione nel tempo.
Da qui la considerazione che la memoria, sicuramente presente nelle sue opere, non ha né valenza archeologica, né assume struttura cronologica portante. In buona parte resta depositaria di un’iconografia efficace, necessaria quanto variabile, parallela al quotidiano, espressamente correlata al gesto creativo e svincolata dalla retorica della nostalgia.
Una storia iniziatica, un vero imprinting che ne ha favorito l’utilizzo a piacimento, in un tempo modificabile e funzionale alle sue esigenze.
Esperienze accordate con le sue sensibilità e le sue richieste. Con i tempi che, fin dagli esordi, scanditi dall’alternanza della luce e del buio, dai giochi favoriti dagli sguardi semplici e benevoli delle adulte, ne hanno amplificati i contenuti e costruito il bagaglio conoscitivo.
Esperienze che, stimolate da una trasgressività benigna, qualità innata nella bambina e sviluppatasi poi nella donna, hanno fatto di Primarosa Cesarini Sforza l’artista che è.
Quest’aspetto mi porta a concepire il suo lavoro come un corpo unico fatto di pensiero, azione ed esperienze identificative. Un risultato possibilmente frazionabile non correlato necessariamente alle sedimentazioni del ricordo.
Le sue opere sono un serio rapporto tra le inclinazioni personali, la costruzione dello spazio di appartenenza, luogo preso in prestito da un mondo o dai mondi che vivendo ha verificato e in parte contribuito a costruire e la sana follia liberatoria che le concede di sentire il canto profondo della poetica dell’essere.
Passaggi verificabili.
Nei suoi lavori, tutto il “precedente” è continua presenza. Uno stato di fatto costante e ripetibile.
Una ramificazione che esalta le connessioni con il presente e le diverse interpretazioni che il sociale – collettività in modificazione – le consente di apportare in progressione.
Esperienze da annoverare come processo continuo generato dalla conoscenza, in cui la sedimentazione è addizione continua, non a esclusivo appannaggio della memoria.
Bagaglio il cui peso volatile non richiede di essere trascinato. Contenitore dilatabile in evoluzione, in cui il divenire è già passato prossimo è disponibile futuro a discapito della consecuzione cronologica del vissuto.
Visione possibilista che non depotenzia o sminuisce lo spessore artistico parco di legami esclusivamente temporali, tutto è un processo immune da confronti e affiliabili similitudini.
L’affettività rivolta al mondo circostante, composta da tutti gli elementi che ci segnala, evidenzia una coralità che non prevede primogeniture.
Un aspetto che le permette di considerare le affinità elettive e i temi d’elezione sullo stesso piano, liberandosi in tal modo da ogni dipendenza eventuale.
La benefica anarchia derivante non le consente di aderire a un momentaneo o definitivo movimento artistico che la metterebbe di fatto in una condizione subordinata che ne ridurrebbe lo spazio d’azione.
Adesioni non indispensabili in quanto non rispondenti a tutto quello da lei tutelato e promosso nel tempo.
Le installazioni che presenta sono un accostarsi ai movimenti delle “libere avanguardie”, senza necessitare di particolari etichette e scevre dall’essere autoreferenziali. Come i libri d’artista che incidono profondamente sulla costruzione avanzata di linguaggi differenziati, presi in prestito da altre discipline e rimodulate per l’occasione.
Stralci di partiture musicali, ritagli di carte variegate, scritti, disegni, tutto quello che ritiene indispensabile entra nel suo universo.
Energiche cuciture interattive.
Collegano archetipi differenziati, programmano esperienze visive, tattili e narrative rispondenti a una comunicazione trasversale della sua politica: “sottili” profili testamentari.
Resetta le singole letture, progetta interconnessioni che, partendo dal particolare, articolano un fonema promotore di evolute architetture linguistiche, le cui figurazioni generano pagine dalle collaudabili valenze iconiche.
Nella sua lunga e corposa esperienza artistica lo sguardo è il suo mentore e le empatie che ne derivano sono subordinate al qui e ora, noncuranti del pensiero altrui.
Materiali disparati, metalli, terrecotte, corde e feticci tribali, concorrono a ridisegnare condizioni esistenziali, sociali e politiche. Ogni singolo elemento può anche essere citazione dalla valenza puramente colloquiale.
L’insieme che costruisce è aderenza al presente, elemento di congiunzione tra le mancanze che rileva e il suo intuire, soluzioni probabili, non necessariamente risolutive.
Il segno continua ancora oggi a contenere la sua storia. Non ha mai smesso di assumere sembianze differenti pur di accordare loro i giusti riferimenti narrativi.
Fatto di grafite o inchiostro, colore o tracciato di funi, fili, ombre proiettate e proiettabili, attraverso congiunzioni di materiali differenti è un rinnovato vocabolario, perenne tramite che la collega a noi e alle nostre esperienze visive e cognitive.
Vero e proprio filo.
Tessuto o intrecciato, costruisce la struttura dell’impianto compositivo.
“Dimensioni”, tecniche miste, nel cui interno convergono apporti tecnici differenti finalizzati alla trascrizione della relazione parentale che la lega a una natura che è “Casa”.
Impianto scenico cristallizzato che sancisce un tacito accordo tra una collaudata manualità e una figurazione onirica tanto benefica quanto evocatrice. Rivincita di un manufatto che sdogana gesto e risultato dalla condizione iniziale legata al femminino. Amplifica la valenza universale del ricamo non più correlato a una legge unilaterale delle attitudini.
Intricati labirinti.
