I disegni di Franz Kafka- A cura di Andreas Kilcher-
A cura di Andreas Kilcher-Traduzione di Ada Vigliani-Con una Nota di Roberto Calasso
ADELPHI EDIZIONI
Risvolto Com’è noto, poco prima della morte, Franz Kafka chiese all’amico Max Brod di distruggere tutti i suoi «scarabocchi». Alludeva non solo agli scritti, ma anche a quei disegni che, dando prova di autentico talento, aveva tracciato nel corso degli anni su fogli sparsi, pagine di diario e un intero quaderno. Max Brod non distrusse né gli uni né gli altri – e mai disobbedienza fu più provvidenziale. Rese tuttavia pubblico solo un numero ristretto di disegni: i restanti, la maggior parte, sono rimasti occultati per decenni in una cassetta di sicurezza, prima a Tel Aviv e poi a Zurigo. E solo quando, di recente, sono tornati alla luce, si è svelato pienamente il volto artistico di Kafka. Un volto che ora potremo conoscere grazie a questo libro, in cui è riprodotto – sul supporto originale, e quasi sempre a grandezza naturale – l’intero corpus dei disegni che si sono conservati. Pagina dopo pagina, incontreremo esili silhouette nere di omini curvilinei che ora camminano frettolosi, ora s’inerpicano chissà dove, ora sembrano danzare; figure angolose, dal volto appena accennato, talvolta comico; e ancora: esseri ibridi, spesso rappresentati con pochi tratti magistrali, immagini evanescenti, come in affannoso movimento, enigmatiche apparizioni. Ravviseremo così un artista imparentato con lo scrittore, ma che percorre un’autonoma strada parallela – una strada per Kafka non meno vitale, se a Felice Bauer poteva scrivere: «Una volta ero un grande disegnatore … a quel tempo, ormai anni fa, quei disegni mi hanno appagato più di qualsiasi altra cosa».
I disegni di Kafka, apparso in Germania nel 2021, è accompagnato in questa edizione italiana da una Nota di Roberto Calasso.
I disegni di Franz Kafka
In copertina
Disegni di Franz Kafka (1901-1907). The Literary Estate of Max Brod, National Library of Israel, Jerusalem.
foto ardon bar hama
Franz Kafka
ADELPHI EDIZIONI S.p.A
Via S. Giovanni sul Muro, 14 20121 – Milano Tel. +39 02.725731 (r.a.) Fax +39 02.89010337
Robert Capa e Gerda Taro:la fotografia, l’amore, la guerra
in mostra fino al 2 giugno 2024 a CAMERA-
– Centro Italiano per la Fotografia di Torino –
Robert Capa e Gerda Taro
TORINO-A CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia di Torino continua la mostra Robert Capa e Gerda Taro: la fotografia, l’amore, la guerra, con 120 immagini che raccontano una delle stagioni più intense della storia della fotografia del XX secolo: il rapporto professionale e affettivo fra Robert Capa e Gerda Taro. Dai cafè della Parigi degli anni Trenta ai campi di battaglia della Guerra civile spagnola, il percorso espositivo segue le vicende di Endre – poi francesizzato André – Friedmann e Gerta Pohorylle (questi i loro veri nomi). Fuggita dalla Germania nazista lei, emigrato dall’Ungheria lui, si incontrano nella capitale francese nel 1934. In un momento in cui trovare committenze è sempre più difficile, i due inventano il personaggio di Robert Capa, un famoso fotografo americano arrivato da poco nel continente, alter ego con il quale André si identificherà per il resto della sua vita. Anche Gerta cambia nome e assume quello di Gerda Taro.
La svolta decisiva però arriva nel 1936, con l’inizio del conflitto civile spagnolo. Proprio nello scenario della prima guerra ‘fotografica’ della storia, Capa e Taro realizzano i loro scatti più noti – immagini realizzate seguendo da vicino le battaglie ma anche i momenti di vita quotidiana dei miliziani – trovando in questo impiego terreno fertile per esprimere le proprie idee antifasciste. Un impegno che costerà la vita di Gerda nel luglio del 1937, nel mezzo di una ritirata a Brunete, rendendola la prima reporter a morire sul campo. La mostra è curata da Walter Guadagnini e Monica Poggi, attraverso le fotografie e la riproduzione di alcuni provini della celebre “valigia messicana”, scomparsa dal 1939 e ritrovata a fine anni Novanta, contenente 4.500 negativi scattati in Spagna dai due fotoreporter e dal loro amico David Seymour, detto “Chim”.
Informazioni 14 febbraio – 2 giugno 2024 camera.to
Orari di apertura (Ultimo ingresso, 30 minuti prima della chiusura)
Lunedì 11.00 – 19.00
Martedì 11.00 – 19.00
Mercoledì 11.00 – 19.00
Giovedì 11.00 – 21.00
Venerdì 11.00 – 19.00
Sabato 11.00 – 19.00
Domenica 11.00 – 19.00
Sede espositiva
CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia, via delle Rosine 18, Torino
Fred Stein, Gerda Taro e Robert Capa, Cafe de Dome, Parigi, 1936
Estate Fred Stein. Courtesy International Center of Photography
Robert Capa, Morte di un miliziano lealista, nei pressi di Espejo Fronte di Cordoba, Spagna, inizio settembre, 1936
The Robert Capa and Cornell Capa Archive, Gift of Cornell and Edith Capa, 2010. Courtesy International Center of Photography
Gerda Taro, Miliziana repubblicana si addestra in spiaggia. Fuori Barcellona, 1936
Gift of Cornell and Edith Capa, 1986. Courtesy International Center of Photography
Nota per i suoi reportage di guerra, è anche conosciuta per essere stata la compagna di Robert Capa[1] e per aver stabilito con il fotoreporterungherese un forte sodalizio professionale. È considerata insieme a Capa una dei più importanti fotografi di guerra. La sua morte violenta a 26 anni (fu travolta da un carro armato durante la Guerra civile spagnola [2]) contribuì a mitizzarla come donna rivoluzionaria e coraggiosa caduta per le proprie idee e per il suo lavoro[3].
Biografia di Gerda Taro
Gerda Taro gettyimages-
Gerda Taro, il cui vero nome era Gerta Pohorylle, nasce da una famiglia di ebrei polacchi. È portata per lo studio, è una buona giocatrice di tennis, ama vestirsi bene e fin da bambina dimostra di avere un carattere forte. Nonostante le sue origini borghesi, giovanissima entra a far parte di movimenti socialisti e di lavoratori. Per questo motivo e per la sua origine ebraica, l’avvento del nazismo in Germania le crea molti problemi. Finisce in carcere in quanto attiva nel Partito Comunista Tedesco, interrogata non parla e, grazie al suo passaporto polacco, viene liberata. Con un amico lascia la Germania alla volta di Parigi, mentre i suoi genitori decidono di rifugiarsi in Palestina ed i fratelli in Inghilterra[4].
