Andrea Pennacchi-Se la rosa non avesse il suo nome-
-Marsilio Editori-
Andrea Pennacchi- Attore italiano
Descrizione del libro di Andrea Pennacchi–William Shakespeare, lasciati momentaneamente moglie e figli nell’amata Inghilterra, è in missione per conto della Corona. La missione è segreta, segretissima, e lui, che non sa ancora di essere poeta, sbarca nelle terre della Serenissima e si stabilisce a Padova, dove c’è un inglese da trovare e riportare in patria. Padova è il centro della Repubblica di Venezia e della vita intellettuale, politica e mondana, affollata di preti, nobili, mezzane, medici, maghi o sedicenti tali, studenti, teste calde, uomini d’arme e uomini che hanno abbandonato le armi. Ed è uno di questi, un ex soldato, un ossimoro d’uomo, corpulento e agile, Vincenzo Saviolo, ad accogliere e scortare, con bastone da passeggio e modi lesti, il nostro Sir William nella sua missione segreta, segretissima. Tutto procederebbe di cappa e spada come ci si aspetta se il giovane inglese non si trovasse in mezzo a una disputa di potere e d’amore, quella tra i Montecchi e i Capuleti. Romeo e Giulietta si piacciono ma le loro famiglie tutto vorrebbero tranne che un matrimonio. Amor vincit omnia, dicono i latini, ma quello che tacciono è che non vince subito e non vince da solo. Così, quando William Shakespeare viene accusato dell’omicidio di Tebaldo, cugino di Giulietta, la sua missione segreta segretissima passa in secondo piano, perché per prima cosa bisogna scappare. Nel gruppo che fugge insieme all’inglese ci sono Saviolo, una balia, uno studente di medicina che nasconde un segreto, e altri due giovani, e ci sono pure Romeo e, a un certo punto, un frate che coi e suoi intrugli di mandragora e altre piante può far risorgere i morti. Se non fosse che la resurrezione, quando non è opera di Dio, è opera del demonio. In una sarabanda di capi comici e ostesse, dogi e bravi, Andrea Pennacchi, attore e studioso di Shakespeare, ci porta per mano, e di corsa – scappare! scappare! –, nella prima indagine del Bardo, vittima e risolutore di quella vicenda d’amore, morte e balconi che conosciamo come Romeo e Giulietta. Un esordio nel giallo folgorante.
Andrea Pennacchi- Attore italiano
L’Autore- Andrea Pennacchi- Attore italiano (n. Padova 1969). Laureato in Lingue e letterature straniere moderne all’università di Padova, ha iniziato la sua carriera al Teatro Popolari di Ricerca – Centro Universitario Teatrale di Padova ed è stato assistente di G. Dall’Aglio. Per il teatro, sua principale passione, nel 2011 ha scritto e interpretato lo spettacolo Eroi, a cui hanno fatto seguito tra l’altro: Villain People (2013), Trincee: risveglio di primavera (2015), Mio padre: appunti sulla guerra civile (2020). Sempre nel 2011 è arrivata la notorietà sul grande schermo con Io sono Li (2011). Altri film interpretati da ricordare sono: La sedia della felicità (2013), Suburra (2015), Il colore nascosto delle cose (2017), Arrivano i prof (2018), Resina (2018), L’uomo senza gravità (2019), Paradise – Una nuova vita (2020), L’incredibile storia dell’Isola delle Rose (2020), . P. ha anche recitato per il piccolo schermo: L’Oriana (2015), Non Uccidere (2017-18), La vita promessa (2018), 1994 (2019), Petra (2020), Le mie ragazze di carta (2023). Dal 2018 è ospite fisso del programma televisivo Propaganda Live, con il suo celebre personaggio il “Poiana”.
Fonte Biografia- Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani –
Roma- Torna al Teatrosophia la commedia di Ilenia Costanza :“ È Semplice”-
Roma-Dal 27 novembre al 1dicembre torna a Teatrosophia, a Roma in via della Vetrina 7 (Piazza Navona), la commedia di Ilenia Costanza, che ne firma anche la regia, dal titolo È Semplice.
In scena la stessa regista, con Marta Iacopini, attrice e conduttrice televisiva nota al grande pubblico per il suo Ciao Ciao ed incantevole interprete di fiction e cinema, e Lorena Vetro, acclamata Cantastorie dalla voce portentosa, che cura anche le musiche dello spettacolo.
La commedia, prodotta da I Vetri Blu, Teatrosophia e La Parabola, racconta il casuale incontro di tre esistenze; tre donne adulte, molto diverse tra loro, che non vivono la vita che avrebbero pianificato, poiché ciascuna in qualche maniera è stata interrotta.
Emma ha lasciato la sua vita londinese e il suo lavoro nella City per rimettere in piedi il vecchio night club romano dei suoi genitori e a cinquant’anni suonati si ritrova in un mondo che ormai non le appartiene più, per prendersi cura di Andrea, sua sorella, quarantenne, autistica, quasi estranea, e probabilmente delusa da quella sorella maggiore che si vergognava di lei.
Alice invece i cinquanta li ha anche superati; è un’attrice talentuosa, una donna più o meno risolta, sagace e briosa, con un passato simile a quello di tante donne, che si ridisegnano ogni giorno, in una società in cui è vietato invecchiare. Un’artista che ha bisogno di “cambiare aria” e cerca lavoro nella capitale, lasciando una Milano che ormai la soffoca.
Ma un acquazzone autunnale scompiglia le loro labili certezze e ne incasina le priorità.
Sarà Andrea, seppur nel suo – a tratti assordante – silenzio, a guidare la storia attraverso le sue emozioni, i suoi occhi e la sua musica; quella musica in cui ha trovato rifugio dopo la morte dei genitori, musicisti anche loro.
Sarà lei a riscoprire (o scoprire) l’amore per la sorella e perfino a conquistarne l’affetto.
Ed è lei, Andrea, a scandire il tic tac del cuore del pubblico, che in lei si immedesima fino a vivere i suoi abissi e intenerirsi per i suoi sorrisi.
Una commedia dolce, una storia normale che pone delicatamente l’attenzione su aspetti sociali scomodi: dalla menopausa alla maternità, dalla crisi di mezz’età al calo della libido, dalle mal celate discriminazioni di genere, all’aspettativa di vita degli adulti con disabilità.
Un racconto che diverte e commuove, esplorando a bassa voce e con ironia l’umana difficoltà di accogliersi e di comprendere che non esiste ormai né mai, perché l’amore è amore. Ed è semplice.
Dopo lo spettacolo, il consueto aperitivo offerto da Teatrosophia
Informazioni, orari e prezzi
Info:
È SEMPLICE – Scritta e diretta da Ilenia Costanza
Con: Marta Iacopini, Ilenia Costanza e Lorena Vetro
disegno luci Gloria Mancuso
selezione musicale e composizione Lorena Vetro
assistente regia Gennaro Russo
datore luci Sabrina Fasanella
scene e costumi Enzo Piscopo
scenotecnico Antonio Miccichè
Produzione I Vetri Blu e Teatrosophia, La Parabola
Descrizione dl libro di Tanguy Viel- Iceberg –La letteratura, nelle mani degli sciocchi, è intollerabile. La letteratura, tuttavia, ha sempre contato tra le sue fila una parte di miserabili, che prendono in mano la penna solo perché si trovano interessanti. Del resto, come diceva Goethe, «ci sono libri che sembrano scritti non per l’istruzione del lettore, ma per fargli vedere che l’autore sapeva qualcosa». Ed è così che, anno dopo anno, le librerie vengono invase di opere inconsistenti quanto un refolo d’aria.