Micro e macrocosmi non possono che ricucire le distanze costruite dalle avidità, dalle assenze e dalle mancanze. Strappi generati dall’uomo stesso e dalle sue cadute.
L’artista evidenzia offese e danni. Ricostruisce habitat ideali esorcizzando il mal fatto.
Cerca di arginare, attraverso i suoi possibili “innesti”, recuperi in cui l’effimero è affiancato al provvisorio. L’insieme, dall’apparente fragile volatilità, riconferma la centralità di una natura pronta ancora una volta a rigenerarsi senza rancori. Primavere duplicabili, promotrici di spazi abitativi desiderabili, riconoscibili dalla collettività immersa in un paesaggio ai limiti del collasso.
Un percorso espositivo che ben si accorda alla volontà museale che accoglie i suoi lavori in un rimbalzo temporale denso di affermazioni. Una relazione espositiva fatta di reperti e opere in cui appare evidente il diverso percorso delle memorie. Il loro approdo al presente, la funzione socio-politica differenziata, assolta da analisi comparate e la strategia narrativa altamente formativa rivolta alle nuove generazioni.
Aspetti che riallineano i parallelismi tra azione, reazione e applicazione temporale delle riletture su piani disciplinari equivalenti.
“Derivati” che, nella loro complessità, attraverso la partecipazione creativa di Primarosa, trovano lo spazio per essere evidenziati, dibattuti e ludicamente goduti, attraverso un riscontro visivo aggiornato.
Opere, spazi virtuali costruiti dall’anima e con anima. Probabilmente accresciuti da quelle circostanze iniziali fatte di natura, luce e colore, dimensioni che rappresentano il suo sogno artistico e il nostro prossimo immaginario.
Offerte spontanee: gioco liberatorio e scoperta di una natura primordiale, regalatele da semplici e ignare “Signore della Terra”, hanno contribuito a determinare tutto quello che oggi ci offre.
ORVINIO SABINO -Carlo Magno e La chiesa abbaziale di Santa Maria del Piano –
Si pensa che l’origine della struttura di Santa Maria del Piano possa risalire al IX secolo, collegata ad una vittoria dell’esercito di Carlo Magno sui Saraceni nella pianura adiacente. Dopo un periodo di notevole dinamismo e operosità, quando i monaci benedettini, legati alla potente abbazia di Farfa, estendevano i loro possedimenti su diversi paesi dei dintorni, a partire dal ‘500 iniziò una lunga fase di declino e abbandono in cui il sito veniva frequentato solo per alcune celebrazioni e le consuetudini rurali.
Un uso temporaneo come cimitero durante l’800, sommato a ripetuti crolli e saccheggi che i vari restauri non sono riusciti ad arginare, hanno condotto all’aspetto attuale. Il monumento, per quanto affascinante e armonicamente inserito nel paesaggio, risulta ormai privo di molti elementi architettonici impiegati per la sua costruzione e provenienti da resti di edifici romani e medievali della zona (capitelli, stipiti, fregi, bassorilievi). E’ interessante notare come per questi materiali, che in gergo tecnico vengono definiti “di spoglio” perché derivano dallo smantellamento di qualcosa di preesistente, il destino tenda a ripetersi.
Oggi di proprietà dello Stato, fino agli anni ’70 la struttura era del Comune di Orvinio , anche se dal punto di vista amministrativo l’area ricade nel comune di Pozzaglia Sabino . In tempi remoti, fra gli abitanti di questi due paesi si sono accese diverse contese per il possesso dell’abbazia e delle sue terre.
ORVINIO SABINO-La chiesa abbaziale di Santa Maria del Piano –
ORVINIO SABINO-La chiesa abbaziale di Santa Maria del Piano –
Pillole di storia
I ruderi della chiesa di Santa Maria del Piano e dell’attiguo monastero sorgono isolati sull’altopiano semideserto che si estende tra i due Borghi di POZZAGLIA e di ORVINIO subito a ridosso dei monti sabini all’estremità sud-orientale dell’antica Diocesi di Sabina.
L’edificio presenta delle originali rispondenze di carattere ubicazionale con la chiesa di Vescovio. Infatti entrambe le costruzioni sono isolate rispetto all’agglomerato urbano più vicino sia un CASTRUM o un semplice nucleo abitativo formatosi in epoca successiva.
La chiesa abbaziale dista dal Castrum di Canemorto, oggi ORVINIO circa 4 km. E sono collegati da una carrareccia rulare semiabbandonata, e questo fatto, evidentemente poco comune per un complesso edilizio di proporzioni così rilevanti, non trova giustificazione alcuna se non nella leggenda secondo la quale la chiesa costituirebbe un gesto di ringraziamento da parte di Carlo Magno per una vittoria da lui riportata nella zona. A questo proposito negli Atti della Visita Corsini (Acta sacrae visitationisPuteale) si legge:”eam a Carlo Magno ob insignem de Longobardis victoriam aedificatam fuisse atque in gratiarum actionem Deiparae Virginis dicatum, memoriae proditum est.” Questa traduzione del 1781 , è in contrasto palese con quella riferita da altri scrittori, quali F. Fiocca, F.Palmegiani e F.Di Geso, secondo i quali la chiesa sarebbe stata edificata da Re Carlo per una vittoria riportata su saraceni “tanto da costringerli ad abbandonare la zona”.