Gerda Taro i funerali
Nel 1935 a Parigi grazie alla sua intelligenza e adattabilità, la poliglotta Gerta trova lavori come dattilografa e segretaria. Tramite l’amica e coinquilina Ruth conosce l’ungherese Endre Friedman. Come lei è ebreo, comunista, antifascista e ha conosciuto il carcere e sbarca il lunario facendo il fotografo. Endre e Gerta si fidanzano e sarà proprio lui ad iniziarla alla fotografia. Insieme, un po’ per sfida, un po’ per opportunità, inventano il personaggio “Robert Capa”, un fantomatico celebre fotografo americano giunto a Parigi per lavorare in Europa. Grazie a questo curioso espediente la coppia moltiplica le proprie commesse e guadagna parecchi soldi.
Nel 1936 entrambi decidono di seguire sul campo gli sviluppi della guerra civile spagnola, guerra che inciderà parecchio sulla vita dei due. Giunti in Spagna diventano immediatamente importanti testimoni della guerra, realizzando molti reportage pubblicati in periodici come “Regards” o “Vu.”
Nota fra le milizie antifasciste per la sua freschezza, coraggio ed eccezionale bellezza, rischiò sempre la vita per realizzare i propri servizi fotografici. All’inizio il marchio “Capa-Taro” fu usato indistintamente da entrambi i fotografi. Successivamente, i due divisero la ‘ragione sociale’ – CAPA – e Endre Friedman adottò definitivamente lo pseudonimo Robert Capa per sé[6].
Gerda realizzò, in un periodo in cui Capa era per alcuni giorni a Parigi per rapporti con le agenzie, il suo più importante reportage durante la battaglia di Brunete. All’inizio parve una grande vittoria repubblicana. Il contrattacco franchista ribaltò presto la situazione e Gerda fu allora testimone dei selvaggi bombardamenti dell’aviazione nazionalista, scattando numerose fotografie sempre con estremo rischio per la propria vita.
Testimoni raccontano che spesso incitava lei stessa i combattenti “all’attacco”; la sua fede rivoluzionaria e antifascista era puro slancio. L’articolo che venne pubblicato sulla rivista Regards, diede un grande lustro alla reporter tedesca.
Gerda-Taro-prima-fotogiornalista-guerra-di Spagna
La morte
Al ritorno dal fronte di Brunete, Gerda Taro perse la vita a causa di un terribile incidente. Gerda viaggiava aggrappata al predellino esterno della vettura del generale polacco “Walter” (Karol Świerczewsky), colma di feriti; Walter era un noto comandante delle Brigate Internazionali. Quando aeroplani tedeschi volarono a bassa quota sul convoglio repubblicano mitragliandolo, nel trambusto generale un carro armato urtò l’auto alla quale era aggrappata Gerda, che cadde sotto i cingoli del carro armato restando schiacciata dallo stomaco in giù.
Gerda Taro
Gerda non perse conoscenza e durante il penoso trasferimento, che durò ore, all’ospedale di Madrid ‘El Goloso’ (zona dell’Escorial) si mantenne le viscere in sede con la pressione delle proprie mani; i testimoni ricordano un’incredibile freddezza e coraggio nella ragazza. Alcuni tra i migliori medici delle Brigate Internazionali le trasfusero plasma e tentarono di operarla senza anestetici e senza antibiotici (di cui non vi era disponibilità), di suturare la devastante ferita ma si resero subito conto che ogni tentativo non l’avrebbe mai salvata; il suo organismo non poteva più svolgere alcuna funzione vitale che si protraesse oltre le poche ore.
Gerda Taro_Photo Robert Capa
All’infermiera che dovette vegliarla fu indicato di somministrarle tutta la morfina possibile per non farla soffrire, in quanto il decesso era inevitabile. La ragazza si preoccupava comunque delle proprie macchine fotografiche chiedendo “se si erano rotte”. Restò in vita e vigile sino all’alba del 26 luglio 1937; morì intorno alle ore 5 semplicemente “chiudendo gli occhi”. Gerda aveva 26 anni.
Gerda Taro
Il suo corpo fu traslato a Parigi e, accompagnato da 200.000 persone, fu tumulato al Père-Lachaise con tutti gli onori dovuti ad un’eroina repubblicana. Allo scultore Alberto Giacometti venne chiesto di realizzare il monumento funebre. Pablo Neruda e Louis Aragon lessero un elogio ‘in memoriam’. Il suo compagno Capa non si riprese mai più dalla morte della dolce e vivacissima Gerda, prima donna reporter a morire sul lavoro. Da allora anch’egli rischierà sempre la morte sul lavoro, incontrandola poi nel 1954 nella guerra d’Indocina.
Gerda Taro
Un anno dopo la morte di Gerda, nel 1938, Robert Capa pubblicherà in sua memoria Death in the Making, riunendo molte foto scattate insieme. La sua tomba a Parigi giace dimenticata nella zona del Père-Lachaise dedicata ai rivoluzionari e alla Resistenza, vicino al noto “Mur des Federés”.
Nel 1942 il regime collaborazionista fascista francese censurò l’epitaffio inciso sulla tomba di Gerda, epitaffio mai più restaurato. La tomba, dopo le modifiche occorse nel 1953, è accessibile da un viottolo posteriore, quindi posta “alla rovescia” rispetto a quando fu costruita. La tomba di Gerda Taro fu l’unica ad essere violata dalla mano nazi-fascista, forse per l’influenza che la giovane rivoluzionaria, caduta nella guerra contro il fascismo, ancora esercitava sulla crescente Resistenza francese.
Rimasta a lungo nell’ombra del più noto fidanzato Robert Capa e relegata al ruolo di sua compagna (e in qualche cronaca anche di moglie), dalla metà degli anni 1990 Gerda Taro è oggetto di interesse storico per il suo ruolo di giovanissima donna contro-corrente, rivoluzionaria militante sino al sacrificio massimo e protagonista della storia della fotografia e della resistenza al fascismo[6][7][8].
Robert Capa- Nasce in Ungheria da una famiglia ebrea proprietaria di una avviata casa di moda. Capa è un bambino vitale e rissoso che in famiglia viene soprannominato “Cápa”, squalo in ungherese. Ha appena diciassette anni quando viene arrestato per le sue simpatie comuniste; appena liberato abbandona la terra natale alla volta di Berlino. Là s’iscrive all’università alla facoltà di scienze politiche, sognando di diventare giornalista. Per mantenersi trova un impiego presso uno studio fotografico, cosa che lo avvicina al mondo della fotografia. Inizia a collaborare con l’agenzia fotogiornalistica Dephot sotto l’influenza di Simon Guttmann[3]. Autodidatta, nel 1932 è a Copenaghen, dove Lev Trockij tiene una conferenza. Nonostante il divieto di fare fotografie, elude la sorveglianza e realizza alcuni scatti. È il suo primo servizio pubblicato[4].
A causa dell’avvento del nazismo, Capa nel 1933 lascia Berlino per Vienna, per poi, l’anno successivo, partire alla volta di Parigi. Ma in Francia incontra difficoltà nel trovare lavoro come fotografo freelance. Al caffè A Capoulade, nel Quartiere Latino, nel settembre 1934 fa la conoscenza di Gerda Taro, una studentessa tedesca di origine galiziana, anch’essa fotografa autodidatta. Robert e Gerda stabiliscono un solido rapporto sentimentale e professionale[4].
