Roma al Teatro Lo Spazio torna in scena “LA FIGLIA DI KIOTO ZHANG”la black comedy scritta e diretta da Massimo Odierna-
al Teatro Lo Spazio torna in scena “LA FIGLIA DI KIOTO ZHANG”
Roma-Dal 29 aprile al 4 maggio, escluso il 1 maggio 2025, torna in scena al Teatro Lo Spazio di Roma, LA FIGLIA DI KIOTO ZHANG, la black comedy scritta e diretta da Massimo Odierna, che indaga con leggerezza, nichilismo ed un linguaggio politically incorrect la follia e l’alienazione dei nostri tempi. Ambientata in presente alterato ed indefinito, la pièce è abitata da personaggi estremi, ridicoli e violenti, lo spazio scenico è svuotato di qualsiasi elemento e l’intera struttura dello spettacolo è affidata alla perfomance degli attori.
Thomas vive alla giornata conoscendo donne e bevendo fiumi di alcol. Una sera, durante uno dei suoi appuntamenti viene avvicinato da Libero, suo ex compagno d’ avventure ai tempi degli scout.
Libero implora Thomas di aiutarlo a ritrovare la dolce Noa, una ragazzina di sedici anni della quale si è invaghito ma di cui si sono perse le tracce. Noa è la figlia di Kioto Zhang, il temibile capo delle guardie imperiali. Inizialmente Thomas allontanerà Libero ritenendo assurda la richiesta d’ aiuto, successivamente sarà lo stesso Thomas a sfruttare questa vicenda per riconquistare Amèlie, sua ex fidanzata, una ragazza che ama praticare la gentilezza empatizzando con i più deboli e pronta a salvare il mondo. Le vite di questi tre protagonisti convergeranno alla ricerca della giovane ragazza scomparsa. Protagonisti di questa assurda pièce anche un padre pederasta, una madre devota, una maga scorbutica, e poi Jasmine, Sharon, Tinetta, Clotide, Brooke ed un maestro spirituale.
Lo spettacolo ha ricevuto la menzione speciale della giuria all’idea originale al Festival InDivenire 2023.
Roma al Teatro Lo Spazio torna in scena “LA FIGLIA DI KIOTO LA FIGLIA DI KIOTO ZHANG Con Irene Ciani, Enoch Marrella, Francesco Petruzzelli, Federica Quartana, Giovanni Serratore, Sofia Taglioni
Teatro Lo Spazio -Nel cuore storico della capitale, uno spazio suggestivo dove confluiscono realtà ed identità contemporanee, che trovano una residenza per esprimere la loro creatività. Due sale prove, diverse possibilità di utilizzo dello spazio scenico, fanno di questo luogo, dopo oltre 10 anni, una realtà off che sente oggi il bisogno di ampliare le proprie potenzialità.
al Teatro Lo Spazio torna in scena “LA FIGLIA DI KIOTO ZHANG”
Indirizzo
Via Locri, 42/44
Orari
Per gli orari e le modalità di accesso rivolgersi ai contatti indicati.
Giovanni Prati – Il Romanticismo italiano-Nuovi canti Poesie-
– Editore Stabilimento Tipografico Fontana di TORINO 1844 –
Giovanni Prati
Giovanni Prati (1814-1884) fu uno dei più importanti esponenti del secondo romanticismo italiano. Partecipò attivamente alle vicende politiche risorgimentali con una attitudine cavalleresca e disordinata che gli creò seri problemi e difficoltà di rapporto con gli altri attori dei movimenti patriottici. Ebbe una vita avventurosa passando dal natio Trentino, a Padova, dove frequentò senza concluderli gli studi giuridici, a Milano, a Torino, in Svizzera, sempre seguito da polemiche anche calunniose. Fu allontanato dall’insorta Venezia come elemento perturbatore e per la fede monarchica; anche la Firenze del Guerrazzi lo respinse per i suoi legami con la dinastia sabauda, infine furono proprio i Savoia a procurargli impieghi e serenità e al loro seguito si trasferì da Torino a Firenze e infine a Roma. Non smise mai di dedicarsi alla prediletta attività poetica e letteraria contraddistinguendosi per il suo stile melodico e musicale, e per la realistica attenzione al mondo e al sentire della borghesia.
Giovanni PratiGiovanni PratiGiovanni Prati
Giovanni Prati – Nuovi canti – Torino, Stabilimento Tipografico Fontana 1844 –
Giovanni Prati (1814-1884) fu uno dei più importanti esponenti del secondo romanticismo italiano. Partecipò attivamente alle vicende politiche risorgimentali con una attitudine cavalleresca e disordinata che gli creò seri problemi e difficoltà di rapporto con gli altri attori dei movimenti patriottici. Ebbe una vita avventurosa passando dal natio Trentino, a Padova, dove frequentò senza concluderli gli studi giuridici, a Milano, a Torino, in Svizzera, sempre seguito da polemiche anche calunniose. Fu allontanato dall’insorta Venezia come elemento perturbatore e per la fede monarchica; anche la Firenze del Guerrazzi lo respinse per i suoi legami con la dinastia sabauda, infine furono proprio i Savoia a procurargli impieghi e serenità e al loro seguito si trasferì da Torino a Firenze e infine a Roma. Non smise mai di dedicarsi alla prediletta attività poetica e letteraria contraddistinguendosi per il suo stile melodico e musicale, e per la realistica attenzione al mondo e al sentire della borghesia.
Giovanni Prati-Nuovi canti – Torino, Stabilimento Tipografico Fontana 1844 –
Poesie di Giovanni Prati
Incantesimo
La maga entro l’arena
girò, cantando, l’orma:
con frasca di vermena
mi ha tocco in sull’occipite,
ed io mi veggio appena in questa forma.
Sì picciolo mi fei
per arte della maga,
che in verità potrei
nuotar sopra diafane
ale di scarabei per l’aura vaga.
O fili d’erba, io provo
un’allegria superba
d’esser altrui sì novo,
sì strano a me. Deh fatemi,
fatemi un po’ di covo, o fili d’erba.
Minuscola formica
o ruchetta d’argento
sarà mia dolce amica
nell’odoroso e picciolo
nido che il sol nutrica e sfiora il vento.
E della curva luna
al freddo raggio, quando
nella selvetta bruna
le mille frasche armoniche
si vanno ad una ad una addormentando;
e dentro gli arboscelli
si smorza la confusa
canzon de’ filunguelli,
e sotto i muschi e l’eriche
l’anima dei ruscelli in sonno è chiusa;
noi, cinta in bianca veste
la piccioletta fata
vedrem dalla foresta
venir nei verdi ombracoli,
di bianchi fior la testa incoronata.
E dormirem congiunti
sotto l’erbetta molle;
mentre alla luna i punti
toglie l’attento astrologo,
e danzano i defunti in cima al colle.
I magi d’Asia han detto
che quanto il corpo è meno,
più vasto è l’intelletto,
e il mondo degli spiriti
gli raggia più perfetto e più sereno.
Infatti, io sento l’onde
cantar di là dal mare,
odo stormir le fronde
di là dal bosco; e un transito
d’anime vagabonde il ciel mi pare.
Da un calamo di veccia
qua un satirin germoglia,
da un pruno, o mo’ di freccia,
la sbalza un’amadriade
è in parto ogni corteccia ed ogni foglia.
Lampane graziose
giran la verde stanza:
e, strani amanti e spose,
i gnomi e le mandragore
coi gigli e con le rose escono in danza.
Del mondo ameno e tetro
com’è che ai sensi tardi
mi piove il raggio e il metro?
E né cornetta acustica
mi soccorre né vetro orecchi e sguardi?
Com’è che le mie colpe
non anco all’olmo e al pino
latra la iniqua volpe?
Né il truculento martoro
mi succhiella le polpe a mattutino?
Sono un granel di pepe
non visto: ecco il mistero.
L’erba sul crin mi repe,
ed è minor che lucciola
nell’ombra siepe il mio pensiero.
Oh fata bianca, come
un nevicato ramo,
dagli occhi e dalle chiome
più bruni della tenebra,
e dal soave nome in ch’io ti chiamo.
Oh Azzarelina! in pegno
dell’amor mio, ricevi
questo morente ingegno,
tu che puoi far continovi
nel tuo magico regno i miei dì brevi.
L’erbetta ov’io m’ascondo
so che è incanata anch’ella;
né vampa o furibondo
refolo o gel mortifica
lo smeraldo giocando in che è sì bella.
So che, d’amor rapita,
in un perpetuo ballo
mi puoi mutar la vita
o su fra gli astri, o in nitide
case di margherita e di corallo.
sien acque, o stelle, o venti,
ove abitar degg’io,
per primo don m’assenti
il bacio tuo: per ultimo,
dei rissosi viventi il pieno oblìo.
Ascolta, Azzarelina:
la scienza è dolore,
la speranza è ruina
la gloria è roseo nugolo,
la bellezza è divina ombra fiore.
Così la vita è un forte
licor che ebbri ci rende,
un sonno alto è la morte
e il mondo un gran Fantasima
che danza con la Sorte e il fine attende.
Vieni ed amiam. L’aurora
non spunta ancor; gli steli
ancor son curvi; ancora
il focherel di Venere
malinconico infiora i glauchi cieli.
Vieni ed amiam. Chi vive,
naturalmente guada
alle tenarie rive:
ma chi è prigion nel circolo
che la tua man descrive a ciò non bada.
Giovanni Prati
Un giorno d’inverno
Sempre sul farsi della tacit’ora
Crepuscolar m’invade una tranquilla
Malinconia, che dolcemente irrora
Questi occhi del dolor che da lei stilla.
Guardo il foco morente, e m’innamora
Tenervi intenta e risa la pupilla,
lnsin che appena qualche brace ancora
Tra la commossa cenere scintilla.
Il crepitar di quella ultima vita,
L’ombra addensata e la cadente neve
Di piu cupa tristezza il cor mi serra.
E prorompoll dall’anima atterrita:
Mio Dio, che sogno è questo viver breve!
Mio Dio, che solitudine è la terra!
Oh che cielo!
Oh che cielo ! oh che mar ! Quella profonda
e doppia immensità quanti sospiri
mi trae dal cor ! di che malie m’inonda!
con che forza m’assorbe entro i suoi giri!
La man per gioco, o fanciulletta bionda,
non por sugli occhi miei: lascia ch’io miri
queste due glorie. A te né il ciel né l’onda
parlano: ed altro muove i tuoi desiri,
Te move il riso dell’età tua verde,
un’ape d’oro, una farfalla, un fiore:
me l’infinito ciel, l’onda infinita.
E in questi abissi il mio pensier si perde,
e mentre scherzi, o bimba, il pensatore
piange tra il vel delle tue rosee dita.
Alba
Fumano i campi; la rugiada stilla
sull’erba nova; il cheto aere si desta
il sol che spunta, e con l’aletta in resta
il cardellino in cima al gelso trilla.
Al giocondo lavor sparsa è la villa
sui bruni solchi; pei declivi a festa
saltan le capre; e in seno a la foresta
le allegrie della caccia il corno squilla.
Questa è vita davver; questo è divino
elemento di forza all’uman petto:
aria, luce, tripudio, opera intorno.
E noi, civico vulgo, ogni mattino
(fatica insigne!) ci leviam dal letto,
pallidi spettri, ad invecchiar d’un giorno.
Ramuscello
O ramuscel di mandorlo,
quando su te si posa
il cardellino, e ai limpidi
rigagni e al ciel di rosa
sparge la fresca e lieta
anima di fanciullo e di poeta;
o ramuscel, per magica
arte io vorrei mutarmi
nell’ augellin che dondola
su te, trillando carmi;
su te che spargi al vento
la molle nebbia de’ tuoi fior d’argento.
E là, cantando il giovane
mio tempo e i dolci inganni,
le ingrate nevi e il cumulo
non sentirei degli anni.
Ma ognun la sua fatale
stella ha sul capo; ed accusarla è male.
Marionette
Al fantolino, più che pesca o mela,
piace il casotto degl’incanti, dove
un piccol mondo di figure nove
al suo cupido e fermo occhio si svela:
né sa che dietro la dipinta tela
per fili arcani in giocolier le move;
e crede velo il finto; e in quelle prove,
in quegli atti, in que’ volti avvampa e gela.
Grandeggia quindi il fantolin con l’ora:
e nel mondo degli uomini s’aggira,
e crede vero ciò ch’ è finto ancora.
Uom poi diventa, e si travaglia e stanca
pur dietro a sogni: e il dì che l’ombra ei mira
del Ver, spìa sul quadrante, e il tempo manca.
Giovanni Prati
Or passeggi solinga
Ti veggo, o madre; per i conscii lochi
dove teco scherzava io fanciulletto
or passeggi solinga, e il caro aspetto
del tuo lontano lacrimando invochi.
Parmi d’udire i tuoi gemiti fiochi
i quando mesta riguardi il vacuo letto,
e tuo figlio mancar vedi al banchetto,
e il cerchi indarno ai consueti giochi.
Sì, vederti mi par, parmi d’udirti
povera madre! e rimaner lontano,
tal rimorso è per me ch’io non so dirti.
Conosco il fallo e m’addoloro e piango!
Ahi! Com’è questo cor misero e strano!
Conosco il fallo, eppur lontan rimango.
Tra veglia e sonno
Un verno a notte bruna
mentre nell’erma stanza
d’Usca inducea la luna
un pallido chiaror,
cantò questa romanza
il reduce Gildorl.
«Senti diletta mia,
la mezzanotte appressa;
io gelo sulla via,
e tu non vieni ancor:
compi la tua promessa;
vieni, mio dolce amor.
Eccoti il lino bianco,
segnaI della tua fede;
mirami cinta al fianco
la ciarpa tricolor;
vieni, nessun ti vede,
angelo del mio cor.
Mio bel tesor, calcai
sabbie infuocate e nevi;
un oceàn varcai
per te, mio bel tesor;
per me varcar tu devi .
solo un vial di fior.
Tu mi dicesti un giorno,
con lacrime dirotte:
«Quando farai ritorno,
chiamami, o mio Gildor,
chiamami a mezzanotte, .
ti volerò sul cor.»
Senti, diletta mia,
la mezzanotte appressa;
io gelo sulla via,
e tu non vieni ancor;
compi la tua promessa,
vieni, mio dolce amor.
Soldato e trovatore,
piti bello ho salutato
ma te recando in core,
fu mio secondo amor
la spada del soldato
e il suon del trovator.
Che fai, diletta mia?
Quell’ora è già suonata.
lo gelo sulla via,
e tu non vieni ancor …
Ti sei di me scordata;
addio, mio dolce amor.
Soldato e trovatore,
le belle ho ricusato ;
or senza te nel core,
sarà mio solo amor
la spada del soldato
e il suon del trovator.»
E dileguò. Svegliata
Usca, sul far del giorno,
disse d’aver sognata
la voce di Gildor;
e aspetta il suo ritorno
la poveretta ancor.
Biografia di Giovanni Prati
Busto di Giovanni Prati (Trento)
Giovanni Prati (Comano Terme, 27 gennaio 1815 – Roma, 9 maggio 1884) è stato un poeta e politico italiano.