Tanguy Viel- Iceberg –
Esiste, tuttavia, un esiguo numero di scrittori che si chiedono cosa voglia dire scrivere, a cosa serva e, soprattutto, a chi. Scrittori che non si sentono, a differenza di altri, autorizzati a scrivere. O per cui la scrittura rimane, al di là di tutto, un’attività poetica, un’opera di invenzione e di ricerca con successo irregolare. Attraverso una serie di illuminanti digressioni sulla scrittura e sulla lettura, Tanguy Viel passeggia tra gli scaffali delle biblioteche, si interroga sulla vita degli scrittori e scorge, in ogni pagina letta, la promessa di una risposta alla ricerca che sta svolgendo. Ad accompagnarlo in questo viaggio subacqueo – poiché nei libri veri c’è sempre qualcosa di marino – alcune tra le più
Tanguy Viel
Breve biografia di Tanguy Viel è nato nel 1973 a Brest e vive a Nantes.Ha collaborato con France Culture, ha scritto per numerose riviste. I suoi libri sono: Le Black Note, Cinéma, L’assoluta perfezione del crimine (Neri Pozza 2004), Insospettabile (Neri Pozza 2006, BEAT 2017), Paris Brest (Neri Pozza 2010).
La storia della casa editrice Neri Pozza
Nel 1938, Neri Pozza e i suoi amici, una piccola brigata di «teste calde» tenuta d’occhio dalla polizia fascista, creano a Vicenza le Edizioni dell’Asino Volante. Le edizioni sorgono per uno scopo preciso: pubblicare il primo libro di poesie di Antonio Barolini, che l’avvocato Ermes Jacchia, un eccentrico editore ebreo costretto alla fuga dalle leggi razziali, non può più dare alle stampe. In questo modo, ereditando, cioè, il compito di un editore ebreo vittima della stupidità e della crudeltà dell’epoca, Neri Pozza scopre la sua vocazione d’editore. Una vocazione che, al di là dei due brevi periodi di prigionia nelle carceri vicentine di San Biagio e San Michele per «sospetta attività antifascista», si esprimerà ininterrottamente, dapprima con le edizioni del Pellicano e infine con la fondazione, nel 1946 a Venezia, della Neri Pozza Editore.
La storia di Neri Pozza: Gli anni 50 e 60
Dalla pubblicazione, nell’anno di fondazione, di Peter Rugg l’errante di William Austin fino all’apparizione della Grande vacanza di Goffredo Parise nel 1953, le edizioni Neri Pozza costituiscono una delle più straordinarie avventure intellettuali del dopoguerra italiano. Con una grafica moderna e la collaborazione dei maggiori poeti e scrittori del tempo (Gadda, Montale, Sbarbaro, Luzi, Cardarelli, Bontempelli), Neri Pozza pubblica titoli spesso indimenticabili: La bufera e altro e Farfalla di Dinard di Eugenio Montale, Il primo libro delle favole di Carlo Emilio Gadda, In quel preciso momento di Dino Buzzati, Il ragazzo morto e le comete, il capolavoro di Goffredo Parise scritto quando l’autore non era ancora ventenne. Negli anni Sessanta, Neri Pozza dà vita a una innovativa collana di letteratura americana: «Tradizione americana», diretta da Agostino Lombardo, in cui appaiono autori come Whitman, James, Melville, Thoreau, Emerson, Hawthorne. Saggisti della casa editrice sono Carlo Ludovico Ragghianti, Giorgio Pasquali, Concetto Marchesi, Amedeo Maiuri, Emilio Cecchi, Carlo Diano, figure fondamentali della cultura italiana del tempo.
La storia di Neri Pozza: dagli anni 2000 ad oggi
Nel corso dei decenni Neri Pozza unisce la fedeltà all’impostazione originaria del suo fondatore alla scoperta delle nuove tendenze della narrativa internazionale e nazionale, pubblicando alcuni tra i maggiori bestseller come La ragazza dall’orecchino di perla di Tracy Chevalier, Shantaram di Gregory David Roberts, Annus Mirabilis di Geraldine Brooks, Il Simpatizzante di Viet Thanh Nguyen, Le quattro casalinghe di Tokyo di Natsuo Kirino, I Melrose di Edward St Aubyn, La sesta estinzione del premio Pulitzer Elizabeth Kolbert.
Sotto la direzione di Giuseppe Russo prima, e dal settembre 2023 con l’arrivo di Giovanni Francesio, Neri Pozza ha portato in Italia romanzi di successo come Le sette morti di Evelyn Hardcastle di Stuart Turton, One Day di David Nicholls, ha riscoperto autori come Michael McDowell (di cui la casa editrice, dopo il successo della serie Blackwater, sta traducendo tutte le opere), e poi ancora autori come Abraham Verghese, che con Il patto dell’acqua ha stregato i lettori, e Barbara Kingsolver, che con il suo Demon Copperhead ha vinto il Pulitzer per la narrativa e il Women’s Prize for Fiction nel 2023, arrivando fino a Triste Tigre di Neige Sinno, il libro vincitore del premio Strega Europeo 2024.
Tra i grandi successi della narrativa italiana si annoverano Due vite di Emanuele Trevi, romanzo vincitore del Premio Strega 2021, e autori e autrici come Denise Pardo, Francesca Diotallevi, Giuseppe Berto, Alberto Riva, Roberto Cotroneo, Eugenio Murrali e Paola Barbato, il cui nuovo romanzo è in uscita ad autunno 2024.
Accanto alla produzione di narrativa, Neri Pozza pubblica anche saggistica – dalla opere di Irvin D. Yalom fino a Splendore e viltà di Erik Larson, passando per i recenti successi di Vittorio Zincone (Matteotti dieci vite), Riccardo Chiaberge (La formula della longevità), di Nathan Thrall (Un giorno nella vita di Abed Salama, vincitore del Premio Pulitzer 2024) e la prestigiosa collana La quarta prosa, curata dal professore e filosofo Giorgio Agamben.
Le collane di Neri Pozza
Il programma della casa editrice si articola nelle seguenti collane: I narratori delle tavole, con le voci più originali della letteratura americana ed europea; Neri Pozza Bloom, contenente le ultime tendenze della letteratura nazionale ed internazionale; Le tavole d’oro, portavoce delle narrazioni del nuovo Oriente; Biblioteca Neri Pozza, collana di novità e riscoperte in edizione tascabile; La quarta prosa, collana di saggi e filosofia diretta da Giorgio Agamben; Neri Pozza Beat, un ampio repertorio di romanzi tascabili; Il tempo storico, diretta da Pierluigi Vercesi; I neri di Neri Pozza, sezione dedicata ai gialli con autori dal successo internazionale come Lisa Jewell, Jean-Luc Bannalec, Pierre Martin.
Il Gruppo Athesis
La casa editrice è una società per azioni e fa parte del Gruppo editoriale Athesis, espressione delle Associazioni Industriali di Verona e di Vicenza. Tra le società di Athesis figurano quotidiani (L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi, La Gazzetta di Mantova), concessionarie di pubblicità (PubliAdige), televisioni (TeleArena, Tele Mantova). Neri Pozza editore costituisce la Divisione Libri di questo Gruppo con l’insieme dei suoi marchi: la casa editrice Neri Pozza e Beat, la Biblioteca degli Editori Associati di Tascabili, la casa editrice di paperback.
Federica Ziarelli-Poesie “Tu sei bellezza” (Terre D’Ulivi 2022)
Federica Ziarellinata a Perugia il 25 luglio 1980, ha esordito con il romanzo di formazione “Sono venuto a portare il fuoco” (Porzi editoriali, 2010). Nella primavera del 2016, pubblica “Aspettando l’aurora”una raccolta di poesie e racconti a sfondo mitologico (Midgard edizioni) e nel medesimo anno, la silloge poetica “Gli occhi dei fiori” con la quale si avvale del premio “Midgard poesia.” Nel 2019 è coautrice insieme a Nicoletta Nuzzo e Silvana Sonno, del saggio sulla poetica femminile umbra “Un’oscura capacità di volo” (Era Nuova edizioni) opera vincitrice del Premio internazionale di scrittura al femminile “Il Paese delle donne, 2020.” È del novembre 2019 la raccolta di poesie “In erba” (Terra d’ulivi edizioni).
Appena hai schiuso per me le palpebre del sepolcro
l’oscuro mi è apparso accettabile
tutto ha potuto la tua manina
mia musa consolante
amica del cuore
canticchiavi alle mie orecchie
per tenermi allegra
quando la morte non restituiva i suoi furti
le mie lacrime indurivi in diamanti
me li appoggiavi al mattino
mucchio luce sopra il banco.
