A venticinque anni intraprese l’attività di giornalista al quotidiano L’Idea Nazionale, diretto da Domenico Oliva, come vice dello stesso Oliva nella rubrica teatrale, e in seguito, alla morte del direttore, nel 1917, divenendone titolare. Diresse la rubrica di critica drammatica su La Tribuna (con cui l’Idea Nazionale si era fuso) dal 1925 al 1940.
In questi anni affermò la preminenza del poeta e della parola, al cui servizio deve mettersi l’attore, e, negli anni in cui il teatro di regia stentava ancora a nascere, teorizzò la necessità della figura del regista.
Fondò, e dal 1932 al 1936 diresse, la rivista Scenario, insieme a Nicola De Pirro.
Dal 1937 al 1943 diresse la Rivista italiana del dramma (poi Rivista italiana del teatro), edita dalla Società degli Autori. Scrisse su Il Giornale d’Italia dal 1941 al 1943. Interruppe le collaborazioni in seguito all’occupazione tedesca della capitale.
Dopo la liberazione riprese a collaborare coi quotidiani: dal 1945 al 1955 è il critico de Il Tempo. Sempre dal 1945 diresse la rubrica Chi è di scena? della Rai.
Curò la collana Il Teatro del Novecento, per le edizioni Treves (5 volumi) e la collana di testi teatrali Repertorio (21 volumi). Rimasta nella storia la raccolta di più testi sulla Storia del Teatro Drammatico, oggi in edizione riveduta e aggiornata. Diresse e curò una imponente Enciclopedia dello Spettacolo in 11 volumi (1954-1975).
Morì a Roma nell’aprile 1955; alla notizia della sua morte, i teatri della capitale restarono chiusi per lutto. È sepolto nella tomba di famiglia al quadriportico del cimitero del Verano.
SILVIO D’AMICO-MESSINSCENA ITALIANA DEL DRAMMA SACRO- SILVIO D’AMICO-MESSINSCENA ITALIANA DEL DRAMMA SACRO- SILVIO D’AMICO-MESSINSCENA ITALIANA DEL DRAMMA SACRO- SILVIO D’AMICO-MESSINSCENA ITALIANA DEL DRAMMA SACRO- SILVIO D’AMICO-MESSINSCENA ITALIANA DEL DRAMMA SACRO- SILVIO D’AMICO-MESSINSCENA ITALIANA DEL DRAMMA SACRO- SILVIO D’AMICO-MESSINSCENA ITALIANA DEL DRAMMA SACRO- SILVIO D’AMICO-MESSINSCENA ITALIANA DEL DRAMMA SACRO- SILVIO D’AMICO-MESSINSCENA ITALIANA DEL DRAMMA SACRO-Ugo OjettiRivista PAN n°8 del 1935 diretta da Ugo Ojetti
Dulce María Loynaz. Foto:Juvenal Balán, 18-4-91. Loyn0007
Dulce María Loynaz : la ballata del tardo amore-
Dulce María Loynaz (La Habana, 10 de diciembre de 1902 – La Habana, 27 de abril de 1997). Poetisa y novelista cubana.Escribe poesía desde muy joven y con 16 años, en 1919, comienza a publicar sus primeros poemas en varios periódicos de La Habana. En 1927 se doctora en Derecho Civil en la universidad de esta misma ciudad y ejerce la abogacía hasta 1961, dedicándose paralelamente a la literatura.
La balada del amor tardío
Amor que llegas tarde,
tráeme al menos la paz:
Amor de atardecer, ¿por qué extraviado
camino llegas a mi soledad?
Amor que me has buscado sin buscarte,
no sé qué vale más:
la palabra que vas a decirme
o la que yo no digo ya…
Amor… ¿No sientes frío? Soy la luna:
Tengo la muerte blanca y la verdad
lejana… – No me des tus rosas frescas;
soy grave para rosas. Dame el mar…
Amor que llegas tarde, no me viste
ayer cuando cantaba en el trigal…
Amor de mi silencio y mi cansancio,
hoy no me hagas llorar.
La ballata del tardo amore
Amore che sei arrivato tardi,
portami almeno la pace:
Amore di tramonto, su quale
strada sbagliata sei arrivato alla mia solitudine?
Amore che mi hai cercato senza che io ti cercassi,
non so cosa vale di più:
la parola che tu mi dirai
o quella che io non dirò più…
Amore… Non senti freddo? Sono la luna:
Tengo la morte bianca e la verità
lontana… Non darmi le tue fresche rose,
le rose non sono più per me. Dammi il mare…
Amore che sei arrivato tardi, non mi hai visto
quando ieri cantavo nel campo di grano…
Amore del mio silenzio e della mia stanchezza,
non farmi piangere oggi.
Dulce María Loynaz
Traduzione di Susanne Detering
Il quadro è di Max Kaus
Dulce María Loynaz
Biografia di Dulce María Loynaz (La Habana, 10 de diciembre de 1902 – La Habana, 27 de abril de 1997). Poetisa y novelista cubana.
Escribe poesía desde muy joven y con 16 años, en 1919, comienza a publicar sus primeros poemas en varios periódicos de La Habana. En 1927 se doctora en Derecho Civil en la universidad de esta misma ciudad y ejerce la abogacía hasta 1961, dedicándose paralelamente a la literatura.
Comienza su novela Jardín – cuya redacción le lleva siete años – en 1928, y al año siguiente escribe Carta de amor al Rey Tut-Ank-Amen tras un largo viaje por Turquía, Túnez, Siria, Libia, Palestina y Egipto.
En la década de los 30 su casa de La Habana comienza a convertirse en centro de la vida cultural de la ciudad, acogiendo en las llamadas “juevinas” a diversos intelectuales y artistas, como Federico García Lorca, Juan Ramón Jiménez, Gabriela Mistral o Alejo Carpentier.
En 1937 publica el poema Canto a la mujer estéril en la Revista Bimestre Cubana, y al año siguiente Versos, que había comenzado a escribir en 1920.
Posteriormente viaja por Sudamérica y Europa, participando en congresos y colaborando como corresponsal con algunos diarios cubanos, entre ellos El País y Excelsior. Su obra comienza a publicarse en España y en 1947 ve la luz Juegos de agua, obra a la que siguen Poemas sin nombre (1953), Últimos días de una casa y Un verano en Tenerife (ambas en 1958). Paralelamente escribe las series de artículos Crónicas de ayer y Entre dos primaveras.
En 1951 es elegida miembro de la Academia Nacional de Artes y Letras de Cuba, y ese mismo año es nombrada Hija Adoptiva por el Ayuntamiento de Puerto de la Cruz (Canarias). Ingresa en la Academia Cubana de la Lengua en 1959 y, nueve años más tarde, en la Real Academia Española.
Tras varios años de retiro publica obras como Poesías escogidas (1984), Bestiarium (1991) y Fe de vida (1994), y recibe el Premio Miguel de Cervantes en 1992. Al año siguiente le conceden la Orden Isabel La Católica y el Premio Federico García Lorca.
Su última aparición pública tiene lugar en abril de 1997, cuando la Embajada de España en Cuba le rinde homenaje en su casa. Fallece ese mismo mes, el 27 de abril de 1997.
Su obra ha sido traducida al francés, italiano, inglés, serbio, noruego… y forma parte de la poesía intimista femenina sudamericana.
Claudio Damiani è nato nel 1957 a San Giovanni Rotondo ma vive a Roma dall’infanzia. Ha pubblicato le raccolte poetiche Fraturno (Abete,1987), La mia casa (Pegaso, 1994, Premio Dario Bellezza), La miniera (Fazi, 1997, Premio Metauro), Eroi (Fazi, 2000, Premio Aleramo, Premio Montale, Premio Frascati), Attorno al fuoco (Avagliano, 2006, finalista Premio Viareggio, Premio Mario Luzi, Premio Violani Landi, Premio Unione Scrittori) e Sognando Li Po (Marietti, 2008, Premio Lerici Pea).
Noi della Resistenza
Noi della Resistenza non è che andiamo in strada a sparare,
né ci nascondiamo in montagna,
né scriviamo sui giornali,
noi della resistenza non facciamo niente
ma quando moriremo avremo nella nostra mente
un ordine beato che ci ha consolato,
ci ha accompagnato nella vita, ci ha dato gioia
e felicità, ha fatto sì che la vita valesse veramente viverla,
morderla con tutti i denti come un pomo,
e quando moriremo questo paradiso
che noi abbiamo trovato, che era per strada
sotto gli occhi di tutti,
lo porteremo con noi sotto terra
e anche sotto terra continuerà a brillare.