A Parigi Capa conosce anche David Seymour (nato Szymin), che a sua volta lo presenterà ad Henri Cartier-Bresson, tutti giovani fotografi di origini sociali e geografiche diverse, ma legati dal linguaggio dell’immagine. Il suo primo servizio importante è quello del maggio 1936 che documenta le manifestazioni per l’ascesa al potere del Fronte Popolare; una sua foto diventa la copertina della rivista «Vu» (“Visto” in italiano).
Nell’agosto del 1936 Gerda Taro riesce a procurargli un accredito stampa per documentare la guerra civile spagnola ed assieme prendono un aereo per Barcellona.[5] Qui, un po’ per sfida, un po’ per opportunità, i due inventano il personaggio di “Robert Capa”, un fantomatico fotografo americano giunto a Parigi per lavorare in Europa. Lo pseudonimo Robert Capa viene scelto per il suono più familiare all’estero e per l’assonanza con il nome del popolare regista italo-statunitense Frank Capra. Grazie a questo curioso espediente, la coppia moltiplica le proprie commesse e guadagna parecchi soldi. All’inizio, in effetti, il marchio “Capa-Taro” fu usato indistintamente da entrambi i fotografi. Successivamente i due divisero la “ragione sociale” CAPA e Endre Friedmann adottò definitivamente lo pseudonimo Robert Capa per sé.
Foto Robert Capa. SPAGNA -Vallecas en 1938
Il 26 luglio 1937 Gerda muore tragicamente a Brunete, nei pressi di Madrid (rimane schiacciata durante un errore di manovra di un carro armato “amico”). L’anno dopo Robert pubblica un libro in omaggio alla sua amata, Death in making, che contiene anche le fotografie, scattate da entrambi, della guerra in Spagna.
Descrizione- La fotocamera Leica ,Bella lo è sempre stata, fin dall’inizio. Piccola, piatta, maneggevole, priva di fronzoli, ridotta all’essenziale: less is more. Nel 1914, quando costruì la prima macchina compatta con pellicola cinematografica 35 mm, Oskar Barnack aveva già individuato alcune soluzioni che si ritrovano come tratti distintivi anche nei modelli di Leica digitali più recenti. La Leica (ovvero la LEItz CAmera), che a causa della guerra non fu immessa sul mercato prima del 1925, segnò un radicale cambiamento nel mondo della fotografia: permise agli appassionati di accedere a uno strumento professionale, ma soprattutto questa nuova macchina, sempre a portata di mano e pronta all’uso, fece della fotografia una parte integrante della vita quotidiana. “I grandi maestri. 100 anni di fotografia Leica” illustra il mutamento radicale introdotto dalla diffusione della Leica, perfettamente inscritta nello spirito di una nuova epoca, sempre più rapida e convulsa. Non ci sono dubbi: la Leica era ed è un prodigio della tecnica ma anche un oggetto del desiderio, se non addirittura un feticcio. Soprattutto è uno “strumento” per realizzare immagini: grandi, sorprendenti, scioccanti, sbalorditive, o anche solo splendide o visivamente complesse. Immagini che documentano, informano, irritano, emozionano, e senza le quali la nostra cultura visiva sarebbe meno ricca.
Storia
Il nome del gruppo trae origine dalle iniziali del cognome dell’industriale tedesco Ernst Leitz, impegnato nel settore ottico e di precisione nella seconda metà del XIX secolo, e fondatore nel 1869 dell’Ernst Leitz Optisches Institut a Wetzlar, e dalle prime lettere di camera (che in tedesco significa macchina fotografica). Nel 1849 viene fondato l’Optische Institut da Carl Kellner a Wetzlar. Sotto Ernst Leitz viene creata nel 1869 la Ernst Leitz Werke. La società è dedicata alla costruzione di microscopi. All’inizio del XX secolo viene ampliata la gamma di prodotti con binocoli, episcopi e epidiascopi così come fotocamere.
In questo contesto viene sviluppata la Miniaturkamera, la prima macchina fotografica con pellicola 35 millimetri per cinefilm. Per il tempo di esposizione notevole il caricatore della grossa macchina non doveva essere più riaperto. Su questa base Oskar Barnack, all’epoca capo sviluppo della Leitz, costruì nel 1914 due prototipi di una macchina fotografica istantanea da 24 mm × 36 mm per suo utilizzo privato, il cui unico esemplare sopravvissuto è ora chiamato Ur-Leica.
Nel 2016 Leica stringe un accordo con l’azienda telefonicacineseHuawei per la progettazione delle fotocamere di alcuni suoi modelli (P9, P9 Plus, P10, P10 Plus, Mate 9, Mate 9 Pro, Mate 10, Mate 10 Pro, P20, P20 Pro, Mate 20, Mate 20 Pro, Mate 20 X, Mate X, P30, P30 Pro, Mate 30, Mate 30 Pro, P40, P40 Pro, Mate 40, Mate 40 Pro). 6 anni dopo, l’azienda tedesca si allea con Xiaomi e lancia un’app esclusiva per gli smartphone dell’azienda di Lei Jun che montano le fotocamere create appositamente.
Si può far risalire a Carl Kellner l’esordio di quelli che saranno i marchi Leitz e Leica, con la costituzione nel 1849 in Wetzlar dell’Optisches Institut, diventato poi Leitz nel 1869 con la conduzione unica di Ernst Leitz, seguita alla morte a soli 29 anni di Kellner. Kellner è stato un talento nella meccanica e nell’ottica, alla quale ha applicato i suoi studi matematici. In particolare, Kellner ha inventato un oculare corretto, noto oggi come oculare ortoscopico di Keller, con una nuova combinazione di lenti che ha migliorato, in maniera significativa per l’epoca, la qualità delle immagini, ottenendo dei sistemi altamente acromatici e corretti per le distorsioni geometriche. L’applicazione si rivolgeva particolarmente a telescopi e microscopi. L’attività dell’azienda veniva dal ’69 seguitata da Leitz, talento meccanico ed ugualmente autodidatta, artigiano e apprendista per una società tedesca che fabbricava attrezzature di laboratorio poi proseguita in Svizzera con un produttore di strumenti di precisione, orologi elettrici e telegrafi. Prima dipendente e un anno dopo socio di Kellner, cambiava in Optical Institute Belthle und Leitz, Wetzlar, vorm. C. Kellner, il nome dell’azienda.
Leica Geosystems[3] è una società Svizzera che sviluppa, produce e commercializza dispositivi di topografia e geodesia, come ad esempio GPS, tacheometri, livelli ottici e scanner 3D. Nata dalla fusione, avvenuta nell’inverno del 1987-1988, del produttore svizzero Wild Heerbrugg (1921), da Leitz Wetzlar e dai rami geodesia di Kern & Co. AG, la società si è frazionata a metà degli anni Novanta in diverse entità indipendenti, tutte acquisite da Hexagon AB nel 2005 per riformare il marchio “Leica Geosystems”. Hanno anche investito pesantemente in progetti di grandi dimensioni, come ad esempio quelli in altissima quota, tra cui il Monte Bianco.
