Gian Arturo Ferrari–Storia confidenziale dell’editoria italiana-
-Marsilio Editori-Venezia–
Descrizione del libro di Gian Arturo Ferrari-Chi racconta questa storia di scrittori e editori, stampatori e mecenati, talenti e miserie è stato un protagonista dell’editoria italiana del Novecento. Ha lavorato in case editrici medie e grandissime, si è occupato di patrie lettere e letterature straniere, soprattutto ha incontrato persone e cose, attraversato epoche, inventato collane, assunto e licenziato. Chi racconta somiglia abbastanza all’editoria italiana, elegante e iraconda, generosa e umbratile, colta e commerciale. Perché l’editoria, si legge in queste pagine, è figlia dell’intellettualità e del commercio, non appartenendo in fondo a nessuno dei due. E poi, annosa questione, sono gli editori capitani d’azienda? Esistono ancora come i primi trent’anni del Novecento ce li hanno consegnati? Chi racconta ricostruisce con passione e puntualità una storia che si suppone magmatica, casuale, con accelerazioni improvvise e sacche, costellata di invidie e affetti, rabbie e riconciliazioni, amori e antipatie. Chi racconta sa che attraverso l’editoria si può raccontare la storia d’Italia, quella tra le due guerre e quella degli anni di piombo, quella dei magnifici anni Ottanta e la più recente, quando i protagonisti sono forse meno eroici ma più inattesi. Con tono epico e comico, affettuoso e tagliente, con occhi distanti e nel contempo vicinissimi, Gian Arturo Ferrari ci accompagna nelle avventure umane e culturali degli uomini e delle donne che si sono occupati di scegliere come, quando e quali libri pubblicare in un paese in cui tutti scrivono e pochi leggono.
Breve biografia di Gian Arturo Ferrari
Gian Arturo Ferrari
Gian Arturo Ferrari ha perseguito per un certo tratto una doppia vita: da un lato l’insegnamento universitario, dall’altro l’apprendistato editoriale. Collaboratore di Paolo Boringhieri, editor della Saggistica Mondadori nel 1984, direttore dei Libri Rizzoli nel 1986, rientrato in Mondadori nel 1988, nel 1989 ha scelto infine l’editoria libraria come propria unica vita, e si è dimesso dall’università. Direttore dei Libri Mondadori nei primi anni Novanta, è stato dal 1997 al 2009 direttore generale della divisione Libri Mondadori. Dal 2010 al 2014 ha presieduto il Centro per il libro e la lettura, presso il ministero dei Beni e delle attività culturali. Dal 2015 al 2018 è stato vicepresidente di Mondadori Libri. È stato editorialista del Corriere della Sera ed è presidente del Collegio Ghislieri di Pavia. Oltre a Storia confidenziale dell’editoria italiana, è autore di Libro (Bollati Boringhieri 2014) e Ragazzo italiano (Feltrinelli 2020, finalista al premio Strega).
Giorgia Meriggi è nata nel 1966 a Milano, dove si è laureata in filosofia con una tesi dal titolo Corpo, ragione, passioni nei romanzi libertini di D.A.F. de Sade. Con Stampa Alternativa ha pubblicato nel 2012 Comizi d’amore. Manuale di diseducazione sessuale, insieme a Paolo Pedote. Nel 2017 ha pubblicato per Marco Saya editore, nella collana Sottotraccia, il suo primo libro di versi, Riparare il viola. Una traduzione di alcune sue poesie in spagnolo è apparsa nel volume Di poesia e di psicoanalisi. L’indicibile sottratto al nulla, a cura di Eva Gerace, Città del Sole Edizioni, 2018.
Decidi cosa è vero
e cosa no
levi o metti una parola
dove
ti fa male.
La verità
è che vi ho amati tutti
per contraffazione.
Come di notte
il traffico stradale
è
il rumore del mare
in viale Sarca.
***
Ricordati di santificare
i fraintedimenti
la grandine creduta
viva
perché cade e grida
il catrame
creduto mare
per stregoneria del sole.
Se qualcosa nel baratro
emana bagliore
ti guarda
con i tuoi occhi.
Talvolta è il regno
dei cieli: un vetro,
tu la rondine.
Biografia di Giorgia Meriggi è nata nel 1966 a Milano, dove si è laureata in filosofia con una tesi dal titolo Corpo, ragione, passioni nei romanzi libertini di D.A.F. de Sade. Con Stampa Alternativa ha pubblicato nel 2012 Comizi d’amore. Manuale di diseducazione sessuale, insieme a Paolo Pedote. Nel 2017 ha pubblicato per Marco Saya editore, nella collana Sottotraccia, il suo primo libro di versi, Riparare il viola. Una traduzione di alcune sue poesie in spagnolo è apparsa nel volume Di poesia e di psicoanalisi. L’indicibile sottratto al nulla, a cura di Eva Gerace, Città del Sole Edizioni, 2018.
Fotografia di proprietà dell’autrice.
-FONTE-
Le Poesie sono pubblicate dalla Rivista di Poesia «Avamposto»è uno spazio di ricerca, articolato in rubriche di approfondimento, che si propone di realizzare un dialogo vivo rivolto allo studio della poesia attraverso un approccio multidisciplinare, nella consapevolezza che una pluralità di prospettive sia maggiormente capace di restituirne la valenza, senza mai sfociare in atteggiamenti statici e gerarchizzanti. Ma «Avamposto» è anche un luogo di riflessione sulla crisi del linguaggio. L’obiettivo è interrogarne le ragioni, opponendo alla tirannia dell’immediatezza – e alla sciatteria con la quale viene spesso liquidata l’esperienza del verso – un’etica dello scavo e dello sforzo (nella parola, per la parola). Tramite l’esaltazione della lentezza e del diritto alla diversità, la rivista intende suggerire un’alternativa al ritmo fagocitante e all’omologazione culturale (e linguistica) del presente, promuovendo la scoperta di autori dimenticati o ritenuti, forse a torto, marginali, provando a rileggere poeti noti (talvolta prigionieri di luoghi comuni) e a vedere cosa si muove al di là della frontiera del già detto, per accogliere voci nuove con la curiosità e l’amore che questo tempo non riesce più a esprimere.
Contatti
Via Lupardini 4, 89121 Reggio Calabria (c/o Sergio Bertolino)
Descrizione libro di Ilaria De Marchi:Il canto pallido :”Il canto pallido è una raccolta di poesie centrate su una cifra stilistica suggestiva e una dimensione espressiva che si confronta con temi esistenziali mantenendo sempre la propria forza simbolica e carica emotiva. La poesia diventa dunque una porta verso altri mondi e tempi in grado di accompagnare il lettore nel suo percorso di scoperta”.
Breve biografia di Ilaria De Marchi-Nata in Friuli, ha coltivato fin da piccola la passione per la poesia, la lettura e il disegno. È molto attenta alle tematiche sociali e di genere, ma tratta anche temi quali la natura, il sacro e il piacere. Scrive per vocazione e per donare suggestioni al lettore.
Ilaria De Marchi:Il canto pallido
«La parola è secca
senza il suono dell’onda
continua e profonda
che la muove
cresta d’oltre
essa vibra nel grembo.
E di donna in donna
di oscurità in luce
tinge il futuro
d’echi benedetti
e sogni misteriosi
segreti al Tempo».
Breve biografia di Ilaria De Marchi-Nata in Friuli, ha coltivato fin da piccola la passione per la poesia, la lettura e il disegno. È molto attenta alle tematiche sociali e di genere, ma tratta anche temi quali la natura, il sacro e il piacere. Scrive per vocazione e per donare suggestioni al lettore.
Poesie di Elizabeth Barret Browning-Poetessa inglese
Elizabeth Barrett nacque a Coxhoe Hall [Durham, England] nel 1806. Di salute malferma, visse per anni nel castello paterno dedicandosi allo studio dei classici e alla composizione poetica.
“Come ti amo”
Come ti amo? Lascia che te ne conti i modi.
Ti amo fino alla profondità, la vastità e l’altezza
che l’anima mia può raggiungere allorquando
persegue, irraggiungibili agli sguardi, i fini del bene
e della grazia ideale.
Ti amo al livello delle calme
necessità quotidiane, alla luce del sole ed al lume
della candela.
Ti amo liberamente come gli uomini
tendono al giusto, ti amo puramente, come essi
rifuggono dalle lusinghe.
Ti amo con la passione
sperimentata nei miei antichi dolori e con la fede
della mia fanciullezza.
Ti amo d’un amore che mi
sembrò smarrire coi miei santi perduti: ti amo col
respiro, i sorrisi, le lacrime di tutta la mia vita e, se
Dio vorrà, ti amerò ancor meglio quando sarò
morta.
Elizabeth Barret Browning
In quanti modi ti amo?
In quanti modi ti amo? Fammeli contare.
Ti amo fino alla profondità, alla larghezza e all’altezza
Che la mia anima può raggiungere, quando partecipa invisibile
Agli scopi dell’Esistenza e della Grazia ideale.
Ti amo al pari della più modesta necessità
Di ogni giorno, al sole e al lume di candela.
Ti amo generosamente, come chi si batte per la Giustizia;
Ti amo con purezza, come chi si volge dalla Preghiera.
Ti amo con la passione che gettavo
Nei miei trascorsi dolori, e con la fiducia della mia infanzia.
Ti amo di un amore che credevo perduto
Insieme ai miei perduti santi, – ti amo col respiro,
I sorrisi, le lacrime, di tutta la mia vita! – e, se Dio vorrà,
Ti amerò ancora di più dopo la morte.
Elizabeth Barret Browning
Se devi amarmi
Se devi amarmi, per null’altro sia
se non che per amore.