*
Non resisto a questa sete di primavera
sarò ubriaca
ancor prima della sera
faccia in giù tra i cespugli di menta
per fortuna a questa stagione piaccio così: disponibile e spettinata
può stiepidirmi la soglia
popolare di pesci rossi il mio ghiaccio cardiaco
immergermi in prati che non fanno che crescermi.
*
Mi ha voluta pratica e tranquilla
la logica
luce accesa all’occorrenza.
Però a me piaceva scombinare le carte
zizzagare le linee
il vento sulla tovaglia del pic-nic
a rovesciare il vino
mandare all’aria insieme
panini e buoni consigli.
*
Non posso dimenticare
nostro ondoso Eden
il mare ci ha scacciati
e noi in prati artificiali a rincorrere
l’infanzia grondante
il fogliame tremulo delle scaglie.
Capita che l’erba si alzi
e commossa di rugiada
ci restituisca alle antiche gocce
il conforto il nutrimento
del latte abissale.
* * *
Ma di cosa sei fatta, tu?” “Di quello che ami” disse lei. “Più l’acciaio”.
Federica Ziarelli
– Nota di Irene Ester Leo- Rivista «Atelier»
Mi trovo a sentire queste parole così in linea con quanto vi dirò a seguire, parole che prendo per un po’ e faccio mie, parole di Ernest Hemingway. Vi è un’estrema delicatezza nella voce di Federica Ziarelli, antica e preziosa, quasi proveniente da un modo parallelo nel quale i sogni toccano terreno e danzano, su un filo sottile ma fatto di coraggio e di bellezza. La delicatezza è la corazza più forte e inestimabile, è l’acciaio: pozione salva cuore al grigio che affossa, ma in questo libro, ricchissimo e fatto di parole respiranti, questo acciaio è la poesia. Poesia che non si arrende. Apre il libro la sezione dedicata all’Aria, dove il senso evocativo dei passi di danza è la levità di un soffio che è ritmato dall’incedere di immagini care alla poetessa, e commoventi. Segue poi la sezione Terra, che è la meraviglia della scoperta ed ha negli occhi la natura, che è fame e sete di vita, e germogliante tra le vene. Ma lasciata la terra il viaggio continua con l’approdo verso l’Acqua, terza sezione. Ed è il mare che si apre a noi come una visione, un rimedio, un viaggio, un ricordo e l’anima diventa una sirena azzurra, e in quest’acqua che alleggerisce il peso di ogni cosa, appaiono anche volti cari e familiari. Ma nel dondolare degli opposti urge la fiamma del Fuoco che illumina la quarta sezione, che non distrugge ma alimenta sentimenti e moti interiori, riflessi dal vero, desideri, Cristo e le passioni, e scalda e spegne per far rinascere ogni cosa. Federica Ziarelli è una poetessa che ha fatto dello spessore e della grazia il suo stile, non v’è dubbio che ogni verso in questo libro abbia un peso e sia lontano anni luce dagli esercizi di stile di molte altre voci che affastellano la poesia contemporanea, non cerca la ribalta, il clamore, ma costruisce ponti, cattedrali, nel silenzio della creazione e senza l’urlo di chi vuole esserci. E’ un lavoro duro quello dei poeti che scavano dentro ogni loro vena per offrirsi al mondo e lasciarsi attraversare, è un lavoro severo e costante, coraggioso, di chi non somiglia a nessuno che non sia se stesso. Non vi è una battaglia contro le cose, ma un racconto di crescita ed evoluzione che lascia orme preziose ed un dono immenso. Come scrive con estrema precisione e attenzione Alessandra Corbetta, poetessa di valore, nella postfazione al libro, la Ziarelli si rivolge al lettore guardandolo negli occhi. Così come farebbe Whitman ad esempio, e sussurrandogli : Tu sei bellezza, titolo della raccolta e chiave sacra di volta. Cade dunque ogni barriera, non esiste differente altezza tra poetessa e lettore, quel Tu, è vicinanza e allontanamento di ogni timore reverenziale, è tendere la mano all’altro, è in questo gesto che la bellezza si dipana e fiorisce, non è una statua ieratica, ma senso profondo e significato del vivere, e su tutto unicità: “Sii tenace nel permanere di bellezza..”.
Breve biografia di Irene Ester Leo, 1980, laureata in Storia dell’arte, critico d’arte e letterario. Ha pubblicato: “Canto Blues alla deriva”(Besa, 2007); “Sudapest”(Besa, 2009) ; “Io innalzo fiammiferi”, con prefazione di Antonella Anedda ( Lietocolle, 2010)( Premio Letterario Nazionale di Calabria e Basilicata 2010, primo classificato); “Una terra che nessuno ha mai detto”, prefazione di Andrea Leone (Ed.della Sera 2010); “Cielo”, prefazione Davide Rondoni (La Vita Felice, 2012)(Secondo classificato Premio Laurentum 2012). I suoi versi sono stati tradotti in lingua spagnola, per l’America Latina, e in inglese su riviste internazionali.
Biblioteca DEA SABINA-
La rivista «Atelier»
http://www.atelierpoesia.it
La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale (marzo, giugno, settembre, dicembre) e si occupa di letteratura contemporanea. Ha due redazioni: una che lavora per la rivista cartacea trimestrale e una che cura il sito Online e i suoi contenuti. Il nome (in origine “laboratorio dove si lavora il legno”) allude a un luogo di confronto e impegno operativo, aperto alla realtà. Si è distinta in questi anni, conquistandosi un posto preminente fra i periodici militanti, per il rigore critico e l’accurato scandaglio delle voci contemporanee. In particolare, si è resa levatrice di una generazione di poeti (si veda, per esempio, la pubblicazione dell’antologia L’Opera comune, la prima antologia dedicata ai poeti nati negli anni Settanta, cui hanno fatto seguito molte pubblicazioni analoghe). Si ricordano anche diversi numeri monografici: un Omaggio alla poesia contemporanea con i poeti italiani delle ultime generazioni (n. 10), gli atti di un convegno che ha radunato “la generazione dei nati negli anni Settanta” (La responsabilità della poesia, n. 24), un omaggio alla poesia europea con testi di poeti giovani e interventi di autori già affermati (Giovane poesia europea, n. 30), un’antologia di racconti di scrittori italiani emergenti (Racconti italiani, n. 38), un numero dedicato al tema “Poesia e conoscenza” (Che ne sanno i poeti?, n. 50).
Direttore responsabile: Giuliano Ladolfi Coordinatore delle redazioni: Luca Ariano
Redazione Online Direttori: Eleonora Rimolo, Giovanni Ibello Caporedattore: Carlo Ragliani Redazione: Mario Famularo, Michele Bordoni, Gerardo Masuccio, Paola Mancinelli, Matteo Pupillo, Antonio Fiori, Giulio Maffii, Giovanna Rosadini, Carlo Ragliani, Daniele Costantini, Francesca Coppola.
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Else Lasker-Schüler, all’anagrafe Elisabeth Schüler (Elberfeld, 1869 – Gerusalemme, 1945), poetessa tedesca, considerata da Schalom Ben-Chorin la più grande che l’ebraismo abbia mai saputo esprimere; o secondo Karl Kraus «il più forte e impervio fenomeno lirico della Germania moderna». O ancora, per Gottfried Benn, la più grande che la Germania abbia mai avuto.
Solo te
Il cielo si porta nel cinto di nuvole
La luna ricurva.
Sotto la forma di falce
Io voglio riposarti in mano.
Sempre devo fare come vuole la tempesta,
Sono un mare senza riva.
Ma poiché tu cerchi le mie conchiglie,
Mi si illumina il cuore.
Stregato
Giace sul mio fondo.
Forse il mio cuore è il mondo,
Batte –
E cerca ancora te –
Come ti devo invocare
Ascolta
Io mi prendo nelle notti
Le rose della tua bocca
Che nessun’altra ci beva.
Quella che ti abbraccia
Mi deruba dei miei brividi
Che intorno al tuo corpo io dipinsi.
Io sono il tuo ciglio di strada.