(da Attorno al fuoco, Avagliano, 2006)
Mentre i ragazzi fanno il tema
Mentre i ragazzi fanno il tema
e le loro teste sono chine sul foglio
la stanza della classe riposa quieta
e brilla come una luce intorno ai loro capi.
Io li guardo, e la loro forza mi punge
– una ragazza è venuta a chiedermi una cosa
e nei suoi occhi celesti sprofondo -,
alcune delle fanciulle sono meno belle
ma nei loro tratti rivedo la gloria
delle donne latine,
i modi augusti e i lineamenti noti,
– penso a giovani donne prenestine, antichissime,
ornate di monili, eleganti,
e a povere fanciulle, a contadine a pastore
dei secoli più bui -,
e anche i ragazzi, quanta gloria sui loro capi.
E in tutti, quanta attesa, quante speranze
– loro di tutti i miei allievi sono i più grandi, sono già grandi –
e penso: come non ho detto niente a loro!
come non ho fatto niente! – non avrei potuto? –
solo preoccupato di fare il professore,
nella fretta in cui sono sempre, e distratto,
come se non mi fossi mai accorto di loro.
E mi stupisco di essere stato capace
pure di galleggiare in questo abisso di luce,
di essere rimasto illeso, salvo, tra tanta forza di flutti,
tra tanto mare calmo come un cielo celeste.
(da La miniera, Fazi, 1997)
Che bello che questo tempo
Che bello che questo tempo
è come tutti gli altri tempi,
che io scrivo poesie
come sempre sono state scritte,
che questa gatta davanti a me si sta lavando
e scorre il suo tempo,
nonostante sia sola, quasi sempre sola nella casa,
pure fa tutte le cose e non dimentica niente
– ora si è sdraiata ad esempio e si guarda intorno –
e scorre il suo tempo.
Che bello che questo tempo, come ogni tempo, finirà,
che bello che non siamo eterni,
che non siamo diversi
da nessun altro che è vissuto e che è morto,
che è entrato nella morte calmo
come su un sentiero che prima sembrava difficile, erto
e poi, invece, era piano.
(da La miniera, Fazi, 1997)
Quel tempo lì
Quel tempo lì, scaturiva da un orifizio
(io lo chiamo così, ma in realtà erano infiniti
gli orifizi, e invisibili)
come scaturisce ogni tempo
e anche questo tempo, quello di questi istanti,
scaturisce nello stesso modo
e è lo stesso tempo,
poi si spandeva come un liquido sulla terra piatta
mentre nello stesso istante altro ancora scaturiva
e io avevo dietro
quello che un istante prima era avanti.
Eppure era bello sedersi a un lato
e fare finta di niente di tutto questo movimento,
immaginare tutto immobile, e accanto
come qualcuno che riposava accanto a me
e io potevo far finta che non ci fosse,
che io potessi muovermi, e lui stesse fermo,
e io potessi finalmente riposare,
o anche dormire, e lei fosse una donna
con una grande gonna, e stesse ferma sui campi,
bella nel tramonto con il sole basso
e rosso, bella nella notte
e nella mattina luminosa, bianca.
(Inedito)
Claudio Damiani
Luna libera
Per quale mai legale analogia
solo perché so in formule il tuo moto
dovrei pensarti schiava,
incatenata all’orbita,
e a questa, assimilare il mio cammino,
di attonito pastore rassegnato.
No,
per me sei vagabonda smemorata,
che sempre in campo aperto s’avventura,
ma la terra da un fianco la richiama.
A questa luna voglio somigliare,
a questa libertà che c’è in natura,
che è quella di seguire principi primi,
mossi da profonde spinte.
Daniele Bollea (Roma, 1945),daPrendere terra(I Quaderni del Battello Ebbro, 2000)
Ancora una poesia alla luna. Solo che stavolta l’autore è un astrofisico. E che ci dice il poeta-astrofisico? Che la scienza ha lasciato il meccanicismo, nel quale teneva segregata la natura, e si stupisce della sua libertà. Arte e scienza di nuovo insieme, come nel Rinascimento, e libertà umana non separata, ma strettamente collegata alla libertà della natura.
Scrive il poeta-astrofisico in una nota: “La natura non era più quella prigione da cui il pittore da secoli era in fuga cercando nell’anima la perduta libertà”. (Claudio Damiani)
La mente la devi spingere, è questo quello
La mente la devi spingere, è questo quello
che devi fare, la devi spingere avanti
fino a coprire tutte le galassie
tutta la materia oscura e l’energia oscura,
devi spingerla e spingerla, sempre più lontano
fino all’ultimo atomo della totalità dell’essere,
non devi lasciare niente, neanche un atomo, ricordati,
anche le cose che non sappiamo, che non conosciamo
anche quelle che non ci immaginiamo, anche quelle devi metterle
(lo so che è strano, ma devi fare così)
ed ecco comincerai a sentire una forza,
un’energia che penetra nel tuo corpo
da dentro. Questo è lo strano,
che non viene da fuori, come ci si aspetterebbe,
ma viene da dentro
come se – capisco che ti puoi stupire –
l’intero universo fosse dentro di te
ma tu non ci pensare, lasciala venire
e spandersi per bene in tutto il tuo corpo,
e poi goditi la sorpresa
di essere sfuggito (lo so che è strano) alla morte.
Inedito di Claudio Damiani
Miei contemporanei
di questo tempo instabile
dove, lasciato un trapezio,
non abbiamo ancora afferrato l’altro
– noi equilibristi, più che trapezisti –
non siate in angoscia pensando
di essere nati troppo presto
per vedere l’allungamento della vita
come un elastico viscido,
non pensiate di essere gli ultimi
a morire, proprio scarognati,
non fate come Ray Kurzweil
che fa una dieta di farmaci
per vivere fino alla singolarità
e che se non ce la farà si farà ibernare
perché qualcuno poi, forse, lo venga a svegliare.
– Ci dica, come fa a fare queste scarpe così belle?
– Mah, io sono un artigiano, lavoro. Vede io lavoro, non faccio altro che lavorare. La mattina mi alzo, e giù a lavorare. Vado avanti come un treno. Se mi fermassi, sarei come un treno fermo nella campagna. Potrei stare fermo un poco, ma ogni momento che passa è sempre più imbarazzante…
– Ma lei, per fare queste scarpe così belle, ha sicuramente capito qualcosa del mondo, e chi siamo noi, e perché siamo qui. Ce lo dica, la prego, ce lo dica.
– Mah vede, io non ho capito un bel niente. Io semplicemente lavoro. Gliel’ho già detto: mi alzo la mattina, e lavoro. Se mi fermassi, gliel’ho detto, sarebbe imbarazzante…
Cieli celesti (Fazi, 2016)
Sì, ho cercato
Sì, ho cercato
ma adesso vorrei vagare
solo vagare
senza cercare.
Si, qualcosa ho trovato
cioè non proprio trovato,
qualcosa m’è passato vicino,
girandomi ho visto la coda
ma non mi va di inseguirlo,
ecco, lasciamolo stare, lasciamolo correre
dove gli pare.
Adesso vorrei essere io
questa cosa che appare non vista,
vorrei essere io questa cosa che vaga
e che ti sfiora, ti passa accanto nel sonno
mentre dormi, mentre mangi, mentre leggi
ti passa accanto e ti accarezza
o ti dà un bacio veloce
tu non fai a tempo a accorgertene
che già non mi vedi più.
E mettiamo invece che abbiano ragione quelli che dicono che dopo la morte, per chi muore, non c’è niente. Visto che la morte non è qualcosa di casuale piovutoci da un cielo distratto, ma è necessaria all’evoluzione, anzi tutt’uno con essa, poiché per evolvere ci vogliono sempre nuovi individui, e devono morire i vecchi, allora è indubitabile anche questo: che in quanto preciso, unico elemento della macchina evolutiva, in quanto attore dell’evoluzione, l’individuo viene a essere come un organo di un organismo, come l’elemento di un composto, e dunque a partecipare con la sua piccola vita, della grande vita. Ecco allora che dire “dopo la morte non c’è niente” viene a essere qualcosa di insufficiente, e un po’ in malafede anche. L’individuo che nasce e muore, è come se avesse incisa, in una sua medaglietta, una particolare entità matematica, che significa una identità identica solo a sé, come un certo preciso numero, quello e non altro, e proprio per questo, cioè essere un preciso numero, dà a lui l’appartenenza a tutta la realtà dei numeri, l’essere lui anello di una grande catena, significa che se non ci fosse, la catena si spezzerebbe, e sprofonderebbe nell’abisso.