Mai non dire:
‘L’amo per il sorriso,
per lo sguardo,
la gentilezza del parlare,
il modo di pensare
così conforme al mio,
che mi rese sereno un giorno’.
Queste son tutte cose
che posson mutare,
Amato, in sé o per te, un amore
così sorto potrebbe poi morire.
E non amarmi per pietà di lacrime
che bagnino il mio volto.
Può scordare il pianto
chi ebbe a lungo
il tuo conforto, e perderti.
Soltanto per amore amami
e per sempre, per l’eternità.
Elizabeth Barret Browning
Quando forti e diritte le nostre anime
Quando forti e diritte le nostre anime
si stringono in silenzio sempre più vicine,
finché le punte ricurve delle loro ali
aperte prendono fuoco, quale amaro
torto può farci la terra per impedirci
d’essere a lungo felici? Pensa! Mentre
saliamo in alto, gli angeli, incalzandoci,
sfere d’oro di canto perfetto vorrebbero
far cadere nel nostro profondo e caro
silenzio. Ma, amore, restiamo sulla terra
dove l’avverso, indegno umore degli umani
fugge gli spiriti puri, li isola e consente
un luogo dove stare, amare per un giorno,
con l’ombra e l’ora della morte intorno.
Elizabeth Barret Browning
La prima volta che lui mi baciò
La prima volta che lui mi baciò,
baciò solamente le dita della mano che scrive,
che si fece così più delicata e bianca,
restia al mondo ma non coi suoi. ‘ Senti?’,
al brusio degli angeli. Ora io non vorrei
un anello di ametista alla vista più puro
di quel bacio. Fu più in alto il secondo
e, cercando la fronte, si perse una metà sopra i capelli.
O dono supremo! Crisma
d’amore che con benefiche dolcezze
precede la vera ghirlanda d’amore. Il terzo fu
deposto, perfetto, sulla mia bocca, e fin d’allor
superba, io ripeto:’mio unico, mio amato!
Elizabeth Barret Browning
In verità questo grande amore è il mio vanto
In verità questo grande amore è il mio vanto,
che, quando sale dal petto alla fronte,
mi incorona di porpora tanto
da attirare gli occhi degli uomini e mostrare la sofferenza interiore, –
anche se questo amore, per me è il massimo
non dovrei tuttavia amare, finché tu
non mi abbia dato una prova, e raccontato di
quando per la prima volta i tuoi occhi sinceri si sono incrociati con i miei,
e l’amore chiamò l’amore. E perciò, non posso nemmeno
parlare d’amore, come qualcosa di bello che mi è proprio
la tua anima ha reso la mia, completamente debole e incerta,
e l’ha posta accanto a te su un trono d’oro, –
E quello che amo (O anima, dobbiamo essere pazienti!)
Elizabeth Barret Browning
è solo in te, il solo che amo.
Come i bambini al sole
Come i bambini al sole, a mezzogiorno,
siedo al tuo sguardo, e tremano le anime
tra le felici palpebre, per l’inespressa,
intima, prodiga gioia. Vedi, nel dubbio
errai. E non rimpiango la colpa, ma
l’occasione che ci privò, anche per un
istante, della reciproca, benefica
presenza. Ah, tienimi vicino, proteggimi
tu, o amorevole colomba. E alle mie paure,
se tornassero, opponi sereno il forte cuore:
nella tua divina sicurezza trovino il nido
i miei pensieri, che, senza te vacillano
come implumi smarritisi nei cieli.
Elizabeth Barret Browning
Cenni biografici– Elizabeth Barrett nacque a Coxhoe Hall [Durham, England] nel 1806. Di salute malferma, visse per anni nel castello paterno dedicandosi allo studio dei classici e alla composizione poetica.
Era il 10 gennaio del 1845 quando il poeta Robert Browning scrisse la prima ardente lettera nella quale dichiarava tutta la sua ammirazione ad Elizabeth Barrett, la poetessa inglese definita in patria la Shakespeare al femminile. Cominciò così la loro romantica storia d’amore, che sembra uscire direttamente dalle pagine di un romanzo ottocentesco, con la corrispondenza durata un anno, il padre ostile e severo, il matrimonio celebrato segretamente, la fuga in Italia, la nascita del figlio.
Fino ad allora, per circa quarant’anni, la vita di Elizabeth, in seguito ad una caduta da cavallo, alla tragica morte per annegamento del fratello, ad una malattia di cui mai ben chiarite furono le cause, forse fisiche, forse psicologiche, era trascorsa in modo grigio ed immobile, sotto la tirannia paterna, in una strana dimora fiabesca, fra pareti silenziose, in una stanza buia dalle imposte ben serrate, tra medicine e libri impolverati, con la sola compagnia dell’inseparabile cagnolino Flush e dell’appassionato bisogno di leggere e studiare, curiosamente incoraggiato e consentito dall’austero padre.
Quando giunse quella prima lettera fu come un’esplosione di luce in quella casa tetra, in quella stanza buia, in quel cuore avvezzo all’ombra e alla solitudine: la passione s’innescò e brillò fino ad esplodere, e così la poetessa ammalata, famosa eppure chiusa nel cerchio del suo isolamento, uscì alla luce e assaporò la felicità inattesa ed improvvisa.
Si sposarono segretamente Elizabeth e Robert, poi fuggirono in Italia e si stabilirono a Pisa. Trascorsero insieme 15 anni, in splendida armonia, quasi sempre a Firenze dove poi si erano trasferiti, scrivendo entrambi, lei prendendo molto a cuore la causa indipendentista italiana e componendo diverse poesie in tema, con il proposito di far conoscere anche nella sua terra d’origine la situazione italiana.
Morì a Firenze nel 1861 e fu seppellita con tutti gli onori nel cimitero degli inglesi, dove ancora riposa.
Scrisse molto Elizabeth, cominciando addirittura ad 8 anni, pubblicando per la prima volta a 13 e collaborando a riviste e circoli letterari; scrisse ballate, poesie ispirate al quotidiano, componimenti appassionati, con i quali voleva incidere sui costumi sociali del tempo, e d’impegno sociale, contro l’oppressione straniera in Italia, in un bisogno intimo di espressione, di comunicazione, di denuncia, ma i suoi versi più belli restano quelli dedicati al suo amore per Robert.
Vale davvero la pena leggere e rileggere i suoi Sonetti dal portoghese , scritti parallelamente alle lettere scambiate con Robert (che chiamò poi sempre la moglie my little portuguese) e da lei conservati fin dopo il matrimonio, versi d’amore intensi e rivoluzionari, perché per la prima volta la donna diveniva in poesia soggetto attivo e dominante e l’uomo era trasformato in oggetto d’amore al quale indirizzare con audacia le pulsioni e i desideri, e di fronte al quale affermare e rivendicare il proprio diritto all’amore.
Con un linguaggio colto eppure semplice, che ben coniuga eleganza e raffinatezza, in preziosa alchimia di classicità e suggestioni romantiche, i versi di Elizabeth esprimono al meglio ancora oggi l’immaginario femminile, riuscendo a trasmettere con intatta efficacia i desideri che pulsano nei cuori delle donne e l’amore che sbocciò nel suo cuore oppresso dalla lunga solitudine.
Elizabeth Barrett fu poeta aggraziato e vibrante. La critica successiva le imputò una certa mancanza di controllo formale. Le cose migliori sono nei Sonetti dal portoghese (1850). Poema in blank verse è Aurora Leigh, in cui espresse le sue idee su questioni filosofiche e sociali del suo tempo.
Elizabeth Barrett simpatizzò politicamente per la causa dell’indipendentismo italiano, alla quale dedicò le poesie de Finestre di Casa Guidi (1851).
DESCRIZIONE-Il 18 maggio 1911 muore Gustav Mahler.Questo libro rivela le chiavi per accedere al mondo interiore del più contemporaneo tra i Classici.
Mahler camminava con gli occhi fissi a terra, per non calpestare alcuna creatura vivente. Poteva darsi che in ogni infima creatura stesse imprigionata una grande anima. La sua idea del divenire nasceva da ciò che Johann Peter Eckermann, nelle Conversazioni con Goethe, fa dire al poeta che il Maestro venerò sopra ogni altro: “La convinzione della nostra immortalità nasce, per me, dal concetto dell’attività; poiché se io opero senza posa fino alla mia morte, la natura è obbligata ad assegnarmi un’altra forma di esistenza quando questa mia attuale non può più continuare a contenere il mio spirito”. Di questo perenne operare, Mahler fu profeta e martire. Nacque ebreo, divenne cattolico, ma nel suo intimo rimase sempre un panteista devoto al culto della Natura, sorgente di quella spaventosa, demoniaca e insieme angelica, energia che egli si dannò per trattenere nella propria musica. Senza di essa, sarebbe stato solo un epigono dei Romantici, non un neo-pagano con le radici immerse in un esoterismo così primigenio da esserci, oggi, più che mai inquietante.
Mahler, Gustav
Trionfo e crisi della sinfonia
Compositore e direttore d’orchesta austro-ungarico, Gustav Mahler visse tra la seconda metà dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, ponendosi come sensibile interprete di un mondo in crisi e prossimo al disfacimento. Le sue sinfonie per orchestra e coro, di imponenti dimensioni, e i Lieder, per voce e pianoforte o voce e orchestra, portarono il linguaggio romantico a uno sviluppo estremo, aprendo la strada alla musica moderna
Dalla Boemia a Vienna
Gustav Mahler nacque nel 1860 a Kalischt, in Boemia, in una modesta famiglia ebrea molto numerosa. La morte di cinque dei suoi fratelli e il carattere violento e dispotico del padre contribuirono a sviluppare nel giovane Gustav quel forte senso del tragico, che pervade spesso la sua musica.