Quella che ti sfiora
Precipita.
Senti il mio vivere
Dovunque
come orlo lontano?
Conciliazione
Cadrà una grande stella nel mio grembo…
Vogliamo vegliare la notte,
Pregare nelle lingue
intagliate come arpe.
Vogliamo conciliarci la notte,
tanto trabocca Dio.
Son bimbi i cuori nostri,
che vorrebbero dolci di stanchezza posare.
E vogliono baciarsi
le nostre labbra – di che cosa temi?
non confina il mio cuore
col tuo – sempre il tuo sangue mi colora
le guance in rosso
Vogliamo conciliarci la notte,
se ci abbracciamo non moriamo.
Cadrà una grande stella nel mio grembo.
Faraone e Giuseppe
Ripudia Faraone
le sue donne fiorite, profumate
dei giardini di Amon.
Riposa la sua testa
regale
sulla mia spalla che odora di grano.
È d’oro Faraone.
Il moto dei suoi occhi è come quello
delle cangianti onde del Nilo – ma
nel mio sangue è il suo cuore;
al mio abbeveratoio
andaron dieci lupi.
Ai miei fratelli
che mi gettaron nella fossa,
Faraone pensa sempre.
Le sue braccia diventano nel sonno
minacciose colonne!
Ma il suo cuore
sognatore bruisce sul mio fondo.
Perciò grandi dolcezze
il mio labbro va poetando nel frumento del nostro
mattino.
Else Lasker-Schüler
Fuga dal mondo
Io nell’immenso voglio
tornare a me,
già mi fiorisce il colchico autunnale dell’anima,
forse è già troppo tardi per tornare.
Oh, fra di voi io muoio!
perché voi mi asfissiate di voi stessi.
Vorrei tirare fili intorno a me
per metter fine alla babele!
fuorviarvi,
confondervi,
per fuggire
verso di me!
Sera
Si strappò da me il mio riso,
il mio riso dagli occhi di bambino –
il mio giovane riso zampillante
dinanzi alla tua porta canta tempo di notte oscura.
Da me partito prese stanza in te
per accenderti a gioia la più grande tristezza;
ora ride d’un riso di vegliardo
e soffre, povero di giovinezza.
Esistenza
Ebbi notturna chioma fluttuante –
da lungo tempo giace sepolta.
Come ruscelli chiari gli occhi – prima
che la tristezza fosse ospite mia –
le mani biancorosse di conchiglia,
però il lavoro ne consunse il bianco.
E un giorno viene l’ultimo,
che china il cupo sguardo
sul mio corpo fugace
e mi libera dalla morte – tutta.
L’anima mia respira di sollievo –
beve l’eterno.
Dolore cosmico
Io, il bruciante vento del deserto,
mi raffreddai e presi forma.
Dov’è il sole, che possa liquefarmi,
od il lampo che possa frantumarmi!
Irosamente ora guardo, petrosa
testa di Sfinge, verso tutti i cieli.
Al pagano Giselheer
Piango – i miei sogni cadono nel mondo.
Nelle mie tenebre nessun pastore
osa entrare.
I miei occhi non mostrano la via
come le stelle.
Sempre vo mendicando
davanti alla tua anima – lo sai?
Almeno fossi cieca –
allora penserei
d’essere nel tuo corpo.
Verserei tutti i fiori nel tuo sangue.
Molto ricca son io,
né chiunque può cogliermi
o
portarsi via i miei doni.
Con ogni tenerezza
voglio insegnarmi a te;
già sai dire il mio nome.
Guardali i miei colori, nero e stella
e non amare
il freddo giorno che ha l’occhio di vetro.
Tutto è morto
io e te soli vivi.
Te solo
In una cinta di nuvole il cielo
porta la curva luna.
Sotto l’icona-falce
nella tua mano voglio riposare.
Il mio volere dev’essere sempre
quello della tempesta – sono un mare
senza riva.
Pure dacché tu cerchi
le mie conchiglie, il cuore mi risplende.
Giace
sul mio fondo incantato.
Forse è il mondo il mio cuore,
bussa –
E te solo ormai cerca –
Come devo chiamarti?
Georg Trakl
Erano lontanissimi i suoi occhi.
Da fanciullo già fu una volta in cielo.
Uscivano perciò le sue parole
da nubi azzurre e bianche.
Bisticciavamo
di religione, sempre però come
due compagni di giochi.
Da bocca a bocca creavamo Dio
In principio era il verbo.
Una fortezza il cuore del poeta,
tesi cantanti le sue poesie.
Forse
era Martin Lutero.
L’anima triplice portava in mano,
quando partì per la guerra santa.
– Poi seppi che era morto –
La sua ombra indugiava incomprensibile
sulla sera della mia stanza.
Else Lasker-Schüler
Congedo
La pioggia ha ripulito gli erti muri di case
io scrivo sopra l’arco di pietra bianca
e lievemente sento
rafforzarsi la mano stanca ai versi
d’amore, dolci eterni ingannatori.
Io veglio nella notte tempestosa sui flutti alti del mare!
E sfuggii forse alla mano amorosa
del mio angelo: ho ingannato il mondo, e il mondo me.
Vicino alle conchiglie, nella sabbia,
ho sepolto la salma.
Tutti leviamo gli occhi a un cielo – ma
ci invidiamo la terra?
Perché Dio balenando ha trasmigrato a Oriente,
vinto
dall’immagine della sua creatura?
Io veglio nella notte tempestosa sui flutti alti del mare!
E quel che poté unirmi al giorno di riposo
della Sua creazione, è come un tardo stormo d’aquile
sparito in questo buio minaccioso.
DUE IMPRESSIONI DI RIGUARDO SU ELSE LASKER-SCHÜLER
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«Era piccola, allora aveva l’esilità di un ragazzo e capelli neri come la pece, tagliati corti, cosa ancora rara a quel tempo, grandi occhi molto neri e molto mobili, con uno sguardo sfuggente e inesplicabile.
Né allora né poi si poteva andare in giro con lei senza che tutti si fermassero a guardarla: gonne o pantaloni erano larghi e stravaganti, il resto dell’abbigliamento impossibile, collo e braccia coperti di vistosi gioielli falsi, catene, orecchini, anelli d’oro falso alle dita; e poiché era continuamente occupata a scostare dalla fronte i ciuffi di capelli, quegli anelli da donna di servizio – bisogna pur chiamarli così – erano sempre al centro degli sguardi di tutti. Non mangiava mai regolarmente, mangiava pochissimo, spesso viveva di noci e frutta per settimane.
Dormiva spesso sulle panchine, e fu sempre povera in tutte le situazioni e le fasi della sua vita.»
GOTTFRIED BENN, in: “Lo smalto sul nulla”, trad. Luciano Zagari, Adelphi 1992. [Si tratta di una memorabile pagina, scritta da Benn quando Else era già morta. Appena qualche rigo dopo, l’antico amico aggiunge che questa donna «era la più grande poetessa che la Germania avesse mai avuto».]
*** ***
«La Lasker-Schüler è una grande poetessa: l’aggettivo non è speso inutilmente. Purtroppo non è conosciuta come avrebbe dovuto neppure dai germanisti. Esisteva soltanto, prima di questa, un’antologia curata da Giuliano Baioni parecchi anni fa, con traduzioni estremamente sensibili. La Lasker-Schüler appartiene alla prima generazione dell’espressionismo, dove figurano poeti altrettanto importanti, come Trakl, e altri minori come Stadler o Schikele; sono poeti che si collocano alla periferia della lingua tedesca (Alsazia o Slesia) e in questa periferia si colloca anche la Lasker-Schüler, che nasce nel 1869 a Elberfeld in Westfalia e muore a Gerusalemme nel 1945: quindi non fa parte dell’espressionismo berlinese, anche se a Berlino ha vissuto molti anni della sua vita disordinata col fascino della bohème che la induceva a frequentare il famoso “Café des Westens”: amava molto vivere nell’ambiente dei caffè, che ai suoi occhi diventavano ricchi di finzioni fantastiche. È interessante l’uso che la Lasker-Schüler fa dei nomi di fantasia, riferendoli, oltre che a se stessa, ai propri amici (Kraus, “il Dalai Lama”, Benn, di cui fu innamorata per molto tempo, “Giselheer il Barbaro”, Werfel, “il Principe di Praga”, e lei chiamava se stessa “Tino di Bagdad”): erano tutti maschere di sogno, stilizzazioni fantastiche in cui il motivo fanciullesco-fiabesco della maschera si intrecciava con quello della fascinazione dell’esotico, che è un motivo originariamente romantico. In questa percezione dell’elemento esotico sta molta della poesia della Lasker-Schüler, con una sottaciuta intenzione antiborghese: il filisteismo borghese, per cui tutto deve rientrare in una determinazione anagrafica rigorosa, viene qui sconvolto da questa grande onda di trasfigurazione fantastica. Tra gli elementi di questa poesia ha poi un ruolo determinante la grande tradizione della cultura ebraica tedesca che culmina in Rosenzweig e in Martin Buber, la tradizione del chassidismo orientale e la mistica kabbalista o la Leienmystik.