Claudio Damiani
Cieli celesti (Fazi, 2016)
Breve biografia di Claudio Damiani è nato nel 1957 a San Giovanni Rotondo ma vive a Roma dall’infanzia. Ha pubblicato le raccolte poetiche Fraturno (Abete,1987), La mia casa (Pegaso, 1994, Premio Dario Bellezza), La miniera (Fazi, 1997, Premio Metauro), Eroi (Fazi, 2000, Premio Aleramo, Premio Montale, Premio Frascati), Attorno al fuoco (Avagliano, 2006, finalista Premio Viareggio, Premio Mario Luzi, Premio Violani Landi, Premio Unione Scrittori) e Sognando Li Po (Marietti, 2008, Premio Lerici Pea). Ha curato i volumi: Almanacco di Primavera. Arte e poesia (L’Attico Editore, 1992); Orazio, Arte poetica, con interventi di autori contemporanei (Fazi, 1995); Le più belle poesie di Trilussa (Mondadori, 2000). È stato tra i fondatori della rivista letteraria Braci (1980-84). Suoi testi sono stati tradotti in diverse lingue (tra cui principalmente inglese, spagnolo, serbo, sloveno, rumeno) e compaiono in molte antologie italiane (anche scolastiche) e straniere. Collabora con vari giornali tra cui la cronaca di Roma di «Repubblica».
Da una vita all’altra -Camille de Toledo-Editore: Neri Pozza
Descrizione del libro di Camille de Toledo -Da una vita all’altra -Editore Neri Pozza-Vi sono giorni in cui è dato diventare dei sopravvissuti, e portare sulla schiena l’enigma e il peso della morte. Il primo marzo duemilacinque è uno di questi giorni per Thésée. Al secondo piano di un appartamento parigino, in cui accorre chiamato dal padre, l’irreparabile si schiude davanti ai suoi occhi: suo padre seduto e, disteso sulle mattonelle rosse, suo fratello Jérôme, morto suicida. Che quella scena ubbidisca a una legge crudele destinate a infrangere ogni legame, Thésée lo apprende negli anni immediatamente successivi. La madre e il padre muoiono e tutto il mondo in cui lui ha imparato ad amare sprofonda nel nulla. Che cosa fare quando tutto cade e la vita è maledetta? Quando, nel luogo in cui si è vissuto, non vi sono piú giorni e luce? Che cosa fare se non cercare giorni e luce altrove e lasciarsi alle spalle le tragedie, i lutti, il labirinto del passato?
Thésée giura a sé stesso di non lasciare che il passato infesti l’avvenire. Abbandona la città dell’Ovest e parte con l’ultimo treno verso l’Est, alla volta di un paese in cui respirare aria nuova, in cui nessuno conosce il suo nome. La ferita del passato, però, non scompare affatto quando luoghi e nomi cambiano. La ferita è incisa nel corpo, in quell’involucro in cui le immagini, il verbo e la materia si confondono. Il corpo di Thésée collassa, percosso dalle forze del suo recente passato, e da altre più antiche che gli rivelano una verità inaspettata: che ognuno di noi non è altro che un continuum di disastri e di crolli racchiuso in quella cristallizzazione di legami che chiamiamo Corpo. A nulla vale perciò cercare una vita nuova che volti le spalle al passato. Thésée è costretto a rituffarsi nelle acque del tempo, a intraprendere un viaggio al cuore della notte, nelle pieghe del corpo, nel labirinto del passato, per ritrovare il filo della sua vita e non soccombere.
Romanzo finalista al Prix Goncourt, salutato al suo apparire dai giudizi entusiastici della critica francese, Da una vita all’altra mostra che cosa è davvero la letteratura: un «racconto arcaico» in cui solo è possibile passare da una vita all’altra, riconvocare ciò che è stato e, in qualche modo, riconciliarsi con l’irrimediabile fragilità dell’esistenza. Che cosa resta, infatti, quando tutti i significati della vita e della Storia sembrano perduti se non la potenza della lingua, la sua forza poetica?
Autore -Camille de Toledo è nato a Lione nel 1976. Nel 2004, ottiene una borsa di studio a Villa Medici. Nel 2008, fonda la Société européenne des auteurs. Dal 2012 e dalla sua partenza per Berlino, lavora a forme estese e differenti di scrittura. Da ricordare, in modo particolare, l’opera-video La Chute de Fukuyama, nel 2013, con l’orchestre Philharmonique de Radio France e nel 2015 a Leipzig, presso il Zentrum für zeitgenössische Kunst, il ciclo L’Exposition potentielle, History Reloaded e Europa-Eutopia. Ha scritto cinque romanzi e quattro saggi.
Poesie di Gabriella Musetti, da “Un buon uso della vita”
Gabriella Musetti nata a Genova. Organizza “Residenze Estive” Incontri residenziali di poesia e letteratura. Dirige “Almanacco del Ramo d’Oro, Nuova serie”, semestrale di poesia e cultura. E’ socia della Società Italiana delle Letterate. Ha fondato, insieme ad altre, la casa editrice Vita Activa: www.vitaactivaeditoria.it.
Ha curato numerose pubblicazioni saggistiche tra cui: “Sconfinamenti. Confini passaggi soglie nella scrittura delle donne” (2008);“Dice Alice” (2015), “Oltre le parole. Scrittrici triestine del primo Novecento” (2016).
In poesia ha pubblicato: “Mie care” (2002), “Obliquo resta il tempo” (2005); “A chi di dovere” (2007), Premio Senigallia; “Beli Andjeo” (2009), “Le sorelle” (2013), “La manutenzione dei sentimenti” (2015).
Le storie sono all’inizio
tutte uguali
nasci da un ventre aperto
dal buio vedi la luce
ma subito la storia cambia
secondo il luogo lo status
il modo e l’accoglienza
non c’è una regola prescritta
uguale a tutti
ognuno trova a caso la sua stanza
chi bene – felice lui o lei – chi
con dolore
***
è morta questa mattina è morta
ma non si è accorta di morire
rideva come una bambina
su un prato in primavera
rideva anche di sera (e pure di mattina)
– s’è messa in salvo – qualcuno dice
volata via sopra una rondine
un po’ di soppiatto un po’ per avveduta
consolazione – la scelta unica rimasta
quasi sicura
***
era morta con la luna storta
era morta sopra un cuscino estraneo
di un vicino fuori della sua casa
come faceva a spiegare
a chi gliel’avesse chiesto
che era uscita in giardino
solo a fumare una sigaretta
scavalcata la finestra s’era trovata
nella casa buia decisa
a seguire il suo destino?
***
lei (invece) era morta di notte
tra le botte della sera e quelle del mattino
s’era sottratta all’impeto
alla colpa perfino alla desolazione
e la solitudine che la penetrava
non dava godimento alcuno
***
era morta mentre sedeva in classe
prima della lezione d’italiano
s’era spenta come una lampada
accasciata sullo sterno senza un sospiro
senza avvedersene
e anche i giovani entranti
la guardavano appena
come dormiente
***
era morta al supermercato tra la folla
da sola aveva attraversato il varco
senza avvertire famiglia o amici
senza permesso senza preparazione
come un balzo della mente
come improvvisa decisione
da attuare in fretta
e non tornare indietro
***
era morta davanti allo specchio
mentre si truccava per uscire
un occhio spalancato uno chiuso
a tirare la linea sulla palpebra
la traccia l’attesa la sorpresa
ciò che vide nell’orbita spenta
era denso e molle come placenta
***
lei era morta andando a riprendere
la figlia a danza
per errore aveva aperto
quella stanza e s’era trovata
ingarbugliata nella sua vita
senza trovare neppure una via
d’uscita
Karthika Naïr poetessa franco-indiana, è autrice di numerosi libri. L’ultimo è Until the Lions: Echoes from the Mahabharata (Archipelago Books, 2019). E’ anche coreografa.
La scelta e la traduzione dei testi inediti di Kathika Naïr è di Francesco Guazzo
Abitudini: Resti
Ascolta, parliamo ora chiaramente: non sei tu a mancarmi,
non tu, davvero, tu non c’entri niente.
Pioggia tiepida — sono il suo odore ed il vapore della sua armonia a mancarmi,
non tu, davvero, tu non c’entri niente.