Riconosciuto il precoce talento musicale del figlio, fu tuttavia proprio il padre a incoraggiare e sostenere gli studi di Mahler, dapprima a Iglau, in Moravia, e dal 1875 al 1878 al Conservatorio di Vienna. Il periodo di studi viennese fu molto fecondo, per il confronto con l’intensa attività musicale della città austriaca, a quel tempo dominata dalle figure dei grandi musicisti Johannes Brahms e Anton Bruckner, con il quale Mahler entrò in contatto.
La carriera di direttore d’orchestra
Terminati gli studi, Mahler divenne direttore d’orchestra, professione che praticò per tutta la vita. Dotato di qualità fuori dal comune, ebbe una prestigiosa carriera che lo portò dai teatri di provincia a quelli di città come Praga, Lipsia, Budapest e Amburgo. Arrivò a ricoprire la carica di direttore dell’Opera di Vienna (1897-1907), ottenuta con l’appoggio di Brahms e dopo la conversione al cattolicesimo, e poi del Teatro Metropolitan di New York (1907-11), in anni dif;ficili per lui, colpito dalla morte della figlia e dall’insorgere di una malattia cardiaca.
Nonostante il successo internazionale e pur esercitando la direzione d’orchestra con rara serietà e perfezionismo, Mahler visse sempre in maniera conflittuale il rapporto con questa professione, ritenendo che essa sottraesse tempo alla sua attività di compositore.
La produzione liederistica
A parte poca musica da camera, Mahler compose Lieder e sinfonie. Il termine Lied, che nella nostra lingua corrisponde alle parole lirica, canzone, romanza, indica una composizione vocale-strumentale che unisce poesia e musica. Questo genere ebbe una lunga tradizione in area tedesca e una grande fioritura nel periodo romantico (romanticismo).
Tra i numerosissimi Lieder di Mahler vanno ricordati il ciclo dei Canti della giovinezza (1880-83 e 1887-90) i cui testi sono tratti in parte da Il corno meraviglioso del fanciullo, una raccolta di poesie popolari di Achim von Arnim e Clemens Brentano. Da tale raccolta Mahler trasse anche il ciclo omonimo, Il corno meraviglioso del fanciullo, nelle versioni per voce e pianoforte (1892-98) e per voce e orchestra (1892-95). Su testo proprio sono invece i Canti di un giramondo (voce e pianoforte, 1883-85; voce e orchestra, 1890-95). Agli ultimi anni della produzione di Mahler appartengono i Canti di bambini morti (1901-04) per voce e orchestra e il Canto della terra (1907-09), un esteso lavoro sinfonico-vocale che opera una fusione tra il Lied e la sinfonia.
Le sinfonie
Mahler compose nove sinfonie, mentre una decima rimase incompiuta. Egli considerava la sinfonia come l’espressione musicale più alta, manifestando così la sua fedeltà alla tradizione; allo stesso tempo ne rendeva evidente la crisi con un linguaggio complesso, talvolta intimo e sommesso, talvolta grandioso e drammatico, in cui è frequente l’inserimento di temi popolari e di atmosfere ispirate alla natura. Nelle sinfonie di Mahler il numero dei movimenti, la loro durata e l’organico vengono spesso dilatati fino a dimensioni insolite; inoltre la ricerca timbrica e strumentale è particolarmente innovativa. Tutto ciò rese Mahler un fondamentale punto di riferimento per i musicisti del Novecento.
Dopo la Prima sinfonia, poi detta Titano (1884-88), Mahler compose tre sinfonie per orchestra e voci soliste, scritte tra il 1884 e il 1900. La Quinta sinfonia (1901-02), la Sesta (1903-04) e la Settima (1904-05) sono invece solo per orchestra. L’Ottava sinfonia (1906), detta Sinfonia dei mille per l’imponente organico, costituisce un insieme omogeneo per linguaggio e ispirazione con la Nona (1908-09), il Canto della terra e l’Adagio della Decima (1910), sinfonia che Mahler non completò per la morte avvenuta nel 1911.
IDA BINCHI:”Da tempo volevo scrivere qualcosa su questo capolavoro che ho letto due volte ed avrei voglia di rileggerlo, per condividere con il gruppo i pareri al riguardo.
I Buddenbrook è stato il primo romanzo che ha scritto T. Mann, all’età di 26 anni e che fu premiato con il Nobel quando aveva 29 anni. Questo grandissimo capolavoro , che è in gran parte autobiografico, è la storia di una famiglia di commercianti di Lubecca e si sviluppa nell’ arco di 4 generazioni. Il romanzo inizia con il successo economico e la conquista del prestigio sociale della famiglia, fino ad arrivare alla decadenza di questa.
I Buddenbrook è un romanzo bellissimo, con una descrizione della personalità dei personaggi e del loro ambiente così elevata che sembra di vederli e viverli. Il romanzo inizia con persone della famiglia molto unite che condividono la visione della vita, pieni di energia e che con molta disciplina e dedizione seguono il lavoro e la famiglia. I discendenti invece vivranno conflitti interiori e relazionali tra di loro, perché scegliere di vivere per il prestigio e la ricchezza della famiglia impone delle grandi rinunce ed il sacrificio delle loro inclinazioni. L’ arte che secondo la mentalità trasmessa dalla famiglia è sregolatezza e superficialità, diventa il tradimento dei valori della famiglia”.
I Buddenbrook-DESCRIZIONE
Il primo grande romanzo di Thomas Mann racconta la storia di una famiglia tedesca dell’Ottocento che dopo anni di prosperità è esposta a una tragica decadenza: le basi di un patrimonio e di una potenza che sembravano incrollabili sono sgretolate da una forza ostinata e segreta. Opera di ispirazione autobiografica, questo romanzo, capolavoro della letteratura europea, esprime compiutamente la concezione estetica e politica dello scrittore tedesco, il suo rimpianto per una mitica e solida borghesia, la coscienza della crisi di un mondo e di valori destinati inesorabilmente a scomparire.
Charles-Henri Favrod, Direktor des Fotomuseums “Musee de l’Elysee” in Lausanne, aufgenommen am 13. Maerz 1992 im Park des Museums.
Charles-Henri Favrod è scomparso alle soglie dei novant’anni il «padre» del Museé de l’Elysée di Losanna.
Parigi.Charles-Henri Favrod In un’intervista rilasciata a «Le Temps» nel 2015, aveva detto: «Vi immaginate com’era il mondo prima di duplicarlo, prima di inventariarlo, prima di fotografare ognuna delle cose che lo costituiscono? La gente non aveva idea; come immaginare il Louvre quando si vive ad Angoulême? Ci sono due invenzioni fenomenali nel XIX secolo: la fotografia e la psicoanalisi, due fondamenti».
Scomparso a Morges lo scorso 15 gennaio, quasi novantenne, Charles-Henri Favrod (giornalista, fotografo, scrittore, storico, erudito, collezionista, direttore editoriale) torna qui a sottolineare l’enorme portata del cambiamento che ha travolto il mondo dopo l’invenzione della fotografia, arte alla quale ha dedicato buona parte della sua vita.
Charles-Henri Favrod
Nato a Montreux il 21 aprile del 1927, dopo gli studi umanistici all’Università di Losanna si dedica al giornalismo, sia come reporter per la «Gazette de Lausanne» sia come critico letterario per il supplemento «La Gazette littéraire». È corrispondente di guerra in Indocina e in Algeria, dove si impegnerà attivamente per la decolonizzazione del Paese, tanto da essere poi insignito della Médaille de la Reconnaissance algérienne. Dirige le Éditions Rencontre per le quali si occupa dell’enciclopedia Edma e degli «Atlas des voyages»: sono i primi anni Sessanta e Favrod lavora già in stretto contatto con i fotografi. Diventa responsabile de La Guilde du livre dell’editore Albert Mermoud, e a lui si deve la creazione della Fondation suisse pour la photographie nel 1974. «Ho passato il mio tempo a reclamare un museo della fotografia, prosegue nella stessa intervista, trovavo insensato che non esistesse alcun luogo per presentare la fotografia, e soprattutto per spiegarla. L’inizio delle mie proteste risale agli anni Cinquanta, il museo è nato nel 1985!».
Il museo in questione è il Musée de l’Elysée di Losanna, il primo in Europa a essere consacrato esclusivamente alla fotografia, e costruito su quello che era stato il Cabinet des estampes. «Desideravo esporre i più grandi come i più giovani, nell’idea di costituire una collezione, perché un museo senza collezione è un’assurdità». Nei suoi spazi passeranno le immagini dei più noti autori internazionali, da Capa a Man Ray, da Atget a Henri Cartier-Bresson, da William Klein a Robert Frank a Lee Friedlander.
Charles-Henri Favrod
E quando dopo dieci anni, come previsto dalla legge cantonale, deve lasciare la direzione dell’Elysée, è con qualche dissapore che si separa dalla sua creatura, anche se subito dopo la Fratelli Alinari lo incarica dell’apertura del Museo di Storia della Fotografia Fratelli Alinari, che avverrà nel 2006. Favrod affida proprio al museo la conservazione della sua sterminata collezione, dalla quale provengono le opere che lui stesso seleziona per «Cento fotografi del XX secolo», la mostra con la quale nel 2007 l’istituzione fiorentina rende omaggio alla sua attività di collezionista. Intanto continuano a susseguirsi attività e pubblicazioni, a ribadire una passione per l’immagine che le sue parole spiegano bene: «La fotografia cattura il mio interesse perché mi fornisce delle informazioni. Desiderio di riconoscere, piacere di guardare. E senza dubbio anche perché essa permette d’ingannare un po’ la morte».