Questa è la prima traduzione delle Ballate ebraiche, alla quale si unisce la traduzione di parti di altre sillogi o cicli poetici, che sono anteriori e poeticamente ancor più significativi. Certamente nella Lasker-Schüler si ha l’identificazione della poesia con la persona: si potrebbe dire di lei quello che Eichendorff disse di Brentano, che la sua stessa esistenza era poesia: c’era in lei questa capacità di identificazione totale nella forma espressiva del linguaggio. Si pensi che quando a Gerusalemme venne proposto alla Lasker-Schüler di far tradurre le sue poesie in ebraico, lei rispose con grande stupore: “Ma sono scritte in ebraico!” e si rifiutò di farle tradurre: lei scrive in tedesco, ma queste poesie vivono profondamente nella matrice ebraica da cui si originano. La loro scrittura è prevalentemente simbolico-metaforica, dotata di un alto grado di stilizzazione dell’imagery, di un’articolazione di Stimmungen, che si inseriscono in questa architettura con un procedimento del tutto libero, senza nessuna “rotondità”, con grandi salti ellittici e con questa magia di concatenazione ritmica dei versi: in questa poesia c’è un grado d’astrazione estremo, l’io lirico che parla per “fusioni”, per metafore assolute.
Bisogna dare senz’altro lode alla traduttrice perché l’impresa non è certamente stata facile. Maura Del Serra ha saputo, soprattutto per quanto riguarda i timbri espressivi, trovare delle soluzioni molto felici. Spesso, purtroppo, per un condizionamento dovuto alla difficoltà del fraseggio lirico della Lasker-Schüler, si è vista costretta a moltiplicare i versi, perdendo quella suggestione dovuta alla concentrazione espressiva tipica di questa poesia. Tuttavia si tratta di un lavoro degno di ogni lode; interessanti sono anche le parti filologiche, soprattutto le note, di cui questi testi poetici sono corredati, e così l’introduzione, che pur non essendo di una germanista è però estremamente significativa per tutti i richiami e le indicazioni che ci dà.»
FERRUCCIO MASINI
Else Lasker-Schüler
Biografia di Else Lasker-Schüler, all’anagrafe Elisabeth Schüler (Elberfeld, 1869 – Gerusalemme, 1945), poetessa tedesca, considerata da Schalom Ben-Chorin la più grande che l’ebraismo abbia mai saputo esprimere; o secondo Karl Kraus «il più forte e impervio fenomeno lirico della Germania moderna». O ancora, per Gottfried Benn, la più grande che la Germania abbia mai avuto.
Ultima di sei fratelli, Else Schüler nacque nel 1869 a Elberfeld, in Vestfalia, dal banchiere Aaron Schüler e da Jeanette Kissing, che fu una delle figure centrali nella sua poesia. Else crebbe come bambina prodigio all’interno della famiglia: a quattro anni sapeva già leggere e scrivere. Dal 1880 frequentò il Liceo West an der Aue. Nel 1894 morì il fratello Paul, cui era molto legata, nel 1890 la madre e nel 1897 il padre. La morte della madre significò per lei «la cacciata dal paradiso terrestre».
Dopo aver lasciato la scuola e aver preso lezioni private in casa dei genitori, nel 1894 sposò il medico Jonathan Berthold Lasker, fratello maggiore del campione mondiale di scacchi Emanuel, e si trasferì a Berlino nel 1895, dove rimase fino al 1933. Qui iniziò la sua formazione come disegnatrice e pubblicò nel 1899 le prime poesie sulla rivista Die Geseleschaft. Durante gli anni berlinesi fu una delle principali animatrici dei “tavoli” letterari tenuti al Café des Westens. Il 24 agosto 1899 nacque il figlio Paul. La prima raccolta di poesie, Styx, venne pubblicata nel 1902.
L’11 aprile del 1903 divorziò da Berthold Lasker per sposare, il 30 novembre dello stesso anno, lo scrittore Georg Lewin, che a lei deve il suo pseudonimo di Herwarth Walden. Separatasi anche da Lewin nel 1910, nel 1912 ottenne il divorzio. Senza un reddito proprio, visse grazie all’appoggio di amici, in particolar modo Karl Kraus. Nel 1912 incontrò Gottfried Benn. Tra i due si sviluppò una profonda relazione, e lei gli dedicò numerose poesie d’amore.
Nel 1906, dopo la morte del suo carissimo amico Peter Hille, comparve la prima opera in prosa, Das Peter-Hille-Buch. Nel 1909 pubblicò il testo teatrale Die Wupper, che venne messo in scena solo nel 1919 a Berlino. Con la raccolta di poesie Meine Wunder(e in particolare con la poesia Ein alter Tibetteppich) Else Schüler divenne nel 1911 una delle principali esponenti dell’espressionismo.
Nel 1927 morì di tubercolosi il figlio Paul e iniziò per lei una profonda crisi. Vinto nel 1932 il premio Kleist, il 19 aprile 1933 emigrò a Zurigo in seguito a minacce e violenti attacchi da parte del partito nazista. A Zurigo, tuttavia, le venne vietato di pubblicare. Compì due viaggi in Palestina, nel 1934 e nel 1937. Nel 1938 le fu revocata la cittadinanza tedesca. Nel 1939 compì il terzo viaggio in Palestina. A causa dello scoppio della guerra non le fu possibile tornare in Svizzera. Nel 1944 si ammalò gravemente, e in seguito a un attacco di cuore avuto il 16 gennaio 1945, il 22 gennaio Else Lasker-Schüler morì e fu sepolta sul Monte degli Ulivi a Gerusalemme.
Opere
Else Lasker-Schüler ha lasciato un cospicuo numero di opere poetiche, tre testi teatrali, alcuni racconti, schizzi nonché numerose lettere e disegni. In vita, le sue poesie comparvero sia in numerosi giornali e periodici, tra cui quello del suo secondo marito, Der Sturm e quello di Karl Kraus Die Fackel, sia in alcuni volumi curati e talvolta illustrati da lei stessa, tra cui
Styx (1902)
Der siebente Tag (1905)
Meine Wunder (1911)
Hebräische Balladen (1913)
Gesammelte Gedichte (1917)
Mein blaues Klavier (1943)
Else Lasker-Schüler si dedicò molto alla poesia amorosa, che occupa uno spazio centrale nella sua produzione lirica; si trovano inoltre molte poesie dal profondo carattere spirituale: le opere tarde in particolare sono dense di riferimenti biblici e orientali. Else Lasker-Schüler.
Nella sua pièce teatrale Artur Aronymus(1933) Else Lasker-Schüler tratta apertamente e lucidamente delle persecuzioni antisemite e l’opera venne prima censurata dal regime e poi cancellata dai programmi teatrali. I riferimenti alla contemporanea situazione politica si fanno ancor più espliciti nella sua ultima opera teatrale, Ichundich (ioeio), a cui lavorò fino ai suoi ultimi giorni a Gerusalemme. In quest’opera emerge una complessa continuazione del Faust di Goethe, in cui Faust e Mefisto osservano dall’inferno Hitler conquistare il mondo pezzo dopo pezzo. In seguito a tali fatti spaventosi perfino Mefisto deve ammettere che il male non può essere approvato e con Faust invoca il perdono divino; entrambi vengono assunti in cielo mentre il Terzo Reich sprofonda in un mare di fiamme.