E neppure tutto quel jazz mi manca – la luna, le stelle, il vino, quella fiamma –
eri tu a chiamarli in causa
prima che fossero i nostri versi ad invecchiare. Era una promessa quella,
non tu, davvero, tu non c’entri niente.
Un cielo, una terra, quest’aria, la tenda per il sole, la tua bocca,
la mia lingua, la traccia
pelle contro pelle — sono queste le cose che trattengo come un domicilio dell’amore,
non tu, davvero, tu non c’entri niente.
La scorsa settimana, alla lavanderia a gettoni, sono inciampata; una trapunta a quadri
mi ha afferrato il cuore
era una voce nuova a togliermi davvero il piede dall’abisso,
non tu, davvero, tu non c’entri niente.
Sì, ho imparato ad apprezzare i semi di pino ed anche il caramello con il sale,
ad adorare Steve Reich.
Ma di sicuro questo è quello che qualcuno chiama osmosi,
non tu, davvero, tu non c’entri niente.
Ti giuro: è con le pulizie di primavera che poi ti avrei voluto fuori dalla mente. Se trovo
qualche scheggia di risata, insomma,
o un bacio color cannella, faccio finta, è solo quello,
non tu, davvero, tu non c’entri niente.
Il passato invade il nostro adesso, ancora così imperfetto:
ininterrotto;
è ormai un mutante che canta da ogni intercapedine,
non-tu-davvero-tu-non-c’entri-niente.
Dalle Pleiadi, da questa luna d’argento vivo, io rinuncio
alle finte
del cuore, berrò da questo frutto del raccolto—
—e, in fondo, sei soltanto tu, dopotutto.
Karthika Naïr- Poetessa franco-indiana
Abitudini: un ritorno
Doloroso da perdere, e lontano
eppure troppo facile da riportare indietro. Si guarda intorno,
ed anche questa volta, aspetta,
ad occhi fissi. Inevitabile, immanente,
quella cosa con cui vorresti andartene, ma è lì rimasta ferma
ed è per sempre, o quasi.
Quasi.
Quasi un pelo, meno di un labbro leporino?
Ci sono abitudini e abitudini.
Respirare è un’abitudine, son qui a cercare di farla mia.
Quello che cerco di perdere sei tu.
Abitudini: liberazione
È solo adesso che posso piangere davvero
il nostro noi come farebbe qualcuno,
qualcuno conosciuto, e amato un’era fa,
è solo ora che posso realizzare
sì, che è per davvero: se n’è andato.
È la stagione a farci piangere. Come
possiamo amare qualcuno oltre
il pensiero, la parola, la ragione; andare
avanti, poi, e tornare indietro mai;
ancora piangi? È solo in questo istante
che posso amare qualcuno, ed è forse
uno che farà presto ad invecchiare,
lo so, ma saprà darmi amore.
Karthika Naïr- Poetessa franco-indiana
Habits: Remnants
Listen, let’s get this straight: it isn’t you I miss, not you at all.
Warm rain—its scent and smoky song are what I miss, not you at all.
Nor all that jazz – the moon, the stars, the wine, the flame – that you conjured
before our verses grew old. That was a promise, not you at all.
A sky, an earth, this air, the awning, your mouth, my tongue, the impress
of skin on skin—these I hold as love’s edifice, not you at all.
Last week at the laundrette I tripped; a block-printed quilt snagged the heart.
A new voice pulled away my feet from the abyss, not you at all.
Yes, I’ve grown to like pine seeds and salted caramel, to worship
Steve Reich. But, surely, that’s what they call osmosis, not you at all.
I swear I’d spring-cleaned you from the mind. So I feign, when I find
slivers of laughter, a cinnamon-coloured kiss, not you at all.
The past invades our present, still imperfect yet continuous;
becomes a mutant who sings from each interstice, not-you-at-all.
By the Pleiades, by the quicksilver moon, I renounce the heart’s
feints, I will drink from this harvest chalice—it’s all you, after all.
Habits: Return
Painful to lose, far
too easy to recover. Turn around,
and there once again, unblinking,
it waits. Inevitable, immanent,
that thing you would flee but seem stuck with forever, almost.
Almost.
Almost a lisp, less than a hare lip?
There are habits and there are habits. Breathing is a habit I try to acquire.
You are the one I try to shed.
Habits: Release
I can mourn us now like someone,
someone I knew, loved an age back,
and learn has gone. It’s the season
to mourn. How can we like someone
beyond thought and word and reason;
then, move on; and never backtrack,
yet mourn? I can now like someone,
one who’ll age, I know, but love back.
Karthika Naïr- Poetessa franco-indiana
Karthika Naïr poetessa franco-indiana, è autrice di numerosi libri. L’ultimo è Until the Lions: Echoes from the Mahabharata (Archipelago Books, 2019). E’ anche coreografa.
La scelta e la traduzione dei testi inediti di Kathika Naïr è di Francesco Guazzo
Elvira Notari, la pioniera del Cinema italiano e la sua visione autentica
Elvira Notari, la pioniera del Cinema italiano e la sua visione autentica. “Il cinema è la più grande arte del nostro secolo, ma come tutte le cose umane è soggetta ai capricci della fortuna e della creatività.”Federico Fellini
Elvira Notari, la pioniera del Cinema italiano
Elvira Notari è una delle figure più straordinarie e poco celebrate nella storia del cinema italiano. Direttrice, produttrice, sceneggiatrice e attrice, è stata la prima donna a realizzare film in un’Italia ancora dominata da una visione patriarcale e tradizionalista. Nata a Napoli nel 1886, Elvira Notari è diventata un’icona di una cinematografia che cercava di raccontare la realtà del popolo, la sua vita quotidiana, e le sue tradizioni, in un periodo in cui il cinema era visto principalmente come un prodotto di intrattenimento e non come uno strumento di narrazione profonda e culturale. Ha vissuto in un’epoca in cui il cinema italiano stava facendo i suoi primi passi. Il suo percorso nel mondo del cinema inizia negli anni ’10 del Novecento, quando nel 1913 decise di aprire la sua casa di produzione, la Cines Napoli. In un momento in cui la gran parte delle donne si limitava a ruoli passivi nell’industria cinematografica, Elvira si distinse per il suo spirito imprenditoriale e per la sua volontà di essere una protagonista assoluta.
Una pioniera che non solo recitava nei suoi film, ma li scriveva, li produceva e li dirigeva. Era una donna che non si accontentava di essere solo un volto davanti alla macchina da presa, ma desiderava costruire una sua visione cinematografica, affermandosi come figura creativa. I suoi film sono stati ispirati dalla sua città natale, Napoli, e dalla cultura popolare napoletana. Elvira Notari ha raccontato storie di vita quotidiana, di amore, di sacrificio, di passione, ma anche di lotta sociale e di critica ai costumi. La sua Napoli, rappresentata nei film, era una città vibrante e pulsante, dove i protagonisti erano spesso lavoratori, pescatori, contadini e figure della tradizione. Attraverso il suo cinema è riuscita a immortalare una Napoli che non si vedeva nelle pellicole più conosciute dell’epoca.
Il Cinema popolare e la nascita di un Linguaggio
Elvira Notari è soprattutto nota per aver contribuito alla nascita del cinema popolare. Nei suoi film, infatti, emerge un’attenzione particolare per le classi più umili, per le donne, per le dinamiche familiari e per le tradizioni del Sud Italia. La sua visione non era solo una rappresentazione dei costumi locali, ma anche una critica e una riflessione sulle difficoltà e le speranze di chi viveva ai margini della società. Il suo lavoro è stato un precursore del cosiddetto cinema neorealista che avrà il suo apice negli anni Quaranta, ma il suo stile era decisamente più intimo e focalizzato sulla semplicità e sull’autenticità della vita quotidiana. Nonostante i limiti tecnologici e le difficoltà economiche, Elvira Notari riuscì a girare film che catturavano le emozioni più autentiche, utilizzando spesso attori non professionisti, scelti tra la gente comune. I suoi film, infatti, rappresentano una fusione tra il documentario e la fiction, in cui l’aspetto visivo e realistico della vita napoletana era al centro della narrazione. La sua capacità di raccontare storie vere, autentiche, senza filtri, rendeva i suoi film assolutamente innovativi per l’epoca. La sua attenzione al linguaggio popolare e alla vita di strada risuonava con la gente comune, creando una connessione emotiva profonda con il pubblico.