Giovanni Prati
Giovanni Prati nacque nel 1815 a Dasindo (oggi frazione del Comune di Comano Terme) nel Trentino, all’epoca appartenente all’Impero Austro-Ungarico e si formò nell’Imperial Regio Ginnasio d’Austria-Ungheria di Trento, intitolato alla sua persona nel 1919, Liceo Classico Giovanni Prati, dopo il passaggio del Trentino – Alto Adige all’Italia. Nello stesso Ginnasio studiò il poeta e patriota Antonio Gazzoletti.
Studiò legge a Padova e si dedicò alla poesia. Si sposò nel 1834 con Elisa Bassi, dalla quale ebbe tre figli: Riccardo, Rita ed Ersilia (i primi due morirono infanti). La moglie venne a mancare nel 1840. I temi della morte della moglie e dell’affetto per la figlia ritorneranno frequentemente nelle sue liriche. Pubblicò a Padova la prima raccolta, Poesie, nel 1836. Decise di trasferirsi a Milano nel 1841; qui conobbe Alessandro Manzoni e pubblicò l’Edmenegarda, una novella sentimentale in endecasillabi sciolti che ebbe un grande successo di pubblico ma fu stroncata dalla critica.
A Milano pubblicò nel 1843 i Canti lirici, canti per il popolo e ballate; nel 1844 dette alle stampe Memorie e lacrime e Nuovi canti. Dal 1845 al 1848 soggiornò a Padova, a Venezia e a Firenze. Nel 1848, recatosi a Torino, si mostrò sostenitore della Monarchia Sabauda. Negli anni che precedettero la prima guerra di indipendenza, fu sostenitore di Re Carlo Alberto di Savoia: per questo motivo, gli austriaci lo espulsero dal Regno Lombardo Veneto (anche Milano e Venezia all’epoca appartenevano all’Impero),e il governo di Firenze del Granducato di Toscana (sotto la dinastia Asburgo-Lorena) gli rifiutò l’asilo politico.
Furono questi i tempi più difficili e tormentati della sua vita perché professava i suoi ideali a favore della Monarchia Sabauda in una terra ostile e tra uomini decisamente avversi. Legato da ideali alla Monarchia Sabauda tornò a Torino, dove la sua fedeltà fu premiata con la nomina del Re Vittorio Emanuele II di Savoia a storiografo della Corona. Nel 1851 sposò in seconde nozze l’attrice drammatica Lucia Arnaudon.
Nel 1861 nel Governo Cavour (VIII legislatura del Regno d’Italia) venne eletto Deputato nel Parlamento Italiano con Torino divenuta Capitale del Regno d’Italia. A Torino presso il Caffè Fiorio in via Po, frequentato tra gli altri anche da Camillo Benso conte di Cavour, Massimo D’Azeglio, Urbano Rattazzi, Gabrio Casati, discuteva le sorti della neonata Italia. Nel 1865 seguì il Governo Unitario a Firenze divenuta Capitale, dove conobbe Mario Rapisardi, Niccolò Tommaseo, Atto Vannucci, Pietro Fanfani, Arnaldo Fusinato, Francesco Dall’Ongaro, Terenzio Mamiani ed altri.
Nel 1871 si trasferì a Roma divenuta Capitale d’Italia, nel 1876 divenne Senatore nel governo Depretis I XIII legislatura del Regno d’Italia nel 1878 divenne membro del Ministero della Pubblica Istruzione. Nel 1878 il Ministro dell’Istruzione Francesco De Sanctis governo Cairoli I fondò a Roma l’Istituto Superiore di Magistero del quale Giovanni Prati divenne direttore. Durante questi anni la sua poesia aveva continuato a fluire con la pubblicazione del poema Armando (1868, una parte del quale era apparsa nel ’64), degli oltre cinquecento sonetti di Psiche (1876) e delle liriche raccolte in Iside (1878). Morì a Roma nel 1884.
Sepolto a Torino, le sue ceneri furono trasferite nel paese natio ricongiunto alla patria. Dal 1923 le sue spoglie risiedono nella chiesa di Dasindo di Lomaso.
Note biografiche tratte e riassunte da Wikipedia https://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Prati
Dal libro: Fotoreportage per raccontare Roma e la sua Campagna Romana
di Franco Leggeri.
La bellezza, la poesia e la “bioarchitettura” del Viale dei pini nella Campagna Romana. V.le del sito Archeologico Torre della BOTTACCIA-Brano e Fotoreportage tratto dalla Monografia “Torri Segnaletiche-Saracene della Campagna Romana “di Franco Leggeri.
L’ecologia è un concetto che fa parte della coscienza universale, di cui dobbiamo essere ogni giorno sempre più consapevoli. Il grande scienziato della natura e poeta Goethe riassume tale consapevolezza con queste parole: “Nulla si impara a conoscere, se non ciò che si ama, e più forte è l’amore tanto maggiore sarà la conoscenza”. Imparare a “godere” dello spazio naturale che ci circonda è uno strumento di straordinario valore per diffondere e sedimentare nell’agire una vera e propria cultura della sostenibilità. In tal senso, probabilmente la più spontanea e potente istanza pedagogica è proprio il paesaggio, capace di impartire una sua prima e fondamentale educazione implicita: il paesaggio è infatti come scrive , molto bene, nel suo saggio ”Paesaggio Educatore” il Regni R. “ maestro di una cultura dell’ascolto dell’armonia dell’uomo e del cosmo, propria di un ambiente come realtà da condividere e non solo come qualcosa a cui badare”(Ed.Armando -2009). L’ammirazione per lo splendore della natura è il motore che genera e, conseguentemente, moltiplica in ognuno di noi , sin dalla più giovane età, i sentimenti di affezione , rispetto e curiosità verso il patrimonio ambientale che ci circonda. D’altra parte tale affezione e desiderio di cura tutela non può che scaturire dalla conoscenza e dalla relazione . Ci è istintivamente estraneo ciò che non conosciamo, con cui non possiamo dialogare per assenza di codici condivisi e a cui non siamo socializzati . L’estraneità si supera a mio avviso, solo attraverso un flusso comunicativo e relazionare che deve essere continuamente alimentato e che dà luogo ad una empatia prodromica a comportamenti di cura , tutela e di salvaguardia . Per recuperare i “codici” che ci consentono , nell’ascolto, di comprendere il linguaggio della natura bisogna , infatti, conoscere quest’ultima, perché solo coltivando una conoscenza profonda e radicata , ma anche istintiva, di qualcosa possiamo affezionarci ad essa, amarla e far crescere in noi il desiderio spontaneo di difenderla e preservarla.
Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-
Campagna romana
Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.-Con la locuzioneCampagna romana si indica la vasta pianura del Lazio, ondulata e intersecata da fossi o marrane, della provincia di Roma, che si estende nel territorio circostante l’intera area della città di Roma fino ad Anzio con il piano collinare prossimo, comprendente parte dell’Agro romano, fino al confine con l’Agro Pontino.
Il termine “Campagna” deriva dalla provincia di “Campania” istituita nel tardo impero in sostituzione della preesistente Regio I. Una paretimologia la fa derivare invece dal latinocampus (volgare “campagna” nel senso di area rurale). Va notato che “Campagna Romana” non è sinonimo di “Agro Romano“ – espressione, quest’ultima, utilizzata per indicare l’area di Campagna Romana nel distretto municipale di Roma.
Storia
Secondo Carocci e Vendittelli la struttura fondiaria e produttiva della Campagna Romana risale al tardo medioevo e si è conservata senza soluzione di continuo fino alla riforma agraria a metà del XX secolo.
Le invasioni barbariche, la guerra greco-gotica e la definitiva caduta dell’Impero romano d’Occidente favorirono il generale spopolamento delle campagne, compresa quella romana, e i grandi latifondi imperiali passarono nelle mani della Chiesa, che aveva ereditato le funzioni assistenziali e di governo già assolte dai funzionari imperiali, e le esercitava nei limiti del possibile.
A partire dall’VIII secolo le aziende agricole (villae rusticae) di epoca imperiale si trasformarono – dove sopravvissero – in domuscultae, entità residenziali e produttive autosufficienti e fortificate, dipendenti da una diocesi – o una chiesa, o un’abbazia – che deteneva la proprietà delle terre e le assegnava in enfiteusi ai contadini residenti. Questi spesso ne erano gli originali proprietari, ed avevano conferito la proprietà dei fondi alla Chiesa in cambio di un piccolo canone di affitto e dell’esenzione dalle tasse. Queste comunità godevano di completa autonomia, che implicava anche il diritto ad armarsi per autodifesa (da dove la costruzione di torri e torrette), e in alcuni casi giunsero anche a battere moneta.
Già dal X secolo, tuttavia, la feudalizzazione costrinse i contadini ad aggregarsi attorno ai castelli dei baroni ai quali veniva man mano attribuito il possesso – a vario titolo – di molte proprietà ecclesiastiche, e la coltivazione della pianura impaludata e malarica fu abbandonata, col tempo, quasi completamente. Là dove si continuava a coltivare, questi nuovi latifondi ormai deserti, nei quali sorgevano sparsi casali fortificati, furono destinati a colture estensive di cereali e a pascolo per l’allevamento di bestiame grande e piccolo. Il loro scarso panorama umano era costituito da pastori, bovari e cavallari, braccianti al tempo delle mietiture, briganti.
L’abbandono delle terre giunse a tal punto che con la conseguente scomparsa degli insediamenti urbani nel territorio circostante Roma attorno alle vie Appia e Latina, l’ex Latium Vetus, venne ripartito in “casali”, tenute agricole di centinaia di ettari dedicato all’allevamento di bestiame, soprattutto ovini, e alla coltivazione di cereali, a cui erano addetti lavoratori salariati spesso stagionali. Questi latifondi in età rinascimentale e moderna divennero proprietà delle famiglie legate al papato. A seguito dello spopolamento delle terre pianeggianti ritornate a pascolo, si aggravò il grave problema dell’impaludamento e della malaria.
Nel XVII secolo, dopo la redazione del Catasto Alessandrino[1], furono concessi ai contadini, ai piccoli proprietari e agli abitanti dei borghi l’uso civico dei terreni spopolati e abbandonati ed esenzioni fiscali (mentre venivano aggravate le imposizioni sui proprietari noncuranti), allo scopo di stimolare il ripopolamento di quelle campagne.
Nel XVIII e nel XIX secolo il paesaggio della Campagna romana, rappresentato da vaste aree pressoché disabitate dove spesso era possibile imbattersi nelle vestigia di imponenti costruzioni romane in rovina, divenne un luogo comune, un simbolo della tramontata grandezza di Roma, insieme con l’immagine del quotidiano pittoresco rappresentato dai briganti, dai pastori e dai popolani di Bartolomeo Pinelli e dei pittori europei del Grand Tour.
ROMA- Municipio XIII- Castel di Guido, Torre della BottacciaFoto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-ROMA- Municipio XIII- Castel di Guido, Torre della BottacciaROMA- Municipio XIII- Castel di Guido, Torre della BottacciaFoto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-ROMA- Municipio XIII- Castel di Guido, Torre della BottacciaROMA- Municipio XIII- Castel di Guido, Torre della BottacciaROMA- Municipio XIII- Castel di Guido, Torre della BottacciaROMA- Municipio XIII- Castel di Guido, Torre della BottacciaROMA- Municipio XIII- Castel di Guido, Torre della BottacciaROMA- Municipio XIII- Castel di Guido, Torre della BottacciaFoto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-
Maria José de Lancastre-Fernando Pessoa-Immagini della sua vita-
ADELPHI EDIZIONI
DESCRIZIONE
– Fernando Pessoa è passato in pochi anni da autore noto a pochi ad astro della mitologia letteraria moderna. La sua Lisbona, la sua vita dai soggetti multipli, il baule pieno di manoscritti che facevano nascere ogni volta nuove fisionomie di scrittori, fanno ormai parte dei sogni di ogni lettore. Tanto più preziosa sarà questa biografia per immagini che per la prima volta raccoglie le tracce fotografiche della vita di Pessoa, in apparente opposizione con Pessoa stesso, il quale una volta confessò in una lettera una sua «certa riluttanza a farmi delle fotografie». Sono testimonianze intrise di un sottile fascino, che riesce a intaccare con l’irrealtà pessoana anche le immagini più normali. E finalmente ci appariranno qui i volti e i luoghi che furono la scena della sua vita. Nella sua fuga sapiente dalla realtà quotidiana, Pessoa ancora una volta riuscirà vincitore.
Maria José de Lancastre-Fernando Pessoa
ADELPHI EDIZIONI S.p.A
Via S. Giovanni sul Muro, 14
20121 – Milano
Tel. +39 02.725731 (r.a.)
Fax +39 02.89010337
È considerato uno dei maggiori poeti di lingua portoghese, e per il suo valore è comparato a Camões. Il critico letterario Harold Bloom lo definì, accanto a Pablo Neruda, il poeta più rappresentativo del XX secolo.
Avendo vissuto la maggior parte della sua giovinezza in Sudafrica, la lingua inglese giocò un ruolo fondamentale nella sua vita, tanto che traduceva, lavorava, scriveva, studiava e pensava in inglese. Visse una vita discreta, trovando espressione nel giornalismo, nella pubblicità, nel commercio e, principalmente, nella letteratura, in cui si scompose in varie altre personalità, contrassegnate da diversi eteronimi. La sua figura enigmatica interessa gran parte degli studi sulla sua vita e opera, oltre a essere il maggior autore della eteronimia.
Morì a causa di problemi epatici all’età di 47 anni nella stessa città dov’era nato. L’ultima frase che scrisse fu in inglese “I know not what tomorrow will bring” (Non so cosa porterà il domani) e si riportano come le sue ultime parole (essendo molto miope) “Dê-me os meus óculos!” (Mi dia i miei occhiali).
La giovinezza a Durban
Alle 15:30[1] del 13 giugno 1888 nasceva a Lisbona Fernando Pessoa. Il parto avvenne al quarto piano a sinistra del numero 4 del Largo de São Carlos, davanti all’Opera di Lisbona, il Teatro Nacional de São Carlos.
Suo padre era il funzionario pubblico del Ministero della Giustizia e critico musicale del «Diário de Notícias» Joaquim de Seabra Pessoa, di Lisbona; sua madre Maria Magdalena Pinheiro Nogueira, originaria della Ilha Terceira nelle Azzorre. Con loro vivevano anche la nonna Dionisia, malata mentale, e due zie non sposate, Joana ed Emilia.
Venne battezzato il 12 luglio nella Basílica de Nossa Senhora dos Mártires nel quartiere del Chiado. I padrini furono sua zia materna Ana Luísa Pinheiro Nogueira e il generale Cláudio Bernardo Pereira de Chaby[2][3]. Il nome Fernando Antonio è collegato a Sant’Antonio di Padova, dalla cui famiglia la famiglia di Pessoa reclamava una discendenza genealogica. Il nome di battesimo del Santo era infatti Fernando de Bulhões, e il giorno a lui consacrato a Lisbona era il 13 giugno, lo stesso della nascita di Pessoa.
La sua infanzia e adolescenza vennero marcate da fatti che lo avrebbero influenzato in seguito. Cinque anni dopo il padre morì, a soli 43 anni, vittima della tubercolosi. Lasciò la moglie, il piccolo Fernando e suo fratello Jorge, che non avrebbe raggiunto l’anno di vita. La madre fu costretta a vendere parte della mobilia e a trasferirsi in una abitazione più modesta, al terzo piano di Rua de São Marçal, n. 104 (nell’odierna freguesia di Santo António). È in questo periodo che nasce il suo primo pseudonimo, Chevalier de Pas. Lui stesso rivelò questo fatto ad Adolfo Casais Monteiro in una lettera del 13 gennaio 1935, in cui parla diffusamente dell’origine degli eteronimi.