ORVINIO SABINO-La chiesa abbaziale di Santa Maria del Piano –ORVINIO SABINO-La chiesa abbaziale di Santa Maria del Piano –ORVINIO SABINO-La chiesa abbaziale di Santa Maria del Piano –ORVINIO SABINO-La chiesa abbaziale di Santa Maria del Piano –ORVINIO SABINO-La chiesa abbaziale di Santa Maria del Piano –ORVINIO SABINO-La chiesa abbaziale di Santa Maria del Piano –ORVINIO SABINO-La chiesa abbaziale di Santa Maria del Piano –
Uno specchio si riflette nell’altro, gli occhi di lui si avvicinano
al cosmo di nuove prospettive che nascono,
come tatti dell’universo,
degli occhi che moltiplicano
il volto del vecchio.
Una bella donna lo trucca
e lui chiude le palpebre in estasi.
La sposa severa con blusa nera di seta
oppure una tanguera
di bordello.
Lei toglie le spine mortali dal suo viso,
gli mette polveri che danno trasparenza al viso totale
e risalta la vita sulle guance
e le palpebre con ogni pennellata.
Con tre zampe lui misura placidamente il suolo
che trema come un bandoneon
suonato da un ubriaco.
Allora si mette gli occhiali e vede la sfera
piena di fulgore giallastro.
La guarda e legge la propria sorte
scritta sulle striature della tigre
come un indovino maya.
Il suono smarrito dell’organetto rotto
che hanno portato i marinai
apre l’orizzonte della pampa.
Quelli che giunsero laggiù con speranza
adesso muoiono crocifissi dalla nostalgia per la patria,
abbandonati due volte dalla propria patria e dalla terra nuova,
senza tessere neppure un brandello di sogno,
vagano per il gran labirinto del tempo
e incontrano il proprio volto vero ed eterno
un secondo prima della morte.
Il poeta ha scoperto il suo destino,
il suo volto era il volto stesso della madre.
“Mamma, mamma, nella sua origine
la mia vera esistenza è solo la metà di me stesso
il resto è tuo!
Tu vivi in me mentre io mi trucco”.
Il poeta chiede al cameriere un sacchetto dalla cucina
per l’arancia e le bucce.
La gente di periferia non capisce mai
perché lui conservi tanto premurosamente questo frutto volgare.
(Traduzione di Ikuko Sagiyama)
Satoko Tamura Kawamura è nata in Giappone nel 1947. Ha seguito i corsi di Letteratura Ispanoamericana presso l’Università Nazionale Autonoma del Messico (UNAM) e di teoria dell’espressione poetica presso l’Università Complutense di Madrid, e ha conseguito il dottorato presso l’Università Ochanomizu di Tokio. Dal 1989 è stata eletta Membro Straniero dell’Accademia Cilena della Lingua. Ha pubblicato numerose raccolte poetiche e traduzioni da Naruda, Cortazar, Marquez e altri. Fra i numerosi riconoscimenti internazionali, ha ricevuto il dottorato ad honorem in lettere dalla World Academy of Arts and Culture (California, Usa).
Roma al Teatro Hallet va in scena lo spettacolo “QUINTOPIANO” diretto da Mariella Pizziconi-
Roma Debutta al Teatro Hamletdal 6 al 9 marzo, QUINTOPIANO, spettacolo scritto e diretto da Mariella Pizziconi.In un palazzo di Roma due famiglie si fanno la guerra. Capita tra vicini. Elide, la boss del quartiere e proprietaria anche di quasi tutto il caseggiato ,prova a mettere pace ; non perché sia buona ,anzi, è cattivissima, ma perché vuole stare tranquilla e riscuotere gli affitti senza problemi. Le cose si evolvono improvvisamente : esplode addirittura l’amore: una passione cieca e inaspettata che crea ancora più problemi. Ormai è un crescendo di colpi di scena. Un viavai di esseri inquieti e fuori di testa. Non finirà bene ,no, proprio no.
Roma al Teatro Hallet “QUINTOPIANO” diretto da Mariella Pizziconi
“QUINTOPIANO è uno spettacolo difficile per gli attori e per la regista” _ annota Mariella Pizziconi. “ Il copione è stato volutamente scritto così ( ne sono anche l’autrice) perché un autore ama sempre sfidarsi . Dov’è la difficoltà? È subito spiegato… I piani in discussione sono il quinto e il quarto ma, scenograficamente non sono sistemati uno sopra l’altro, bensì uno accanto all’altro, cosicché gli attori saranno costretti, quelli del quinto a guardare in giù (quando si riferiscono ai vicini di sotto) e quelli del quarto in su. Ci saranno poi dei momenti di musica operistica (Rossini e Verdi) durante i quali tutti gli attori (sette), cantando in playback si muoveranno in modo concitato avanti e indietro. La commedia è arricchita da colpi di scena veramente inaspettati ,il finale toglie il fiato. Gli attori, straordinari, sono stati scelti in modo oculato.”
Rita Pasqualoni , Romano Talevi , Simona Ciammaruconi , Maurizio Greco , Rita Gianini , Andrea Scaramuzza , Gabriele Perfumo
QUINTOPIANO
Storia di follia scritta e diretta da Mariella Pizziconi
Con Maurizio Greco, Simona Ciammaruconi, Rita Pasqualoni, Romano Talevi, Rita Gianini, Andrea Scaramuzza, Gabriele Perfumo
Aiuto Regia Serena Canali
Abiti Pizzuti Boutique
DAL 6 AL 9 MARZO
TEATRO HAMLET- ROMA
da sinistra Rita Pasqualoni , Simona Ciammaruconi e Rita GianiniSimona Ciammaruconi-Maurizio Greco-Attori
Orario Spettacoli
Da giovedì a sabato ore 21
Domenica ore 18
TEATRO HAMLET_ Via Alberto da Giussano 13, Roma (Pigneto)
“Siamo fatti della stessa sostanza dei Sogni”
W. Shakespeare
Sotto la Direzione Artistica di Gina Merulla nasce “Teatro Hamlet APS” che si propone di promuovere l’Arte e la Cultura, di diventare importante punto di riferimento per il territorio romano, di “parlare” tanto alla Mente quanto al Cuore della gente.