I film di Elvira Notari: un ritorno alle radici del Cinema italiano
Tra i film più significativi di Elvira Notari spiccano “Cavalleria”(1915), un dramma intenso e passionale, che rappresenta una delle prime incursioni nella vita delle classi popolari e nel mondo rurale, e “Assunta Spina”(1915), una delle sue pellicole più celebri. “Assunta Spina” è tratto da una novella di Salvatore Di Giacomo, un autore napoletano di grande rilievo, e racconta la storia di una donna forte e coraggiosa che affronta le difficoltà della vita con dignità. Questo film segna un importante passo nella rappresentazione di figure femminili forti nel cinema italiano, un tema che Elvira Notari esplorerà spesso nel suo lavoro. Il film, pur nelle sue limitazioni tecniche, presenta una grande intensità emotiva e una riflessione sociale che si distingue per la sua forza.
Un altro film che merita attenzione è “L’ultima corsa” (1919),che presenta un mondo di miseria e di lotte quotidiane, ma allo stesso tempo una grande passione e speranza. Questo film, sebbene non tanto conosciuto, è significativo per il suo approccio realistico e la sua capacità di raccontare la vita del popolo con un’umanità straordinaria. Elvira Notari non si limitò a raccontare storie di passione e sacrificio, ma affrontò anche tematiche più complesse e sociali. In “Il ventre di Napoli” (1923), ad esempio, la regista esplora la vita dei quartieri più poveri della città, offrendo una rappresentazione crudele ma realistica delle disuguaglianze sociali. Anche in questo film emerge un forte legame con la tradizione napoletana e con la sua cultura popolare, ma c’è anche una critica sociale che denuncia le ingiustizie della società del tempo.
Il Cinema di Elvira Notari: una Rivoluzione femminile
Ciò che rende ancora più straordinaria la figura di Elvira Notari è il fatto che, oltre a essere una pioniera nel campo del cinema, ha avuto anche il coraggio di sfidare le convenzioni di genere. In un mondo cinematografico dominato dagli uomini, Elvira ha avuto la forza di affermarsi come regista, produttrice e sceneggiatrice, ruoli che, all’epoca, erano pressoché impossibili per una donna. La sua figura rappresenta un esempio di emancipazione femminile in un contesto dove il cinema era una prerogativa maschile. Non solo, ma Elvira Notari è stata anche una delle prime registe a dare spazio e voce alle donne nei suoi film, non più solo come semplici comparse o figure romantiche, ma come protagoniste reali con una propria individualità. La sua capacità di raccontare storie di donne forti, indipendenti, ma anche fragili e vulnerabili, le ha dato una visione unica e profonda del mondo femminile.
Il declino e l’oblio
Nonostante il grande successo iniziale e la popolarità che i suoi film riscossero, il cinema di Elvira Notari subì una crisi con l’arrivo del sonoro e la nascita di nuove tendenze artistiche. Nel 1930, la sua casa di produzione fallì e, di lì a poco, l’opera di Elvira Notari cadde nel dimenticatoio. Il suo nome fu lentamente oscurato dalla grande storia del cinema italiano che vedeva la nascita di registi come Fellini, De Sica e Rossellini. Tuttavia, i suoi film continuano a essere apprezzati oggi per il loro spirito autentico e per la loro capacità di raccontare una Napoli che è ormai leggenda.
Conclusioni
Elvira Notari è stata una donna straordinaria che ha segnato indelebilmente la storia del cinema italiano. Il suo contributo alla nascita di un cinema popolare e alla valorizzazione della cultura napoletana è inestimabile. Con il suo spirito innovativo e la sua determinazione, Elvira Notari ha dimostrato che il cinema può essere uno strumento potente di narrazione, capace di raccontare le storie delle persone comuni e di farle diventare universali. La sua figura merita oggi una riscoperta e una valorizzazione, affinché il suo nome non resti nell’ombra ma brilli di quella luce che, fin dalla sua nascita, ha saputo emanare.
Fonte-La Notizia.net è un quotidiano di informazione libera, imparziale ed indipendente che la nostra Redazione realizza senza condizionamenti di alcun tipo perché editore della testata è l’Associazione culturale “La Nuova Italia”, che opera senza fini di lucro con l’unico obiettivo della promozione della nostra Nazione, sostenuta dall’attenzione con cui ci seguono i nostri affezionati lettori, che ringraziamo di cuore per la loro vicinanza. La Notizia.net è il giornale online con notizie di attualità, cronaca, politica, bellezza, salute, cultura e sport. Il direttore responsabile della testata giornalistica è Lucia Mosca, con direttore editoriale Franco Leggeri.
Primo Levi -Poesie-Ritroviamo nel volume le poesie scritte a caldo dopo Auschwitz, riarse da quell’esperienza, e poi, più avanti nel tempo, i testi ispirati a una vena didascalico-morale rara nel Novecento italiano. Qui di seguito diamo la premessa scritta da Levi per il suo libro.
SHEMÀ
(anche epigrafe che apre Se questo è un uomo)
Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca
I vostri nati torcano il viso da voi.
AGLI AMICI
Cari amici, qui dico amici
Nel senso vasto della parola:
Moglie, sorella, sodali, parenti,
Compagne e compagni di scuola,
Persone viste una volta sola
O praticate per tutta la vita:
Purché fra noi, per almeno un momento,
Sia stato teso un segmento,
Una corda ben definita.
Dico per voi, compagni d’un cammino
Folto, non privo di fatica,
E per voi pure, che avete perduto
L’anima, l’animo, la voglia di vita:
O nessuno, o qualcuno, o forse un solo, o tu
Che mi leggi: ricorda il tempo,
Prima che s’indurisse la cera,
Quando ognuno era come un sigillo.
Di noi ciascuno reca l’impronta
Dell’amico incontrato per via;
In ognuno la traccia di ognuno.
Per il bene od il male
In saggezza o in follia
Ognuno stampato da ognuno.
Ora che il tempo urge da presso,
Che le imprese sono finite,
A voi tutti l’augurio sommesso
Che l’autunno sia lungo e mite.
16 dicembre 1986
LE PRATICHE INEVASE
(una poesia che parla in qualche modo magari un po’ nascosto del suo suicidio)
Signore, a fare data dal mese prossimo
Voglia accettare le mie dimissioni.
E provvedere, se crede, a sostituirmi.
Lascio molto lavoro non compiuto,
Sia per ignavia, sia per difficoltà obiettive.
Dovevo dire qualcosa a qualcuno,
Ma non so più che cosa e a chi: l’ho scordato.
Dovevo anche dare qualcosa,
Una parola saggia, un dono, un bacio;
Ho rimandato da un giorno all’altro. Mi scusi,
Provvederò nel poco tempo che resta.
Ho trascurato, temo, clienti di riguardo.
Dovevo visitare
Città lontane, isole, terre deserte;
Le dovrà depennare dal programma
O affidarle alle cure del successore.
Dovevo piantare alberi e non l’ho fatto;
Costruirmi una casa,
Forse non bella, ma conforme a un disegno.
Principalmente, avevo in animo un libro
Meraviglioso, caro signore,
Che avrebbe rivelato molti segreti,
Alleviato dolori e paure,
Sciolto dubbi, donato a molta gente
Il beneficio del pianto e del riso.
Nel troverà traccia nel mio cassetto,
In fondo, tra le pratiche inevase;
Non ho avuto tempo per svolgerla. E’ peccato,
Sarebbe stata un’opera fondamentale.
19 aprile 1981
ALZARSI
(anche epigrafe de La Tregua)
Sognavamo notti feroci
Sogni densi e violenti
Sognati con anima e corpo:
Tornare; mangiare; raccontare.
Finché suonava breve sommesso
Il comando dell’alba:
“Wstawac”:
E si spezzava in petto il cuore.
Ora abbiamo ritrovato la casa,
Il nostro ventre è sazio,
abbiamo finito di raccontare.
È tempo. Presto udremo ancora
Il comando straniero:
“Wstawac”.
11 gennaio 1946
APPRODO
Felice l’uomo che ha raggiunto il porto,
Che lascia dietro sé mari e tempeste,
I cui sogni sono morti o mai nati;
E siede e beve all’osteria di Brema,
Presso al camino, ed ha buona pace.
Felice l’uomo come una fiamma spenta,
Felice l’uomo come sabbia d’estuario,
Che ha deposto il carico e si è tersa la fronte
E riposa al margine del cammino.
Non teme né spera né aspetta,
Ma guarda fisso il sole che tramonta.