Poesie di Aldo Fabrizi- attore italiano, regista, produttore, scrittore, sceneggiatore
Aldo Fabrizi è un attore italiano, regista, produttore, scrittore, sceneggiatore, è nato il 1 novembre 1905 a Roma (Italia) ed è morto il 2 aprile 1990 all’età di 84 anni a Roma (Italia). Nel 1988 ha ricevuto il premio speciale alla carriera al David di Donatello. Dal 1947 al 1988 Aldo Fabrizi ha vinto 4 premi: David di Donatello (1988), Festival di Venezia (1947), Nastri d’Argento (1951, 1975).
La Romanella
I Mì nonna, benedetta indó riposa,
se comportava come ‘na formica
e puro si avanzava ‘na mollica
l’utilizzava per un’antra cosa.
Perciò er dovere primo d’ogni sposa,
pure che costa un’oncia de fatica,
è d’esse sempre, a la maniera antica,
risparmiatrice, pratica e ingegnosa.
Si avanza un po’ de pasta, mai buttalla:
se sarta co’ un po’ d’acqua solamente,
pe’ falla abbruscolì senz’abbrucialla.
E la riuscita de ‘sta Romanella
che fa faville e che nun costa gnente
dipenne da ‘na semplice padella.
II Mò l’urtima invenzione è ‘na padella,
che quello che se còce poi se stacca,
mastice, colla, pece e ceralacca,
se rivorteno come ‘na frittella.
‘Sta novità sarà ‘na cosa bella,
ma dato che la Pasta nun attacca
in pratica sarebbe ‘na patacca
perché dev’esse mezz’abbruscatella.
Vedete, er gusto nun dipenne mica
dar fatto che diventa più odorosa,
ma dar sapore de padella antica.
E detto questo, porca la miseria,
fò a meno de la chiusa spiritosa,
perché ‘sto piatto qui è ‘na cosa seria!
Aldo Fabrizi
Pasta alla capricciosella
Provate a fa’ ‘sto sugo, ch’è un poema:
piselli freschi, oppure surgelati,
calamaretti, funghi “cortivati”,
così magnate senz’avé patema.
Pe’ fa’ li calamari c’è un sistema:
se metteno a pezzetti martajati
nell’ajo e l’ojo e bene rosolati,
so’ teneri che pareno ‘na crema.
Appresso svaporate un po’ de vino;
poi pommidoro, funghi e pisellini
insaporiti cor peperoncino.
Formaggio gnente, a la maniera antica,
fatece bavettine o spaghettini…
Bòn appetito e Dio ve benedica!.
Chi sarà stato?
Ho letto cento libri de cucina.
de storia, d’arte, e nun ce nè uno solo
che citi co’ la Pasta er Pastarolo
che unì pe’ primo l’acqua e la farina.
Credevo fosse una creazione latina,
invece poi, m’ha detto l’orzarolo,
che l’ha portata a Roma Marco Polo
un giorno che tornava dalla Cina.
Pe’ me st’affare de la Cina è strano,
chissà se fu inventata da un cinese
o la venneva là un napoletano.
Sapessimo chi è, sia pure tardi,
bisognerebbe faje… a ‘gni paese
più monumenti a lui che a Garibardi.
Aldo Fabrizi
La cottura
I Nun è ‘na cosa tanto compricata,
però bisogna sempre fà attenzione
perché ce vò ‘na certa proporzione
tra tipo e quantità che va lessata.
Me spiego: quella fina e delicata
va bene tutt’ar più pe’ du’ persone,
ma si presempio se ne fa un pilone
basta un seconno in più che viè incollata.
Insomma, c’è ‘na regola importante:
fino a tre etti se pò fà leggera
poi più s’aumenta e più ce vò pesante.
Er sale è mejo poco, l’acqua assai,
un litro a etto, l’unica maniera,
perché la Pasta nun s’incolli mai.
II Un’antra cosa: mai bollilla stretta,
e quanno l’acqua è in piena bollitura,
se butta giù e la pila se riattura
pe’ fà riarzà er bollore in fretta in fretta.
Poi dopo un po’ s’assaggia: n’anticchietta;
appena è cotta, ancora bella dura,
se leva e je se ferma la cottura
coll’acqua fresca sotto la bocchetta.
Doppo girata un attimo, scolate:
quanno l’urtima gocciola viè fòri
conditela de prescia e scodellate.
Si c’è quarcuno attenti a controllavve:
« mangiate calmi, piano, da signori » ,
si state soli… attenti a nun strozzavve.
La Creazione
Dio disse: « Mò che ho fatto Cielo e Tera,
domani attacco Luce e Firmamento,
mercoledì fò er mare, doppo invento
farfalle e fiori pe’ la Primavera.
Pe’ giovedì fò er Sole, verso sera
fò li Pianeti, er Fòco, l’Acqua, er Vento,
così se venerdì nun vado lento,
faccio sabbato ingrese e bònasera! »
Finì defatti er sabbato abbonora.
« Mò » disse « vojo vede chi protesta
dicenno che er “Signore” nun lavora…
Ho sfacchinato quarant’ore… basta!
Domani ch’è domenica fò festa…
e prima de fa’ Adamo fò la Pasta! »
Aldo Fabrizi
La dieta
Doppo che ho rinnegato Pasta e pane,
so’ dieci giorni che nun calo, eppure
resisto, soffro e seguito le cure…
me pare un anno e so’ du’ settimane.
Nemmanco dormo più, le notti sane,
pe’ damme er conciabbocca a le torture,
le passo a immaginà le svojature
co’ la lingua de fòra come un cane.
Ma vale poi la pena de soffrì
lontano da ‘na tavola e ‘na sedia
pensanno che se deve da morì?
Nun è pe’ fà er fanatico romano;
però de fronte a ‘sto campà d’inedia,
mejo morì co’ la forchetta in mano!
Aldo Fabrizi
La panzanella
E che ce vo’
pe’ fa’ la Panzanella?
Nun è ch’er condimento sia un segreto,
oppure è stabbilito da un decreto,
però la qualità dev’esse quella.
In primise: acqua fresca de cannella,
in secondise: ojo d’uliveto,
e come terzo: quer di-vino aceto
che fa’ venì la febbre magnarella.
Pagnotta paesana un po’ intostata,
cotta all’antica,co’ la crosta scura,
bagnata fino a che nun s’è ammollata.
In più, per un boccone da signori,
abbasta rifinì la svojatura
co’ basilico, pepe e pommidori.
Aldo Fabrizi
Biografia di Aldo Fabrizi rappresenta l’anima di Roma, la cosiddetta Città Eterna,che l’ha sempre considerato il suo figlio prediletto. Del popolo romano l’attore ha canzonato in oltre cinquant’anni di carriera vizi e debolezze, con quel suo umorismo tanto cinico e disincantato, quanto dissacrante e tagliente, così caratterizzante del suo fare flemmatico e arguto. Sapeva scherzare su tutto, ma prima di tutto su se stesso, ed in particolar modo sul suo fisico corpulento, palese dimostrazione della sua smisurata passione per il cibo, e soprattutto per i piatti tipici della cucina romana, che egli stesso si deliziava nel preparare. Era la voce del “popolino”, dal quale egli proveniva e che ha sempre portato nel cuore. Attraverso i suoi tipici personaggi – con i quali ha conquistato le platee dell’Italia intera a partire dai suoi esordi teatrali nei primi anni Trenta, e che ha fortunatamente riproposto in televisione negli anni Settanta – come il vetturino il cui cavallo lo batte in fatto di stanchezza, il tranviere contro cui tutti i passeggeri si accaniscono, o il cameriere dai piedi stanchi, Fabrizi esprimeva il suo spirito caustico, e conduceva una sferzante satira sulla romanità, ma ancor più in generale sull’uomo qualunque del suo tempo. In cinema debuttò nel 1942, ma si sarebbe dovuto aspettare il 1945 perché egli avesse potuto dar prova di una profonda sensibilità artistica in un ruolo diverso dai soliti, stavolta drammatico, quello di un prete eroico che si fa fucilare dai tedeschi pur di non rivelare i nomi di alcuni partigiani, nel capolavoro di Rossellini, Roma città aperta. Il film – che lo vede per la terza volta al fianco dell’amica-nemica Anna Magnani, che in quanto a schiettezza e sfacciataggine riusciva a tenergli testa – gli offrì l’opportunità di fornire una struggente e sofferta interpretazione, densa di emotività, e carica di una coinvolgente naturalezza, dimostrando così di essere un attore a tutto tondo. La sua filmografia è sterminata: lo ricordiamo spesse volte al fianco dell’amico Totò, soprattutto nel film caustico-amaro Guardie e ladri (1951) di Steno e Mario Monicelli; e poi in una serie di svariati, e talvolta grotteschi personaggi, come il contadino furbo e bonario di Vivere in pace (1947) di Luigi Zampa, il padre egoista e protervo di Prima comunione (1950) di Alessandro Blasetti, lo sfortunato e bizzarro capofamiglia nella serie de “La famiglia Passaguai” (tre film dal 1951 al ’52), di cui egli stesso fu il regista, e il ricco e rozzo palazzinaro di C’eravamo tanto amati (1974) di Ettore Scola, deluso e disincantato ritratto della pseudo-impegnata generazione di sinistra del periodo post-secondo conflitto mondiale. Dopo tanti impegni come attore cinematografico, il teatro lo rivide incontrastato mattatore nella celeberrima commedia musicale di Garinei e Giovannini, Rugantino, portata per la prima volta in scena nel 1962, ripetuta diverse volte negli anni successivi, e portata addirittura a New York. Accanto ad interpreti del calibro di Nino Manfredi e Bice Valori, Fabrizi impersonò il tragicomico personaggio di Mastro Titta, un boia della Roma papalina, che dietro il suo aspetto burbero e rude, si dimostrava sensibile e bonario. Da ricordare infine le sua spassosissime apparizioni televisive, e le sue deliziose raccolte di ricette e poesie, spiritosamente intitolate La pastasciutta (1971), Nonna minestra (1974) e Nonno pane (1980). La Roma paciosa e scanzonata che lo vide nascere, se lo portò via, in una triste mattinata primaverile del 1990, quando “er sor Aldo” aveva da qualche mese compiuto ottantaquattro anni.