Dopo un’importtante ristrutturazione recentemente è stato inaugurato il nuovo Spazio Polifunzionale attrezzato per il Teatro, la Danza, la Musica.
E’ nostra intenzione, da fedeli servi dell’Arte, far vivere a questo spazio mille vite diverse.
SPETTACOLO
Primo e fondamentale aspetto è la dimensione Spettacolo. Il palcoscenico.. le luci.. l’odore.. i suoni.. la magia..
Attraverso la promozione di una programmazione teatrale innovativa e variegata ci proponiamo di offrire ai nostri soci stimoli ed emozioni sempre nuovi. E’ nostra intenzione proporre spettacoli sempre nuovi che esplorino tutti i generi e tutte le forme teatrali al fine incentivare i fruitori a guardare tutto il teatro, non solo ciò a cui sono abituati. La programmazone prevedrà quindi spettacoli drammatici e commedia brillante, grandi classici e nuova drammaturgia, artisti affermati e giovani compagnie.
Fuori Cartellone ancora teatro, spettacoli musicali e danza per promuovere l’Arte in tutte le sue forme.
“Il mondo intero è un palcoscenico”
W. Shakespeare
COMPAGNIA
La Compagnia “ Teatro Hamlet ” nasce dall’esigenza più antica e profonda dell’uomo di esplorare il proprio mondo interiore, di emozionarsi, di emozionare.
Il nostro principale intento è quello di intraprendere un nuovo percorso denso e significativo che sia al tempo stesso incontro, viaggio, ricerca.. Affinché l’Arte da effimera e priva di materia possa diventare Viva..
“Nel Teatro si vive sul serio quello che gli altri recitano male nella vita.”
E. De Filippo
FORMAZIONE
Con un approccio teorico-pratico ricco di esperienze legate al palcoscenico la formazione si apre a tutti con l’organizzazione di corsi di teatro, musica e danza per bambini, ragazzi e adulti.
Ci proponiamo inoltre di essere Centro di ricerca per per chiunque voglia completare, aggiornare e arricchire la propria preparazione, proponendo incontri, stage, seminari e workshops.
“Quanto più ci innalziamo tanto più piccoli sembriamo
a coloro che non possono volare.”
F. Nietzsche
PRODUZIONI
L’Associazione si occupa di valutare, selezionare e sostenere economicamente progetti nuovi e interessanti che rappresentino innovazione e crescita poiché è nostra convinzione che è indispensabile chi fa arte ma anche chi la sostiene.
“La cultura non è un lusso ma una necessità”
G. Xingjjan
EVENTI
Concerti, Concorsi, Manifestazioni, Rassegne, Conferenze, Festival, Presentazioni letterarie, Mostre e tanto altro poiché..
“Non esiste emozione che non vale la pena di essere vissuta.”
O. Wilde
Fulvio Ferrario-Gli scritti dal carcere di Bonhoeffer-Editore Claudiana
Descrizione del libro di Fulvio Ferrario–Resistenza e resa si può leggere e amare senza alcuna introduzione: così hanno fatto milioni di uomini e donne, compreso, per un tempo, l’autore di questo libro. Di solito, però, chi lo legge vuole saperne, e capirne, di più. Questa è una guida, una parafrasi, un inquadramento e, da ultimo, un tentativo di commento. L’intento è solo, ancora una volta, quello di ascoltare Bonhoeffer, ma possibilmente ascoltarlo bene. Dopo una ventina d’anni di letture bonhoefferiane, chi lo ha scritto è convinto che ne valga la pena.
Fulvio Ferrario-Gli scritti dal carcere di Bonhoeffer-
«Resistenza e resa è uno dei libri più importanti del xx secolo. Non è solo un testo di teologia: forse, anzi, non è nemmeno anzitutto questo. Eppure la teologia del Novecento sarebbe molto diversa senza questo libro. Non è solo un testo di spiritualità: ma è una delle più significative testimonianze spirituali di tutta la storia del cristianesimo. Essa è anzitutto autobiografica: ma in poche testimonianze personali come in questa, Dio e il mondo, la storia e la politica, l’arte e la cultura, la vita e la morte, vengono a parola».
Fulvio Ferrario
Fulvio Ferrario
Biografia di Fulvio Ferrario è pastore valdese e ordinario di Dogmatica e discipline affini presso la Facoltà valdese di Teologia di Roma; è professore invitato presso l’Istituto di Studi Ecumenici S. Bernardino di Venezia e la Facoltà Teologica Marianum di Roma.Tra le sue pubblicazioni su Dietrich Bonhoeffer ricordiamo: D. Bonhoeffer, Viaggio in Italia (a cura di F. Ferrario e M. Kromer), Claudiana, 2010; Bonhoeffer, Carocci, 2014; L’Etica di Bonhoeffer. Una guida alla lettura, Claudiana, 2018.