«[…] Ricordo, così, quello che mi sembra sia stato il mio primo eteronimo o, meglio, il mio primo conoscente inesistente: un certo Chevalier de Pas di quando avevo sei anni, attraverso il quale scrivevo lettere a me stesso, e la cui figura, non del tutto vaga, ancora colpisce quella parte del mio affetto che confina con la nostalgia.”[4]»
Nello stesso anno scrive il suo primo poema, un’epigrafe infantile dedicata “Alla mia amata mamma”.
La casa natale di Fernando Pessoa, in Largo de São Carlos a Lisbona
Nel 1895 sua madre si risposa per procura con il Comandante João Miguel Rosa, console del Portogallo a Durban (Sudafrica), che aveva conosciuto un anno prima. In Africa Pessoa dimostrerà presto di possedere abilità letterarie.
A seguito del matrimonio si trasferisce con la madre e un prozio, Manuel Gualdino da Cunha, a Durban, dove passa la maggior parte della sua giovinezza. Viaggiano con la nave “Funchal” fino a Madera, e poi si imbarcano nel vascello inglese “Hawarden Castle” fino al Capo di Buona Speranza.
Dovendo dividere le attenzioni della madre con la prole del nuovo matrimonio e con il patrigno, Pessoa si isola, propiziandosi così momenti di intensa riflessione. A Durban riceve una educazione di stampo britannico, con un profondo contatto con la lingua inglese. I suoi primi testi e studi saranno infatti in inglese. Mantiene il contatto con la letteratura inglese con autori come Shakespeare, John Milton, Lord Byron, John Keats, Percy Shelley, Alfred Tennyson, e americana, con Edgar Allan Poe, solo per citarne alcuni. L’inglese giocò un ruolo importante nella sua vita, sia per il lavoro (divenne infatti corrispondente commerciale a Lisbona), sia per alcuni dei suoi scritti, che per traduzioni di opere quali “Annabel Lee” e “Il Corvo” di Edgar Allan Poe. Con l’eccezione del libro Mensagem, gli unici lavori pubblicati in vita saranno le due raccolte delle sue poesie in inglese: Antinous and 35 Sonnets e English Poems I – II e III, scritti fra il 1918 e il 1921.
Ferdinando Pessoa
Frequenta le scuole primarie nell’istituto dei frati irlandesi di West Street, dove riceve anche la prima comunione e riesce a concentrare 5 anni in soli 3. Nel 1899 entra nella Durban High School, dove resterà per tre anni e sarà uno dei primi alunni della classe. Nello stesso anno crea lo pseudonimo di Alexander Search, con cui si auto-invia delle lettere. Nel 1901 è promosso con distinzione nel primo esame della Cape School High Examination, e scrive le prime poesie in inglese. Nello stesso periodo muore sua sorella di due anni Madalena Henriqueta. Nelle vacanze parte con la famiglia per il Portogallo. Sulla stessa nave con la quale viaggiano si trova anche la salma della sorella defunta. A Lisbona abita con la famiglia nella zona di Pedrouços (nell’odierna freguesia di Belém), poi in Avenida D. Carlos I, n. 109 (nell’odierna freguesia di Misericórdia). Nella capitale portoghese nasce João Maria, quarto figlio del secondo matrimonio della madre. Con il patrigno, la madre e i fratelli compie un viaggio nell’Ilha Terceira, nelle Azzorre, dove abita la famiglia materna. Si recano anche a Tavira per visitare i parenti del padre. In questo periodo scrive la poesia Quando ela passa.
Pessoa resta a Lisbona quando la famiglia rientra a Durban. Torna in Africa da solo con il vapore “Herzog”. È il periodo in cui tenta di scrivere romanzi in inglese, e si iscrive alla Commercial School. Lì studierà la notte, perché durante il giorno si occupa di discipline umanistiche. Nel 1903 si candida all’Università del Capo di Buona Speranza. Nella prova di esame per l’ammissione non ottiene un buon punteggio, ma riceve il voto più alto fra 899 candidati nel saggio stilistico di inglese. Per questo riceve il Queen Victoria Memorial Prize.
Un anno dopo rientra alla Durban High School dove frequenta l’equivalente di un primo anno universitario. Approfondisce la sua cultura, leggendo classici inglesi e latini; scrive poesia e prosa in inglese, e nascono gli eteronimi Charles Robert Anon e H. M. F. Lecher; nasce sua sorella Maria Clara e pubblica nel giornale del liceo un saggio critico intitolato Macaulay. Infine, chiude i suoi ben avviati studi sudafricani raggiungendo all’università l’«Intermediate Examination in Arts», con buoni risultati.
Rientro definitivo in Portogallo e inizio della carriera
Lasciando la famiglia a Durban rientra definitivamente nella capitale portoghese da solo nel 1905, dove abita presso una zia. La madre e il patrigno tornano a loro volta, e Pessoa si trasferisce a vivere con loro. Continua la produzione di poesie in inglese, e nel 1906 si immatricola nel corso superiore di lettere dell’Università di Lisbona, che però abbandona senza neanche completare il primo anno. È in questo periodo che entra in contatto con importanti scrittori della letteratura portoghese. Si interessa all’opera di Cesário Verde e ai sermoni di Padre Antônio Vieira sul Quinto impero, a loro volta basati sulle Trovas di Gonçalo Annes Bandarra, anch’esse facenti parte del bagaglio formativo di Pessoa. I suoi rientrano a Durban, e Fernando inizia a vivere con la nonna, che muore poco dopo, lasciandogli una piccola eredità. Passa quindi a dedicarsi alla traduzione di corrispondenza commerciale, un lavoro che viene normalmente definito “corrispondente estero”. Sarà il suo lavoro per tutta la vita, con una modesta vita pubblica.
La prima pubblicazione di Pessoa in Portogallo è il saggio critico «A Nova Poesia Portuguesa Sociologicamente Considerada» («La nuova poesia portoghese considerata sociologicamente»), uscito nel 1912 sulla rivista A Águia, organo ufficiale del movimento Renascença Portuguesa, guidato dal poeta e pensatore saudosistaTeixeira de Pascoaes. Da tale movimento, in seguito, Pessoa si distaccherà per divenire la figura di riferimento dei primi modernisti portoghesi e della loro rivista, Orpheu, pubblicata nel 1915.
Pessoa viene ricoverato il 29 novembre 1935 nell’ospedale di Luís dos Franceses, vittima di una crisi epatica; si tratta chiaramente di cirrosi epatica, causata dall’abuso di alcool di tutta una vita. Il 30 novembre muore all’età di 47 anni. Negli ultimi momenti della sua vita chiede i suoi occhiali e invoca gli eteronimi. La sua ultima frase scritta è nella lingua in cui fu educato, l’inglese: I know not what tomorrow will bring (Non so cosa porterà il domani).
Eredità
Si può dire che il poeta passò l’esistenza a creare altre vite attraverso i suoi eteronimi. Questa è stata la principale caratteristica di quest’uomo così pacato. Alcuni critici si sono chiesti se Pessoa abbia mai fatto trasparire il suo vero “io” o se tutta la sua produzione letteraria non fosse altro che il frutto della sua creatività. Quando tratta temi soggettivi e quando usa l’eteronimia, Pessoa diviene enigmatico fino all’estremo. Questo particolare aspetto è quello che muove gran parte delle ricerche sulla sua opera. Il poeta e critico brasiliano Frederico Barbosa dichiara che Fernando Pessoa fu «l’enigma in persona» (il sottile gioco di parole non viene reso nella traduzione, perché in portoghese “pessoa” significa “persona”). Scrisse dall’età di 7 anni fino al letto di morte. Aveva a cuore l’intelletto dell’uomo, giungendo a dire che la sua vita era stata una costante divulgazione della lingua portoghese; nelle parole del poeta riportate per bocca dell’eteronimo Bernardo Soares «la mia patria è la lingua portoghese». Oppure, attraverso un poema:
«Ho il dovere di chiudermi in casa nel mio spirito e lavorare
quanto io possa e in tutto ciò che io posso, per il progresso
della civiltà e l’allargamento della conoscenza dell’umanità»
Come Pompeo, che disse che «navigare è necessario, vivere non è necessario» (“Navigare necesse est, vivere non est necesse“), Pessoa dice nel poema Navegar è Preciso che «vivere non è necessario; quel che è necessario è creare».
Su Pessoa il poeta messicano premio Nobel per la letteraturaOctavio Paz dice che «il poeta non ha biografia: la sua opera è la sua biografia», e inoltre che «niente nella sua vita è sorprendente –nulla, eccetto i suoi poemi». Il critico letterario statunitense Harold Bloom lo considerò il poeta più rappresentativo del XX secolo assieme al cilenoPablo Neruda.
La scrittrice portoghese Maria Gabriela Llansol trasformò Pessoa in un personaggio letterario, al quale diede nome «Aossê», che appare in vari libri dell’autrice.[5]
Pessoa e l’occultismo
Fernando Pessoa a sei anni
Fernando Pessoa aveva dei legami con l’occultismo e il misticismo, con la massoneria e con i Rosacroce (benché non si conosca alcuna affiliazione concreta in una loggia o fraternità di una di queste associazioni), e difese pubblicamente le organizzazioni iniziatiche sul quotidiano Diario di Lisbona del 4 febbraio 1935[6] contro gli attacchi della dittatura dell’Estado Novo di Salazar. Uno dei suoi poemi ermetici più noti e apprezzati nei circoli esoterici si intitola “No Túmulo de Christian Rosenkreutz“[7]. Aveva l’abitudine di richiedere ed eseguire egli stesso delle consultazioni astrologiche e ha preso seriamente in considerazione la possibilità di esercitare l’astrologia a titolo professionale[8].
Una volta, leggendo una pubblicazione del famoso occultista inglese Aleister Crowley, Pessoa vi trovò un errore nel calcolo della sua ora di nascita, e scrisse all’editore per informarlo che il suo oroscopo non era corretto. Crowley fu impressionato dalle conoscenze astrologiche di Pessoa e andò in Portogallo per incontrarlo. Con lui vi era una giovane artista tedesca, Hanni Jaeger, che in seguito corrispose anche con Pessoa. L’incontro fu cordiale, e terminò con il famoso “affaire” della “Boca do Inferno”, nel quale Crowley inscenò con l’aiuto di Pessoa il suo finto suicidio[9].
Nota autobiografica
Questa nota biografica fu scritta da Fernando Pessoa, il 30 marzo 1935, e venne parzialmente pubblicata come introduzione al À memória do Presidente-Rei Sidónio Pais, edito dalla casa Editorial Império nel 1940. Essendo un testo autografo, si noterà che è una “biografia” molto soggettiva e piuttosto incompleta, ma rappresenta i desideri e le interpretazioni dell’Autore in quel preciso momento della sua vita[10].
Lisbona, 30 marzo 1935 (nell’originale 1933, per apparente lapsus)
Nome completo Fernando António Nogueira Pessoa.
Età e provenienza Nato a Lisbona, chiesa dei Martiri, al n. 4 del Largo de San Carlos (oggi del Direttorio) il 13 giugno 1888.
Paternità e maternità Figlio legittimo di Joaquim de Seabra Pessoa e di D. Maria Madalena Pinheiro Nogueira. Nipote in linea paterna del generale Joaquim António de Araújo Pessoa, combattente nelle campagne liberali, e di D. Dionísia Seabra; nipote in linea materna del Consigliere Luís António Nogueira, giurista ed ex Direttore Generale del Ministero del Regno, e di D. Madalena Xavier Pinheiro. Ascendenza generale: misto di fidalgos ed ebrei[11].
Stato civile Celibe.
Professione La definizione più propria sarà «traduttore», la più esatta quella di «corrispondente in lingue estere in aziende commerciali». L’essere poeta e scrittore non costituisce una professione, ma una vocazione.
Residenza Rua Coelho da Rocha, 16, 1ºD.to. Lisbona. (Indirizzo postale – Casella Postale 147, Lisbona).
Funzioni sociali svolte Se con questo si intende incarichi pubblici o funzioni di rilievo, nessuna.
Opere pubblicate L’opera è fondamentalmente dispersa, per ora, in varie riviste e pubblicazioni occasionali. I libri e gli articoli che ritiene validi sono i seguenti: «35 Sonnets» (in inglese), 1918; «English Poems I-II» e «English Poems III» (sempre in inglese), 1922, e il libro «Mensagem», 1934, premiato dal Secretariado de Propaganda Nacional nella categoria «Poema». L’articolo «O Interregno», pubblicato nel 1928, e consistente in una difesa della Dittatura Militare in Portogallo, deve essere considerato come non esistente. Tutto questo è da rivedere e molto forse da ripudiare.
Educazione In virtù, morto suo padre nel 1893, dell’aver sua madre sposato nel 1895, in seconde nozze, il Comandante João Miguel Rosa, Console del Portogallo a Durban, Natal, è stato colà educato. Ha vinto il premio Regina Vittoria di lingua inglese all’Università del Capo di Buona Speranza nel 1903, in occasione dell’esame di ammissione, a 15 anni
Ideologia Politica Pensa che il sistema monarchico sarebbe il più adatto per una nazione organicamente imperiale come è il Portogallo. Ma al tempo stesso ritiene la monarchia del tutto inattuabile in Portogallo. Per questo, se ci fosse un plebiscito sul tipo di regime, voterebbe, sebbene a malincuore, per la repubblica. Conservatore di stile inglese, cioè liberale all’interno del conservatorismo, e assolutamente antireazionario.
Posizione religiosa Cristiano gnostico, e quindi assolutamente contrario a tutte le Chiese organizzate, e soprattutto alla Chiesa di Roma. Fedele, per motivi che più avanti saranno impliciti, alla Tradizione Segreta del Cristianesimo, che è in stretto rapporto con la Tradizione Segreta in Israele (la Santa Cabbala) e con l’essenza occulta della Massoneria.
Posizione iniziatica Iniziato, per comunicazione diretta da Maestro a Discepolo, nei tre gradi minori dell’ (apparentemente estinto) Ordine Templare del Portogallo.
Posizione patriottica Fautore di un nazionalismo mistico, da cui sia eliminata ogni infiltrazione cattolico-romana, per dar vita, se fosse possibile, a un sebastianismo nuovo che la sostituisca spiritualmente, ammesso che nel cattolicesimo portoghese ci sia mai stata spiritualità. Nazionalista che si ispira a questa massima: «Tutto per l’Umanità, niente contro la Nazione».
Riassunto di queste ultime considerazioni Tenere sempre a mente il martire Jacques de Molay, Gran Maestro dei Templari, e combattere, sempre e dovunque i suoi tre assassini: l’Ignoranza, il Fanatismo e la Tirannia.
Opera poetica
(PT)
«O poeta é um fingidor.
Finge tão completamente
Que chega a fingir que é dor
A dor que deveras sente.»
(IT)
«Il poeta è un fingitore.
Finge così completamente
Che arriva a fingere che è dolore
Il dolore che davvero sente.»