Giovanni Prati – Il Romanticismo italiano-Nuovi canti Poesie-
– Editore Stabilimento Tipografico Fontana di TORINO 1844 –
Giovanni Prati
Giovanni Prati (1814-1884) fu uno dei più importanti esponenti del secondo romanticismo italiano. Partecipò attivamente alle vicende politiche risorgimentali con una attitudine cavalleresca e disordinata che gli creò seri problemi e difficoltà di rapporto con gli altri attori dei movimenti patriottici. Ebbe una vita avventurosa passando dal natio Trentino, a Padova, dove frequentò senza concluderli gli studi giuridici, a Milano, a Torino, in Svizzera, sempre seguito da polemiche anche calunniose. Fu allontanato dall’insorta Venezia come elemento perturbatore e per la fede monarchica; anche la Firenze del Guerrazzi lo respinse per i suoi legami con la dinastia sabauda, infine furono proprio i Savoia a procurargli impieghi e serenità e al loro seguito si trasferì da Torino a Firenze e infine a Roma. Non smise mai di dedicarsi alla prediletta attività poetica e letteraria contraddistinguendosi per il suo stile melodico e musicale, e per la realistica attenzione al mondo e al sentire della borghesia.
Giovanni PratiGiovanni PratiGiovanni Prati
Giovanni Prati – Nuovi canti – Torino, Stabilimento Tipografico Fontana 1844 –
Giovanni Prati (1814-1884) fu uno dei più importanti esponenti del secondo romanticismo italiano. Partecipò attivamente alle vicende politiche risorgimentali con una attitudine cavalleresca e disordinata che gli creò seri problemi e difficoltà di rapporto con gli altri attori dei movimenti patriottici. Ebbe una vita avventurosa passando dal natio Trentino, a Padova, dove frequentò senza concluderli gli studi giuridici, a Milano, a Torino, in Svizzera, sempre seguito da polemiche anche calunniose. Fu allontanato dall’insorta Venezia come elemento perturbatore e per la fede monarchica; anche la Firenze del Guerrazzi lo respinse per i suoi legami con la dinastia sabauda, infine furono proprio i Savoia a procurargli impieghi e serenità e al loro seguito si trasferì da Torino a Firenze e infine a Roma. Non smise mai di dedicarsi alla prediletta attività poetica e letteraria contraddistinguendosi per il suo stile melodico e musicale, e per la realistica attenzione al mondo e al sentire della borghesia.
Giovanni Prati-Nuovi canti – Torino, Stabilimento Tipografico Fontana 1844 –
Poesie di Giovanni Prati
Incantesimo
La maga entro l’arena
girò, cantando, l’orma:
con frasca di vermena
mi ha tocco in sull’occipite,
ed io mi veggio appena in questa forma.
Sì picciolo mi fei
per arte della maga,
che in verità potrei
nuotar sopra diafane
ale di scarabei per l’aura vaga.
O fili d’erba, io provo
un’allegria superba
d’esser altrui sì novo,
sì strano a me. Deh fatemi,
fatemi un po’ di covo, o fili d’erba.
Minuscola formica
o ruchetta d’argento
sarà mia dolce amica
nell’odoroso e picciolo
nido che il sol nutrica e sfiora il vento.
E della curva luna
al freddo raggio, quando
nella selvetta bruna
le mille frasche armoniche
si vanno ad una ad una addormentando;
e dentro gli arboscelli
si smorza la confusa
canzon de’ filunguelli,
e sotto i muschi e l’eriche
l’anima dei ruscelli in sonno è chiusa;
noi, cinta in bianca veste
la piccioletta fata
vedrem dalla foresta
venir nei verdi ombracoli,
di bianchi fior la testa incoronata.
E dormirem congiunti
sotto l’erbetta molle;
mentre alla luna i punti
toglie l’attento astrologo,
e danzano i defunti in cima al colle.
I magi d’Asia han detto
che quanto il corpo è meno,
più vasto è l’intelletto,
e il mondo degli spiriti
gli raggia più perfetto e più sereno.
Infatti, io sento l’onde
cantar di là dal mare,
odo stormir le fronde
di là dal bosco; e un transito
d’anime vagabonde il ciel mi pare.
Da un calamo di veccia
qua un satirin germoglia,
da un pruno, o mo’ di freccia,
la sbalza un’amadriade
è in parto ogni corteccia ed ogni foglia.
Lampane graziose
giran la verde stanza:
e, strani amanti e spose,
i gnomi e le mandragore
coi gigli e con le rose escono in danza.
Del mondo ameno e tetro
com’è che ai sensi tardi
mi piove il raggio e il metro?
E né cornetta acustica
mi soccorre né vetro orecchi e sguardi?
Com’è che le mie colpe
non anco all’olmo e al pino
latra la iniqua volpe?
Né il truculento martoro
mi succhiella le polpe a mattutino?
Sono un granel di pepe
non visto: ecco il mistero.
L’erba sul crin mi repe,
ed è minor che lucciola
nell’ombra siepe il mio pensiero.
Oh fata bianca, come
un nevicato ramo,
dagli occhi e dalle chiome
più bruni della tenebra,
e dal soave nome in ch’io ti chiamo.
Oh Azzarelina! in pegno
dell’amor mio, ricevi
questo morente ingegno,
tu che puoi far continovi
nel tuo magico regno i miei dì brevi.
L’erbetta ov’io m’ascondo
so che è incanata anch’ella;
né vampa o furibondo
refolo o gel mortifica
lo smeraldo giocando in che è sì bella.
So che, d’amor rapita,
in un perpetuo ballo
mi puoi mutar la vita
o su fra gli astri, o in nitide
case di margherita e di corallo.
sien acque, o stelle, o venti,
ove abitar degg’io,
per primo don m’assenti
il bacio tuo: per ultimo,
dei rissosi viventi il pieno oblìo.
Ascolta, Azzarelina:
la scienza è dolore,
la speranza è ruina
la gloria è roseo nugolo,
la bellezza è divina ombra fiore.
Così la vita è un forte
licor che ebbri ci rende,
un sonno alto è la morte
e il mondo un gran Fantasima
che danza con la Sorte e il fine attende.
Vieni ed amiam. L’aurora
non spunta ancor; gli steli
ancor son curvi; ancora
il focherel di Venere
malinconico infiora i glauchi cieli.
Vieni ed amiam. Chi vive,
naturalmente guada
alle tenarie rive:
ma chi è prigion nel circolo
che la tua man descrive a ciò non bada.
Giovanni Prati
Un giorno d’inverno
Sempre sul farsi della tacit’ora
Crepuscolar m’invade una tranquilla
Malinconia, che dolcemente irrora
Questi occhi del dolor che da lei stilla.
Guardo il foco morente, e m’innamora
Tenervi intenta e risa la pupilla,
lnsin che appena qualche brace ancora
Tra la commossa cenere scintilla.
Il crepitar di quella ultima vita,
L’ombra addensata e la cadente neve
Di piu cupa tristezza il cor mi serra.
E prorompoll dall’anima atterrita:
Mio Dio, che sogno è questo viver breve!
Mio Dio, che solitudine è la terra!
Oh che cielo!
Oh che cielo ! oh che mar ! Quella profonda
e doppia immensità quanti sospiri
mi trae dal cor ! di che malie m’inonda!
con che forza m’assorbe entro i suoi giri!
La man per gioco, o fanciulletta bionda,
non por sugli occhi miei: lascia ch’io miri
queste due glorie. A te né il ciel né l’onda
parlano: ed altro muove i tuoi desiri,
Te move il riso dell’età tua verde,
un’ape d’oro, una farfalla, un fiore:
me l’infinito ciel, l’onda infinita.
E in questi abissi il mio pensier si perde,
e mentre scherzi, o bimba, il pensatore
piange tra il vel delle tue rosee dita.
Alba
Fumano i campi; la rugiada stilla
sull’erba nova; il cheto aere si desta
il sol che spunta, e con l’aletta in resta
il cardellino in cima al gelso trilla.
Al giocondo lavor sparsa è la villa
sui bruni solchi; pei declivi a festa
saltan le capre; e in seno a la foresta
le allegrie della caccia il corno squilla.
Questa è vita davver; questo è divino
elemento di forza all’uman petto:
aria, luce, tripudio, opera intorno.
E noi, civico vulgo, ogni mattino
(fatica insigne!) ci leviam dal letto,
pallidi spettri, ad invecchiar d’un giorno.
Ramuscello
O ramuscel di mandorlo,
quando su te si posa
il cardellino, e ai limpidi
rigagni e al ciel di rosa
sparge la fresca e lieta
anima di fanciullo e di poeta;
o ramuscel, per magica
arte io vorrei mutarmi
nell’ augellin che dondola
su te, trillando carmi;
su te che spargi al vento
la molle nebbia de’ tuoi fior d’argento.
E là, cantando il giovane
mio tempo e i dolci inganni,
le ingrate nevi e il cumulo
non sentirei degli anni.