LEItz CAmera
Ur-Leica, 1914Leica I di Drehbühne con Entfernungsmesser telemetro
Nel 1869Ernst Leitz I fondò la Leitz. Alla morte del padre l’omonimo figlio Ernst II decise di entrare nel mondo della fotografia. Nel 1911Oskar Barnack, ingegnere proveniente dalla Zeiss, cercò di utilizzare la pellicola 35 mm per riprese cinematografiche inserendola in un caricatore, per creare una nuova tipologia di macchine fotografiche. Nacque così la fotocamera a pellicola 24X36 noto anche come “formato Leica” che troviamo sulle fotocamere ancora oggi.
Il frutto degli studi di Oskar Barnack fu la creazione del prototipo UR (1914), una fotocamera 35 mm con otturatore sul piano focale, con obiettivo 50 mm, slitta porta accessori e peso di 350 : g, questa fu la capostipite di tutte le fotocamere Leica e questa architettura fu la base di tutte le fotocamere 35 mm fino ai nostri giorni.
Con la crisi economica tedesca, Leitz si convinse a giocare la carta della produzione fotografica, fu coniato il nome Leica (LEItz CAmera) e nel 1925, alla fiera di Lipsia, fu presentata la Leica A, prima Leica di serie, ma ancora dotata di obiettivo fisso.
Seguì la Leica C, con analoghe caratteristiche migliorate dall’obiettivo intercambiabile con innesto a vite. Tale innesto (M39 o LTM) divenne uno standard de facto, ancora usato dopo il 2000.
Le forze armate tedesche nella seconda guerra mondiale vennero dotate di fotocamere Leica. La qualità, la rapidità di scatto, le dimensioni ridotte e la praticità delle Leica furono tali da renderle oggetto di copia in tutto il mondo: Leotax, Nicca e Canon in Giappone, Kardon negli USA, Reid in Inghilterra, FED e Zorki in URSS copiarono svariati modelli Leica.[4].
Nel dopoguerra la Leica si rinnova e si migliora; abbandonato il sistema di ottica a vite, la Leitz lancia sul mercato i modelli della serie M; fotocamere a telemetro con pratico innesto delle ottiche a baionetta. Tuttora è in corso la produzione delle Leica M con la MP e la M-A (Typ 127) a pellicola, la M11 digitale e altri modelli M speciali. La serie Leica M divenne ben presto la preferita da tantissimi fotoreporter dell’epoca, vista l’assoluta maneggevolezza, rapidità, affidabilità ed efficienza di queste fotocamere.
Nel 1964, spinta dal successo della reflex Nikon F (1959), Leitz introdusse la sua prima SLR: Leicaflex seguita, nel 1976, dalla SRL elettronica R3.
Il 5 marzo 2009 è cessata la produzione di Leica Reflex della serie R, la ditta ha dichiarato di voler puntare su un nuovo formato ibrido, quello della Leica S2
Attualmente la Leica si occupa anche di fotografia digitale e fornisce disegni e progetti di suoi obiettivi a dei marchi già affermati di fotografia digitale (come la serie Lumix di Panasonic) che poi provvedono in proprio alla produzione delle stesse.
Fu creata un’alleanza strategica con Fujifilm. Da questa alleanza venne alla luce nel 1998 la prima Digilux. Il prodotto era totalmente OEM con corpo esteticamente originale e prezzo non soddisfacente. La serie Laica comprendeva modelli Fuji, designati Leica Digilux, Leica Digilux Zoom e Leica Digilux 4.3. L’alleanza fu l’inizio di Leica nel mondo delle digitali compatte.
Cooperazione con Panasonic (dal 2002)
Leica Digilux 2 con DC Vario-Summicron 1:2.0–2.4/7–22.5Leica Digilux 3 con flash e zoom 14–50mmLeica D-Lux 6
Leica con Matsushita/Panasonic trova un nuovo partner. Le videocamere digitali e le macchine fotografiche digitali Panasonic vengono fornite con lenti Leica. Leica nella cooperazione ha nel catalogo le serie Digilux, C-Lux, D-Lux e V-Lux.
Digilux (dal 2002)
All’inizio del 2002 nasce la Leica Digilux 1. Da questo modello (Design: Achim Heine) lo stile Leica è ancora più visibile.
Nel maggio 2004 viene presentata la Digilux 2. Questo modello segna miglioramenti nella logica di funzionamento. Il design è simile alla storica Leica M. L’obiettivo della Digilux 2 si posiziona ai vertici della categoria delle digitali compatte dell’epoca. La fotocamera viene prodotta fino al 2006.
Nel settembre 2006 al Photokina di Colonia viene presentata la Lumix DMC L 1 che a marchio Leica Digilux 3. È una fotocamera digitale SLR di Leica, con attacco per cambio ottica. Lo standard è Quattro Terzi, ma anche Sigma-, Panasonic- e Olympus con quattro terzi a baionetta. Con un adattatore è possibile montare i „vecchi“ R-Objektive – solamente con diaframma di lavoro. Al Photokina 2008 la Digilux 3 non fu più presente.
C-Lux (dal 2006)
Nel 2006 Leica presenta la serie ultracompatta C-Lux, sorella del modello Panasonic. Nel 2007 nasce la C-Lux 2 e presto nel 2008 la C-Lux 3, basate sul modello Panasonic Lumix DMC-FX37.
D-Lux (dal 2003)
Nel 2003 viene messa in commercio la compatta Leica D-Lux, un modello ristilizzato Leica della Panasonic DMC-F1. Nel 2008 viene alla luce la D-Lux 4, su base Panasonic Lumix DMC-LX3. Nel 2010 viene sostituita dalla D-Lux 5, su base Panasonic Lumix DMC-LX5.[5] Nel 2012 viene presentata al Photokina la D-Lux 6 e al Photokina 2014 la D-Lux (Typ 109).
Nel 2018 viene presentata la D-Lux 7.
V-Lux (dal 2007)
Nel 2007 esce la Leica V-Lux 1, basata sulla Panasonic Lumix DMC-FZ50. Fotocamera bridge con ottica 12-fach-Zoom Leica DC Vario-Elmarit con lunghezza focale f=7,4–88,8 mm (35–420 mm ASPH), presente anche sulla Lumix FZ30. Nel 2010 nasce la V-Lux 20, basata sulla macchina Panasonic Lumix DMC-TZ7. Come obiettivo un Leica DC-Vario-Elmarit 1:3,3–4,9/ 4,1–49,2 mm ASPH. (25–300 mm). Nel settembre 2010 il modello V-Lux 2 sostituisce la V-Lux 1, su base Panasonic Lumix DMC-FZ100. Il sensore montato è un 14.1 MP CMOS e l’obiettivo Leica DC Vario-Elmarit 2,8–5,2 / 4,5–108 mm ASPH. (25–600 mm).[6] Come risoluzione la V-Lux 2 può arrivare a 11 fotogrammi al secondo (fps) e con risoluzione ridotta (2,8 MP) a 60 fps.