Indice testuale
Premessa
1.Dalla cospirazione al carcere
1. Il cerchio si stringe
2. Manfred Roeder
3. L’arresto e gli interrogatori
4. «Chi sono?» L’impatto con il carcere
5. Fasi
2.La spiritualità di Tegel
1. Disciplina
2. La Scrittura
3. La preghiera
4. Paul Gerhardt, la Provvidenza, la teologia della musica
5. L’anno liturgico
6. Antico Testamento
3.Maria von Wedemeyer
1. Profonda Prussia
2. Genesi di un amore
3. La predica matrimoniale dal carcere
4. Fidanzamento epistolare
5. Crisi
4.Non solo lettere
1. Che cosa significa dire la verità?
2. Bonhoeffer e la dimensione letteraria
3. Witiko 4. Dramma e romanzo
5. Il caporale Berg
5.La teologia di Tegel: genesi e orizzonte
1. La fine della religione
2. Pregare e fare ciò che è giusto fra gli uomini (e le donne…)
3. Il «Dio tappabuchi» e il «mondo adulto»
4. L’ánthropos téleios 5. Cristianesimo inconsapevole
6.Mondo adulto e teologia della croce
1. «Ora è completamente finita»
2. Genealogia della modernità
3. La forza del Dio debole
4. 21 luglio
5. Progetto per uno studio
7.L’inizio della vita
1. Prinz Albrecht Strasse, 8
2. Da Buchenwald a Schönberg
3. La decisione di Hitler
4. Flossenbürg
5. La strage impunita
8.Vicende di un classico
1. La memoria vivente
2. Bonhoeffer nella Germania Est
3. Bonhoeffer nel mondo anglosassone
4. Due pilastri della ricezione
5. Il gruppo di Heidelberg
6. Il Bonhoeffer «politico»
7. La prospettiva «post-Olocausto»
8. In Italia
EXCURSUS
Excursus 1. Bonhoeffer, Barth e il «positivismo della rivelazione»
Excursus 2. Bonhoeffer e Bultmann
Excursus 3. Stazioni sulla via della libertà
Excursus 4. Bonhoeffer e la theologia crucis Excursus 5. Potenze buone
Cristina Mandosi-I paramenti liturgici dell’Abbazia di Farfa
Libreria Editrice Vaticana
Descrizione-Il Dipartimento dei Beni Culturali della Chiesa della Pontificia Università Gregoriana ha realizzato nel 2009 un progetto di inventariazione dei paramenti sacri dell’Abbazia di Farfa (sita nel comune di Fara Sabina, in provincia di Rieti), ponendosi l’obiettivo di valorizzare, nell’ambito di uno studio scientifico, un importante patrimonio storico, culturale e religioso.Il volume illustra dunque i paramenti inventariati, facendo cenno all’arte tessile e al linguaggio dei colori liturgici, e fornisce anche una descrizione della Chiesa abbaziale e della storia farfense.Il testo è inoltre corredato dalle foto della Chiesa e di alcuni dei paramenti conservati nell’Abbazia.Uno studio di sicuro interesse per gli appassionati di storia della Chiesa.
Alcuni dei paramenti liturgici sono nei colori liturgici del periodo dell’anno liturgico o della particolare celebrazione.
Il termine “paramento liturgico” è riservato ai particolari tipi di abbigliamento propri della liturgia, benché in essa si adoperino anche altri abiti particolari che usano il clero (diaconi, presbiteri, vescovi) o i religiosi fuori dalla liturgia per sottolineare il loro particolare stato.
Nei secoli VIII e IX incominciò a introdursi una varietà di colori al posto dell’unico colore bianco.
cotta: è di colore bianco e viene indossata sulla veste talare, come abito corale o per azioni liturgiche al di fuori della messa, eventualmente insieme alla stola;
rocchetto: è una sopravveste bianca, solitamente di lino, con maniche strette e lunga fino a mezza gamba; simile alla cotta, è proprio dei prelati;
dalmatica: è del colore liturgico del giorno; è indossata dal diacono come abito proprio e nei pontificali dal vescovo sotto la casula o pianeta ad indicare la pienezza del sacerdozio;
berretta o tricorno, di vari colori e fogge, a seconda del grado gerarchico o famiglia religiosa di appartenenza;
piviale: è del colore liturgico del giorno; è indossato per le celebrazioni diverse dalla Messa (nel rito ambrosiano anche dai lettori in alcune messe solenni);
Alcuni dei paramenti elencati di seguito sono stati aboliti o resi facoltativi o semplicemente caduti in disuso:
tunicella: del colore liturgico del giorno; indossata in passato anche dal suddiacono;
chiroteche: sono particolari guanti, indossati dai vescovi, dai cardinali e dal papa;
falda papale: camice con lunga falda indossato in tempi passati dal papa durante le celebrazioni;
fanone papale: di forma circolare, tessuto in duplice strato, di uso omerale sulla pianeta o casula, cucito di strisce color bianco, oro e rosso, usato dal papa nelle solenni celebrazioni;
manipolo: del colore liturgico del giorno (nella messa tridentina);
Esistono inoltre indumenti ecclesiastici, che vengono utilizzati anche al di fuori delle celebrazioni liturgiche, come l’abito talare e lo zucchetto, mentre altri tipi di abbigliamento ecclesiastico come la greca, il mantello, il tabarro, il ferraiolo ed il ferraiolone, (che sono soprabiti) o il cappello romano (detto anche saturno), che si indossano sopra la veste talare, non sono mai usati nella liturgia.