Ma ognun la sua fatale
stella ha sul capo; ed accusarla è male.
Marionette
Al fantolino, più che pesca o mela,
piace il casotto degl’incanti, dove
un piccol mondo di figure nove
al suo cupido e fermo occhio si svela:
né sa che dietro la dipinta tela
per fili arcani in giocolier le move;
e crede velo il finto; e in quelle prove,
in quegli atti, in que’ volti avvampa e gela.
Grandeggia quindi il fantolin con l’ora:
e nel mondo degli uomini s’aggira,
e crede vero ciò ch’ è finto ancora.
Uom poi diventa, e si travaglia e stanca
pur dietro a sogni: e il dì che l’ombra ei mira
del Ver, spìa sul quadrante, e il tempo manca.
Giovanni Prati
Or passeggi solinga
Ti veggo, o madre; per i conscii lochi
dove teco scherzava io fanciulletto
or passeggi solinga, e il caro aspetto
del tuo lontano lacrimando invochi.
Parmi d’udire i tuoi gemiti fiochi
i quando mesta riguardi il vacuo letto,
e tuo figlio mancar vedi al banchetto,
e il cerchi indarno ai consueti giochi.
Sì, vederti mi par, parmi d’udirti
povera madre! e rimaner lontano,
tal rimorso è per me ch’io non so dirti.
Conosco il fallo e m’addoloro e piango!
Ahi! Com’è questo cor misero e strano!
Conosco il fallo, eppur lontan rimango.
Tra veglia e sonno
Un verno a notte bruna
mentre nell’erma stanza
d’Usca inducea la luna
un pallido chiaror,
cantò questa romanza
il reduce Gildorl.
«Senti diletta mia,
la mezzanotte appressa;
io gelo sulla via,
e tu non vieni ancor:
compi la tua promessa;
vieni, mio dolce amor.
Eccoti il lino bianco,
segnaI della tua fede;
mirami cinta al fianco
la ciarpa tricolor;
vieni, nessun ti vede,
angelo del mio cor.
Mio bel tesor, calcai
sabbie infuocate e nevi;
un oceàn varcai
per te, mio bel tesor;
per me varcar tu devi .
solo un vial di fior.
Tu mi dicesti un giorno,
con lacrime dirotte:
«Quando farai ritorno,
chiamami, o mio Gildor,
chiamami a mezzanotte, .
ti volerò sul cor.»
Senti, diletta mia,
la mezzanotte appressa;
io gelo sulla via,
e tu non vieni ancor;
compi la tua promessa,
vieni, mio dolce amor.
Soldato e trovatore,
piti bello ho salutato
ma te recando in core,
fu mio secondo amor
la spada del soldato
e il suon del trovator.
Che fai, diletta mia?
Quell’ora è già suonata.
lo gelo sulla via,
e tu non vieni ancor …
Ti sei di me scordata;
addio, mio dolce amor.
Soldato e trovatore,
le belle ho ricusato ;
or senza te nel core,
sarà mio solo amor
la spada del soldato
e il suon del trovator.»
E dileguò. Svegliata
Usca, sul far del giorno,
disse d’aver sognata
la voce di Gildor;
e aspetta il suo ritorno
la poveretta ancor.
Biografia di Giovanni Prati
Busto di Giovanni Prati (Trento)
Giovanni Prati (Comano Terme, 27 gennaio 1815 – Roma, 9 maggio 1884) è stato un poeta e politico italiano.
Giovanni Prati
Giovanni Prati nacque nel 1815 a Dasindo (oggi frazione del Comune di Comano Terme) nel Trentino, all’epoca appartenente all’Impero Austro-Ungarico e si formò nell’Imperial Regio Ginnasio d’Austria-Ungheria di Trento, intitolato alla sua persona nel 1919, Liceo Classico Giovanni Prati, dopo il passaggio del Trentino – Alto Adige all’Italia. Nello stesso Ginnasio studiò il poeta e patriota Antonio Gazzoletti.
Studiò legge a Padova e si dedicò alla poesia. Si sposò nel 1834 con Elisa Bassi, dalla quale ebbe tre figli: Riccardo, Rita ed Ersilia (i primi due morirono infanti). La moglie venne a mancare nel 1840. I temi della morte della moglie e dell’affetto per la figlia ritorneranno frequentemente nelle sue liriche. Pubblicò a Padova la prima raccolta, Poesie, nel 1836. Decise di trasferirsi a Milano nel 1841; qui conobbe Alessandro Manzoni e pubblicò l’Edmenegarda, una novella sentimentale in endecasillabi sciolti che ebbe un grande successo di pubblico ma fu stroncata dalla critica.
A Milano pubblicò nel 1843 i Canti lirici, canti per il popolo e ballate; nel 1844 dette alle stampe Memorie e lacrime e Nuovi canti. Dal 1845 al 1848 soggiornò a Padova, a Venezia e a Firenze. Nel 1848, recatosi a Torino, si mostrò sostenitore della Monarchia Sabauda. Negli anni che precedettero la prima guerra di indipendenza, fu sostenitore di Re Carlo Alberto di Savoia: per questo motivo, gli austriaci lo espulsero dal Regno Lombardo Veneto (anche Milano e Venezia all’epoca appartenevano all’Impero),e il governo di Firenze del Granducato di Toscana (sotto la dinastia Asburgo-Lorena) gli rifiutò l’asilo politico.
Furono questi i tempi più difficili e tormentati della sua vita perché professava i suoi ideali a favore della Monarchia Sabauda in una terra ostile e tra uomini decisamente avversi. Legato da ideali alla Monarchia Sabauda tornò a Torino, dove la sua fedeltà fu premiata con la nomina del Re Vittorio Emanuele II di Savoia a storiografo della Corona. Nel 1851 sposò in seconde nozze l’attrice drammatica Lucia Arnaudon.
Nel 1861 nel Governo Cavour (VIII legislatura del Regno d’Italia) venne eletto Deputato nel Parlamento Italiano con Torino divenuta Capitale del Regno d’Italia. A Torino presso il Caffè Fiorio in via Po, frequentato tra gli altri anche da Camillo Benso conte di Cavour, Massimo D’Azeglio, Urbano Rattazzi, Gabrio Casati, discuteva le sorti della neonata Italia. Nel 1865 seguì il Governo Unitario a Firenze divenuta Capitale, dove conobbe Mario Rapisardi, Niccolò Tommaseo, Atto Vannucci, Pietro Fanfani, Arnaldo Fusinato, Francesco Dall’Ongaro, Terenzio Mamiani ed altri.
Nel 1871 si trasferì a Roma divenuta Capitale d’Italia, nel 1876 divenne Senatore nel governo Depretis I XIII legislatura del Regno d’Italia nel 1878 divenne membro del Ministero della Pubblica Istruzione. Nel 1878 il Ministro dell’Istruzione Francesco De Sanctis governo Cairoli I fondò a Roma l’Istituto Superiore di Magistero del quale Giovanni Prati divenne direttore. Durante questi anni la sua poesia aveva continuato a fluire con la pubblicazione del poema Armando (1868, una parte del quale era apparsa nel ’64), degli oltre cinquecento sonetti di Psiche (1876) e delle liriche raccolte in Iside (1878). Morì a Roma nel 1884.
Sepolto a Torino, le sue ceneri furono trasferite nel paese natio ricongiunto alla patria. Dal 1923 le sue spoglie risiedono nella chiesa di Dasindo di Lomaso.
Note biografiche tratte e riassunte da Wikipedia https://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Prati
Anne-Elisabeth Mathieu–Poetessa francese -Rivista EMPORIUM- N°gennaio 1908-
Copia Anastatica
Biografia di Anne-Elisabeth Mathieu,contessa Mathieu de NOAILLES-Poetessa francese, nata a Parigi il 15 novembre 1876, morta ivi il 30 aprile 1933. Il padre suo apparteneva alla potente famiglia valacca dei Bibescu, ed era diventato, per adozione, erede del titolo e dei privilegi dell’ultimo principe Brancovan (Brâncoveanu); la madre discendeva dall’illustre ceppo cretese dei Musurus; Anna di Brancovan nel 1897 andò sposa al conte Mathieu de Noailles. Nata e cresciuta in Francia, formò il suo ingegno letterario sotto le dominanti influenze di M. Barrès e di G. D’Annunzio; tuttavia seppe conservare alla sua ispirazione l’originario carattere orientale: una schietta e calda sensualità, ora pigra ora impetuosa, un forte sentimento della natura mediterranea in fiore e in frutto sotto il gran sole, un tormentoso sentimento del morire sorgente dal fondo della voluttà carnale.
MATHIEU DE NOAILLES-Poetessa franceseMATHIEU DE NOAILLES-Poetessa franceseMATHIEU DE NOAILLES-Poetessa franceseMATHIEU DE NOAILLES-Poetessa franceseMATHIEU DE NOAILLES-Poetessa franceseMATHIEU DE NOAILLES-Poetessa franceseMATHIEU DE NOAILLES-Poetessa franceseMATHIEU DE NOAILLES-Poetessa franceseMATHIEU DE NOAILLES-Poetessa francese
Biblioteca DEA SABINA –La Poetessa Contessa MATHIEU DE NOAILLES-
Rivista PAN n°7 luglio 1934
MATHIEU DE NOAILLES-Poetessa franceseMATHIEU DE NOAILLES-Poetessa francese
Contessa MATHIEU DE NOAILLES– Poetessa francese ( Parigi 1876 – ivi 1933),discendente, da parte di padre, dalla famiglia valacca Brâncoveanu e, per parte di madre, dai Musùros di Creta. Poetessa romantica di sensibilità raffinata e voluttuosa, subì l’influenza di Barrès e D’Annunzio, assidui, assieme a Proust, Cocteau e Colette, del suo salotto. Copiosa la sua produzione letteraria, che vanta opere di poesia (Le coeur innombrable, 1901; L’ombre des jours, 1902; Les éblouissements, 1907, di un’ardente ispirazione, tormentata dal pensiero della morte; Les vivants et les morts, 1913; Les forces éternelles, 1920; L’honneur de souffrir, 1927), romanzi (La nouvelle espérance, 1903; Le visage émerveillé, 1904; La domination, 1905), saggi (Exactitudeş, 1930) e ricordi autobiografici: (Le livre de ma vie, 1932).