(Fernando Pessoa Autopsicografia. Pubblicato il 1º aprile 1931)
La grande creazione estetica di Pessoa è considerata l’invenzione degli eteronimi, che attraversa tutta la sua vita. A differenza degli pseudonimi, gli eteronimi sono personalità poetiche complete: identità che, inizialmente inventate, divengono autentiche attraverso la loro personale attività artistica, diversa e distinta da quella dell’autore originale. Fra gli eteronimi si trova lo stesso Fernando Pessoa, in questo caso chiamato ortonimo, che però sembra sempre più simile agli altri con la loro maturazione poetica. I tre eteronomi più noti, quelli con la maggiore opera poetica sono Álvaro de Campos, Ricardo Reis e Alberto Caeiro.
Un quarto eteronimo di grande importanza nell’opera di Pessoa è Bernardo Soares, autore del Livro do desassossego (Libro dell’inquietudine). Soares è talvolta considerato un semi-eteronimo, a causa delle notevoli somiglianze con Pessoa, e per non aver sviluppato una personalità molto caratterizzata.
Al contrario, i primi tre possiedono addirittura una data di nascita e di morte, quest’ultima con l’eccezione di Ricardo Reis. Proprio questo dettaglio venne sfruttato dal premio Nobel per la letteratura José Saramago per scrivere il libro L’anno della morte di Ricardo Reis.
Attraverso gli eteronimi, Pessoa condusse una profonda riflessione sulle relazioni che intercorrono fra verità, esistenza e identità. Quest’ultimo aspetto è notevole nell’aura di mistero che circondava il poeta.
(PT)
«Com uma tal falta de gente coexistível, como há hoje, que pode um homem de sensibilidade fazer senão inventar os seus amigos, ou quando menos, os seus companheiros de espírito?»
(IT)
«Con una tale mancanza di gente coesistibile come c’è oggi, cosa può fare un uomo di sensibilità, se non inventare i suoi amici, o quanto meno, i suoi compagni di spirito?»
Ortonimo
(autore: João Luiz Roth)
Pessoa Ortonimo è da considerarsi, su un piano metafisico, anch’egli un eteronimo, con la differenza rispetto agli altri, che tale personaggio porta il suo stesso nome: non si può certo identificare l’uomo Pessoa con l’Ortonimo, se non altro, per il semplice motivo che l’opera di questo è pressoché esclusivamente rivolta all’esoterismo, e quindi sarebbe riduttivo considerarla come tutto il pensiero del poeta. Pessoa Ortonimo si può considerare come ciò che resta del poeta, tolti i suoi eteronimi, e la ricchezza interiore che gli davano: e ciò che resta è una ricerca spirituale della propria, personale, dimensione.
L’opera ortonima di Pessoa è passata per fasi distinte, ma fondamentalmente è una ricerca di un certo patriottismo perduto, con lo sguardo rivolto all’esoterismo: la patria ha un valore esistenziale e spirituale, è una dimensione interiore da cui l’uomo è andato in esilio. L’ortonimo fu profondamente influenzato, in vari momenti, da dottrine religiose come la teosofia e da società segrete come la massoneria[12]. La poesia che ne risulta possiede una certa aria mitica, eroica (quasi fosse una poesia epica, ma certo non nell’accezione originale del termine), e talvolta tragica. Pessoa un poeta universale, nella misura in cui ci fornisce una visione simultaneamente multipla e unitaria della vita, pur con contraddizioni. È proprio nel tentativo di guardare il mondo in forma multipla (con un forte substrato di filosofia razionalista e anche con influenze orientali) che risiede una spiegazione plausibile alla creazione degli eteronimi più celebri.
L’opera principale del “Pessoa-sé-stesso” è “Mensagem” (“Messaggio”), una raccolta di poemi sui grandi personaggi storici portoghesi. Il libro fu inoltre l’unico pubblicato in vita dall’autore in lingua portoghese.
L’ortonimo è considerato simbolista e modernista, per l’evanescenza, l’indefinizione e l’insoddisfazione, e per l’innovazione praticata nelle diverse vie con cui formula il discorso poetico (sensazionismo, paulismo, intersezionismo, ecc.).
Gli eteronimi e il giorno trionfale
Nella lettera ad Adolfo Casais Monteiro del 13 gennaio 1935, interrogato da questo sulla genesi dei suoi eteronimi, scrive:
«L’origine dei miei eteronimi è il tratto profondo di isteria che esiste in me. […] L’origine mentale dei miei eteronimi sta nella mia tendenza organica e costante alla spersonalizzazione e alla simulazione. Questi fenomeni, fortunatamente, per me e per gli altri, in me si sono mentalizzati; voglio dire che non si manifestano nella mia vita pratica, esteriore e di contatto con gli altri; esplodono verso l’interno e io li vivo da solo con me stesso.[4]»
Sempre nella stessa lettera, descrive così la nascita del suo primo eteronimo, il suo “giorno trionfale”:
«Un giorno in cui avevo definitivamente rinunciato — era l’8 marzo 1914 — mi sono avvicinato da un alto comò e, prendendo un foglio di carta, mi sono messo a scrivere, all’impiedi, come faccio ogni volta che posso. E ho scritto circa trenta poesie di seguito, in una specie di estasi di cui non riesco a capire il senso. Fu il giorno trionfale della mia vita e non potrò mai averne un altro come quello. Cominciai con un titolo: O Guardador de Rebanhos (Il Guardiano di greggi). E quello che seguì fu la nascita in me di qualcuno a cui diedi subito il nome di Alberto Caeiro. Scusate l’assurdità di questa frase: il mio maestro era sorto in me».[4]»
Alberto Caeiro
(PT)
«O essencial é saber ver,
Saber ver sem estar a pensar,
Saber ver quando se vê,
E nem pensar quando se vê,
Nem ver quando se pensa.»
(IT)
«L’essenziale è saper vedere,
Saper vedere senza stare a pensare,
Saper vedere quando si vede,
E né pensare quando si vede,
Né vedere quanto si pensa.»
(Alberto Caeiro, eteronimo di Fernando Pessoa, «O Guardador de Rebanhos», in Athena, n. 4, 1925)
Secondo quanto detto da Pessoa sempre nella lettera ad Adolfo Casais Montero, Caeiro, nato a Lisbona nel 1879, avrebbe vissuto tutta la vita come contadino, quasi senza studi formali ma solo con una istruzione elementare; rimasto presto orfano, visse con la zia di uno dei genitori, grazie a una modesta rendita. Morì di tubercolosi (come il padre di Pessoa) nel 1915.[13][14][15]
Alberto Caeiro è considerato il maestro tra gli eteronimi[16], per l’ortonimo e per Pessoa stesso che lo descrisse come il suo maestro di poesia, pur cosciente dell’assurdità di ciò.[14] È noto anche come poeta-filosofo, ma rigettava questo titolo e propugnava una “non-filosofia”. Credeva che gli esseri semplicemente “sono”, e nulla più; era irritato dalla metafisica e da qualunque tipo di simbologia sulla vita. In altri termini non credeva che il linguaggio e il pensiero fossero mezzi adatti a conoscere la Realtà, poiché essa è altrove.
Fu creato nella prima metà degli anni 1910, con l’intenzione, da parte di Pessoa, di farne un poeta bucolico.[14] Possedeva un linguaggio estetico diretto, concreto e semplice, ma tuttavia sufficientemente complesso per il suo punto di vista riflessivo. Il suo ideale si può riassumere nel verso “C’è sufficiente metafisica nel non pensare a niente”[17], mentre tra i temi da lui più esaltati nella sua opera si trovano la natura e la conoscenza di essa tramite i sensi fisici. Le sue opere di poesia sono O Guardador de Rebanhos, O Pastor Amoroso e Poemas Inconjuntos[15]; la sua opera è raccolta nel volume “Poemas Completos de Alberto Caeiro“.
Il giorno stesso in cui nacque Caeiro nella mente di Pessoa, il giorno trionfale, Pessoa lo concepì come già morto: egli fu il maestro prematuramente scomparso, di tutti gli eteronimi e dell’Ortonimo. Ciò che abbiamo di lui è un’opera postuma e il ricordo che ne avevano i suoi allievi.
Álvaro de Campos
(PT)
«Não sou nada.
Nunca serei nada.
Não posso querer ser nada.
À parte isso, tenho em mim todos os sonhos do mundo.»
(IT)
«Non sono niente.
Non sarò mai niente.
Non posso voler essere niente.
A parte questo, ho in me tutti i sogni del mondo.»
Álvaro de Campos, eteronimo di Fernando Pessoa, «Tabacaria» (in Presença, n. 39, 1933, p. 1)
Pessoa fece nascere Campos a Tavira (Portogallo), il 15 ottobre 1890, alle 13:30. Viene descritto come un uomo alto 1,75 m e fisicamente «tra il bianco e il bruno, del tipo vagamente dell’ebreo portoghese». Trasferitosi in Scozia, Campos studiò dapprima ingegneria meccanica e poi navale a Glasgow. Durante un viaggio in Oriente, compose la poesia Opiário. Uno zio di Beira, prete, gli insegnò il latino.[18] Afflitto dalla sensazione di essere straniero in qualsiasi parte del mondo, una volta a Lisbona non esercitò la professione. In questa città era solito frequentare gli stessi luoghi amati da Pessoa, e con lui morì il 30 novembre 1935.[19]
Fra gli eteronimi, Campos fu l’unico a manifestare fasi poetiche differenti nel corso della sua opera.[20] Inizia la sua avventura come decadente influenzato dal simbolismo, ma aderisce presto al futurismo. A seguito di una serie di disillusioni esistenziali, assume una vena nichilista, che viene esplicitata nel poema “Tabacaria“, considerato uno dei più noti della lingua portoghese, e quello che forse ha maggiormente influenzato altri autori.
Campos è il primo, tra gli eteronimi di Pessoa, a debuttare pubblicamente, nel primo numero della rivista Orpheu nel 1915, con le poesie Opiário e Ode Triunfal.[18][21] A suo nome sono firmate alcune tra le poesie più importanti di Pessoa, tra le quali Tabacaria e Ode Marítima.
Col passare del tempo, la presenza di Campos si estese anche al di fuori dall’ambito letterario, come testimonia la corrispondenza tra Pessoa e la sua fidanzata Ofélia Queiroz. Lei intuì presto la minaccia che Campos rappresentava e se ne lamentò più volte col poeta. Il pericolo è stato confermato da alcuni studiosi che scorgono in questo eteronimo elementi di omosessualità e dunque di disturbo nel rapporto di coppia; Campos, insomma, avrebbe costituito il temibile terzo lato del triangolo amoroso.
Ricardo Reis
(PT)
«Para ser grande, sê inteiro: nada
Teu exagera ou exclui.»
(IT)
«Per essere grande, sii intero: nulla
Di te esagera o escludi.»
(Ricardo Reis, eteronimo di Fernando Pessoa, in Presença, n. 37, 1933)
L’eteronimo Ricardo Reis è descritto come un medico che si autodefinisce latinista e monarchico. Nacque a Porto nel 1887, si formò nelle lingue latino e greco, e si auto-esiliò in Brasile nel 1919, poiché contrario alla repubblica istituita in Portogallo nel 1910. Non si conosce l’anno della sua morte.[22][23]
In un certo qual modo Reis simboleggia l’eredità classica nella letteratura occidentale, espressa con simmetria, armonia, una certa vena bucolica, con elementi epicurei e stoicismi: le sue poesie – o meglio, le sue Odes (Odi) – infatti s’ispirano ai classici greci e latini, soprattutto alla filosofia epicureista. L’inesorabile fine di tutti i viventi è una costante nella sua opera, sempre classica, depurata e disciplinata.[24]
José Saramago continua l’universo di questo eteronimo nel romanzo O ano da morte de Ricardo Reis, in cui Reis torna a Lisbona dopo la morte di Pessoa e stabilisce un dialogo con il fantasma dell’ortonimo, ambedue sopravvissuti al loro creatore.
Bernardo Soares
Bernardo Soares è un semi-eteronimo di Pessoa, che definì Soares come “una semplice mutilazione della mia personalità: sono io senza il raziocinio e l’affettività.” È l’autore del Libro dell’inquietudine, considerato una delle maggiori opere della letteratura portoghese del XX secolo. Bernardo Soares è un modesto impiegato in un ufficio (Vasques e Companhia) della Baixa di Lisbona. Molti frammenti del libro sono dedicati alle sensazioni provocate dall’universo della Baixa, poiché è da questi microcosmi che Bernardo Soares parte per creare la sua inquieta metafisica.
Altri autori fittizi
Sono stati effettuati vari “censimenti” negli archivi di Pessoa per cercare di conoscere il numero esatto di eteronimi da lui inventati. Infatti, si può dire che lo scrittore portoghese avesse a disposizione un vero e proprio laboratorio di eteronimia, nel quale creava costantemente nuovi scrittori immaginari, abbandonandone presto alcuni e sviluppandone altri nel tempo.
Nel 2013, Jerónimo Pizarro e Patricio Ferrari hanno pubblicato un’antologia contenente testi di centotrentasei autori fittizi inventati da Pessoa: ai tre eteronimi Alberto Caeiro, Ricardo Reis e Álvaro de Campos (dotati di una costruzione estetica, psicologica e drammaturgica assai elaborata, accuratamente costruiti da Pessoa sulla base di precisi calcoli e corrispondenze astrologiche[25]) e al semi-eteronimo Bernardo Soares, si aggiungono altre centotrentadue figure,[26][27] alcune delle quali erano già state divulgate in precedenti edizioni.[28]
Alcuni tra questi autori sono pressoché abbozzi di eteronimi, altri invece, in modo analogo ai tre eteronimi principali e a Soares, sono più strutturati e presentano una biografia, un’opera significativamente voluminosa, una caratterizzazione abbastanza avanzata. È questo certamente il caso di António Mora, la cui opera Pessoa non pubblicò, ma che nei suoi piani doveva essere l’eteronimo-filosofo e che appare in alcuni scritti come vero e proprio membro del gruppo dei “discepoli” di Caeiro, assieme a Reis, Campos e allo stesso Pessoa[29]. Altri nomi rilevanti in questa proliferazione di alter ego sono Alexander Search (che scrive in inglese), Vicente Guedes (che doveva inizialmente essere l’autore del Libro dell’Inquietudine) e il Barone di Teive (autore de L’educazione dello stoico).
Citazioni
(PT)
«Não sou nada. Nunca serei nada. Não posso querer ser nada. À parte isso, tenho em mim todos os sonhos do mundo.»
(IT)
«Non sono niente.
Non sarò mai niente.
Non posso volere essere niente.
A parte questo, ho in me tutti i sogni del mondo.»
(Da “Tabacaria“, considerato uno dei più bei testi della letteratura portoghese)
«Una delle mie preoccupazioni costanti è capire com’è che esista altra gente, com’è che esistano anime che non sono la mia anima, coscienze estranee alla mia coscienza; la quale, proprio perché è coscienza, mi sembra essere l’unica possibile.»
“VIVA LA POESIA” di Papa Francesco-tra interiorità e verità -Articolo di Domenico Pisana-
Articolo di Domenico Pisana relativo al libro “VIVA LA POESIA” di Papa Francesco- Edizioni ARES-rapporto poesia – interiorità – verità è una forte esigenza del sentimento poetico del nostro tempo. L’uomo contemporaneo dalla poesia non vuole la finzione intesa come costruzione lirica della mente, ma vuole la verità. E quale verità?