Fara in Sabina al Teatro Potlach va in scena “AMORE COINTESTATO”
Fara in Sabina (Rieti)- va in scena al TeatroPotlach“AMORE COINTESTATO” di e con Enoch Marrella, e con Giulia Salvarani-Una insolubile storia d’amore, ambientata in un ipotetico futuro prossimo, tra un intellettuale di origini benestanti che vive in prima periferia – e nella vita non guadagna nulla – e una ragazza di estrema periferia che dalla vita ha tutto da guadagnare. Accanto ai due protagonisti in carne e ossa al Teatro Potlach , Enoch Marrella e Giulia Salvarani, i puppets virtuali generati dal visual designer Andrea Romoli con programmi AI, che entrano nel dialogo creando un’atmosfera distopico–futuristica. A comporre la scena sono le luci di Gianni Staropoli e le opere scultoree dell’artista Aleksandar Stamenov della serie “Antemetica/metafisica dell’informazione”, appositamente commissionate per questa nuova produzione, e il suono di Gabriele Silvestri.
Si parla di amore romantico, delusione delle aspettative, violenza domestica, scontri fra classi, shock culturali e atti psicomagici, in un’opera che segue la struttura dell’in-yer-face theatre, in cui il pubblico diventa interlocutore diretto dei crudi argomenti trattati.
Teatro Potlach va in scena “AMORE COINTESTATO” di e con Enoch Marrella e con Giulia Salvarani
Enoch Marrella (classe 1980) è vincitore del premio Made in Marche (2013) con lo spettacolo Cuoredebole e finalista al Premio Tuttoteatro.com alle arti sceniche Dante Cappelletti (2014) con lo spettacolo Nell’oceano il mondo. È vincitore del Premio Tuttoteatro.com alle arti sceniche Dante Cappelletti (2021) con lo spettacolo Tecnicismi&Baldoria. Nel 2020 dà vita a un progetto crossmediale di rivalutazione del patrimonio petroliniano dal titolo Petrolini Infinito. Nel 2023 presenta lo spettacolo All You Can VAX, un viaggio in tre episodi nei migliori hub vaccinali della capitale. Nel 2024 realizza il nuovo progetto La corazza emotiva – Primo movimento / Amore cointestato prodotto da Tuttoteatro.com con il contributo di Regione Lazio – Spettacolo dal Vivo.
Sabato 1 Marzo alle ore 21.00 al Teatro Potlach di Fara Sabina
“AMORE COINTESTATO” – di e con Enoch Marrella, e con Giulia Salvarani
VISUAL Andrea Romoli
ARTWORK Aleksandar Stamenov
SOUND DESIGN Gabriele Silvestri
LUCI Gianni Staropoli
COSTUMI Marta Montevecchi COORDINAMENTO Maria Federica Bianchi
VIDEO Daniele Parisi e Dario Tacconelli
CON (in video): Italo Amerighi, Nicoló Ayroldi, Valerio De Rose, Luca Di Capua, Francesco Lai, Laura Marcucci, Francesca Romagnoli, Beatrice Simonetti
Giulia Salvarani Prova di ‘ Amore Contestato ‘ –
Teatro Potlach va in scena “AMORE COINTESTATO” di e con Enoch Marrella e con Giulia Salvarani
Teatro Potlach va in scena “AMORE COINTESTATO” di e con Enoch Marrella e con Giulia Salvarani
Biglietto: 10 €
Info e prenotazioni scrivendo SMS o WhatsApp al numero del Teatro Potlach: 351.7954176
CLICCA QUI per scoprire tutta la Stagione di Teatro di Teatro Contemporaneo 2025
TEATRO POTLACH via Santa Maria in Castello n. 28, Fara in Sabina (RI)
Il Teatro Potlach è stato fondato nel 1976 da Pino Di Buduo e Daniela Regnoli. Nel 1979 l’attrice svizzera Nathalie Mentha si unisce al gruppo è da allora i tre costituiscono il gruppo fisso del Teatro Potlach.
L’identità artistica del Potlach si è espressa contemporaneamente nella produzione di spettacoli di sala e di spettacoli di strada, e nell’attivazione di iniziative pedagogiche che hanno coinvolto l’insieme delle tecniche espressive e performative, in un continuo scambio di intenti e di strumenti con gruppi nazionali e internazionali, alla ricerca di un profilo professionale capace di offrire spettacolo ad ogni tipo di pubblico.
Fara in Sabina (Rieti)
The Potlach Theatre is located in Fara Sabina, a Medieval village 60 km from Rome. He is defined as a centre of applied theatrical sciences in the field of theatre research, formation, experimentation and international circulation of interdisciplinary artistic projects. It is part of ACCR since 2003.
A PLACE OF CULTURAL HERITAGE
The theatre’s headquarters are within the walls of what used to be the Monastery Santa Maria del Soccorso. Part of the building, which was abandoned at the time, was given to the Potlach Theatre in 1976 by the municipality of Fara in Sabina to establish its theatre.
The building was part of an ancient castle whose origins are lost in the early Middle Ages. Demolished and rebuilt several times through the centuries, it achieved a relative stability in the fifteenth century, when it became the house of the commendatory abbot of Farfa, and then of the noble families Orsini, Farnese, Della Rovere, Savelli, Colonna, Perretti, Barberini.
In the seventeenth century, cardinal Francesco Barberini, Pope Urbano VIII’s grandson, rearranged the complex of buildings of the fortress, dividing them into two spaces: the Monastery Santa Maria del Soccorso, according to the people of Fara Sabina’s wishes, and the Monastery of the Hermit Poor Clares, according to the cardinal Francesco Barberini wishes, still consacrated today.
With the unification of Italy in 1861, several properties of the Church became public properties, and the Monastery Santa Maria del Soccorso was among those: it became the Fara in Sabina City Hall’s headquarters. Through the years, the former Monastery hosted the city’s band, a cinema, the recreational club’s headquarters and finally it was abandoned.