Nel 2012 viene presentata la Leica V-Lux 3 sorella della Panasonic Lumix DMC-FZ150. L’ottica è Leica DC-Vario-Elmarit 1:2,8-5,2/ 4,5-108 (24-fach-Zoom). La risoluzione migliorata rispetto alla V-Lux-2, grazie al sensore da 12 Megapixel. La banda di passaggio per i dati sale (28 Mbps a 1080 p) le nuove schede di memoria classe 10 sono utilizzabili. Colori e nitidezza sono molto buone in luce ambiente durante le registrazioni video con la Leica V-Lux 3. Nell’autunno 2012 al Photokina viene presentata la V-Lux 4, con luminosità 2,8 su tutta la lunghezza focale disponibile.[7]
CASTELNUOVO DI FARFA – Palazzo Eredi Salustri Galli
Franco Leggeri Fotoreportage -Castelnuovo di Farfa -Il Palazzo (Edificio del XVI secolo) ora appertine alla famiglia Salustri Galli da quando verso la metà del 1800 Angelo Galli lo acquisto. Il palazzo era proprietà della famiglia dei Marchesi Simonetti che per diversi secoli amministrò le terre di proprietà dell’abbazia benedettina di Farfa, comprese tra il torrente Farfa, il Fabaris di Ovidio, e il piccolo Riana.L’edificio si compone di nuclei edilizi diversi, edificati probabilmente a partire dal XVI secolo, ma l’intervento più consistente è databile alla metà del ‘700. In quegli anni, inoltre, furono decorati gli ambienti interni con affreschi di grande pregio artistico. Tra le numerose decorazioni compaiono, oltre a vedute dei palazzi di famiglia, anche eleganti ritratti di aristocratici, carrozze paludate, popolani e passanti ritratti con vivace naturalezza; nelle sopra porte, sicuramente sono da ammirare si trovano i così detti “capricci”, una combinazione di elementi architettonici o naturali non presenti nella realtà, composta in modo del tutto immaginario. Bellissimi sono anche i giardini all’italiana all’interno della proprietà.
CASTELNUOVO DI FARFA – Palazzo Eredi Salustri GalliCASTELNUOVO DI FARFA – Palazzo Eredi Salustri GalliCASTELNUOVO DI FARFA – Palazzo Eredi Salustri GalliCASTELNUOVO DI FARFA – Palazzo Eredi Salustri GalliCASTELNUOVO DI FARFA – Palazzo Eredi Salustri GalliCASTELNUOVO DI FARFA – Palazzo Eredi Salustri GalliCASTELNUOVO DI FARFA – Palazzo Eredi Salustri GalliCASTELNUOVO DI FARFA – Palazzo Eredi Salustri Galli
CASTELNUOVO DI FARFA – Palazzo Eredi Salustri GalliCASTELNUOVO DI FARFA – Palazzo Eredi Salustri GalliCASTELNUOVO DI FARFA – Palazzo Eredi Salustri GalliCASTELNUOVO DI FARFA – Palazzo Eredi Salustri GalliCASTELNUOVO DI FARFA – Palazzo Eredi Salustri GalliCASTELNUOVO DI FARFA – Palazzo Eredi Salustri GalliCASTELNUOVO DI FARFA – Palazzo Eredi Salustri GalliCASTELNUOVO DI FARFA – Palazzo Eredi Salustri GalliCASTELNUOVO DI FARFA – Palazzo Eredi Salustri GalliCASTELNUOVO DI FARFA – Palazzo Eredi Salustri GalliCASTELNUOVO DI FARFA – Palazzo Eredi Salustri GalliCASTELNUOVO DI FARFA – Palazzo Eredi Salustri GalliCASTELNUOVO DI FARFA – Palazzo Eredi Salustri GalliCASTELNUOVO DI FARFA – Palazzo Eredi Salustri GalliCASTELNUOVO DI FARFA – Palazzo Eredi Salustri GalliCASTELNUOVO DI FARFA – Palazzo Eredi Salustri GalliCASTELNUOVO DI FARFA – Palazzo Eredi Salustri Galli
-Roma, MunicipioXIII: il Castello della Porcareccia-
Roma, Municipio XIII -Franco Leggeri Fotoreportage- : il Castello della Porcareccia – Quartiere Casalotti. Fuori dal traffico della Via Boccea, in una discontinuità edilizia, c’è il Castello della Porcareccia, noto anche con il nome “Castello aureo”, che domina il suo borgo medievale. Il fortilizio, in posizione strategica, è costruito su di uno sperone roccioso. Anticamente vi era una torre di avvistamento, ora scomparsa. Il Castello nel corso dei secoli è stato, più volte, rimaneggiato e, rispetto alla costruzione originale, ora si vedono modifiche strutturali evidenti. Il toponimo deriva da “Porcaritia”.
Il Castello della Porcareccia-cortile interno
Nel passato questa era una località al centro di boschi di querce e, quindi , luogo più che mai adatto all’allevamento dei maiali. Il primo documento che parla del Castello è una lapide del 1002, che si trova nella Chiesa di Santa Lucia delle Quattro Porte ,dove si legge che un prete “romanus” dona la tenuta della Porcareccia ai canonici di Monte Brianzo. Nel 1192 Papa Celestino III dà la cura del fondo ai canonici di Via delle Botteghe Oscure. Il Papa Innocenzo III affidò una parte della tenuta all’Ordine Ospedaliero di Santo Spirito. La tenuta passò, dopo la crisi fondiaria del 1527, ai principi Massimo e nel 1700 ai Principi Borghese, quindi ai Salviati e ai principi Lancellotti, ora la proprietà del Castello è della Famiglia Giovenale che lo possiede dal 1932.
Il Castello della Porcareccia
Il portale d’ingresso è imponente e su di esso vi è lo stemma di Sisto IV. Prima di accedere al cortile interno, nel “tunnel”, in alto, si notano dei fori passanti sedi di una grata metallica che, alla bisogna, era calata per impedire assalti e irruzioni di nemici . Nel giardino interno del Castello vi è, in bella mostra, una stele commemorativa di un funzionario imperiale delle strade di Roma . La stele probabilmente era riversa in terra perché presenta evidenti segni di ruote di carro. Vicino vi è una lapide funeraria con incisi dei pavoni, antico simbolo di morte. Sono visibili altri reperti di epoca romana, come frammenti di capitelli e spezzoni di colonne. In bella mostra, montata alla rovescia, vi è una vecchia macina a mano per il grano, una simile è nel cortile della chiesa di Santa Maria di Galeria. Nel piazzale interno c’è la chiesetta di Santa Maria la cui costruzione risale al 1693.