– La “verità di senso”: la poesia è chiamata a far scoprire all’uomo la dimensione valoriale degli accadimenti, lieti e tristi, della vita; deve aiutare l’uomo a dare un significato alla gioia o al dolore in questa fuga continua di giorni;
– la “verità morale”: fare poesia implica mettere l’uomo nella condizione di discernere il bene e il male che è dentro di lui.
Queste riflessioni emergono leggendo il libro “Viva la poesia!” di Papa Francesco, ove convergono alcuni scritti del pontefice su “poesia e letteratura”, che offrono chiavi di lettura per comprendere l’intelligenza letteraria di Bergoglio e le angolazioni ermeneutiche degli autori da lui esaminati.
Il testo di Papa Francesco fa capire come sia importante riflettere sulla poesia e sull’essere poeti, facendo risaltare che “affidarsi alla poesia non significa fuggire, né entrare in un mondo parallelo; significa, invece, ritrovare questo stesso mondo in un modo più profondo, riscoprendolo sotto altri riflessi”.
Il libro di Papa Francesco lo si può accogliere come un invito ai poeti ad essere presenti nel dibattito culturale, sociale, politico del nostro tempo, dando così all’ “essere poeta” forza e peso in grado di contribuire a suscitare domande di senso.
Quando un poeta c’è, si vede, si percepisce perché “sveglia le coscienze”; le sue parole aprono al confronto, al dialogo, invitano a entrare nelle pieghe della vita, che è mistero, è fascinazione, è inafferrabile, non è ingabbiabile, non è definibile come fosse un dogma.
La poesia, in verità, la si può trovare dovunque: basta guardarsi intorno. Spesso si è portati a pensare che le cose semplici della vita di ogni giorno non possano assurgere a “poesia”, non possano essere chiamate “poesia”. Domandiamoci: cosa può avere di poetico un guscio d’uovo? Eppure il poeta Giovanni Raboni gli dedicò una poesia scrivendo: “La tenerezza del guscio d’uovo/dolcemente svuotato con la bocca/ e ornato con paesaggi lontani…” . Cosa può avere di poetico un calzolaio? Eppure Montale gli dedicò dei versi: “L’abbiamo rimpianto a lungo l’infilascarpe, /il cornetto di latta arrugginito ch’era/sempre con noi..” Cosa può avere di poetico una moneta? Eppure un altro importante poeta del 900, Giovanni Giudici, vi ha dedicato una poesia, scrivendo: “Provvido dal taschino del panciotto la moneta/ Parsimoniosa estraendo e snocciolata /Sul polpastrello pensieroso…”
Ecco, i grandi poeti non hanno fatto una distinzione tra cose poetiche e non poetiche; ci hanno insegnato che il poeta è tale perché aiuta a vedere con occhi diversi; perché fa provare sensazioni ricorrendo ad un linguaggio specifico e appropriato. Ogni poeta, infatti , quando prova delle sensazioni, vede un suo colore, sente un suo suono, o annusa un suo odore. Sta qui la bellezza e diversità della poesia!
Un altro messaggio viene dal libro del pontefice: occorre oggi, una poesia personalista secondo l’idea, a mio avviso, di Luigi Pareyson, supportata da “un cognitivismo epistemico ed etico con risvolti anche sul piano civile” per contrastare il nichilismo contemporaneo e superare con la sua forza visionaria la tanta “poesia individualista, massificata nell’autoreferenzialità, che è sterile e non dà frutto e conduce al nulla”.
Il poeta esiste come persona che può modificare la realtà con la sua libertà e verità, e non solo per scrivere idilli o – direbbe Quasimodo – oroscopi lirici. La crisi del nostro tempo chiede al poeta una dimensione pragmatica e sociale nella quale il ruolo del poetare non appaia solo quello “speculativo e contemplativo”, ma quello dell’invito alla prassi come metodo per cambiare il mondo.
Il poeta non può nascondersi né evitare di assumersi le sue responsabilità sociali; egli non può rimanere neutrale di fronte alla storia, alla società e al mondo, ma, al contrario, deve prendere posizione; il suo poetare è un “atto di creazione” di immagini forti, nonché di sentimenti e contenuti in grado di avere un’efficacia sul cuore dell’uomo ancor più forte rispetto a quanto siano in grado di fare la storia e la filosofia.
Da qui il bisogno di puntare nella direzione di una poesia personalista ed esistenzialista che sappia dare voce alla società non come massa ma come realtà di relazione tra persone chiamate a ritrovarsi sui valori di una umanità che fatica ad essere umana; ciò non è da confondere con le lamentazioni né con una sorta di “poesia sociologica” o di tipo moralistico, ma, invece, deve essere inteso come necessità di una poesia che aspira al dialogo più che al monologo; direbbe infatti Quasimodo: “Un poeta è tale quando non rinuncia alla sua presenza in una data terra, in un tempo esatto, definito politicamente. E poesia è verità e libertà di quel tempo e non modulazioni astratte del sentimento (…)
Viva la poesia! è un libro che invita i poeti a rimanere sempre più legati al mondo, non staccandosi dalla vita nelle sue articolazioni storiche, politiche, sociologiche, filosofiche, religiose, di idealità, passioni, difficoltà e speranze. Il poeta, per dirla con Heidegger, è l’uomo della soglia, l’uomo della frontiera, del confine, nel senso che fiuta un pericolo, il disagio del suo tempo, intuisce ciò che altri non intuiscono, e quando intuisce “traduce”, cioè porta quel disagio, quel pericolo dentro un linguaggio che parte dalla vita e alla vita ritorna. Il poetare è come vivere al confine, che è quel luogo interiore, quello spazio dell’anima dove il poeta parla il linguaggio dell’essere, della spiritualità, dei modelli, dei principi, dei valori non per fissare canoni estetici, ma per fornire un importante contributo alla società in cui vive, e caricando, così, il suo operato di responsabilità.
Il linguaggio della poesia diventa così servizio a favore dell’altro in qualunque parte del mondo esso si trovi, servizio per la comunità civile, e il poeta un costruttore di bellezza testimoniata attraverso il nesso tra etica ed estetica della poesia.
Domenico Pisana
Biografia di Domenico Pisana è nato a Modica (RG) nel 1958.
Domenico Pisana
Ha conseguito il Magistero in Scienze religiose con specializzazione pedagogico-didattica, presso la Facoltà di Teologia dell’Ateneo della Santa Croce di Roma; il Baccalaureato in Sacra Teologia, presso la Pontificia Università salesiana; la Licenza in Teologia Morale, presso la Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia, riconosciuta come Diploma di Laurea dell’ordinamento didattico italiano con Decreto N. 1066 del 5 Giugno 2002; il Dottorato in Teologia Morale, presso l’Accademia Alfonsiana della Pontificia Università Lateranense; il Master di II livello in Dirigenza scolastica, presso la Libera Università LUPSIO di Roma.
In oltre un trentennio ha affiancato ai suoi studi teologici, – è infatti docente nei Licei – studi e ricerche letterarie, svolgendo attività poetica, di scrittore, saggista e critico letterario, e tenendo conferenze su temi letterari, teologici, storico-politici, presentando autori e recensendo libri di vario genere.
È socio fondatore dello Snadir, Sindacato Nazionale Autonomo Degli Insegnanti di Religione, ed è stato docente formatore del MIUR distaccato presso l’ADR, Associazione nazionale dei docenti di religione. A Ragusa ha insegnato Etica Professionale, Morale Fondamentale e Bioetica e attualmente insegna Teologia Morale nella Scuola Teologica di base della Diocesi di Noto.
Inoltre, è giornalista è Direttore responsabile dell’emittente radiofonica e quotidiano on line RTM, Radio Trasmissioni Modica; negli anni ‘80 ha svolto attività giornalistica presso la TV Video Mediterraneo, dove ha curato diverse interessanti rubriche e successivamente è stato Direttore responsabile del quotidiano della Diocesi di Ragusa Insieme, mentre nel 1995 ha fondato il giornale di attualità cultura ed informazione Professione IR.
È anche membro dell’ATISM, Associazione teologica Italiana per lo studio della Morale. Nel suo percorso professionale, ha anche collaborato con numerose riviste di Letteratura e Teologia ed è Presidente del Caffe Letterario Salvatore Quasimodo di Modica; svolge cicli di lezioni in corsi di formazione pedagogico-didattica, seminari di studi e conferenze in convegni su temi di letteratura e teologia con studi ed approfondimenti su S. Quasimodo, E. Montale e sulla poesia dialettale e religiosa.
In quasi un trentennio di fiorente attività letteraria, si sono occupati di Domenico Pisana la rivista di Letteratura greca Pancosmia Sunergasìa, l’Antologia poetica Romanta in italiano, inglese, francese e tedesco, gli autori Irena Burchacka e Anna Sojka che hanno tradotto in polacco l’opera teologica di Pisana “Sulla tua parola gettero le reti”, tradotta anche integralmente in versione spagnola da Augusto Aimar; ed ancora si sono occupati di Domenico Pisana il poeta e critico letterario rumeno Geo Vasile, che ha tradotto il suo saggio su Quasimodo, e la poetessa Floriana Ferro che ha tradotto il suo recente volume “Odi alle dodici terre. Il vento, a corde, dagli Iblei”, nonché Renato Civello, Piero Cruciani Antinori, Anna Maria Ferrero, Felice Ballero, Graziella Corsinovi, Pietrangelo Buttafuoco, Gaetano De Bernardis, Maurizio Soldini, Ninnj Di Stefano Busa, Niccolò Carosi, Dalmazio Masini, Corrado Calvo, Ester Cecere, Salvatore Borzì e tanti altri autorevoli nomi della cultura italiana.
Ha ricevuto premi e riconoscimenti letterari, tra i quali:
– Premio Letterario Internazionale “Velino”, conferitogli il 15 maggio 1982 per la sezione “Letteratura per l’infanzia, Critica e Giornalismo”;
– Menzione speciale per la poesia, conferita a Milano il 5 Aprile 1987 presso la Sala del Grechetto di Palazzo Sormani;
– Menzione speciale per il tema sociale, conferito dal Centro studi per la ricerca e la documentazione della poesia italiana del 900 “Carlo Capodieci” presso il Teatro Quirino di Roma il 23 maggio 1987;
– Premio per la poesia Giacomo Leopardi, assegnato dall’Accademia dei Bronzi di Catanzaro il 26 Marzo 1988;
– 3° Premio internazionale Katana per la critica letteraria, conferito dal Centro di Ricerche Poesia contemporanea di Catania il 29 Ottobre 1988;
– Medaglia d’Argento per la valorizzazione dell’arte e della cultura, conferitagli dall’Accademia Italiana “Gli Etruschi” di Vada (Livorno) il 6 novembre 1988;
– Premio Città di Alanno, per la critica letteraria, nel 1988;
– Menzione d’onore al Premio Bontempelli-Marinetti per la critica letteraria, nel 1989;
– Premio Regionale alla solidarietà e amicizia (VI Edizione) per l’impegno nella ricerca letteraria e teologica e nella promozione della solidarietà, conferito il 16 giugno 2002 dalla Pro Loco e dall’Università della terza età di Modica;
– Premio speciale per la saggistica, conferitogli a Palermo il 15 novembre 2008 dall’ASLA Associazione siciliana per le lettere ed arti, in occasione del Convegno internazionale Arte e poesia 2003, tenutosi nella ricorrenza del 40° anno di fondazione dell’associazione;
– Medaglia d’oro del “Premio alla Modicanità”, conferitogli nel settembre del 2006 dall’Amministrazione Comunale e dalla Pro Loco di Modica;
– Premio “Capitale Iblea della cultura” per l’impegno profuso nella promozione della cultura e dell’espressione poetica proprie degli Iblei”, conferitogli a Comiso il 15 dicembre 2015;
– “Premio Sicilia Federico II alla cultura” per le sue pubblicazioni e attività culturali, conferitogli a Rosolini (Siracusa) il 27 novembre del 2016;
– “Premio Europeo FARFA” per la cultura e il territorio 2017, conferitogli a Pozzallo dall’Associazione Internazionale dei Critici Letterari il 21 gennaio 2017;
– Premio alla cultura “Magister vitae” conferitogli a San Vito Lo Capo (Trapani) il 2 settembre 2017;
– Nomina di Socio Onorario dell’Associazione Culturale “Euterpre” di IESI per i suoi alti meriti in campo letterario, di esegesi religiosa, e la sua instancabile attività di promozione e diffusione culturale a livello locale e nazionale, conferitagli a Catania il 23 giugno 2018;
– Nomina di Socio Onorario e Ambasciatore di Cultura dall’Università Popolare di Palermo “Per l’infaticabile opera di promozione e divulgazione della Cultura nei diversi ambiti del Sapere. Per il contributo prezioso offerto alla comunità come poeta, scrittore, intellettuale, teologo, organizzatore di eventi e Presidente del salotto letterario “Salvatore Quasimodo”. Per l’impegno anche di tipo sociologico-comunicativo che ha raggiunto nel tempo livelli di fama internazionale”, conferitagli a Palermo l’11 maggio 2019;
– Premio Internazionale di Poesia in lingua italiana Città di Siderno, 26 ottobre 2019;
– Menzione d’onore al Premio Internazionale di Poesia e Narrativa Lord Byron Porto Venere Golfo dei Poeti 2019, conferitogli a Porto Venere il 3 novembre 2019;
– Primo Premio Internazionale di Arte Letteraria “Il Canto di Dafne” per la saggistica, conferitogli ad Aulla (MS) il 24 novembre 2019;
– I Premio Internazionale “Dal Tirreno allo Jonio”, VI Edizione 2019, per un saggio su Eugenio Montale, conferitogli a Matera, capitale europea della Cultura 2019, il 21 dicembre 2019.
LE OPERE DI DOMENICO PISANA
Poesia
Nella sognante casa delle Muse, Editrice EDI, Modica, 1985.
E verrà il tempo…, Edizioni Associazione culturale Dialogo, Modica, 1988.
Oltre il silenzio della Parola, Vincenzo Ursini Editore, Catanzaro, 1990.
Guardando Lembi di cielo, Adierre Editrice, 1993.
Terre di Rinascita, Itinerarium Editrice, Modica 1997.
Canto dal Mediterraneo, Ismeca, Bologna, 2008.
Tra naufragio e speranza, Europa Edizioni, Roma, 2014.
Odi alle dodici terre. Il vento, a corde, dagli Iblei, bilingue (Italiano-inglese), Armando Siciliano, Messina, 2016.
Saggistica e critica letteraria
Poesia negli Iblei. Lettura di poeti dell’area ragusana Editrice Setim, Modica, 1990.
Poesia e Teologia in una letteratura d’umanità, Libroitaliano, Ragusa, 1995.
“Saverio Saluzzi e la sua poesia del Tramonto”. Itinerarium Editrice, Modica, 1996.
Percorsi critici. Lettura di autori contemporanei: Quasimodo, Montale, Goffis, Lauretta, Musumarra, Saluzzi, Savoca, Barberi Squarotti, Trombatore, Edizioni Pagine, Roma, 2001.