In 1976, these spaces were entrusted to Teatro Potlach, founded by Pino Di Buduo and Daniela Regnoli in Fara Sabina. In 1979, the Swiss actress Nathalie Mentha joins the group, and since then these three people are the permanent core of Teatro Potlach.
In 2006 Teatro Potlach refurbished the former Monastery with its own private money. Since then, its spaces are: two theatre halls, a multifunctional room, a rehearsal room, six offices / dressing rooms, a garden with a small stage, a courtyard, a costume workshop, warehouses, a guest house with 9 rooms and 22 beds, a kitchen.
THE CULTURAL PROJECT
Teatro Potlach’s cultural project expresses itself on two different roads at the same time: on one hand the local activity of circulation and production of performances, of formation and pedagogy, of artists’ residencies; on the other hand, the national and international activity with interdisciplinary artistic site specific projects on different themes (environment, architecture, fine arts, science, literature and so on).
Our cultural centre’s goals are:
– To create cultural events of the highest quality, capable of presenting the most fertile inspirations from the international theatrical landscape, through the circulation and mobility of the artists;
– To propose high quality performances, according to an intercultural logic and aimed to the local cultural growth;
– To facilitate the meeting with the new languages of performance and the multidisciplinary tools, organising workshops, lessons and meetings with artists and personalities of national and international levels;
– To facilitate the formation of a new audience and the promotion, through art, of the artistic, architectural, environmental, cultural excellences of the territory;
– To redevolop and promote our territory’s identity, in order to make the inhabitants themselves aware of the richness of their own artistic and cultural heritage, which sometimes is forgotten.
ACTIVITIES AND ACTIONS
Throughout the whole year, Teatro Potlach hosts many different activities:
– Theatre seasons for children and adults;
– International festivals;
– Professional training courses (individual or collective courses within the School of Arts and Professions of the Performance);
– Residencies for single artists (writers, actors, dancers, researchers, directors) or groups (theatre groups, dance groups, visual and digital arts groups);
– Theatrical projects oriented towards dialogue and intercultural reception, with groups of refugees, elders, disabled people, young people with school problems;
– Historical and artistic guided tours of the premises, organised in special occasions like special dates and anniversaries, which we are developing.
The strong point of our activity is FLIPT – Intercultural Workshop Festival of Theatre Practices, between East and West, which we organise since 2000 in our premises and in the whole village of Fara in Sabina(see photo) every year; a rich cultural and interdisciplinary event lasting three weeks between June and July.
This Festival is organised in tight cooperation with the local businesses and touristic promoters, who help us with some logistic aspects like board and lodging, transportation and other technical needs.
In fact, many artists, artistic groups, dance groups, students, young video artists, academics are invited to the Festival. During the day, they attend the workshops, held by the hosted masters, about Western and Eastern theatrical practices (Commedia dell’Arte, Japanese dance kamigata-mai, storytelling techniques, Indian singing and dancing Baul, corporeal mime, directing techniques and so on), while in the evening they attend the performances by the international companies.
Moreover, during the Festival many collective site specific performances are created, with all the paricipants contributing, coordinated by Pino Di Buduo and by Teatro Potlach’s pedagogues.
Franco Leggeri Fotoreportage-Roma Gianicolo- Monumento a Giuseppe Garibaldi-
Franco Leggeri Fotoreportage-GIUSEPPE GARIBALDI- monumento al Gianicolo -ROMA
ROMA- Articolo del Dott.Paolo TAFFONI-Franco Leggeri Fotoreportage-Roma Gianicolo- Monumento a Giuseppe Garibaldi-Fu proprio col decreto reale del 3 giugno 1882, giorno successivo alla morte di Giuseppe Garibaldi, che veniva stabilito di erigere un monumento in suo onore. La scelta del luogo cadde sul Gianicolo, dove ancora vivo era il ricordo dell’epopea garibaldina dei giorni dell’effimera Repubblica Romana. Dal decreto si passò, l’anno successivo, al bando del concorso pubblico e prese vita, con De Pretis alla Presidenza, la commissione composta da artisti, deputati, senatori e dal sindaco di Roma Leopoldo Torlonia. Nel bando del concorso veniva indicato il luogo preciso del Gianicolo in quanto la commissione sentiva il dovere di fornire al concorrente tutti gli elementi necessari allo studio dell’opera da erigere e dello spazio a disposizione. A tal proposito, giustamente scriveva l’architetto Camillo Boito, membro della commissione: “La massa del monumento, la stessa sua composizione, la scelta dei materiali, la grandezza e lavoratura dei particolari, dipendono in parte dalle condizioni anche secondarie del luogo”. Così, dopo attento esame, fu scelta la zona di proprietà dei Wedekind, il punto più alto di Roma, sopra il giardino di S. Pietro in Montorio, luogo particolarmente eccellente e idoneo alla rievocazione dei tragici gloriosi momenti della difesa di Roma.
Franco Leggeri Fotoreportage-Giuseppe GARIBALDI- monumento al Gianicolo -ROMA
ROMA- Gianicolo- Monumento a GIUSEPPE GARIBALDI
Franco Leggeri Fotoreportage-GIUSEPPE GARIBALDI- monumento al Gianicolo -ROMA
Quindi le preferenze andarono al modello di Emilio Gallori, ispirato a monumenti equestri rinascimentali e in obbedienza al gusto del momento.