Aprilia (Latina)-Le GENERALI Italia SpA Agenzia Generale di Aprilia (LT) nello spazio GENERART presenta “Pace in Terra Santa” di Francesco Guadagnuolo, un grande avvenimento per il mondo dell’arte contemporanea, inaugurata venerdì 22 novembre 2024 alle ore 18,00, in Via G. Verdi, 71. La mostra è aperta dal 25 novembre al 10 dicembre 2024 con orario lun-gio: 09:00- 13:00/16:00-18:30, ven: 09:00-13:00.
Il dipinto (olio su tela, 175×400 cm) annovera oltre 50 figure in un vasto apparato ambientale e costituisce un’opera colossale straordinaria per l’impegno, l’ideazione e il compimento, dove si commemora la morte e si pone, in rispetto, al valore della vita, in una continua lotta per la libertà, dall’oscena brutalità della violenza e dall’odio, un simbolo universale per la conciliazione di Pace in Terra Santa.
Francesco Guadagnuolo )-“Pace in Terra Santa” –
Non sempre l’opera d’arte e il contenuto vivono in un rapporto di stretta interdipendenza: in questo caso l’opera d’arte di Guadagnuolo vive tale relazione simbiotica. Infatti, l’opera è un argomento di riferimento dell’arte contemporanea europea che fa emergere la visione dell’artista sul mondo reale nella sua involuzione/evoluzione e da suddetto viene fuori la ricerca della forma con la sua natura neo-espressiva del dipinto, in una parificabile azione che diventa effetto d’interiorità della ragione, posta alla percezione di tutti nel rifiuto delle guerre, in una realtà-verità ferita spesso dal fallimento di una certa politica. Il tutto avviene come incremento confacente al Transrealismo in qualità di “comunicazione”. L’opera di Guadagnuolo, infatti, vaglia la relazione tra arte e comunicazione con tutte le sue incoerenze per le gravi conseguenze delle guerre, sulla morte, sui lutti familiari e di ciò che rimane in un paesaggio urbano desolato dalle macerie, ormai muto, senza vita. Dal silenzio emergono le società dissestate, l’economia in rovina, come anche per l’arte e la cultura.
Il dipinto è motivo di riflessione e di dialogo contro quello che sta avvenendo in Medio Oriente, ed è un invito a tutti i potenti delle Nazioni a porre fine, una volta per sempre, sul mai risolto problema mediorientale, per trovare il modo, con un vero impegno mondiale, di finire questo vortice infernale di combattività e di morte, che si accende ogni qualvolta, si prende qualsiasi iniziativa laddove vedono coinvolti i due popoli, antagonisti da sempre, Palestinesi ed Israeliani. Ad oggi l’incognita dell’estensione del conflitto è di tale ostilità tanto da essere a rischio nucleare, purtroppo si sente solo il richiamo alla Pace di Papa Francesco che non perde ‘occasione’ per ricordarcelo. É indispensabile avere coscienza di arrestare queste guerre ad ogni costo. Di conseguenza necessita il cessare il fuoco in maniera solerte e giungere quanto prima al dialogo e ai negoziati della politica internazionale, che s’istituisca con determinatezza senza se e senza ma.
«La Pace in Medio Oriente è fondamentale per il Mondo intero – afferma il Maestro Francesco Guadagnuolo – che può avere conseguenze oltre i limiti territoriali. Le agitazioni e le guerre in quella regione potrebbero sconvolgere il sistema economico globale, condizionare i traffici migratori e dare origine a volubilità politiche a livello internazionale. Inoltre, una Pace continua sarebbe possibile se s’incoraggia una partecipazione mondiale che serve ad appianare varie crisi umanitarie. È per questo, importante, che le comunità mondiali esercitino congiuntamente a sostenere la comprensione e rivelare tattiche suffragabili per gli obiettivi di Pace. Inoltre, si devono creare urgentemente le basi politiche per una nuova era civile e culturale. Un appello alla civiltà assoluta nell’apertura alla comprensione per tutti gli uomini e donne, nella loro ragione, svolta in primo luogo nelle società a protezione di quanti soffrono senza volere colpevolizzare nessuno. Diventa ciò un appello urgente rivolto alla Pace».
Guadagnuolo è un artista di autorevole spessore internazionale, opera tra Roma Parigi e New York, per comprendere il suo impegno bisogna risalire al suo incarico al Senato, dove era stato chiamato a cooperare con i suoi apporti artistici fin dal 1997, nell’ambito dell’Intergruppo Parlamentari per il Giubileo del 2000. Il tema della Pace ha portato il Guadagnuolo a dipingere numerose opere; un suo quadro sulla solidarietà internazionale, legata al “Debito Estero dei Paesi in via di sviluppo”, si trova all’ONU esposto nella sede dell’ECOSOC.
Descrizione del libro di Karin Smirnof –Nel Nord della Svezia lo sfruttamento delle risorse naturali prosegue implacabile. I grandi interessi internazionali stanno disegnando una nuova mappa, definita dal greenwashing e da un capitalismo feroce. A stare più in alto sono proprio quelli che grazie al loro patrimonio sono saltati sul treno dell’industria del futuro, ignorando le proteste di minoranze ed ecoattivisti. Quelli che con le loro attività in bilico tra l’ombra e la luce del sole ottengono sempre quello che vogliono, e non pagano mai. In questo scenario la cittadina di Gasskas, con la sua miniera e il progetto di un imponente parco eolico, è un palcoscenico perfetto per il dramma che si sta svolgendo. Quando il cadavere di una donna impegnata nella battaglia ambientalista viene ritrovato in fondo a una discarica, l’istinto giornalistico di Mikael Blomkvist, novello direttore del quotidiano locale Gaskassen, si accende e Mikael intuisce i presupposti per un’altra delle inchieste che l’hanno reso famoso.
Karin Smirnof
Intanto, a Stoccolma, Lisbeth Salander continua a essere nel mirino della malavita. Una donna le dà la caccia. Bellissima, porta il nome di un felino dalla vista e dalla sensibilità percettiva fuori dal comune. Lisbeth non può neppure contare sulla sua tradizionale ancora di salvezza, perché Plague è scomparso, mentre Svala, la nipote ritrovata, è inseguita da nord a sud dagli uomini di Marcus Branco, che a tutti i costi vuole mettere le mani su di lei. Gli occhi della lince è l’ottavo capitolo della potente saga Millennium, uno dei più clamorosi fenomeni editoriali degli ultimi decenni, con oltre cento milioni di copie vendute in tutto il mondo. I libri firmati da Karin Smirnoff rinnovano l’epopea di Lisbeth Salander e Mikael Blomkvist, riprendendo i temi cari a Stieg Larsson, che l’ha creata, e allargandone i confini.
Karin Smirnof
L’Autore- Karin Smirnof 1964), ex fotografa, ha lavorato come giornalista fino a quando non ha voluto provare qualcosa di nuovo e si è occupata di una segheria. Dopo qualche anno, desiderosa di tornare a scrivere, ha pubblicato il romanzo Mio fratello, finalista al prestigioso premio letterario Augustpriset. Con Il grido dell’aquila firma il primo episodio del nuovo sequel della saga Millennium, creata da Stieg Larsson – un successo da oltre centocinque milioni di copie, di cui sei solo in Italia.
Roma- Galleria Mario Iannelli mostra personale di Sebastian Stumpf-Certain Peaks
Sebastian Stumpf
Descrizione Evento-Roma- La Galleria Mario Iannelli è lieta di annunciare Certain Peaks, una mostra personale di Sebastian Stumpf che presenta nuovi lavori che si confrontano con lo spazio della galleria e il paesaggio storico e urbano di Roma.
Le azioni di Sebastian Stumpf esplorano la relazione del corpo con gli spazi pubblici, artistici e istituzionali, mettendo in discussione la percezione dell’osservatore con gesti specifici e l’immaginazione del luogo performato.