Quel Nobel venuto dal Sud. Salvatore Quasimodo tra gloria ed oblio, Edi Argo 2006.
Paesaggi dell’anima nella poesia di Salvatore Puma, Albalibri, Livorno, 2011.
Personaggi letterari degli Iblei, 1839-1925. Profili critici e testi, Periferie Edizioni, Ragusa, 2019.
Pagine critiche di Poesia Contemporanea – Linguaggi e valori comuni fra diversità culturali, Edizioni Il Cuscino di stelle, Pereto (AQ), 2019.
Teologia ed etica
Il padre, l’amico, il fratello. Mons. Giuseppe Rizza, Editrice EDI, Modica, 1986.
L’etica della famiglia siciliana tra passato e presente. Lineamenti di cultura, fede, spiritualità, Libroitaliano, Ragusa, 1994.
Orizzonti etici e sociali nell’insegnamento del Vescovo Mons. G. Blandini, Adierre Editrice, Modica, 1994.
Evangelizzazione e catechesi nell’episcopato di Mons. Salvatore Nicolosi, Itinerarium Editrice, Modica, 1997.
La famiglia santuario della vita, Itinerarium Editrice, Modica, 1998.
Sulla tua parola getterò le reti, Edizioni San Paolo, Milano, 1997.
Temi di Bioetica, introduzione e conclusioni del volume di Mario Cascone, SEI, Torino, 1996.
Alle pendici dell’Oreb, Edizioni Rinnovamento nello Spirito, Roma, 2003.
Per una città educativa e solidale, Itinerarium Editrice, 2003.
Va’ e anche tu fa’ lo stesso, Edizioni del Rinnovamento, Roma, 2005.
Storia e politica
Aspettando la politica. Libro intervista a cura di Luisa Montù, Adierre, 2005.
Modica in un trentennio. Percorsi di storia di una città in cammino, Genius Loci Editrice, Ragusa, 2010.
Indignazione e doppia morale nell’Italia del berlusconismo, Petralia Editore, Modica, 2011.
Didattica (a cura di)
– La nuova identità della scuola a 10 anni dall’introduzione dell’autonomia scolastica: l’insegnamento della religione cattolica tra cambiamenti, sperimentazioni ed emergenze educative, Atti del corso interregionale dei docenti di religione dell’Italia del Nord, Verona, Adierre, 2010.
– L’identità professionale del docente di religione tra qualità e flessibilità dell’insegnamento, confessionalità e laicità, Atti del corso di aggiornamento dei docenti di religione dell’Italia centrale, Pisa, Adierre, 2010.
– Il contributo e il ruolo specifico dell’IRC nella progettazione del sistema di istruzione e formazione, Atti del corso di aggiornamento dei docenti di religione del Sud Italia, Lecce, Adierre, 2010.
– Programmazione e metodologia dell’IRC per un’efficace azione educativa nella scuola, Atti del corso di aggiornamento dei docenti di religione di Sicilia e Sardegna, Catania, Adierre, 2010.
– L’IRC di fronte al bullismo e al disagio giovanile: per una strategia educativa, Atti del corso interregionale di aggiornamento degli idr del Nord Italia, Treviso, Adierre, 2011.
– Lo sguardo educativo nel processo educativo dell’IRC, Atti del corso nazionale per i docenti di religione della scuola dell’infanzia e primaria, Salerno, Adierre, 2011.
– Per una attività didattica motivata: L’IRC tra istruzione, formazione, competenze relazionali e capacità comunicative, Atti del corso interregionale di aggiornamento dei docenti di religione del Nord Italia, Mantova, Adierre, 2011.
– Essere docenti nella scuola dell’autonomia. La conduzione del gruppo classe nell’ora di religione, Atti del corso regionale di aggiornamento dei docenti di religione della Sardegna, Sassari, Adierre, 2011.
– Insegnamento della religione e valutazione delle competenze, Atti del corso interregionale di aggiornamento dei docenti di religione dell’Italia centrale, Pisa, Adierre, 2011.
– Per una educazione alla cittadinanza. L’insegnamento della religione cattolica come “spazio di senso”, Atti del corso interregionale di aggiornamento dei docenti di religione del Sud Italia, Caserta, Adierre, 2011.
– Insegnamento della religione, arte e web, Atti del corso interregionale di aggiornamento dei docenti di religione della scuola dell’infanzia e primaria dell’Italia centrale, Roma, Adierre, 2011.
– Insegnamento della religione e uso delle tecnologie informatiche e multimediali nella didattica, Atti del corso regionale di aggiornamento dei docenti di religione della Sicilia, Palermo, Adierre, 2011.
– Per una cultura della solidarietà. Sogni e desideri cambiano il mondo, Atti del convegno nazionale di aggiornamento dei docenti di religione, Palermo Adierre, 2011.
– L’insegnamento della religione e la relazione educativa, Atti del corso interregionale di aggiornamento dei docenti di religione dell’Italia centrale, Pisa Adierre, 2013.
Opere di Pisana tradotte in polacco, spagnolo,
rumeno e inglese.
Na twojw slowa zarzuce sieci, Polish edition 1999, 4K PHUP Sp.z.o.o., Bytom, Polonia, 1999.
En tu palabra echaré las redes, San Pablo, Santafe De Bogota, D.C.,1999.
Acel Nobel venit din Sud. Salvatore Quasimodo intre glorie siui tare, Iunimea, Iasi, Bucarest, 2011.
Odes tho the twelve lands. A stringed wind from the Ibleans, Armando Siciliano Editore, Messina, 2016.
RECENSIONI E STUDI SULL’AUTORE
C. AREZZO, Nella sognante casa delle muse, in Ragusa sera, Ragusa, aprile 1986.
F. BALLERO, Nella sognante casa delle muse di Domenico Pisana, in Gazzetta del Sud, 14 agosto 1986.
E. BARONE, Un poeta in anticamera, in Dialogo, mensile di cultura, politica e attualità, Modica, Maggio 1994.
G. BATTAGLIA, Luce spirituale e lirica nella seconda silloge di Pisana “E verrà il tempo …”, in La Vita Diocesana, Noto, 8 gennaio 1989, anno XV.
G. BATTAGLIA – S. SALUZZI, Sulla poesia di Domenico Pisana, Insieme CI.DI.BI., Ragusa, 1992.
S. CANNIZZARO, Oltre il silenzio della parola, in La Vita diocesana, n. 34, Noto, 25 novembre 1990.
M. CATAUDELLA, E verrà il tempo … di Domenico Pisana, in Il Giornale di Scicli, Scicli, 10 settembre 1989.
R. CIVELLO, Pisana e l’etica del linguaggio, in Secolo d’Italia, Domenica 16 ottobre 1988, p.6.
P. CRUCIANI ANTINORI, E verrà il tempo … , in … le segrete cose, Rassegna mensile di poesia ed altre cose intelligenti, Roma febbraio 1989.
C. DEPETRO, Nuove poesie di Domenico Pisana in “E verrà il tempo …”, in Provincia Iblea, Ragusa 21 dicembre 1988, p.6.
C. DEPETRO, Aspirazione alla libertà, in Ragusa sera, Ragusa, 23 febbraio 1991.
C. DEPETRO, Una raccolta poetica di Domenico Pisana, in Il Secolo d’Italia, 18 febbraio 1994.
C. DEPETRO, La luce divina illumina la vita, in Il Mercatino, 29 marzo 1994.
S. DI MARCO, Oltre il silenzio della parola, in Giornale di poesia siciliana, Palermo, gennaio 1991.
G. DORMIENTE, Oltre il silenzio della parola, in Dialogo, mensile di cultura, politica e attualità, Modica, gennaio 1991.
A. MARIA FERRERO, Pisana poeta della speranza, in Controcampo, rivista letteraria, Torino, Agosto 1989.
C. FIORE, E verrà il tempo …, in Dialogo, mensile di cultura, politica, attualità, Modica, Dicembre 1988, p.3.
C. FIORE, “Nella sognante casa delle muse” di Domenico Pisana, in Dialogo, mensile di cultura, politica, attualità, Modica, 1985.
C. FIORE, Una lirica per la pace, E verrà il tempo, in Corriere di Modica, Modica, gennaio-febbraio 1987.
C. FIORE, Guardando lembi di cielo di Domenico Pisana, in La Pagina, quindicinale di Modica, 28 maggio 1994.
E. SCHEMBARI, “E verrà il tempo … “, in Il Giornale di Scicli, 26 giugno 1988, p.5.
D. GENNARO, La raccolta di poesie di Pisana “E verrà il tempo”, in Gazzetta del Sud, Messina 8 Agosto 1988.
C. LAURETTA, E verrà il tempo … , in Giornale di poesia siciliana, Palermo, 1988.
G. DORMIENTE, E verrà il tempo …, in Il Focolare, mensile della famiglia, anno XXI, n. 11-12, Nov. – Dic. 1988.
G. PUMA, Domenico Pisana poeta, in Artecultura, anno XXII, n. 10 dicembre, Milano, 1988.
C. LAURETTA, L’amore che si fa speranza nella lirica di Pisana, in Ragusa sera, Ragusa, 1988, p.4.
E. SCHEMBARI, Nella sognante casa delle muse un misto di amore, fede e umanità, in Il Domani Ibleo, settimanale, Anno VIII, n. 5, Modica, 1 febbraio 1986.
S. SALUZZI, Grido e tormento di vita la poesia di Domenico Pisana, in Il Domani Ibleo, settimanale, Anno VIII, n. 10 Modica, 8 marzo 1986.
L. MONTù, È nato un poeta, “Nella sognante casa delle mu-se”, in Il Domani Ibleo, Anno VII, n. 13, Modica, 12 ottobre 1985.
T. RIZZONE, Nella sognante casa delle muse, in La Vita diocesana, n. 7 , Noto, 23 febbraio 1985.
L. TRINGALI, Un messaggio di amore e di libertà la poesia di Domenico Pisana, in Il Quindicinale, Ispica, 30 marzo 1986.
C. LAURETTA, L’epifania del divino, in Ragusa sera, Ragusa, 22 dicembre 1990.
G. ROSSINO, Oltre il silenzio della parola, in Dibattito, mensile di attualità, politica, costume, sport, Anno III, n. 2, febbraio 1991.
M. IEMMOLO, Pisana rivive nella memoria i filmati dell’infanzia e dell’adolescenza, in Gazzetta del Sud, Anno XL, lunedì 29 aprile 1991.
L. MODICA, Modica terra di poeti. Quarta pubblicazione di Domenico Pisana, in Giornale di Sicilia,martedì 4 gennaio 1994.
C. LAURETTA, Proposte ermeneutiche della poesia di Domenico Pisana, in Insieme, quindicinale della provincia di Ragusa, Ragusa, 15 febbraio 1993.
E. SCHEMBARI, Guardando lembi di cielo, in La Settimana della provincia di Ragusa, n. 13, 7 maggio 1994.
C. LAURETTA, Le parafrasi della silloge di Pisana, in Insieme, quindicinale della provincia di Ragusa, 31 marzo 1994.
C. LAURETTA, Pisana, Poesia e cultura, Itinerarium, 1999.
V. INGRAO, Modica: terra di poeti, in Insieme, quindicinale della provincia di Ragusa, 15 giugno 1990.
L. RICCOBENE, La poesia come sublimazione del silenzio, in Insieme, quindicinale della provincia di Ragusa, 28 febbraio 1995, p. 3.
E. SCHEMBARI, Oltre il silenzio della parola, in La Provincia di Ragusa, marzo 1991.
L. MODICA, Guardando lembi di cielo, in Giornale di Sicilia, 4 gennaio 1994.
S. SALUZZI, Prefazione a E verrà il tempo, Edizioni Associazione culturale Dialogo, Modica, 1988.
S. SALUZZI, Guardando lembi di cielo, in S. SALUZZI, Da Modica e dintorni e oltre, Moderna, Modica, 1994.
G. SELVAGGIO, Nella sognante casa delle muse, in La Provincia di Ragusa, giugno 1986.
S. SALUZZI, Una lettura più riposata delle poesie di Domenico Pisana, Miscellanea, saggi critici su poeti e scrittori contemporanei dell’area iblea, Setim, Modica, 1990.
L. TROMBADORE, Domenico Pisana. Scritti, interviste, epistole, poesie, Periferie Edizioni, Ragusa, 2017.
Di Domenico Pisana si sono anche occupati “Il Giornale Italiano de Espana” di Madrid, il Giornale on line “L’ItaloEuropeo Independent” di Londra, la rivista francese “La Voce” di Parigi, la rivista letteraria internazionale Galaktika Poetike “ATUNIS”, il quotidiano on line dell’Arabia Saudita “Sobranews.com”.
Pisana è stato anche tradotto in rumeno da Stefan Damian, poeta e scrittore e docente di letteratura italiana presso il Dipartimento di Lingue Romanze dell’Università di Bucarest, sulla rivista romena “TRIBUNA”; è stato tradotto dal poeta e docente universitario albanese Arjan Kallco sulla rivista italo-albanese “ALTERNATIVA”, ed è stato inserito nel volume ATUNIS GALAXY ANTHOLOGY – 2019, a cura di Agron Schele, autore albanese residente in Belgio, scrittore di romanzi e co-fondatore della rivista internazionale ATUNIS.
Recentemente ha ricevuto riconoscimenti in importanti Festival Internazionali: in Bosnia al Festival “La Piuma d’oro”, il 28 settembre 2019, e a Istanbul in Turchia al FeminIstanbul” il 9 novembre 2019. È presente in riviste e blog letterari on line con traduzione in greco, inglese, macedone, arabo.
A Padova la mostra ‘Vivian Maier. The exhibition’ aperta dal 24 aprile-
Aprirà al pubblico il 24 aprile Vivian Maier. The exhibition, “la più grande mostra mai dedicata alla celebre fotografa americana” ospitata a Padova, presso il Centro Culturale Altinate – San Gaetano fino al 28 settembre 2025. Sono più di 200 le stampe a colori e in bianco e nero, oltre a contact sheet, le opere esposte. La mostra propone anche registrazioni audio originali con la voce della fotografa e filmati Super 8, “visibili soltanto in questa retrospettiva” precisano gli organizzatori.
Curata da Anne Morin – la più grande esperta e studiosa della vita dell’artista – l’esposizione è suddivisa in sezioni tematiche che esplorano i soggetti e gli aspetti distintivi del suo stile: dagli intensi autoritratti alle scene di vita urbana, dai ritratti di bambini alle immagini di persone ai margini della società. La selezione include fotografie in bianco e nero e a colori, molte delle quali rare ed esposte solo recentemente al pubblico. La mostra si arricchisce inoltre di filmati in formato Super 8, provini a contatto, audio con la voce di Vivian Maier e vari oggetti personali, tra cui le sue macchine fotografiche Rolleiflex e Leica.
Vivian Maier
Vivian Maier Courtesy of Maloof Collection and Howard Greenberg Gallery NY
Vivian Maier
Vivian Maier Courtesy of Maloof Collection and Howard Greenberg Gallery NY
La mostra è prodotta e organizzata da Arthemisia Promossa dal Comune di Padova, da un progetto di Vertigo Syndrome in collaborazione con Chroma photography.