MATHIEU DE NOAILLES-Poetessa francese
Dieci poesie dal “Coeur innombrable”
L’orto
Nel giardino, addolcito di garofani e odori,
Quando l’alba ha imperlato il cespo del serpillo
E i tozzi calabroni, appesi ai pomodori,
Rigonfi di rugiada e di succhi vacillano,
Io verrò nell’azzurro, nella bruma ondeggiante,
Ebbra del vivo tempo e del dì ritrovato,
Si drizzerà il mio cuore come il gallo che canta
Con desiderio insazio verso il sole levato.
Di latte sarà l’aria e calda sopra il verde,
Sul generoso e cauto sforzo dei seminati,
Sull’insalata fresca e i bossi profilati,
Sul turgido baccello che nel mezzo si fende;
La terra lavorata in cui la vita germina
S’incresperà, gioiosa, di piccole fessure,
Felice di sentire nell’infime sue fibre
Adempiersi il destino del grano e della vite.
Sui rami arrosseranno le pesche nettarine,
A ridosso del muro dove s’avventa il sole,
Inonderà la luce di chiarore i vialetti
Su cui le ombre dei fiori intessono merletti,
Un sapore di nascita e di essenze succose
Salirà dalla zucca rorida e dal melone,
Mezzodì avvamperà le erbe silenziose,
Il giorno sarà lungo, instancabile e buono.
E protetta, la casa, dal suo tetto d’ardesia,
Schiusa la buia porta, le imposte spalancate,
Di cotogni e lamponi respirerà gli effluvi
Che si addensano attorno ai frondosi cespugli;
MATHIEU DE NOAILLES-Poetessa francese
L’impronta
Mi avvinghierò così fortemente alla vita,
Con stretta tanto rude e in tal modo serrata
Che del dì la dolcezza non mi sarà rapita
Prima che nel mio abbraccio io l’abbia riscaldata.
Il mare, riversato sul mondo in abbondanza,
Serberà nell’errante cammino delle onde
Il gusto aspro e salato della mia sofferenza
Che come nave solca giornate mai uguali.
E lascerò di me sul crinale dei colli
Il calore degli occhi che li han visti fiorire,
E la cicala appesa ai rami del crespino
Del desiderio mio farà stridere il grido.
Nei campi a primavera la verdura novella
E l’erba che accestisce sul ciglio dei fossati
Sentiranno palpitare e involarsi come ala
L’ombra delle mie mani che le hanno accarezzate.
La natura che fu la mia gioia e il mio regno
Respirerà nell’aria il mio indomito ardore,
E sulla prostrazione dell’umano scontento
Lascerò ineguagliabile la forma del mio cuore.
MATHIEU DE NOAILLES-Poetessa francese
Alla notte
Notte che estingui i suoni, i contorni e l’azzurro,
Dove le chiarità si smorzano una a una,
O notte, urna al cui chiuso le ceneri del giorno
Pianamente discendono e danzano alla luna,
Giardino d’ombra spessa, asilo a corpi insani,
Cuore grande in che tutto sogna e scende la brama
Di riposar la carne oppure di appagarla,
Notte piena di sonno, intervallo di vita.
Notte propizia, insieme, al piacere e all’oblio,
Nella cui nera requie si apre e trasale l’anima
Come un fiore cui il vento ha portato l’amore,
O giù si abbatte come capra sopra la paglia.
Notte che ti protendi sopra acque e abitati,
Tu che contempli l’uomo coi tuoi occhi di stelle,
Vedi, il mio cuore s’agita ebbro come un naviglio,
Cui il vento spezza l’albero e percuote le vele.
Guardalo col tuo occhio che inargenta i selciati
Questo cuore di fosforo di cui la bruciatura
Rischiarerebbe quanto le pupille dei gufi
L’ora illune che l’ombra è malcerta e insidiosa.
Vedi il cuor mio più lacero, più pesante e più amaro
Della ruvida rete che a notte i pescatori
Issano, gonfia d’alghe, di pesci e d’acqua salsa
Nella bruma leggera umida e senza voci.
A un cuore così lacero, così pesante e amaro,
Concedi di dormire senza sogni né pene,
Soffocagli l’orgoglio, il rimpianto, l’amore,
Pietosa notte, ombra di morte, notte lieve!…
MATHIEU DE NOAILLES-Poetessa francese
L’innocenza-
Se vuoi la nostra casa diverrà così bella
Che ci trascorreremo l’estate e l’inverno!
Tutt’intorno vedremo fluire l’acqua che si scongela
E gli alberi ingialliti rivestirsi del verde.
Armoniose giornate e stagioni felici
Passeranno sul ciglio luminoso del viale,
Come bei monelli le cui bande ridenti
Si allacciano per gioco e si tengono per mano.
Si aggrapperà un rosaio davanti alla finestra
Per aspergere il giorno di guazza e di profumo;
Miti armenti, menati da un bimbo alla pastura,
Punteggeranno i campi di un placido candore.
Il volubile sole e la luna pensosa
Che si avvitano al tronco delicato dei pioppi
Rispecchieranno in noi l’anima stanca o viva
Lungo tersi meriggi e domestiche sere.
Diverrà il nostro cuore così semplice e credulo
Che gli incantati spiriti delle fole di un tempo
Torneranno a abitare dentro le vecchie pendole
con un’aria discreta, faccendiera e cortese.
Nelle sere d’inverno, per accostarci al fuoco,
Noi due fingeremo di sentire un po’ freddo,
Con vampate di luce a danzarci nell’anima
Al chiarore dei ceppi cigolanti festosi.
Scossi dalla dolcezza che primavera porta,
in aprile faremo sogni più conturbanti.
E, giudizioso, Amore giocherà sulla porta
contando i nostri giorni con sassolini bianchi.
MATHIEU DE NOAILLES-Poetessa francese
-Sarà chiaro per molto stasera
Sarà chiaro per molto stasera, i giorni allungano.
Lo strepito del giorno si disperde e vanisce,
E gli alberi stupiti di non veder la notte
Restano svegli nella bianca sera, a pensare…
I castagni, nell’aria tutta satura d’oro,
Esalano profumi e sembra li diffondano;
Non si osa fare un passo né muover l’aria tenera
Per tema di turbare il sonno degli odori.
Dalla città lontani rombi di carro giungono…
La polvere che un filo di brezza ha sollevato,
Staccandosi dal tronco vivo e stanco che fascia,
Dolcemente discende sui sentieri quieti;
Siamo avvezzi a vederla un giorno dopo l’altro
Questa povera strada così spesso seguita,
Qualcosa nondimeno è cambiato nella vita:
Non avremo mai più l’anima di stasera…
MATHIEU DE NOAILLES-Poetessa francese
La giornata felice-
Ecco, per poco, manco e tremo nel vederti,
Bella estate che vieni a giocare e sederti
Nel giardino frondoso, sotto l’albero e il chiosco.
Quanta dolcezza sento piovermi dentro il petto…
Il prato io ritrovo, lo stagno e i noci schietti,
Voli di moscerini sui fulgenti roseti,
L’abete dalla scorza tepida e resinosa;
Tutto il miele d’estate satura del suo aroma
Il vento che si appende come uno sciame ai fiori.
– Già si vedono gli acini gonfiare e farsi d’oro;
Il profumo del grano alto da terra si alza,
Il giorno è lungo e chiaro; così disseta l’aria
Come l’acqua bevuta all’ombra dentro i pozzi,
Il giardino riposa, racchiuso dai suoi bossi…
– Ah! ora deliziosa e fragile dell’anno,
Ti farò mio respiro lungo il filo dei giorni
Premendomi sul petto le spighe del cammino;
Assaporare voglio e stringer tra le mani
Il bosco, le sorgenti, la siepe e le sue spine.
E, quando sulla rosea china delle colline,
Bel sole, scenderai per andare a morire,
Ritornerò, seguendo nell’aria cheta e accesa
La traccia del silenzio e dei frutti odorosi,
Nell’orto tutto fiori ed erbe familiari,
Felice di trovare, serale attimo amato,
L’annaffiatoio, l’acqua e il giardino assonnato…
MATHIEU DE NOAILLES-Poetessa francese
Sera d’estate-
Si allunga nello spazio un morbido languore;
Senti dell’erba esausta salire a te l’odore?
Umido il vento a sera intristisce il giardino;
L’acqua dentro la vasca corrugata si scaglia
E le cose hanno l’aria di esser tutte smarrite;
Dagli steli rigonfi viene un sentore strano.
Ci teniamo per mano, e tuttavia tu senti
Che il fiele del mio sogno e del tuo la dolcezza
D’un tratto ci hanno resi estranei l’una all’altro;
Cuore inconsapevole, cuore fragile il nostro!…
Le foglie che sui rami giocavano hanno freddo:
Fremendo si ripiegano, l’ombra cresce, lo vedi,
E il profumo dei fiori taglia come una lama…
Lo strazio del passato mi si desta nell’anima,
Mentre cari fantasmi girano intorno a te.