Nelle nuove opere, Stumpf affronta le questioni della presenza fisica e dell’assenza, della durata dell’architettura e della temporalità della fotografia e del film. Parte della mostra è anche l’estensione delle sue proiezioni site-specific Leaving White Spaces.
Sebastian Stumpf (1980) vive a Lipsia.
Sebastian Stumpf ha studiato presso le scuole d’arte di Norimberga, Lione e Lipsia. Nel 2008 è stato allievo di Timm Rautert.
Tra le mostre personali figurano la Galerie Thomas Fischer di Berlino, il Museum Folkwang di Essen, il Museum für Photographie di Braunschweig, l’Annex 14 di Zurigo e la Landesgalerie di Linz.
Il suo lavoro è stato esposto alla 6ª Biennale di Berlino e alla Triennale di Aichi a Nagoya, oltre che in numerose mostre collettive, tra cui Contemporary Arts Center, Cincinnati, Le Bal, Parigi, OCAT Shanghai, Museum der Bildenden Künste Leipzig, Tokyo Wonder Site/Institute of Contemporary Art, Blaffer Art Museum, Houston.
Nel 2016 ha ricevuto la borsa di studio per la fotografia tedesca contemporanea ed è stato borsista presso Villa Aurora a Los Angeles.
Ha realizzato un’installazione art-in-architecure per la Kulturstiftung des Bundes di Halle, una proiezione video permanente per la Kunsthaus Göttingen e recentemente un’installazione sonora site-specific per la Hamburger Kunsthalle.
Sebastian Stumpf
Certain Peaks
Il gap a Roma è quello che ci separa sempre dall’eternità e ci riconnette ad essa, che si trova nella stratificazione dei tempi che è pari ad una vertigine dei movimenti che si sono susseguiti – movimenti storici, artistici, religiosi e migratori – e da un passato perduto con la società moderna.
Il piacere è ritrovare quell’intervallo classico e quella luce nelle pieghe. La luce penetra gli interstizi rendendoli già poetici.
Il gap è anche trovare una propria espressione nella complessa viabilità di Roma e negli spazi rubati alla natura e alla comunità dalla città sempre più governata da apparati produttivi e logiche consumistiche.
Questi spazi vergini, in cui potrebbe nascere qualcosa di nuovo, sono quindi sia i marmi bianchi che sono arrivati a noi come rovine monocrome antiche, che gli spazi selvaggi, in cui l’ordine dell’urbanità e del paesaggio naturale non riescono ad essere mantenuti, dando luogo a rovine punk moderne.
Roma è piena di gap perché il suo suolo non è mai piano, in ogni punto è piena di buche, dossi, inclinazioni che rendono il passaggio in qualche modo una performance.
Nel romanzo “Wittgenstein’s Mistress” di David Markson la protagonista si sposta in un mondo apocalittico in cui non ci sono più abitanti ma solo cose, che non sono più usate e quindi sono solo rottami. Quelle cose sono diventate solo denominazioni di una cosa, inquadrate in una categoria astratta e in una serie produttiva che limitano la possibilità di trovare un altro senso fuori di essa.
La figura unica che Stumpf disegna nel paesaggio con le sue azioni sembra vagare in uno scenario di quel tipo. Nonostante lo sfondo ci appaia familiare, l’esperienza in esso è spiazzante.
Le posizioni ed i movimenti liberi e precisi che Sebastian Stumpf esegue sono lavori sulla tensione da una parte e sullo sconfinamento dall’altra, quindi sull’immaginazione, rivolta alla collettività in cui ambienta il suo lavoro. In questo modo il gesto dell’artista è esemplare di un modo possibile di vivere il paesaggio e la realtà, che non ha né dell’umoristico né del punk, ma che tende a superare confini soprattutto mentali. Le sue performances svelano l’illusione di quei limiti, la vertigine che porta ad un possibile sovvertimento.
Appropriarsi dello spazio per riconsegnarlo nuovo per mezzo di una performance concettuale nell’ambiente. E’ la verifica di questa possibilità che conta, testimoniata nell’opera nel visibile filo che lega la performance alla macchina fotografica. Conta la potenzialità e la potenza del gesto, l’intenzionalità di farlo ed osservarlo.
Le pose e le azioni eseguite parlano dell’irripetibilità dell’attimo e della sospensione dei pensieri nello spazio. E’ Il sovvertimento e il nuovo equilibrio tra pienezza e vuoto e tra stasi e movimento che è più importante per raggiungere certe vette. La performance di Stumpf negli spazi istituzionali e della galleria configura lo spazio come un “white space”, uno spazio per l’emergenza di un nuovo paradigma, contrario al “white cube” ovvero uno spazio sottoposto ad un continuo cambiamento di uno spazio vuoto. Portano oltre uno spazio dato verso uno in cui è possibile l’insorgenza di un gesto. In aria, steso o dritto in piedi Sebastian Stumpf ricerca e domanda un’immagine, un nuovo rapporto con l’ambiente.
Questo quadro individua una ricerca artistica che si concentra sul paesaggio, sulla centralità del corpo e sul pensiero nomade.
Deleuze distingue la nozione di corpo “mentale” quale zona di sperimentazione e d’espressione a partire da forze inconsce da quella di corpo oggettivato che si sovrappone al desiderio.
Le performance di Stumpf che rendono il corpo in maniera comunemente indefinibile nel paesaggio sono un esempio del primo tipo. Mutano ogni posizione di dominio sulla natura.
Rinnovando la tradizione della fotografia soggettiva d’autore – quella di Timm Rautert con cui ha studiato e di Otto Steinert da cui Rautert si è formato – interpretano un’azione soggettiva nel paesaggio oggettivizzando la soggettività.
Oggettivizzare, in questo caso, non è un ridurre a categorie funzionali ma introdurre la propria soggettività nuova e potenzialmente sovversiva nel rapporto col cosmo inteso come ordine.
Ugualmente, la pratica di Sebastian Stumpf si differenzia da quelle eroiche di Yves Klein e Bas Jan Ader, caratterizzandosi per un’anti-eroicità che risiede nella scelta degli spazi e nella modalità di esecuzione.
Attraverso tali impostazioni il corpo manifesta uno stato mentale occupando e transitando in spazi vuoti, effimeri, immateriali ed impermanenti.
“Certi picchi” sono sia questi “white spaces”, sia i tentativi ripetuti d’azione, le rotture e le variazioni, che gli stati di equilibrio oltre la tensione, i gaps e le transizioni nello spazio (“Transitions #1”, “Ocean”).
L’immagine reale e surreale creata da Stumpf pone un ulteriore parallelo con la pittura di Magritte per la messa in discussione delle aspettative dello spettatore riguardo alla rappresentazione e alla realtà attraverso l’introduzione in essa di elementi incongruenti mirati a far riflettere sulla percezione, ciò che è valso a Magritte l’essere chiamato “anti-pittore”.
In questo senso l’anti-eroicità è il segno di un’atto che vuole dare sia una prova della convenzionalità che della differente percezione.
Nello stesso modo in cui vediamo figure sospese nel cielo o con un mela davanti al volto nei quadri di Magritte, vediamo la figura sospesa di Stumpf da dietro e mai di fronte nei paesaggi californiani di “Fences”, nei cieli tra i gap delle architetture di Tokyo (“Sukima”) e in quelli specchiati nella vastità dell’oceano (“Islands”).
Se Magritte ha sovvertito le aspettative tradizionali della realtà in pittura, Stumpf lo fa nella performance e nella fotografia.
Nella spiazzante realtà immaginata da Markson in “Wittgenstein Mistress” la protagonista compie azioni ironiche al limite dell’impossibile che fanno riflettere se quelle stesse azioni fossero compiute di fronte a degli spettatori.
L’opera di Stumpf analizza anche questo nel suo cogliere l’intero processo della realtà.
Le persone che casualmente si trovano ad essere testimoni delle azioni mentre sparisce dietro ad un colonna (“Columns”), sale su un albero (“Trees”), si getta da un ponte (“Bridges”) o si getta sotto ad una saracinesca che si sta chiudendo (“Tiefgaragen”) confermano involontariamente il senso dell’azione essendo parte della performance come se in fondo non ci fossero nel loro essere in un flusso.