10 settembre 1964
LA BAMBINA DI POMPEI
Poiché l’angoscia di ciascuno è la nostra
Ancora riviviamo la tua, fanciulla scarna
Che ti sei stretta convulsamente a tua madre
Quasi volessi ripenetrare in lei
Quando al meriggio il cielo si è fatto nero.
Invano, perché l’aria volta in veleno
È filtrata a cercarti per le finestre serrate
Della tua casa tranquilla dalle robuste pareti
Lieta già del tuo canto e del tuo timido riso.
Sono passati i secoli, la cenere si è pietrificata
A incarcerare per sempre codeste membra gentili.
Così tu rimani tra noi, contorto calco di gesso,
Agonia senza fine, terribile testimonianza
Di quanto importi agli dei l’orgoglioso nostro seme.
Ma nulla rimane fra noi della tua lontana sorella,
Della fanciulla d’Olanda murata fra quattro mura
Che pure scrisse la sua giovinezza senza domani:
La sua cenere muta è stata dispersa dal vento,
La sua breve vita rinchiusa in un quaderno sgualcito.
Nulla rimane della scolara di Hiroshima,
Ombra confitta nel muro dalla luce di mille soli,
Vittima sacrificata sull’altare della paura.
Potenti della terra padroni di nuovi veleni,
Tristi custodi segreti del tuono definitivo,
Ci bastano d’assai le afflizioni donate dal cielo.
Prima di premere il dito, fermatevi e considerate.
20 novembre 1978
PARTIGIÀ
Dove siete, partigia di tutte le valli,
Tarzan, Riccio, Sparviero, Saetta, Ulisse?
Molti dormono in tombe decorose,
Quelli che restano hanno i capelli bianchi
E raccontano ai figli dei figli
Come, al tempo remoto delle certezze,
Hanno rotto l’assedio dei tedeschi
Là dove adesso sale la seggiovia.
Alcuni comprano e vendono terreni,
Altri rosicchiano la pensione dell’Inps
O si raggrinzano negli enti locali.
In piedi, vecchi: per noi non c’è congedo.
Ritroviamoci. Ritorniamo in montagna,
Lenti, ansanti, con le ginocchia legate,
Con molti inverni nel filo della schiena.
Il pendio del sentiero ci sarà duro,
ci sarà duro il giaciglio, duro il pane.
Ci guarderemo senza riconoscerci,
Diffidenti l’uno dell’altro, queruli, ombrosi.
Come allora, staremo di sentinella
Perché nell’alba non ci sorprenda il nemico.
Quale nemico? Ognuno è nemico di ognuno,
Spaccato ognuno dalla sua propria frontiera,
La mano destra nemica della sinistra.
In piedi, vecchi, nemici di voi stessi:
La nostra guerra non è mai finita.
23 luglio 1981
IL SUPERSTITE
a B. V.
Since then, at an uncertain hour,
Dopo di allora, ad ora incerta,
Quella pena ritorna,
E se non trova chi lo ascolti
Gli brucia in petto il cuore.
Rivede i visi dei suoi compagni
Lividi nella prima luce,
Grigi di polvere di cemento,
Indistinti per nebbia,
Tinti di morte nei sonni inquieti:
A notte menano le mascelle
Sotto la mora greve dei sogni
Masticando una rapa che non c’è.
“Indietro, via di qui, gente sommersa,
Andate. Non ho soppiantato nessuno,
Non ho usurpato il pane di nessuno,
Nessuno è morto in vece mia. Nessuno.
Ritornate alla vostra nebbia.
Non è colpa mia se vivo e respiro
E mangio e bevo e dormo e vesto panni”.
4 febbraio 1984
CANTO DEI MORTI INVANO
Sedete e contrattate
A vostra voglia, vecchie volpi argentate.
Vi mureremo in un palazzo splendido
Con cibo, vino, buoni letti e buon fuoco
Purché trattiate e contrattiate
Le vite dei vostri figli e le vostre.
Che tutta la sapienza del creato
Converga a benedire le vostre menti
E vi guidi nel labirinto.
Ma fuori al freddo vi aspetteremo noi,
L’esercito dei morti invano,
Noi della Marna e di Montecassino
Di Treblinka, di Dresda e di Hiroshima:
E saranno con noi
I lebbrosi e i tracomatosi,
Gli scomparsi di Buenos Aires,
I morti di Cambogia e i morituri d’Etiopia,
I patteggiati di Praga,
Gli esangui di Calcutta,
Gl’innocenti straziati a Bologna,
Guai a voi se uscirete discordi:
Sarete stretti dal nostro abbraccio.
Siamo invincibili perché siamo i vinti.
Invulnerabili perché già spenti:
Noi ridiamo dei vostri missili.
Sedete e contrattate
Finché la lingua vi si secchi:
Se dureranno il danno e la vergogna
Vi annegheremo nella nostra putredine.
14 gennaio 1985
(purtroppo il danno e la vergogna durano, mio povero Primo…)
Ad ora incerta raccoglie sessantatré poesie e dieci traduzioni. Le poesie coprono un arco di quarant’anni, dal 1943 (Crescenzago) al 1984, quando Levi usava pubblicarle sulle pagine culturali del quotidiano torinese «La Stampa».
Primo Levi -Poesie
Ritroviamo nel volume le poesie scritte a caldo dopo Auschwitz, riarse da quell’esperienza, e poi, più avanti nel tempo, i testi ispirati a una vena didascalico-morale rara nel Novecento italiano. Qui di seguito diamo la premessa scritta da Levi per il suo libro.
«In tutte le civiltà, anche in quelle ancora senza scrittura, molti, illustri e oscuri, provano il bisogno di esprimersi in versi, e vi soggiacciono: secernono quindi materia poetica, indirizzata a se stessi, al loro prossimo o all’universo, robusta o esangue, eterna o effimera. La poesia è nata certamente prima della prosa. Chi non ha mai scritto versi?
Uomo sono. Anch’io, ad intervalli irregolari, «ad ora incerta», ho ceduto alla spinta: a quanto pare, è inscritta nel nostro patrimonio genetico. In alcuni momenti, la poesia mi è sembrata più idonea della prosa per trasmettere un’idea o un’immagine. Non so dire perché, e non me ne sono mai preoccupato: conosco male le teorie della poetica, leggo poca poesia altrui, non credo alla sacertà dell’arte, e neppure credo che questi miei versi siano eccellenti. Posso solo assicurare l’eventuale lettore che in rari istanti (in media, non più di una volta all’anno) singoli stimoli hanno assunto naturaliter una certa forma, che la mia metà razionale continua a considerare innaturale.
Primo Levi»
Introduzione di Primo Levi alla prima edizione Garzanti 1984, collana «Poesie».
La poesia di Levi ragiona, descrive (animali, soprattutto), gioca con le parole, si lancia verso geografie lontane e verso storie sprofondate nel mito. Gli esercizi di traduzione riguardano un anonimo scozzese del Seicento, Rudyard Kipling e soprattutto – otto testi su dieci – Heinrich Heine: versioni, come dice lo stesso autore, «più musicali che filologiche, e piuttosto divertimenti che opere professionali». A seguire un brano critico del poeta Giovanni Raboni.
«[…] a me sembra che la scrittura poetica di Levi abbia, sin dall’inizio […], lo stesso solenne acume morale, la stessa forza di memoria, ammonimento e pietà, che rendono così sostanziosa, così giusta, così naturalmente memorabile la sua prosa. […] In Levi lo scatto, l’impulso iniziale di ogni singola poesia […] nasce dalla ragione, dalla lettura morale della realtà, da quella capacità di capire la propria sofferenza e di vivere la propria indignazione come patrimonio comune a tutti gli uomini, che formano la peculiarità e oserei dire l’insostituibilità della sua prosa».
Giovanni Raboni, Primo Levi un poeta vero ad ora incerta, «La Stampa», 17 novembre 1984, poi nell’antologia critica che chiude l’edizione economica di Ad ora incerta, Garzanti, Milano 1990.