Nel bozzetto la statua equestre, esprimente eleganza, quiete, gentilezza, era poggiata su un basamento di granito che recava sui fianchi le figure allegoriche dell’Europa e dell’America, oltre ai bassorilievi recanti lo sbarco a Marsala e la resistenza di Boiada. La difesa di Roma e il gruppo della libertà apparivano rispettivamente nelle parti anteriore e posteriore. Lo stesso Gallori, per chiarire i motivi che lo avevano ispirato nella realizzazione del proprio progetto, così si espresse: “Nella figura equestre ho cercato di imprimere quella serenità e quella calma, che non possono discompagnarsi da una figura come quella di Garibaldi, generoso, filosofo, sempre umanitario”. Inoltre il momento storico richiedeva la celebrazione di un Garibaldi non guerrigliero e rivoluzionario, ma un condottiero virtuoso e accorto, sostenitore della pace mondiali.
Franco Leggeri Fotoreportage-GIUSEPPE GARIBALDI- monumento al Gianicolo -ROMA
Franco Leggeri Fotoreportage-GIUSEPPE GARIBALDI- monumento al Gianicolo -ROMA
Franco Leggeri Fotoreportage-GIUSEPPE GARIBALDI- monumento al Gianicolo -ROMA
Si giunge al momento solenne dell’inaugurazione, fissata nel programma del Municipio per il 21 settembre 1895, ma anticipata al 20, in occasione del venticinquesimo anniversario della breccia di Porta Pia. La celebrazione sul Gianicolo fu senz’altro la più importante e raccolse intorno al monumento oltre 30.000 invitati giunti da ogni parte d’Italia, o meglio, da quelle province e da quei comuni che deliberarono la propria partecipazione, aderendo alla richiesta del governo e superando ogni ostacolo di carattere polemico oltre che politico. E non basta. Già il 16 luglio 1895, quasi alla vigilia dell’inaugurazione, si rendevano palesi le angustie in cui versava il “Comitato Generale per solennizzare il XXV anniversario della liberazione di Roma”. Proprio in quella data Menotti Garibaldi, primogenito dell’eroe e presidente della commissione esecutiva, faceva presente a Crispi che, secondo quanto rilevato dai membri della commissione finanziaria dello stesso comitato, il programma predisposto non sarebbe mai giunto a concreta realizzazione se il governo non fosse intervenuto con un impegno di 100.000 lire. Un rifiuto a tale richiesta avrebbe portato a irrevocabili dimissioni. E le dimissioni ci furono. Le comunicò il 24 luglio lo stesso sindaco di Roma, Emanuele Ruspoli.
Franco Leggeri Fotoreportage-GIUSEPPE GARIBALDI- monumento al Gianicolo -ROMA
Fu una presa di posizione molto grave che si ripercosse sulla stessa inaugurazione. Infatti tutti i membri della famiglia Garibaldi si rifiutarono di presenziare alla cerimonia e furono concordi nel declinare l’invito ufficiale, adducendo scuse di varia natura. Tuttavia alle 11 di quell’agitato 20 settembre cadde il telo che nascondeva il maestoso monumento costato complessivamente 1.200.000 lire, di cui 1.000.000 messo a disposizione dallo Stato. per il resto contribuirono i cittadini e le diverse rappresentanze. Dall’altezza di 22 metri Garibaldi appare avvolto nel poncho tradizionale e lascia trasparire dall’atteggiamento quieto e sereno e dallo sguardo ammonitore rivolto verso i monti Parioli, tutta la dolcezza e fierezza del suo volto. Sotto di lui lo stesso cavallo semplice e grandioso completa a meraviglia la solennità del monumento. La rigidità della posizione sta ad indicare il riposo fiero dopo la conquista.
Franco Leggeri Fotoreportage-GIUSEPPE GARIBALDI- monumento al Gianicolo -ROMA
ROMA- Gianicolo- Monumento a GIUSEPPE GARIBALDI GIUSEPPE GARIBALDI
Franco Leggeri Fotoreportage-GIUSEPPE GARIBALDI- monumento al Gianicolo -ROMA
Sui gradini a destra del basamento giaceva una grande ed artistica corona di bronzo, opera di Ettore Ferrari, per ricordare ai posteri che Garibaldi fu il primo illustre Gran Maestro della Massoneria italiana. Ma nel 1925 la corona fu trafugata per sostituire i simboli massonici con quelli fascisti e la prima epigrafe con la seguente: “La Massoneria pose, il Fascismo rettificò. Al Duce delle Camicie Rosse – le Camice Nere trasteverine”.
Franco Leggeri Fotoreportage-GIUSEPPE GARIBALDI- monumento al Gianicolo -ROMA
Franco Leggeri Fotoreportage-GIUSEPPE GARIBALDI- monumento al Gianicolo -ROMA
Franco Leggeri Fotoreportage-GIUSEPPE GARIBALDI- monumento al Gianicolo -ROMA
Dopo il 25 luglio 1943 i simboli fascisti furono rimossi e la corona, a liberazione avvenuta, finì prima nei magazzini di Porta S. Pancrazio e poi in quelli comunali del Teatro di Marcello.
Secondo quanto è possibile sapere, la grande corona del 1895 non è più tornata sul Gianicolo. Il suo posto fu occupato nel 1907 da un’altra corona di bronzo recante i simboli massonici e la scritta:
AL GRAN MAESTRO
GIUSEPPE GARIBALDI
NEL CENTENARIO DELLA
SUA NASCITA
LA MASSONERIA ITALIANA
A.N. MMDCLX A.V.C.
l’opera è da attribuire al Ferrari che, ugualmente a Garibaldi, fu Gran Maestro della Massoneria e come tale amava datare i propri lavori secondo l’uso ufficiale massonico; per cui A.V.C. vuole significare Anno Verae Creationis, ossia 5000 anni prima dell’Era volgare.
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