INFORMAZIONI
Orario apertura
Dal martedì alla domenica 10.00-19.30
Chiuso il lunedì (la biglietteria chiude un’ora prima)
Orari estivi dal 28 luglio al 31 agosto
Dal martedì alla domenica 10.00-13.00, 15.30-19.00
(la biglietteria chiude un’ora prima)
Chiuso il lunedì
Dall’11 al 17 agosto chiuso
Aperture straordinarie
Venerdì 25 aprile 10.00-19.30
Giovedì 1 maggio 10.00-19.30
Lunedì 2 giugno 10.00-19.30
Venerdì 13 giugno 10.00-19.30
Biglietti
Open € 18,00
Intero € 16,00
Ridotto € 14,00
Articolo di Michela Ponzani,la Resistenza delle donnedi ieri e di oggi, per continuare a essere libere-
Articolo di Michela Ponzani,storica, autrice e conduttrice televisiva-Si avvicina il 25 aprile e a dispetto del linguaggio bellico utilizzato nell’ultimo anno di pandemia (cominciò l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri quando disse che il Covid aveva fatto più morti in Lombardia che i bombardamenti durante la seconda guerra mondiale), forse vale la pena ricordare che la Resistenza non è stata solo un affare maschile-militare.
Si avvicina il 25 aprile e a dispetto del linguaggio bellico utilizzato nell’ultimo anno di pandemia (cominciò l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri quando disse che il Covid aveva fatto più morti in Lombardia che i bombardamenti durante la seconda guerra mondiale), forse vale la pena ricordare che la Resistenza non è stata solo un affare maschile-militare.
Bersagli strategici dei nazisti e dei militi della Repubblica sociale, sono le donne a scontare con maggiore crudeltà una strategia terroristica fatta di stragi e rastrellamenti, di incendi a paesi e villaggi; di fucilazioni e torture sui corpi dei prigionieri politici.
Ma nella disperata lotta per la sopravvivenza, le donne decidono di non essere più vittime. E si ribellano a quella cultura di guerra che usa lo stupro come arma per umiliare il nemico sconfitto, riducendo il corpo femminile a bottino e preda degli eserciti (occupanti o liberatori).
Le memorie taciute delle donne raccontano storie di coraggio e di rivolta. E come ho ricordato in Guerra alle donne (Einaudi), ciò vale soprattutto per gli stupri di massa, compiuti dalle truppe marocchine e algerine nella primavera-estate del 1944 e le violenze subite dalle donne costrette a prostituirsi nei campi bordello, costruiti dall’esercito tedesco dietro la linea Gotica. Veri e propri tabù nella memoria nazionale e nel senso comune dell’Italia del dopoguerra.
La lotta partigiana delle donne è quindi una guerra di liberazione anzitutto contro la criminale violenza nazifascista; ma è anche una scelta di libertà. Una guerra privata, combattuta per l’emancipazione dalle discriminazioni e da ogni forma di subalternità sociale e culturale. Per le donne, la Resistenza è un atto di disobbedienza radicale; uno strappo definitivo con la società patriarcale, la liberazione dall’educazione fascista improntata al rispetto delle gerarchie fuori e dentro le mura domestiche, che le condanna ad essere la “pietra fondamentale della casa, la sposa e la madre esemplare”. Che non permette d’iscriversi alle facoltà scientifiche e considera irrazionale la mente femminile, perché “il genio è maschio”.
Ma perché oggi una ragazza dovrebbe appassionarsi a vicende che hanno più 70 anni?
Al di là di discorsi ingessati o retorico-celebrativi, forse la risposta sta nel fatto che quelle storie – con le emozioni, le paure, i tormenti che segnano la scelta partigiana, dolorosa e carica di responsabilità – continuano a parlare al nostro presente.
Perché se oggi il destino delle donne non è più quello di stare a casa e di lasciare tutto il mondo agli uomini, è grazie alle ragazze che hanno combattuto la dittatura fascista, rinunciando alla spensieratezza della gioventù.
E che nel dopoguerra hanno continuato a battersi, affrontando discriminazioni insopportabili.
“Donna partigiana, donna puttana” si sentì dire Carla Capponi medaglia d’oro al valor militare, durante un dibattito alla Camera da alcuni deputati della destra postfascista, con tanto di inequivocabili gesti osceni. E Marisa Rodano (che ha da poco festeggiato i 100 anni) ha raccontato che “negli anni ’50 le carceri erano piene di adultere”. Il marito poteva spedire la moglie in galera, se questa aveva una relazione con un altro uomo.
Fortissime erano poi le disparità nella sfera domestica e professionale: le donne non potevano divorziare o interrompere una gravidanza, né diventare giudici o poliziotte perché troppo fragili.
Persino ucciderle non era così grave: la legge, concedeva le attenuanti se un uomo, per ragioni di onore, uccideva la moglie, la sorella o la figlia (il delitto d’onore sarà abrogato solo nel 1981). Altre norme permettevano di picchiare la moglie per correggerne il carattere e giustificavano lo stupro se seguito da un matrimonio riparatore (solo nel 1996 diverrà reato contro la persona e non contro la morale). Le ragazze della Resistenza lasciano dunque il testimone alle generazioni future. Non scorderò mai quella studentessa di liceo che trovò il coraggio di parlare delle violenze subite in famiglia, dopo aver letto il diario di una partigiana. Le venne il desiderio di diventare una donna libera (disse proprio così). Grazie al movimento #MeToo, abbiamo squarciato il velo d’ipocrisia sugli abusi e le molestie sessuali (non solo nel mondo dello spettacolo) e abbiamo più coraggio nel denunciare gesti e parole di offesa, urlate o allusive. E possiamo dichiarare, senza il timore di essere considerate pazze o esagerate, di non sopportare più allusioni sessuali non richieste (in ufficio, a un colloquio di lavoro o all’università), o di vederci sminuite nella nostra professione; come quando la dottoressa che ti visita in ospedale viene definita signorina.
Ma l’emergenza Covid-19, che ci ha rintanate in casa, ha visto aumentare i femminicidi. Perché quando si è fragili e abbandonate a una vita di isolamento e degrado, è proprio la famiglia a trasformarsi in un’orrenda prigione. E ci arrivano come macigni le notizie di uomini che odiano e ammazzano le donne: “buoni padri di famiglia” che uccidono per “troppo amore”; uomini “per bene” travolti da un raptus perché “lei voleva lasciarlo”. E allora festeggiamo questo 25 aprile con le parole che Marisa Ombra, staffetta nelle brigate Garibaldi ha dedicato a tutte noi. “Siate partigiane, per essere libere sempre”.
*Storica, autrice e conduttrice televisiva di programmi culturali per Rai Storia, è tornata da pochi giorni in libreria con una nuova edizione di Guerra alle donne. Partigiane, vittime di stupro, “amanti del nemico” (1940-45) (Einaudi, pp. 384, € 14,00)
Biografia di Amarú Vanegas (Merida, Venezuela, 1977). Cittadina del ponte. Poeta, ingegnere, attrice e produttrice teatrale colombiano-venezuelana. Responsabile editoriale della rivista New York Poetry Review e curatrice della rivista messicana Ablucionistas. Master, ricercatrice e docente di Letteratura latinoamericana e caraibica. Fondatrice del Teatro Catharsis e Purpurá Poesia. Da 10 anni partecipa a raduni artistici in Argentina, Uruguay, Cile, Ecuador, Colombia, Venezuela, Messico ed Europa. Ha pubblicato: Mortis (monologo) e Criptofasia (racconto). Le sillogi: El canto del pez, Dioses proscritos, Añil, Cándido cuerpo mío, Fisuras, Fiebre y Ábaco. Ha vinto i premi: V Concorso di Racconti SttoryBox, Spagna (2016), Premio Internazionale di Poesia Candelario Obeso, Colombia (2016), Premio Internazionale di Poesia Alfonsina Storni, Spagna (2019), Premio Ediciones Embalaje Museo Rayo (2020) e finalista del Premio Internazionale di Poesia Pilar Fernández Labrador, Spagna, per due anni consecutivi (2021, 2022).
Amarú Vanegas
Traduzione di Antonio Nazzaro
OFFERTA
Oggi non ci sono agnelli in cammino verso l’altare.
Pallide, le bambine,
sfilano la loro sorda nudità
sul tappeto steso.
Nell’avanzare si sciolgono i capelli macchiati
da tinte multicolore Excellence Crème de L’Oréal.
Il verso proscritto
gli freme negli stomaci vuoti.
Si scuce la voce del clerico che,
adesso, alza il calice eucaristico.
Solo sulla luna alta della mezzanotte,
con la predica data a metà,
alzano le bambine gli occhi estasiati.
Davanti alla delizia di quei volti di cera
le concede dio il suo primo sguardo.
Inizia l’offerta di sangue fresco
dio battezza le sue recenti figlie.
Alla fine della cerimonia,
sfoggeranno le loro ali
i nuovi angeli di Victoria’s Secret.
*
OFRENDA
Hoy no hay corderos camino del altar.
Pálidas, las niñas,
desfilan su sorda desnudez
sobre la alfombra tendida.
En el avance se descuelgan sus cabellos manchados
de tintes multicolor Excellence Crème de L’Oréal.
El verso proscrito
les tiembla en los estómagos vacíos.
Se descose la voz del clérigo quién,
recién, alza la copa eucarística.
Sólo en la luna alta de la medianoche,
con la prédica servida a medias,
levantan las niñas sus ojos extasiados.
Ante la delicia de esos rostros de cera
les concede el dios su primera mirada.
Comienza la ofrenda de sangre fresca
el dios bautiza a sus nacientes hijas.
Al finalizar la ceremonia,
estrenarán sus alas
los nuevos ángeles de Victoria’s Secret.
*
IBRIDA
Non c’è fede.
Strofina la maschera e inginocchiati, apri bene le mia gambe.
Pulisci le tue maligne mani
prima di metterle nelle mie viscere
e non far caso ai lamenti.
Togli da lì i figli morti
che sono scoppiati alla frontiera.
Non li guardare, sono volti sacri che ti faranno polvere.
Adesso vattene
allontanati senza fermarti
che sei l’unico boia-testimone della mia agonia.
Ricorda che d’ora in poi ti vigilo.
Mi sono rimasti dei buchi sui seni dove c’erano i capezzoli
Ormai non c’è latte da offrire
solo sangue depravato, tossicomane.
Pongo ai piccoli mostri
che mi strapparono pancia sotto,
le teste purulenti.
Mi hanno smembrato sul monte.
Credo che qualcuno s’avvicina
sono sicura che qualcuno mi segue.
Tutto inizia a tremare, Sarò io che tremo?
La notte e una lingua di lucertola rasposa
che mi graffia le ferite,
lecca la mia caverna vuota,
lecca i figli morti.
Farfalle notturne appaiono
e tagliano con le ali come lamette.
Gusto il flagello,
sono Medea, assaporo il castigo.
Vedo un anello di morte,
mi seduce con il sesso aperto,
i pezzi del mio corpo sono liquefatti
e sparsi sul monte,
i corpi dei miei figli strappati a morsi.
Adesso siamo concime della montagna.
*
HÍBRIDA
No hay fe.
Frota la máscara y arrodíllate, separa bien mis piernas.
Limpia tus malignas manos
antes de meterlas en mi entraña
y no hagas caso de los quejidos.
Saca de ahí a los hijos muertos
que se estallaron en la frontera.
No los mires, son rostros sagrados que te harán polvo.
Ahora vete,
aléjate sin parar
que eres el único verdugo-testigo de mi agonía.
Recuerda que en adelante te vigilo.
Me quedaron agujeros en el pecho donde estaban los pezones.
Ya no hay leche que ofrecer
solo sangre depravada, toxicómana.
Tiendo a los pequeños monstruos
que me arrancaron boca abajo,
las cabezas purulentas.
Me han desmembrado en el cerro.
Creo que alguien se acerca,
estoy segura de que alguien me sigue.
Todo empieza a temblar, ¿seré yo la que tiembla?
La noche es una lengua de lagarto carrasposa
que me araña más la herida,
lame mi cueva vacía,
lame a los hijos muertos.
Mariposas nocturnas aparecen
y cortan con sus alas como hojillas.
Disfruto el azote,
soy Medea, saboreo el castigo.
Veo una argolla de muerte,
me seduce con su sexo abierto,
los trozos de mi cuerpo van siendo licuados
y esparcidos en el cerro,
los cuerpos de mis hijos arrancados a dentelladas.
Ahora somos abono de la montaña.
Da Dioses proscritos, premio internazionale di poesia Candelario Obeso, Colombia 2016
*
L’ORA
Aspettavo l’ora
e quest’incubo per immolarmi.
L’ora in cui gli uccelli
chiudevano gli occhi
e altri mondi si mischiavano con la mia ferita.
In quest’ora un bambino dalla bocca savia
– mio figlio morto –
non conosceva tutto il corpo
ogni plagio dei dolori
Allora i miei capezzoli
affondavano in una bocca più perversa
e indolente.
Ho conosciuto il piacere
e liberà ho abitato la chioma dell’albero.
Mi hanno chiamata strega
lanciarono il sale
e, al promettere il rogo,
temettero la mia risata.
Ma la risata era il freddo di una storia
che ormai non mi apparteneva.
*
LA HORA
Esperaba la hora
y esa pesadilla para inmolarme.
La hora en que los pájaros
cerraban sus ojos
y otros mundos se mezclaban con mi herida.
En esa hora un niño de boca sabia
─mi hijo muerto─
desconocía todo cuerpo,
todo plagio de dolores.
Entonces mis pezones
se hundían en una boca más perversa
e indolente.
Conocí el placer
y libre habité la copa del árbol.
Me llamaron bruja,
arrojaron la sal
y, prometiendo la hoguera,
temieron mi risa.
Pero la risa era el frío de una historia
que ya no me pertenecía.
Da Añil, Premio Internazionale di poesia Alfonsina Storni, Spagna, 2019
Biografia di Amarú Vanegas(Merida, Venezuela, 1977). Cittadina del ponte. Poeta, ingegnere, attrice e produttrice teatrale colombiano-venezuelana. Responsabile editoriale della rivista New York Poetry Review e curatrice della rivista messicana Ablucionistas. Master, ricercatrice e docente di Letteratura latinoamericana e caraibica. Fondatrice del Teatro Catharsis e Purpurá Poesia. Da 10 anni partecipa a raduni artistici in Argentina, Uruguay, Cile, Ecuador, Colombia, Venezuela, Messico ed Europa. Ha pubblicato: Mortis (monologo) e Criptofasia (racconto). Le sillogi: El canto del pez, Dioses proscritos, Añil, Cándido cuerpo mío, Fisuras, Fiebre y Ábaco. Ha vinto i premi: V Concorso di Racconti SttoryBox, Spagna (2016), Premio Internazionale di Poesia Candelario Obeso, Colombia (2016), Premio Internazionale di Poesia Alfonsina Storni, Spagna (2019), Premio Ediciones Embalaje Museo Rayo (2020) e finalista del Premio Internazionale di Poesia Pilar Fernández Labrador, Spagna, per due anni consecutivi (2021, 2022).