Il Castello della Porcareccia
Ciò che colpisce nella chiesa è la bellezza dell’Altare realizzato in legno intagliato, come dice uno dei proprietari, il Sig. Pietro Giovenale:”l’Altare è stato costruito dai prigionieri austriaci della Grande Guerra che qui erano stati internati”. Nel 1909, giusto un secolo fa, in questa chiesa celebrava la Messa il giovane prete Don Angelo Roncalli, il futuro Papa Buono, Giovanni XXIII il quale veniva in questi luoghi per goderne la bellezze naturali e gustare ”la buona ricotta” della via Boccea che Gli veniva offerta dai pastori ; a ricordo di questa visite, all’interno della chiesa, per desiderio della Famiglia Giovenale, il Vescovo della Diocesi di Porto e Santa Rufina, Mons. Gino Reali, nel 2004 inaugurò una lapide. La tenuta della Porcareccia fu anche antesignana della “guerra delle quote latte”; Ci narra la storia che nel periodo di carestia si diede il massimo sviluppo all’allevamento dei suini per sfamare la popolazione di Roma, come si legge in una bolla di Papa Urbano V nel 1362 che decretava “libertà di pascolo ai suini in qualsiasi terreno e proprietà…”. Per segnalare la presenza degli animali furono messi dei campanelli alle loro orecchie e chiunque ne impediva il pascolo incorreva in pene severissime.
Articolo e Fotoreportage di Franco Leggeri
N.B. Le foto originali sono di Franco Leggeri- Fonte articolo: Autori Vari- Si Evidenzia e voglio ricordare che gli Alunni di Casalotti hanno realizzato un pregevole lavoro sulle origini e la Storia del Castello. L’Intervista con il Sig. Giovenale è di Franco Leggeri- Si chiarisce che l’articolo è solo una piccola sintesi ricavata da un lavoro molto più esaustivo e completo relativo al Medioevo e i sistemi difensivi della Campagna Romana – TORRI SARACENE-TORRI DI SEGNALAZIONI – Monografia e ricerca storica i biblioteca di Franco Leggeri pubblicazione a cura dell’Associazione DEA SABINA.
Il Castello della PorcarecciaIl Castello della PorcarecciaIl Castello della Porcareccia
Découvrez au Musée Jacquemart-André des trésors de la Galleria Borghese de Rome-
Alla Galleria Borghese di Roma-Du 6 septembre 2024 au 5 janvier 2025, pour son exposition de réouverture après plus d’un an de travaux entrepris sous la conduite de l’Institut de France, le Musée Jacquemart-André présente au public une quarantaine de chefs-d’œuvre de la célèbre Galleria Borghese de Rome.
Galleria Borghese
Ce partenariat exceptionnel entre les deux institutions offre une occasion unique d’admirer à Paris un ensemble d’œuvres majeures d’artistes célèbres de la Renaissance et de la période baroque rarement prêtées à l’étranger,du Caravage à Botticelli, en passant par Raphaël, Titien, ou encore Véronèse, Antonello da Messina et Bernin… Cette exposition star de la rentrée rendra aussi hommage à des peintres moins connus du grand public, tels qu’Annibal Carrache, Guido Reni, Le Cavalier d’Arpin, Jacopo Bassano et à des peintres nordiques ayant séjourné en Italie (Rubens, Gerrit von Honthorst…).
La présentation des œuvres dans une scénographie audacieuse d’Hubert Le Gall éclaire à la fois l’histoire de la collection et le sens des grandes thématiques explorées par les artistes.
Galleria Borghese de Rome
Scipion Caffarelli-Borghese (1577-1633), neveu du pape Paul V, est en effet entré dans l’Histoire comme l’exemple du grand collectionneur et mécène. Il est issu d’une noble famille d’origine siennoise installée à Rome au XVIe siècle. La Villa Borghese Pinciana sort de terre au XVIIe siècle. Le puissant homme d’Église italien a voulu faire construire un palais à la romaine, entouré de jardins. Un cadre luxueux pour mettre en valeur tableaux et sculptures qui composaient sa collection. Par ses goûts, sa curiosité et son éducation, Scipion Borghèse a pu rassembler quelques-uns des plus beaux chefs-d’œuvre des artistes de son temps. La Villa (devenue aujourd’hui Galerie) était un vrai temple de l’art, et symbole de la puissance économique et culturelle de l’Italie.
L’exposition sera accompagnée d’un catalogue, ouvrage de référence en langue française sur la collection de peintures de la Galerie Borghèse.
Commissaires de l’exposition :
-Francesca Cappelletti, directrice de la Galleria Borghese à Rome, spécialiste du baroque italien.
-Pierre Curie, conservateur du musée Jacquemart-André depuis janvier 2016 et co-commissaire de toutes ses expositions.
VISITES GUIDÉES ALTRITALIANI
Altritaliani se réjouit de pouvoir vous proposer deux dates de visites guidées par Barbara Musetti, docteur en histoire de l’art, pour découvrir ces chefs-d’œuvre de la Collection Borghese à Paris. Visites-conférences en langue italienne ouvertes à tous et toutes sur inscription (15 personnes maximum). Durée 1h15.
DATES :
mardi 24 septembre à 15h45 – rendez-vous sur place à 15h30
ou mardi 15 octobre à 16h30 – rendez-vous sur place à 16h15
Prix unique: 34€ à régler par chèque à Altritaliani à l’inscription (billet d’entrée, audiophones et conférence). Pas de réductions possibles pour les participants à une visite de groupe selon les nouvelles directives reçues du musée…
Michèle Gesbert est née à Genève. Après des études de langues et secrétariat de direction elle s’installe à Paris dans les années ’70 et travaille à l’Ambassade de Suisse (culture, presse et communication). Suit une expérience associative auprès d’enfants en difficulté de langage et parole. Plus tard elle attrape le virus de l’Italie, sa langue et sa/ses culture(s). Contrairement au covid c’est un virus bienfaisant qu’elle souhaite partager et transmettre. Membre-fondatrice et présidente d’Altritaliani depuis 2009. Coordinatrice et animatrice du site.
Mantova- Mostre | Poesia e salvezza. Picasso a Palazzo Te-
MANTOVA – Dal 5 settembre 2024 al 6 gennaio 2025, Palazzo Te a Mantova ospiterà Picasso a Palazzo Te. Poesia e Salvezza. Curata da Annie Cohen-Solal in collaborazione con Johan Popelard, la mostra rappresenta il fulcro del programma culturale 2024, dedicato al tema della Metamorfosi. Prodotta dalla Fondazione Palazzo Te, in collaborazione con il Musée national Picasso-Paris e la famiglia dell’artista, questa esposizione offre un dialogo affascinante tra Picasso e la tradizione mitologica di Giulio Romano.
All’interno della mostra, saranno esposte circa 50 opere di Picasso, alcune delle quali mai viste prima in Italia. Tra i lavori più importanti vi sono le incisioni dedicate alle Metamorfosi di Ovidio, realizzate nel 1930. Questi capolavori sono una riflessione visiva sulle leggende mitologiche e sulla connessione di Picasso con il Rinascimento.
Mantova-Mostre Picasso a Palazzo Te.
L’artista e la poesia come salvezza
Picasso, arrivato in Francia nel 1900, fu per lungo tempo uno straniero marginalizzato. Considerato un anarchico e avanguardista, trovò nella poesia un mezzo per superare la sua condizione di esclusione. La poesia non solo permise a Picasso di esprimere la sua visione creativa, ma fu anche un rifugio personale che lo aiutò a navigare tra le tensioni della società francese. Annie Cohen-Solal, curatrice della mostra e autrice del libro “Picasso. Una vita da straniero”, sottolinea come la poesia sia stata per Picasso una via di salvezza nelle fasi più difficili della sua vita.