Ad ora incerta vinse nel 1985 il Premio Abetone della Provincia di Pistoia e il Premio nazionale Giosué Carducci di Pietrasanta. Per sottile ironia, il penultimo testo della raccolta, Pio, consiste in un rovesciamento parodico della celebre Il bove di Carducci
Primo Levi –
Primo Lèvi, scrittore ebreo italiano (Torino 1919-1987), giunse alla letteratura attraverso la tragica esperienza vissuta nei lager che lo segnò fino al punto di diventare per lui un’ossessione che lo portò dopo tanti anni al suicidio. Il racconto delle traversie subite ad Auschwitz è consegnato a Se questo è un uomo (1947), denuncia della tragica e subumana vita nel lager. Dopo la raffinata e complessa raccolta di racconti Lilit e altri racconti (1981), ebbe un grande successo con Se non ora, quando? (1982, premio Viareggio e premio Campiello) in cui narra, in chiave epica e picaresca, l’epopea di un gruppo di partigiani dalla Russia a Milano.
Nato il 31 luglio del 1919 a Torino, da genitori di religione ebraica, Primo Levi si diploma nel 1937 al liceo classico Massimo D’Azeglio e si iscrive al corso di laurea in chimica presso la facoltà di Scienze dell’Università di Torino. Nel ’38, con le leggi razziali, si istituzionalizza la discriminazione contro gli ebrei, cui è vietato l’accesso alla scuola pubblica. Levi, in regola con gli esami, ha notevoli difficoltà nella ricerca di un relatore per la sua tesi: si laurea nel 1941, a pieni voti e con lode, ma con una tesi in Fisica. Sul diploma di laurea figura la precisazione: «di razza ebraica». Comincia così la sua carriera di chimico, che lo porta a vivere a Milano, fino all’occupazione tedesca: il 13 dicembre del ’43 viene catturato a Brusson e successivamente trasferito al campo di raccolta di Fossoli, dove comincia la sua odissea. Nel giro di poco tempo, infatti, il campo viene preso in gestione dai tedeschi, che convogliano tutti i prigionieri ad Auschwitz.
È il 22 febbraio del ’44: data che nella vita di Levi segna il confine tra un “prima” e un “dopo”.
«Avevamo appreso con sollievo la nostra destinazione. Auschwitz: un nome privo di significato, allora e per noi» (P. Levi, Se questo è un uomo, Einaudi 1998, p. 15).
In fretta e sommariamente viene effettuata una vera e propria selezione: «In meno di dieci minuti tutti noi uomini validi fummo radunati in gruppo. Quello che accadde degli altri, delle donne, dei bambini, dei vecchi, noi non potemmo stabilire allora né dopo: la notte li inghiottì, puramente e semplicemente» (Op. cit., p. 17).
L’autore è deportato a Monowitz, vicino Auschwitz, in un campo di lavoro i cui prigionieri sono al servizio di una fabbrica di gomma. Al lager, persi nei loro pensieri, presi da mille domande, da ipotesi continue che per quanto catastrofiche, non si avvicinano neanche lontanamente alla verità, si ritrovano ,in pochissimo tempo, rasati, tosati, disinfettati e vestiti con pantaloni e giacche a righe. Su ogni casacca c’è un numero cucito sul petto. I prigionieri vengono marchiati come bestie. Il loro compito: lavorare, mangiare, dormire, OBBEDIRE. Il loro intento: sopravvivere. Dietro quel numero non c’è più un uomo, ma solo un oggetto: häftling, cioè “pezzo”. Se funziona, va avanti. Se si rompe, è gettato via.
“Se questo è un uomo” di PRIMO LEVI
Levi è l’häftling 174517. Funzionante.
Primo Levi è tra i pochissimi a far ritorno dai campi di concentramento. Ci riesce fortunosamente, grazie a una serie di circostanze e solo dopo un lungo girovagare nei Paesi dell’est.
Quale testimone di tante assurdità, sente il dovere di raccontare, descrivere l’indescrivibile, affinchè tutti sappiano, tutti si domandino un perché, tutti interroghino la propria coscienza: comincia a scrivere, elaborando così il suo dolore, il suo annientamento, il suo avventuroso ritorno a casa. Nel ’47, rifiutato dalla Einaudi, il manoscritto Se questo è un uomo è pubblicato dalla De Silva editrice.
Il libro ottiene un discreto successo di critica ma non di vendita. Solo nel ’56 la Einaudi comincia a pubblicare tutti i suoi lavori: Se questo è un uomo è tradotto in diverse lingue, La Tregua vince la prima edizione del Premio Campiello. Nel ’67 raccoglie i suoi racconti in un volume intitolato Storie naturali adottando lo pseudonimo di Damiano Malabaila. Nel ’71 esce Vizio di forma, nuova serie di racconti e nel ’78 La chiave a stella che vince il Premio Strega. Nel ’81 viene edita un’antologia personale dal titolo La ricerca delle radici nella quale sono raccolti tutti gli autori che hanno contato nella formazione culturale dell’autore. Nel novembre dello stesso anno esce Lilìt e altri racconti e l’anno successivo Se non ora quando? che vince il Premio Viareggio e il Premio Campiello.
“Se questo è un uomo” di PRIMO LEVI
Nel frattempo Levi lavora anche come traduttore. Nell’ottobre del ’84 pubblica Ad ora incerta e a dicembre Dialogo in cui riporta una conversazione avuta con il fisico Tullio Regge. Nel novembre dello stesso anno esce l’edizione americana del Sistema periodico e nel gennaio del ’85 una cinquantina di scritti pubblicati precedentemente su diverse testate, raccolti in un volume unico intitolato L’altrui mestiere. Nel 1986 pubblica I sommersi e i salvati.
L’ 11 Aprile 1987, in un periodo di depressione, ancora tormentato dai ricordi di Auschwitz, Primo Levi muore suicida nella sua casa di Torino. Dirà di lui Claudio Toscani: «L’ultimo appello di Primo Levi non dice non dimenticatemi, bensì non dimenticate».
Roma-alla galleria Edarcom Europa la “Collettiva di Primavera 2025”-
Roma- Torna l’appuntamento con la mostra mercato dedicata agli artisti presenti nel catalogo della galleria Edarcom Europa.- Dopo il record di visite dell’edizione 2024, in occasione del cinquantesimo anno di attività, torna l’atteso appuntamento con la Collettiva di Primavera, la storica mostra mercato dedicata alle opere di tutti gli artisti presenti nel catalogo della galleria d’arte Edarcom Europa, storica realtà romana fondata nel 1974 da Gianfranco Ciaffi e dal 2021 diretta dal figlio Francesco.
galleria Edarcom Europa la “Collettiva di Primavera 2025”
Quest’anno l’inaugurazione si terrà nei giorni di venerdì 28, sabato 29 e domenica 30 marzo: come da tradizione, un lungo weekend con la straordinaria apertura domenicale per poter accogliere tutti gli appassionati e i curiosi che vorranno immergersi tra le oltre 400 opere in mostra negli spazi espositivi di via Macedonia 12 e 16 a Roma.
In tutti gli ambienti della galleria sarà possibile visionare dipinti, sculture, litografie, serigrafie e incisioni degli oltre 40 artisti in catalogo. I nomi storici di importanti autori del ‘900 verranno affiancati da selezionati interpreti contemporanei già ampiamente apprezzati in Italia e all’estero.
galleria Edarcom Europa la “Collettiva di Primavera 2025”
galleria Edarcom Europa la “Collettiva di Primavera 2025”
galleria Edarcom Europa la “Collettiva di Primavera 2025”
Inoltre, a rendere ancora più interessante la visita durante il weekend inaugurale saranno le condizioni estremamente vantaggiose che verranno proposte a chi vorrà valutare l’acquisto di una o più opere. Su tutto il catalogo infatti, verranno applicati i seguenti sconti straordinari:
20% in caso di pagamento in unica soluzione
10% in caso di pagamento rateale fino a 24 mesi
Per avere un’ampia, seppur parziale, anteprima delle opere in mostra si può visitare il sito www.edarcom.it, un grande shop online facilmente consultabile per scoprire tecniche, misure e prezzi indicati in modo trasparente e accessibile. Ovviamente le straordinarie condizioni di sconto sono valide anche per gli acquisti online con il codice sconto PRIMAVERA25.