L’inverno era più buono, mi sembra; perché
Bisogna che in perpetuo rinasca primavera?
Quanto breve e inesperta sarà la giovinezza!…
Non entra nelle mani tutto l’amore umano;
Sempre un poco ne scivola sui sassi del cammino.
Vieni, rientriamo all’ombra tranquilla delle stanze;
Vedi con che durezza ci respinge l’estate;
Al chiuso troveremo tutt’e due un po’ di pace.
Ma l’odore d’estate resta nei tuoi capelli
E il languore del giorno nel mio cuore persiste:
Dove potremmo andare per esser meno tristi?..
Muses_d’aujourd’hui_1910_Anna_de_Noailles-MATHIEU DE NOAILLES-Poetessa francese
L’autunno-
Ecco venire il freddo raggiante di settembre:
Il vento vuole entrare nelle stanze a giocare;
Ma la casa, stamane, affetta un’aria austera
E lo lascia là fuori che singhiozza in giardino.
Come sono ora mute le voci dell’estate!
Perché mai non mettiamo dei mantelli alle statue?
Tutto assidera, trema, è atterrito; io credo
Che anche la bora abbrividi e che l’acqua abbia freddo.
Dentro il vento le foglie corrono come folli
Per la smania di andare dove volano gli uccelli,
Ma il vento le riacciuffa, sbarrandone il cammino:
Finiranno a morire sugli stagni domani.
Calmo e lieve è il silenzio; ad intervalli il vento
Lo fende e lo attraversa quasi suonasse un flauto,
Poi tutto ridiventa come prima silente,
E Amore che giocava sotto cieli indulgenti
Ritorna per scaldarsi al fuoco che sfavilla
Con mani freddolose e gambe rattrappite,
E la vecchia dimora che si accinge a mutare
e trasalisce e intenerisce a sentirlo rientrare…
MATHIEU DE NOAILLES-Poetessa francese
Gli animali-
Dèi guardiani dei greggi che impugnate le verghe
Rendeteci l’antica purezza delle bestie;
Perché possiamo apprendere la pazienza dei mali,
Dateci la dolcezza dei frugali animali.
Fate diventi nostro nel dolore furioso
Dei cigni il taciturno distacco disdegnoso;
Per patir della sorte l’azzardo date a noi
La placida e distratta indolenza dei buoi;
Fate che il nostro cuore dove l’infanzia smuore
Del somaro conservi la gaiezza e il candore;
Dateci per far scudo a promesse fasulle
La diffidenza accorta e pronta degli uccelli;
Fate che possediamo per impiegar le veglie
L’alacrità gioiosa e saggia delle pecchie;
Dateci per smorzare le voglie e gli appetiti
L’impassibilità assoluta dei gufi;
E, nei giorni crudeli in cui il senno vaneggia,
Calma di pesci immoti sull’onda che mareggia;
– Fate che il sentimento misterioso ci tocchi
Dell’infinito accolto in fondo ai loro occhi,
Liberateci i corpi, miseri come sono,
Dall’anima gloriosa e dannata dell’uomo!…
MATHIEU DE NOAILLES-Poetessa francese
Dissuasione-
Chiudete con cautela i vetri sulla strada
E fate ricadere giro giro i tendaggi,
Così che il brontolio della città scontrosa
Non arrivi a ferire il nostro amore fragile.
Non è viva o fatale la nostra tenerezza.
Avremmo anche potuto, noi, non sceglierci mai;
Quel che di me vi piacque fu l’uguale dolcezza,
Ed è l’amara vostra tristezza che io amai.
Troppo affine è il tormento dei nostri cuori, e tale
Che ci mescoleremmo, ma senza rinnovarci:
Eludiamo l’inganno di un desiderio che,
se ancora riesce a accenderci, non può però bruciarci.
La vita ha sperperato ciò che le abbiamo offerto,
Niente può ricomporsi del confuso passato;
Delle due nostre anime avremmo troppa pena,
Dopo l’istante immemore e incerto del piacere:
Perché poi sentiremmo piangere sconsolata
La nostra infanzia affranta da segrete inquietudini
e immedicati mali, che profuso ma tardo
Il compenso dei baci non basta a riscattare…
Foto del 1923-Lunch in honour of Albert Einstein, with (front row) Langevin, Einstein, Comtesse de Noailles, Painlevé. Photograph. Iconographic Collections Keywords: portrait photographs-
COMTESSE MATHIEU DE NOAILLES
Des vers qui circulaient manuscrits quand Mme de Noailles était Mlle Anna de Brancovan, beaucoup sont perdus pour le public, et les deux seuls volumes que l’auteur ait publiés et qui ne marquent pas le début de sa pensée, sont le Cœur innombrable et L’Ombre desjours.
Le don merveilleux d’une sensibilité extraordinaire à toutes les impressions de l’air, de la nature, du jardin ; une âme que le soleil réchauffe, que l’été mûrit, et qui est une petite chose frémissante entre beaucoup d’autres choses ; le sentiment de tout cela, et que tout cela fait une brève et irréparable jeunesse : telle était cette poésie qui parlait en vers langoureux et beaux, et où les mots renouvelés semblaient vivants et moites encore de la main qui les avait tenus.
À un siècle de distance, née comme Chénier, d’une mère grecque, son âme comme celle du poète s’est formée à travers les paysages de l’Île-de-France. Mme de Noailles a repris, renouvelé la jeunesse païenne de la nature.
Par delà les tumultes du xixe siècle, les deux poètes se prennent la main, et leurs cœurs s’appareillent ainsi que leurs visions.
À ces œuvres poétiques ont succédé trois romans : La Nouvelle Espérance, le Visage émerveillé, la Domination.
C’est la même âme impressionnable aux choses, et qui l’est cette fois aux êtres humains.
Telle est dans la Nouvelle Espérance, cette délicieuse Mme de Fontenay, si ingénument incertaine et attirée en sens divers, comme les petits morceaux de papier blanc par un morceau d’aimant, par toutes les forces d’amour qui passent dans son horizon. Telle est surtout l’étrange religieuse du Visage émerveillé.
Toutes ces héroïnes aimantes, passives, frissonnantes sous le vent qui passe, et soudain portées tout entières au point où la sensation les a touchées, toutes ces jeunes femmes sans âme consistante, ni noyau volontaire, mais sans cesse sollicitées à la surface frémissante de leur âme en mouvement, sont la proie de l’homme : et c’est en rassemblant quelques-unes, que Mme de Noailles a écrit La Domination.
Elle-même est une jeune femme, aux yeux admirables, aux traits où parait dans le lointain bourgeon qu’il a poussé en Roumanie, la rectitude du type latin, aux mouvements vifs et à l’esprit le plus étincelant.
Télégramme de Marcel Proust à
la comtesse de Noailles suite à son discours d’investiture à l’Académie royale de Belgique en janvier 1922.
FOTO DEL 1922-Télégramme de Marcel Proust à la comtesse de Noailles suite à son discours d’investiture à l’Académie royale de Belgique en janvier 1922.MATHIEU DE NOAILLES-Poetessa franceseMATHIEU DE NOAILLES-Poetessa francese
Biografia di Anne-Elisabeth,contessa Mathieu de NOAILLES-Poetessa francese, nata a Parigi il 15 novembre 1876, morta ivi il 30 aprile 1933.Il padre suo apparteneva alla potente famiglia valacca dei Bibescu, ed era diventato, per adozione, erede del titolo e dei privilegi dell’ultimo principe Brancovan (Brâncoveanu); la madre discendeva dall’illustre ceppo cretese dei Musurus; Anna di Brancovan nel 1897 andò sposa al conte Mathieu de Noailles. Nata e cresciuta in Francia, formò il suo ingegno letterario sotto le dominanti influenze di M. Barrès e di G. D’Annunzio; tuttavia seppe conservare alla sua ispirazione l’originario carattere orientale: una schietta e calda sensualità, ora pigra ora impetuosa, un forte sentimento della natura mediterranea in fiore e in frutto sotto il gran sole, un tormentoso sentimento del morire sorgente dal fondo della voluttà carnale.
Le sue prime poesie, inserite nella Revue de Caris del 1892, appaiono già improntate dal sigillo d’una personalità umana e artistica, che più tardi s’affinerà e si determinerà meglio, ma in sostanza non si modificherà più. Nel 1901 pubblicò il suo primo volume di versi, Le Cœur innombrable, a cui seguì subito L’ombre des jours (1902). Poi si volse al romanzo, con La nouvelle espérance (1903), Le visage émerveillé (1904), La domination (1905); ma tornò alla poesia con Les éblouissement (1907), che è forse, insieme con la prima, la più importante delle sue raccolte liriche. Tra le successive ricorderemo Les vivants et les morts (1913) e L’honneur de souffrir (1927). I suoi ultimi libri furono: Exactitudes, saggi e meditazioni (1930), e Le livre de ma vie, ricordi (1932). La fantasia della N. s’esprime più felicemente nei versi che nelle narrazioni; le quali son tutte impregnate di spiriti lirici, e non riescono pertanto alla creazione di personaggi in sé e per sé consistenti. E tra i versi bisognerà fare, o meglio lasciar fare al tempo, una scelta rigorosa, così che, cadute le molte pagine di facile improvvisazione, restino in luce solo quei componimenti in cui la N. ha cantato con vibrante sincerità la propria bellezza e la misteriosa potenza di donna, come un modo di essere, effimero ma pieno ed intero, della realtà universale.
Bibl.: J. Larnac, La Comtesse de N., sa vie, son oeuvre, Parigi 1931; Les Nouvelles littéraires, Parigi, numero del 6 maggio 1933.
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