Le sezioni della mostra
Pablo, Giulio e Ovidio: La prima sezione della mostra esplora il dialogo tra le incisioni di Picasso e le Metamorfosi di Ovidio. Sarà esposto un vaso etrusco, mai visto prima, che riflette sulla trasformazione e sul viaggio dell’anima, in dialogo con i disegni di Picasso che narrano la caduta di Fetonte, l’amore di Giove e Semele e altre storie mitologiche.
Picasso straniero a Parigi… accolto dai poeti: La seconda sezione presenta il legame di Picasso con il mondo dei poeti parigini del primo Novecento. L’artista, attraverso figure come Guillaume Apollinaire e Max Jacob, trovò un nucleo intellettuale che lo accolse e lo sostenne. Il periodo della Prima guerra mondiale rappresentò un momento di grande crisi per l’artista, che riuscì però a trovare nuovi stimoli grazie all’incontro con il poeta Jean Cocteau.
Quando Picasso diventa Poeta: la Salvezza: La terza sezione esplora come la poesia sia diventata un elemento centrale per Picasso, aiutandolo a superare una crisi personale e professionale nel 1935. Le opere come Donna sdraiata che legge (1939) e Sta nevicando al sole (1934) mostrano l’influenza della poesia nella sua arte.
La metamorfosi vissuta come strategia: La quarta sezione analizza il tema della metamorfosi, presente in opere di grande intensità visiva. Tra queste, una serie di lavori mai esposti prima in Italia, che mettono in evidenza il rapporto di Picasso con il suo alter ego Minotauro.
Info mostra
La mostra è promossa dal Comune di Mantova e organizzata da Palazzo Te in collaborazione con il Musée national Picasso-Paris. Un appuntamento che permette di scoprire un Picasso inedito, lontano dagli stereotipi, in dialogo con la tradizione classica e poetica.
Con l’acquisto del biglietto, i visitatori potranno accedere anche alla mostra parallela di Palazzo Reale a Milano: Picasso lo straniero, in programma dal 20 settembre 2024 al 2 febbraio 2025.
Latina-Spazio COMEL Arte Contemporanea –Personale di Giancarlo De Petris-
Latina-Torna l’arte pontina allo Spazio COMEL, che riprende le sue attività dopo la pausa estiva con la personale “Taccuini di Viaggio” di Giancarlo De Petris.
Campo di Santa Maria Nova II De Petris
In un’epoca precedente ai telefoni cellulari, i viaggiatori erano soliti prendere appunti e disegnare ciò che colpiva la loro sensibilità, la loro curiosità, proprio nel momento in cui vivevano queste esperienze. Ed è proprio lo schizzo dal vero, la pittura en plein air che caratterizza il percorso di Giancarlo De Petris che, matite, penne e carta alla mano, racconta i suoi viaggi, le sue esperienze, le sue impressioni sul mondo che lo circonda.
taccuini di viaggio de petris spazio com
“Taccuini di Viaggio” è una mostra antologica, a cura di Francesca Piovan, che permette di scoprire il percorso non solo fisico, ma anche interiore di un artista che ha fatto dell’acquerello, della china e del disegno dal vivo un suo tratto distintivo. Grazie alle opere in esposizione potremo visitare i luoghi più belli della nostra provincia e diverse località italiane e straniere che l’artista ha visitato e impresso su carta, il tutto filtrato dal suo sguardo e dal suo sentire.
La mostra sarà inaugurata sabato 14 settembre alle ore 18.00 e sarà aperta al pubblico tutti i giorni dalle 17 alle 20 fino al 29 settembre.
taccuini di viaggio de petris spazio com
Cenni biografici: Giancarlo De Petris (Latina 1970) è grafico e disegnatore, ha iniziato la sua attività artistica come incisore pirografo, è stato allievo del maestro Stefan Cezar Badau. Ha sempre amato disegnare en plein air durante i suoi numerosi viaggi. Questa passione è stata alimentata dopo aver aderito nel 2010 al movimento dello Sketchcrawl Internazionale con il gruppo degli sketchers di Roma e Latina. Ha esposto in varie città italiane tra cui Firenze, Venezia, Siena, Messina e all’estero in Francia e Germania. Le sue opere sono raccolte in diverse pubblicazioni, tra le più recenti: “Il Gatto innamorato dei ponti di Venezia” Ed. El Squero, 2022; “Rome dans un carnet” Autoedito, 2023; “Les Carnets des Iles Pontines.” Autoedito, 2024.
Piazza San Simeone IX De Petris
INFO:Taccuini di Viaggio
Personale di Giancarlo De Petris
Evento promosso da Maria Gabriella e Adriano Mazzola
A cura di Francesca Piovan
Dal 14 al 29 settembre 2024
Tutti i giorni dalle 17.00 alle 20.00
Spazio COMEL Arte Contemporanea, Via Neghelli 68 – Latina
È stato su una spiaggia di Malibu, nel 1988, che Peter Lindbergh ha scattato la serie White Shirts, ora nota in tutto il mondo. Semplici eppure fondamentali, quelle fotografie ci hanno fatto scoprire Linda Evangelista, Christy Turlington, Rachel Williams, Karen Alexander, Tatjana Patitz ed Estelle Lefébure segnando l’inizio di un’epoca che ha ridefinito il concetto di bellezza, mentre Lindbergh sarebbe passato a modificare la scena della fotografia di moda nei decenni successivi.
Peter Lindbergh. On Fashion Photography
Questa edizione, che riunisce più di 300 immagini scattate da Lindbergh in 40 anni di carriera, illustra le inflessioni cinematografiche e l’approccio umanista del fotografo tedesco, che ha realizzato immagini al contempo seducenti e introspettive.
Peter Lindbergh. On Fashion Photography
Nel 1980, Rei Kawakubo chiese a Lindbergh di realizzare gli scatti per una campagna di Commes des Garçons, una delle sue prime sortite nella fotografia pubblicitaria. Kawakubo gli diede carta bianca. Negli anni a venire seguirono collaborazioni con i nomi più venerati della moda, che sfociarono in rapporti di grande stima reciproca: nei suoi ritratti, il rispetto di Lindbergh per alcuni dei più grandi stilisti del nostro tempo è evidente. Tra gli altri, Lindbergh ha fotografato Azzedine Alaïa, Giorgio Armani, Alber Elbaz, John Galliano, Jean Paul Gaultier, Karl Lagerfeld, Thierry Mugler, Yves Saint Laurent, Jil Sander e Yohji Yamamoto.
Peter Lindbergh. On Fashion Photography
Da molti considerato un pioniere nel suo campo, Lindbergh si è sottratto agli standard di bellezza dell’industria, celebrando invece l’essenza e la personalità dei suoi soggetti. Il suo contributo è stato inoltre fondamentale per l’ascesa di modelle come Kate Moss, Naomi Campbell, Linda Evangelista, Cindy Crawford, Mariacarla Boscono, Lara Stone, Claudia Schiffer, Amber Valletta, Nadja Auermann e Kristen McMenamy.