OPERE DI: Ugo Attardi, Giuseppe Barilaro, Enrico Benaglia, Franz Borghese, Ennio Calabria, Angelo Camerino, Claudio Caporaso, Michele Cascella, Tommaso Cascella, Giuseppe Cesetti, Angelo Colagrossi, Roberta Correnti, Marta Czok, Luca Dall’Olio, Mario Ferrante, Salvatore Fiume, Franco Fortunato, Felicita Frai, Franco Gentilini, Gianpistone, Emilio Greco, Renato Guttuso, Franco Marzilli, Piero Mascetti, Maurizio Massi, Renzo Meschis, Francesco Messina, Mauro Molle, Norberto, Sigfrido Oliva, Ernesto Piccolo, Giorgio Prati, Domenico Purificato, Aldo Riso, Carlo Roselli, Sebastiano Sanguigni, Aligi Sassu, Cynthia Segato, Mariarosaria Stigliano, Orfeo Tamburi, Lino Tardia, Renzo Vespignani.
galleria Edarcom Europa la “Collettiva di Primavera 2025”
galleria Edarcom Europa la “Collettiva di Primavera 2025”
galleria Edarcom Europa la “Collettiva di Primavera 2025”
INFORMAZIONI
MOSTRA: Collettiva di Primavera 2025
PERIODO: 28 marzo – 19 aprile 2025
INDIRIZZO: Via Macedonia 12, Roma (San Giovanni – Appio Latino)
INAUGURAZIONE MOSTRA: Venerdì 28, Sabato 29 e Domenica 30 Marzo ore 10:30/13:00 e 15:30/19:30
ORARIO MOSTRA: da lunedì a sabato ore 10:30/13:00 e 15:30/19:30
INGRESSO MOSTRA: Libero
INFO: 06.7802620 – www.edarcom.it
Roma-Galleria Nazionale d’Arte Modernae Contemporanea -Lo spazio dell’immagine. Pino Pascali-
Roma-La Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma promuove, in collaborazione con la Fondazione Pino Pascali e con la cura e l’organizzazione di Electa e Fondazione Fondamenta, un programma di quattro incontri dal titolo “Lo spazio dell’immagine. Pino Pascali”.Gli incontri, ad ingresso libero fino a esaurimento posti, si svolgono nella Sala delle Colonne alle ore 11 delle domeniche 30 marzo, 13 e 27 aprile, 11 maggio 2025.L’occasione è data dalla mostra “Pino Pascali, Toti Scialoja. Confluenze” in corso a Bari, al Teatro Kursaal Santa Lucia fino al 4 maggio 2025 a cura di Federica Boragina ed Eloisa Morra con Antonio Frugis.Pascali e Scialoja si conoscono nelle aule dell’Accademia di Belle Arti di Roma in via Ripetta, dove l’artista pugliese si iscrive nel 1955 e dove Scialoja è il titolare del corso di scenotecnica, tra i docenti meno accademici e più apprezzati. A questa altezza cronologica Scialoja è un artista già noto e affermato, in contatto con il panorama artistico internazionale e invita i suoi giovani allievi a sperimentare senza riserve nonché a confrontarsi con i linguaggi contemporanei. Pascali, poco più che ventenne, è fra gli allievi più ricettivi e dalla frequentazione delle lezioni di Scialoja derivano visioni inaspettate e cariche di vitalità, specchio di quell’irrequieta fascinazione per la materia ereditata dal suo maestro.L’esposizione di Bari segna il primo appuntamento di una sinergia integrata tra Fondazione Pascali, Regione Puglia ed Electa, nell’intento di promuovere un palinsesto di iniziative per la valorizzazione della figura di Pino Pascali, in relazione agli artisti che lo hanno ispirato o con cui ha collaborato, ed è realizzata con la partecipazione della Fondazione Toti Scialoja di Roma. La Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma si innesta in questo quadro di manifestazioni, poiché conta un importante nucleo di opere di Pino Pascali, oltre ad annoverare opere degli artisti di cui il programma “Lo spazio all’immagine” – nome che omaggia una delle grandi esposizioni di arte contemporanea del Novecento italiano, nella quale furono radunate opere originali di Lucio Fontana, Pino Pascali, Mario Ceroli, Michelangelo Pistoletto e molti altri, accompagnate da voci critiche d’autore quali quelle di Gillo Dorfles, Lara-Vinca Masini, Palma Bucarelli, Germano Celant – sostiene le tangenze con Pascali, protagonista di questi appuntamenti.
Roma-Galleria Nazionale d’Arte Moderna
PROGRAMMA
☞ Domenica 30 marzo ore 11 Toti Scialoja e Pino Pascali: confluenze e contrappunti Incontro con Federica Boragina,
Antonio Frugis, Arnaldo Colasanti
A partire dalla mostra in corso a Bari “Pino Pascali, Toti Scialoja. Confluenze” l’incontro con la curatrice della mostra Federica Boragina e con Antonio Frugis, coordinatore e curatore della Fondazione Pascali, e Arnaldo Colasanti, presidente della Fondazione Scialoja, restituisce il dialogo personale e artistico fra due assoluti protagonisti delle vicende artistiche italiane degli anni cinquanta e sessanta, Pino Pascali (1935-1968) e Toti Scialoja (1914-1998), rintracciando le sperimentazioni nate da ispirazioni condivise e rendendo tangibile una sorprendente serie di corrispondenze tra temi, processi e immaginari.
☞ Domenica 13 aprile ore 11 Altranatura, oltre natura. Paradigmi nell’arte di Leoncillo Leonardi e Pino Pascali
Incontro con Martina Rossi e Antonio Frugis
Martina Rossi, ricercatrice presso la Sapienza Università di Roma, dialoga con Antonio Frugis, coordinatore e curatore della Fondazione Pascali. Leoncillo (1915 – 1968) e Pascali (1935-1968), sebbene diversi per generazione e stile espressivo, presentano delle forti analogie che in questo contesto vengono messe in luce. In particolare, sono riusciti a liberare la scultura dalle collocazioni ordinarie delle tre dimensioni, quelle usuali e inevitabili. Hanno segnato entrambi i confini estremi di uno stesso territorio, le due frontiere più lontane di un identico impero, quello della scultura.
☞ Domenica 27 aprile ore 11 «Vedova blu». Pino Pascali in dialogo con Carlo Levi ed Ernesto de Martino
Incontro con Michele Dantini
Michele Dantini, professore ordinario di Storia dell’arte contemporanea all’Università per Stranieri di Perugia, muove dalla scultura-installazione Vedova blu, conservata al mumok – Museo di Arte Moderna di Vienna, come esempio del particolare “meridionalismo” di Pascali: essa contiene molteplici rinvii al “mondo magico” di Carlo Levi ed Ernesto de Martino.
☞ Domenica 11 maggio Pino Pascali. Pensare (e disegnare) la scultura di Pascali
Incontro con Marco Tonelli
Seppure Pascali non intendeva il disegno come pratica autonoma dalla scultura, ha però lasciato, in un taccuino di annotazioni e in fogli sparsi, numerosi schizzi di idee per sculture, con progetti di opere effettivamente realizzate o da realizzarsi, se non fosse tragicamente morto di lì a poco. Marco Tonelli, docente di Storia dell’Arte Contemporanea presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia e anche membro della Fondazione Museo Pino Pascali di Polignano a Mare, parla di questi disegni che costituiscono una esemplare radiografia del suo modo di pensare l’opera e di immaginarla “già fatta”, esaltando le sue doti costruttive e la sua proverbiale velocità di esecuzione, sintomo di vitalità, ansia creativa e desiderio di “non essere mai identico a sé stesso”.
***
Pino Pascali (1935-1968) è protagonista di una carriera breve e folgorante. Diplomato all’Accademia di Belle Arti di Roma nel 1959, lavora con successo come scenografo, realizzando bozzetti, disegni e “corti” per “Carosello” e altre trasmissioni tv. Nel 1965 ha la sua prima personale a Roma presso la galleria “La Tartaruga” e, in soli tre anni è riconosciuto dai maggior critici d’arte e da galleristi d’avanguardia. Nel 1968 partecipa con una sala personale alla XXXIV Biennale di Venezia, ma nell’ottobre dello stesso anno, muore prematuramente in un tragico incidente. Scultore, scenografo, performer, Pascali ha saputo coniugare in modo geniale e creativo forme primarie e mitiche della cultura e della natura mediterranee con le forme infantili e ironiche del gioco, precorrendo l’Arte Povera, la Body Art, l’arte concettuale degli anni settanta.
Info pubblico Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea Roma, Viale delle Belle Arti, 131
T + 39 06 32298221 lagallerianazionale.com
Questo sito usa i cookie per migliorare la tua esperienza. Chiudendo questo banner o comunque proseguendo la navigazione nel sito acconsenti all'uso dei cookie. Accetto/AcceptCookie Policy
This website uses cookies to improve your experience. We'll assume you're ok with this, but you can opt-out if you wish.Accetto/AcceptCookie Policy
Privacy & Cookies Policy
Privacy Overview
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.