Traduzione di Antonio Nazzaro
Biblioteca DEA SABINA -La rivista «Atelier»
http://www.atelierpoesia.it
La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale (marzo, giugno, settembre, dicembre) e si occupa di letteratura contemporanea. Ha due redazioni: una che lavora per la rivista cartacea trimestrale e una che cura il sito Online e i suoi contenuti. Il nome (in origine “laboratorio dove si lavora il legno”) allude a un luogo di confronto e impegno operativo, aperto alla realtà. Si è distinta in questi anni, conquistandosi un posto preminente fra i periodici militanti, per il rigore critico e l’accurato scandaglio delle voci contemporanee. In particolare, si è resa levatrice di una generazione di poeti (si veda, per esempio, la pubblicazione dell’antologia L’Opera comune, la prima antologia dedicata ai poeti nati negli anni Settanta, cui hanno fatto seguito molte pubblicazioni analoghe). Si ricordano anche diversi numeri monografici: un Omaggio alla poesia contemporanea con i poeti italiani delle ultime generazioni (n. 10), gli atti di un convegno che ha radunato “la generazione dei nati negli anni Settanta” (La responsabilità della poesia, n. 24), un omaggio alla poesia europea con testi di poeti giovani e interventi di autori già affermati (Giovane poesia europea, n. 30), un’antologia di racconti di scrittori italiani emergenti (Racconti italiani, n. 38), un numero dedicato al tema “Poesia e conoscenza” (Che ne sanno i poeti?, n. 50).
Direttore responsabile: Giuliano Ladolfi Coordinatore delle redazioni: Luca Ariano
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Luciano Bianciardi, il Jamaica, la musica popolare ed altro.
Luciano Bianciardi, il Jamaica, è stato il corrispettivo di Pasolini, quello che il poeta vedeva nelle borgate romane, negli stessi anni Bianciardi lo scopriva nella Milano “livida e sprofondata” .
È l’autore della “Vita agra”, quasi un manifesto anarcoide sul disumano divenire della metropoli votata al consumo. È sempre sembrato un autore in qualche modo esemplare, meritevole di fregiarsi del titolo di “maestro” all’interno del panorama letterario italiano per gli scrittori della nuova generazione. In particolare, la sua opera ha espresso la reazione del giovane intellettuale di provincia di fronte al difficile momento di trapasso dalla letteratura ufficiale ed altisonante del fascismo propagandistico al neorealismo e poi al Boom economico degli Anni Sessanta. Questo perché con la sua stessa vita ha esemplificato la figura di ciò che può essere definito “l’intellettuale disintegrato”.
Luciano Bianciardi anticipa l’ importanza della musica “a 33 giri”, scopre Jannacci e Celentano. Enzo Jannacci fa il suo esordio col suo primo album in studio: La Milano, nel 1964. Dodici tracce, per lo più in milanese, tra cui la ballata El portava i scarp del tennis, due brani con testo di Dario Fo e una reinterpretazione di Mami, l’unica canzone mai scritta da Giorgio Strehler. Sul retro della copertina, una nota di Bianciardi, che aveva avuto modo di apprezzare il cantante in una sua esibizione al Teatro Gerolamo. Riguardo al loro rapporto Jannacci raccontava che, nonostante fosse poco più che un ragazzino, Bianciardi lo interpellava spesso per conoscere le sue opinioni sui cosiddetti massimi sistemi: “Mi chiedeva: Jannaccione, cosa ne pensi del mondo? E io rispondevo che ne pensavo malissimo. Fingono tutti, abbiamo perso la guerra, siamo poveri e nessuno lo dice. Tutta la mia produzione pseudopoetica parla di un Paese che fa finta di essere ricco e colto ma non pensa, non legge, non capisce”. Già nel ’64 però Jannacci aveva prestato volto e voce per la trasposizione cinematografica de La vita agra, interpretando L’ombrello di suo fratello dentro il bar Jamaica, nella Brera degli artisti e dei cospiratori.
Dopo la vittoria di Celentano al Cantagiro del 1962, Bianciardi intuisce la valenza ideologica del “sorriso celentanoide, espressione emblematica del neoqualunquismo neocapitalista”. Per Bianciardi il giovane Celentano era “saldo e avveduto” e avrebbe un giorno lanciato “una filosofia totale intervenendo nei dibattiti come un intellettuale accreditato”. Adriano Celentano oggi scrive lettere a quotidiani. Interventi che diventano editoriali, ripresi anche dalla televisione e da internet. Considerato a tutti gli effetti un opinion leader dalla “filosofia totale”.
A Milano Bianciardi incontra solo ragionieri e “segretariette”: gli operai sono a Sesto San Giovanni, nelle periferie. Del capoluogo lombardo non gli piace niente, come spiega in alcune interviste dell’epoca , e l’improvvisa popolarità paradossalmente lo getta ancora più nella depressione: “Ormai mi chiamano ovunque, posso sparare qualsiasi cavolata”. Rifiuta una collaborazione offertagli da Indro Montanelli con il Corriere della Sera, in qualità di articolista di spalla, preferendo rubriche su giornali molto popolari quali ABC, Il Guerin Sportivo, L’Automobile o riviste prettamente maschili come Le Ore e Playmen, dove si sente molto più libero.
Cercò di lasciare Milano, trasferendosi con la sua compagna a Sant’Anna di Rapallo; il professor Nuccio Lodato, suo amico di quel periodo, ci ha raccontato che la domenica Bianciardi chiamava a raccolta un buon numero di persone a casa sua per vedere in compagnia “Quelli della domenica”. Andava pazzo per Paolo Villaggio nei panni del professor Kranz e del ragionier Fracchia, l’antesignano di Fantozzi, forse perché vedeva, in quel piccolo borghese vittima del consumismo, la rappresentazione in chiave comica del miracolo economico dal quale lui aveva tentato di fuggire, e che lo aveva portato all’alcolismo. Dopo la rottura con Maria Jatosti, la sua compagna (legame fuori dal matrimonio, da cui nacque il figlio Marcello), e un maldestro tentativo di riallacciare i rapporti con la famiglia e i figli, Bianciardi tornò a Milano, l’unico posto dove poteva bere senza essere controllato. E dove morì poco dopo, nel 1971, consumato dall’alcol.
Luciano Bianciardi
Luciano Bianciardi, l’”ultimo bohémien” che vide i primi mali della società dei consumi- Articolo di Marco Marasà-
Fonte Articolo STRISCIAROSSA
Nel periodo tra le due guerre mondiali, il 14 dicembre del 1922, nasce Luciano Bianciardi. Giovanni Arpino – tra i due vi era una profonda amicizia – lo definì “l’ultimo Bohémien possibile, seduto sulle macerie di un romanticismo perduto”.
Il campo in cui Bianciardi imbastisce il suo percorso di scrittore è nella maremma degli anni’50. In una piccola cittadina in divenire, nella quale il progresso stava mettendo i propri germogli, concepisce il Lavoro Culturale, primo di quella che sarà una sorta di “trilogia della rabbia” composta appunto dal Lavoro Culturale, L’integrazione e La vita Agra.
Luciano Bianciardi
Le contraddizioni della provincia grossetana
Della provincia Bianciardi carpisce la vivacità culturale che in quegli anni stava venendo fuori. Ne indovina però anche le contraddizioni e, con sardonica ironia, racconta il mondo letterario ed erudito della sua città natale, Grosseto. I cineforum che danno solo film sovietici o ungheresi, seguiti da animati dibattiti, sono la cartina di tornasole della provincia di allora. Un mondo ancora spaccato in due, tra il proletariato che sovente si rifaceva al Partito comunista italiano – che Bianciardi esortava di andare a votare ma al quale invitava di non iscriversi – e la classe borghese perlopiù democristiana. Eccetto alcuni intellettuali che, come viene raccontato da Bianciardi, si barcamenano per creare un ponte con gli operai. I risultati a volte sono grotteschi: operai assiepati nella sala cinematografica di Grosseto a sentire la recensione di un dato film ungherese di un critico venuto apposta da Roma.
Dal proprio cilindro Bianciardi pescava idee generose tanto quanto geniali; come il bibliobus, un pullman stipato di libri da elargire alla gente di campagna. Se le persone non possono raggiungere la biblioteca, sarà la biblioteca ad andare dalle persone. Un’autovettura che si faceva largo tra i paesaggi campestri, a bordo della quale vi erano Bianciardi e Carlo Cassola. L’inventiva di Bianciardi si manifestava anche e soprattutto nel linguaggio: per esempio Kansas City per denominare Grosseto. Appellativo affibbiato da Bianciardi dopo che i tenenti venuti dall’America trovarono una somiglianza tra Kansas City e la città maremmana. Streetrock che stava per Roccastrada. Il vezzo di traslare le parole nella lingua inglese è eredità adolescenziale. Degli anni trascorsi a trangugiare libri e romanzi dei narratori americani.-
Luciano Bianciardi,l’esplosione
L’esplosione a Ribolla che lo scuote
Poi nel maggio del 1954, all’improvviso, nel paese di Ribolla, un’esplosione di grisou in una miniera di lignite miete le vite di quarantatré minatori. Un evento nefasto che percuote l’animo dello scrittore grossetano. Con Carlo Cassola scrive I minatori della maremma, libro-inchiesta sulle condizioni dei minatori e delle miniere maremmane. Allo stesso tempo il saggio è una denuncia contro le inadempienze e le negligenze della compagnia mineraria Montecatini, che causarono l’esplosione della miniera di Ribolla. Al pari di The road in Wigan Pier (del 1937) – libro sulle condizioni dei minatori inglesi – di George Orwell, l’inchiesta è oggi un classico della letteratura operaia.
Per Bianciardi però la faccenda di Ribolla resta una ferita aperta. Per lenire le proprie pene parte per la moderna Milano. Dai giorni trascorsi a Milano, Bianciardi tira fuori La Vita Agra (1962), il suo capolavoro. Una commistione di tutto quello che aveva vissuto fino ad allora: la propria vita sentimentale, quella lavorativa e soprattutto l’esplosione di grisou.
Bianciardi mette sulla carta ciò che egli vorrebbe ma non può compiere: fare esplodere con la dinamite il torracchione, emblema dell’edonismo. Milano ha le fattezze delle città post- industriali d’oggi. I primi grandi e orribili grattacieli sovrastano lo sguardo attonito dello scrittore maremmano. Vi sono supermercati dove accanto alla pasta si vendono libri. Cose eterogenee confluiscono nello stesso spazio e formano un agglomerato di beni a portata di mano. Racconta delle impiegate rinseccolite che battono a macchina con sguardi tristi ed assenti.
Dai minatori passa agli operai, che però non vuole raccontare perché non li conosce e non ha avuto modo di osservarli, come invece è accaduto per i minatori maremmani. Alla fine, è Milano ad averla vinta e Bianciardi col tempo finisce per consumarsi. Beve tanto e fuma di più. Tuttavia, ha in serbo ancora un altro coniglio da far uscire dal proprio cilindro. In Israele, per dileggiare il generale Moshe Dayan, si fa fotografare con una benda sull’occhio. Si tratta della sua foto più celebre. Tra le vie di Grosseto ci si può imbattere nel suo faccione appiccicato su un muro, in uno dei graffiti che lo ritrae con espressione serafica e benda sull’occhio.
Luciano Bianciardi,la benda
-Quando si rifugia nel passato
Nel periodo di eclissi milanese, si rifugia nel passato. Precisamente nel Risorgimento, scrive cinque libri: Da Quarto a Torino. Breve spedizione dei mille (1960), La battaglia soda (1964), Daghela avanti un passo! (1969), Aprire il fuoco (1969) e Garibaldi (1972). Esalta Garibaldi e i mille. Si sente anch’esso una camicia rossa disillusa, “l’ultima camicia rossa della storia” .
Perché ricordare Luciano Bianciardi? Egli, anticipando persino Pier Paolo Pasolini, fu il primo a capire e a criticare, se pure in maniera confusionaria, la società dei consumi. Essa era ancora agli albori, ma Bianciardi riuscì a predire che tutto il mondo un giorno sarebbe diventato come Milano. Osservando quella città dove “se caschi nessuno ti raccatta” intuì l’omologazione, nonché la progressiva dissoluzione dei rapporti umani. Il mondo d’oggi a Bianciardi di certo non sarebbe piaciuto. Chissà quali parole avrebbe usato per apostrofare i vari colossi della rete – soverchianti supermercati virtuali – le multinazionali e così via. No, una società in cui l’edonismo permea ogni lembo sociale, non sarebbe andata giù all’”ultimo bohémien”.
Aida V. Eltanin-Il diario vivente di Emily Dickinson
Descrizione del libro di Aida V. Eltanin-Il diario vivente di Emily Dickinson-Emily Dickinson si è stancata di essere ancora fraintesa. Lei che citava spesso i vulcani nelle sue poesie ha deciso dall’aldilà che era ora che il suo Vesuvio eruttasse. La Dickinson in realtà non ha mai tenuto un diario e ha sempre lottato contro le pressioni a pubblicare le sue poesie per sconosciuti. Trovava fosse un po’ come ‘togliersi tutti i vestiti dall’anima’. Ha scritto però centinaia di lettere poetiche ad amici e parenti, missive nelle quali inseriva le sue preziose poesie tra una riga e l’altra. Era l’unico modo in cui voleva farle circolare. Ecco perché in questo diario la sentirai parlare di sé attraverso il suo mezzo preferito, antico e magico. Il tuo con Emily sarà un viaggio epistolare dentro la sua carrozza fatata: ogni lettera un capitolo di questo diario vivente. ‘Vivente’ perché ti sembrerà che la Dickinson scriva proprio a te, dal suo presente al tuo, come se tu fossi una sua cara lettrice che dal futuro le racconta come siano state recepite, e spesso travisate, le sue poesie e la sua persona nei decenni. La sentirai così com’era nella vita di tutti i giorni e la vedrai crescere con te, dalle parole leggere delle sue prime lettere – con frasi scritte da adolescente – fino agli ultimi bigliettini scritti prima di morire. Tutte le frasi in corsivo sono state realmente scritte da Emily Dickinson a qualcuno dei suoi tanti corrispondenti. Un paragrafo del diario potrebbe contenere frasi tratte da diverse sue lettere, assemblate insieme. L’ autrice si è limitata a ‘farle da medium’ selezionando un florilegio delle sue parole migliori e poi da traduttrice, creando ghirlande delle sue parole in un italiano moderno e comprensibile. Perché dovremmo leggere ancora la Dickinson nel 2021? Perché sono parole potenti le sue, intrise di una magia che come diceva lei – non passa solo perché ormai è morta la maga. Sono parole capaci di elevare un’anima, di evitare che un cuore si spezzi, di fare da balsamo su un lutto e di dare più profumo e bellezza alla nostra vita di tutti i giorni, come i fiori che lei tanto amava. Troppe biografie sono poco più che fredde autopsie letterarie dove la voce dominante è quella del biografo. In questo diario invece è la voce affettuosa e profonda della Dickinson a risuonare e a differenza dei libri disponibili su Emily Dickinson – che separano rigidamente le sue poesie dalle lettere o dalle biografie – in questo troverai le tre mischiate insieme in un genere forse unico, con le sue poesie – intere o parziali – intrufolate tra le righe delle lettere, esattamente come faceva lei quando scriveva a qualcuno, perché la sua prosa – come vedrai – era spesso poetica. Se sei dunque pronta a cominciare questo viaggio, dì al cocchiere di far partire la diligenza e apri con delicatezza la sua prima lettera…
Emily DickinsonEmily Dickinson
Editore : Independently published (4 maggio 2021)
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