Peter Lindbergh. On Fashion Photography
Ma il campo d’azione di Lindbergh si è esteso anche fino a Hollywood e oltre: ad apparire nei suoi scatti sono, tra gli altri, Cate Blanchett, Charlotte Rampling, Richard Gere, Isabelle Huppert, Nicole Kidman, Madonna, Brad Pitt, Catherine Deneuve e Jeanne Moreau. Dalla foto scelta da Anna Wintour per la copertina del suo primo numero di Vogue allo scatto leggendario di Tina Turner sulla Torre Eiffel, nelle fotografie di Lindbergh il centro della scena non sono mai gli abiti, la celebrità o il glamour. Ogni immagine comunica l’umanità del suo soggetto con una malinconia serena che è il tratto unico e inconfondibile di Lindbergh.
Peter Lindbergh. On Fashion Photography
Fin dall’inizio della sua carriera, Lindbergh ha avuto successo nel mondo dell’arte contemporanea, e le sue fotografie sono state esposte nelle gallerie molto prima di apparire sulle riviste. Questa edizione contiene un’introduzione aggiornata, ricavata da un’intervista del 2016, che permette di sbirciare dietro l’obiettivo di Lindbergh e nella quale il fotografo racconta delle sue prime collaborazioni, del sottile rapporto tra arte e pubblicità e del potere della narrazione.
Peter Lindbergh. On Fashion Photography
TASCHEN ha 40 anni! Da quando nel 1980 ha iniziato la sua attività come archeologo culturale, TASCHEN è sinonimo di pubblicazioni accessibili a tutti, grazie alle quali bibliofili appassionati di tutto il mondo possono crearsi la propria biblioteca di testi d’arte, antropologia ed erotismo a prezzi imbattibili. Oggi celebriamo 40 anni di libri incredibili mantenendoci fedeli al credo aziendale. La serie 40 presenta nuove edizioni di alcuni dei best-seller del nostro catalogo: in un formato più compatto, a prezzi ridotti ma realizzate come sempre con la garanzia di una qualità impeccabile.
Il Castello di Boccea- Articolo e Fotoreportage di Franco Leggeri-Il Castello sorge sul “fundus Bucciea” che domina la valle del fiume Arrone e il fondo denominato anticamente “Ad Nimphas Catabasi”, sito al decimo miglio dell’antica via Cornelia,(domina il ristorante i SALICI sito sulla via Boccea).
Castello di Boccea
Si accede da una via sterrata all’interno della campagna e, come d’incanto, si vedono i resti del vecchio castello, luogo dove albergano le fiabe e ciò che rimane di una architettura delle allucinazioni per chi ha voglia di emozioni, le grandi emozioni, con un percorso iniziatico alla fantasia. Della vecchia costruzione , oltre ai cunicoli e gallerie, è visibile il Torrione, costruito in pietra selce e mattoni con rinforzi di possenti barbacani, necessari per contenere ed arginare il progressivo cedimento del banco tufaceo che costituisce la base naturale del fabbricato. Il Castello domina i boschi dove, nel 260 d.C. furono martirizzate S.s. Rufina e Seconda, mentre nelle vicinanze, al XIII miglio della stessa via Cornelia, nel 270 d.C. sotto l’Imperatore Claudio il Gotico, subirono il martirio Mario e Marta con i figli Audiface ed Abachum, famiglia nobile di origine persiana, come si legge nel Martirologio Romano”Via Cornelia melario terbio decimo ad urbe Roma in coementerio ad Nimphas, sanctorum Marii, Marthae, Audifacis et Abaci, martyrum”. Le prime tracce cartacee documentali del Castello si trovano nella bolla di Papa Leone IV, conservata negli archivi vaticani,tomo I pag. 16, con la quale si conferma la donazione al monastero di San Martino del “fundus Buccia” e delle chiese dei Santi Martiri Mario e Marta. Il Papa Adriano IV nel 1158 confermò alla basilica vaticana il Castello e i fondi di Atticiano, Colle e Paolo. In un antico atto conservato in Vaticano, al fascicolo 142,si legge che nel 1166 Stefano, Cencio e Pietro, fratelli germani e figli del fu Pietro di Cencio, cedettero a Tebaldo, altro fratello, la loro porzione del Castello di “Buccega”. Sempre dal medesimo archivio si apprende che Giacomo, Oddo, Francesco e Giovanni di Obicione, Senatori di Roma nell’anno 58 ( 1201), stabilivano che la basilica di San Pietro possedesse e godesse tutti i beni e gli abitanti del Castello di Buccia fossero sotto la protezione del Senato. Si stabilì che anche i canonici del Castello usufruissero dei privilegi e consuetudini accordati ai loro vicini, cioè come l’esercitavano nei loro castelli i figli di Stefano Normanno, Guido di Galeria e Giacomo di Tragliata (Vitale, “Storia diplomatica dei Senatori di Roma”, pag. 74 ). Da una bolla di Gregorio IX del 1240 si ha notizia di un incendio che distrusse il Castello e che il Pontefice ordinò di prelevare il denaro necessario alla ricostruzione direttamente dal tesoro della Basilica Vaticana (Bolla vaticana Tomo I, pag.124).In un lodo del 1270,che tratta di una lite di confini della tenuta,si menziona tra i testimoni Carbone,Visconte del Castello di Boccea. Il Castello subì nel 1341 l’attacco di Giacomo de’ Savelli, figlio di Pandolfo che, dopo averlo preso, scacciò gli abitanti e lo incendiò. Papa Benedetto XII, che era ad Avignone, scrisse al Rettore del patrimonio di San Pietro di”costringere quel prepotente a risarcire il danno”. Dopo il saccheggio da parte del Savelli il luogo rimase deserto secondo il Nibby mentre il Tomassetti, nella sua opera (pag.153) ci descrive il castello e la tenuta ancora abitato da una popolazione di 600 anime, cifra ricavata dalle quote sulla tassa del sale dell’anno 1480/81, durante il papato di Sisto IV. Della trasformazione da Castello a Casale di Boccea, moderna denominazione, si trova traccia nel Catasto Alessandrino del 1661,dove la costruzione viene indicata come “Casale con Torre”. Va ricordato che da 20 ettari di uliveto di Boccea si produceva l’olio destinato ai lumi della Basilica Vaticana, come si può desumere dalla cartografia seicentesca di G.B.Cingolani dove si legge”seguita a destra il procoio pure detto delle Vacche Rosse del Venerabile Capitolo di San Pietro, chiamato Buccea, olium Buxetum”. Attualmente il Casale di Boccea è in ristrutturazione con destinazione turistico-alberghiera, con un grande ristorante nel quale troneggia un imponente camino seicentesco in pietra. Altre tracce del passato sono i vari stemmi papali inseriti nei muri ed un frantoio manuale di recente ritrovamento, del tutto simile a quelli del Castello della Porcareccia e di Santa Maria di Galeria.
– articolo e foto di FRANCO LEGGERI
Castello di BocceaCastello di BocceaCastello di BocceaCastello di BocceaCastello di BocceaCastello di BocceaCastello di BocceaCastello di BocceaCastello di Boccea
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