Il senso della performance di Sebastian Stumpf risiede nella percezione differente di un luogo, di una situazione, di un mondo. Quello che ci fa vedere è la possibilità di quello che potrebbe essere.
Durante l’azione lo spettatore è assente o casuale. Nelle fotografie e nei video, invece, la prospettiva è ribaltata su un osservatore più consapevole.
La meditazione come costante pratica di andare verso, attraverso ed oltre gli “spazi bianchi” si compie nell’ampio respiro di un’azione ripetuta e nomade.
L’anti-drammaticità o anti-monumentalità del gesto svela in realtà la presenza di un’altra forma di eroicità che non si riferisce a grandi gesta o a significanti pezzi di Storia ma ad una performance per se stessi e per tutti.
Testo di Mario Iannelli
Autore/Autrice:Sebastian Stumpf
Data Inizio:20.11.2024
Data Fine:06.01.2025
Dove:Galleria Mario Iannelli
Indirizzo:Via Flaminia, 380
Orari:martedì – venerdì 16-19, o su appuntamento. Pausa festiva dal 22.12.2024 al 6.1.2025
-Neri Pozza Editore-Traduzione di Laura Testaverde
Mieko Kanai-Una lieve vertigine-
Sinossi del libro di Mieko Kanai –Natsumi è una casalinga come tante. Un marito, due figli, un appartamento moderno a Tokyo, scelto per la bella esposizione a sud e a est, in un palazzo vicino al parco e con piscinetta per bambini. La sua vita è un rincorrersi di lavatrici, conversazioni con le amiche, discussioni con i vicini, visite al supermercato o ai genitori, incombenze familiari o scolastiche. Natsumi non ha una preoccupazione al mondo, eppure dentro, sotto la facciata composta e ordinata, il suo io freme e ribolle. Nel suo palazzo borghese, nella sua vita borghese dove niente succede mai e succede tutto, ecco allora che subentrano minuzie, ansie più o meno futili. Riflessioni sui turni dei lavori domestici, una straordinaria capacità mnemonica da casalinga per la collocazione delle merci sugli scaffali, la seduzione della società dei consumi che crea interminabili desideri: tutto questo fluisce nel monologo interiore della protagonista, riempie un vuoto che si sospetta esistenziale e poi ingloba anche il lettore, che si ritrova incapace di porre confini fra sé stesso e Natsumi, risucchiato in una vertigine da cui non si solleva e in cui però nemmeno mai cade. Con una lingua mimetica, limpida e iridescente, Mieko Kanai porta alla luce la tranquillità e la crudeltà che coesistono fianco a fianco in ogni vita ordinaria. Una lieve vertigine è la voce che parla ininterrottamente nella nostra testa ma è anche studio sul matrimonio, sulla genitorialità, sull’essere donne, sulla lotta fra l’immagine che proiettiamo e ciò che, nel foro interiore, pensiamo di noi stessi. Un capolavoro della letteratura giapponese contemporanea.
«Come per Mrs Dalloway, Una lieve vertigine precipita il lettore nella mente di una donna alla ricerca di un senso nel mondo che la circonda, mentre viene bombardata da un tumulto di stimoli, impressioni, ricordi, preoccupazioni, obblighi». The New York Times
«La scrittura di Mieko Kanai è uno dei punti più alti della letteratura giapponese. I dettagli che danno forma al presente, le ripetizioni quotidiane, i ricordi che improvvisamente ci sommergono, le voci degli altri: tutto è descritto con uno stile sinuoso e cangiante». Hiroko Oyamada
«Le ultime pagine di Una lieve vertigine sono puro suono e, man mano che acquistano slancio, finiscono per assomigliare a quelle dell’Ulisse». The Spectator
Mieko Kanai
Breve biografia di Mieko Kanai, nata nel 1947, è scrittrice, poetessa, critica letteraria. Ha pubblicato una trentina di romanzi e raccolte di racconti e suoi saggi sono apparsi su giornali e riviste giapponesi per quasi cinquant’anni. Nel 1967, all’età di vent’anni, ha ricevuto il Dazai Osamu Prize e nel 1968 il Gendaishi Techo Prize per la poesia. Una lieve vertigine nel 2024 è entrato nella longlist del Warwick Prize for Women in Translation.
Dalla Pinacoteca Podesti di Ancona in mostra ai Musei Capitolini di Roma le Opere di:
Tiziano/Lotto/Crivelli/Guercino- dal 25 /11/2024 -30/03/2025-
Roma Capitale-Dalla Pinacoteca Podesti di Ancona ai Musei Capitolini in mostra la maestosa Pala Gozzi (1520), capolavoro assoluto di Tiziano Vecellio insieme ad altre 5 celebri opere, tutte di carattere religioso e provenienti dalla Pinacoteca Podesti di Ancona, saranno eccezionalmente esposte, per la prima volta a Roma, in occasione del prossimo Giubileo, dal 26 novembre nelle sale di Palazzo dei Conservatori ai Musei Capitolini.
Roma Capitale- Piazza del Campidoglio
6 prestigiose tele – delle quali 5 pale d’altare di grandi dimensioni e una piccola ma lussuosa tempera su tavola – saranno protagoniste di un percorso espositivo che racconta l’importanza della collezione della Pinacoteca Podesti e, in filigrana, la ricchezza della città dorica committente dei maggiori artisti italiani fra Cinquecento e Seicento.
Si potranno quindi ammirare la Circoncisione dalla chiesa di San Francesco ad Alto, opera di Olivuccio Ciccarello, interprete principale del rinnovamento della pittura anconetana che fiorì fra Trecento e Quattrocento; la preziosa Madonna con Bambino di Carlo Crivelli, icona della collezione dorica e somma realizzazione del pittore veneto che visse e operò nelle Marche; la Pala dell’Alabarda di Lorenzo Lotto, per la chiesa di Sant’Agostino, in cui si esplicita l’emozionante talento del pittore veneziano, esule a più riprese nella regione. Ancora di Tiziano sarà esposta la monumentale Crocifissione realizzata per la chiesa di San Domenico in cui l’artista esplora la tragedia e la sofferenza umana. Chiude la rassegna l’imponente Immacolata di Guercino, in cui la delicata figura della Vergine si staglia su un paesaggio marino il cui modello potrebbe essere la baia di Ancona.
La maestosa Pala Gozzi (1520), capolavoro assoluto di Tiziano Vecellio
Con questa mostra si intende avviare un percorso di valorizzazione nazionale della collezione anconetana, con lo scopo di restituire ai cittadini e ai visitatori lo spaccato di un periodo cruciale della storia del gusto, del collezionismo e della museologia nella città marchigiana. Un lavoro che proseguirà con il riallestimento della Pinacoteca Civica Podesti, aperta nel dopoguerra dall’allora soprintendente Pietro Zampetti, con le opere salvate dai bombardamenti da un altro grande protagonista della storia della tutela, Pasquale Rotondi, l’eroico direttore del Palazzo Ducale di Urbino a cui si deve la salvaguardia del patrimonio artistico nazionale negli anni tumultuosi del secondo conflitto mondiale.
Roma Capitale- Musei Capitolini
La mostra romana, con questa importante esposizione delle pale d’altare della città dorica, oltre a testimoniare la sacralità e l’importanza che assunse l’arte adriatica del ‘500, anticipa gli eventi culturali previsti per il prossimo Giubileo.
Roma Capitale- Musei Capitolini
Promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni culturali, con il patrocinio di Giubileo 2025 – Dicastero per l’Evangelizzazione, la mostra è organizzata da Arthemisia in collaborazione con Comune di Ancona, Ancona Cultura, Pinacoteca Civica di Ancona, Regione Marche e Palazzo Ducale di Urbino – Direzione Regionale Musei Nazionali Marche ed è curata da Luigi Gallo, Direttore della Galleria Nazionale delle Marche e da Ilaria Miarelli Mariani, Direttrice della Direzione dei Musei Civici della Sovrintendenza Capitolina. Servizi museali di Zètema Progetto Cultura.
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