Pescara-Personale di Gino Berardi al Museo delle Genti d’Abruzzo
Gino Berardi al Museo delle Genti d’Abruzzo
Pescara- 9 dicembre 2024- Personale di Gino Berardi al Museo delle Genti d’Abruzzo-Ha attraversato e reinterpretato le correnti artistiche del Novecento, spaziando dall’impressionismo all’arte astratta: con la personale che sarà inaugurata giovedì prossimo, 12 dicembre, nelle sale del Museo delle Genti d’Abruzzo, Gino Berardi ripercorre il suo percorso creativo costruito attraverso uno studio del colore e un utilizzo della materia in continua evoluzione. Le sue opere si caratterizzano per un forte impatto visivo e una vibrante suggestione cromatica, che catturano l’essenza delle esperienze vissute e la restituiscono come frutto di una interiorità profonda e di una spiccata sensibilità artistica. La mostra “Dall’Impressionismo all’Astratto” rappresenta un’occasione unica per esplorare la crescita e la proiezione stilistica di Berardi. Le sue prime opere, caratterizzate da paesaggi e marine di chiara ispirazione impressionista, si trasformano gradualmente in composizioni astratte ed informali, in cui il colore e la forma si intrecciano in un dialogo continuo. La mostra offre la possibilità di immergersi in un universo visivo ricco di emozioni, in cui il passato e il presente convivono in armonia. Le opere di Berardi, attraverso un linguaggio visivo unico, raccontano di un’artista che non teme di esplorare nuove frontiere, mantenendo sempre una connessione con l’esperienza umana e il mondo che lo circonda. Con la forza del colore riesce a rendere palpabile l’energia e la vitalità del suo tempo, esprimendo una gioia di vivere che si manifesta attraverso ogni pennellata.
Gino Berardi al Museo delle Genti d’Abruzzo
Il curatore della mostra, Gennaro Petrecca, ricorda nella sua presentazione che l’arte di Berardi “sfida le convenzioni e invita a una riflessione profonda su ciò che è visibile e ciò che è suggerito.”
La mostra sarà inaugurata giovedì 12 dicembre alle ore 17 e resterà aperta al pubblico fino al 12 gennaio con orario lunedì – venerdì: 9-13; sabato e domenica 16-20.
Emilia Vetere nasce nel 1997 a Roma e qui trascorre la sua vita. Frequenta il liceo classico, ma sceglie in seguito di approfondire la propria passione per le arti visive diplomandosi come truccatrice e scoprendo così gli effetti speciali. Colline (Ensemble, 2018) è la sua prima pubblicazione.
Binomio
Ci attira sopra ogni cosa
la cosa che più reprimiamo
E, così, l’uomo
divora la donna,
E, così, il popolo
adora il tiranno.
Così vai cercando
l’accento straniero
di quel bel ragazzo
che ti terrorizza,
Ti forzi a far odio
del tuo desiderio;
Ti sembra che io
dica il giusto o il vero?
La tigre e il cervo
La tigre procede a testa alta
nel tropico che la vede padrona
di ogni foglia, di ogni sfumatura.
Non perdona, ma non compie passo falso
di abuso, di violenza verso gli altri,
Nessuna; si compiace, anzi
di essere la sola a poter aiutare.
Non prova amore:
Non ha vera forza
All’infuori del sentirsi superiore.
–
Oltre al confine del tropico
la tigre cercava una preda,
Presa dalla solitudine
di una vittoria ormai invisibile.
Lei desiderava amare,
davvero,
Una creatura migliore,
Senza mai aver imparato ad amare
sé stessa, ciò
che la rendeva uguale.
Ma nella foresta
di forme diverse,
Di diverse leggi,
diverse realtà,
Volere solo vincere
significava reggere
Un metro diverso
dal braccio di ferro.
Chi si misura solo con la forza
non sa mai cosa l’aspetta.
Chi non ha forza
se non nel confronto
Nasconde la più grande debolezza.
Disarmata, ascoltavo morire
anche il grido
Di una grinta spenta in eterno:
Erano le lacrime di una tigre
di fronte alla grazia del cervo.
Non sapro’ mai più
Non ho mai chiesto più
da certi sogni
che mi lasciassero stare.
Quando la guardia è bassa
e non so interpretarli,
le sale buie e accumuli
di oggetti più che inutili.
Non ho mai chiesto più
dalla mia mente
di non caderci ancora.
Se è più facile perdersi,
ben più che ritrovarsi,
Io non saprò mai più dove mi trovo.
Termini
Definisci i Termini
delle mie notti instabili
E di giornate sature,
svuotate in un flacone.
Non c’è altra direzione che
sappia dare ai miei passi,
Tu, strada, Termini nella stazione.
Ragazze, amici, occupazioni e amore
languono sul filo della spada
Che rende ognuno dei miei sogni inerme,
atrofizzato tra le vie di Termini.
Non amare la tigre
nessuno vuole stare
Con qualcuno di così eccezionale
ed egocentrico.
C’è stato un tempo
in cui morivo ogni giorno
di devozione;
Ora un silenzio
in cui ascoltare
cadere la cenere.
Non amare la tigre
la cui rabbia non ama,
Che non ammira e non ha mire
se non quella di
arrivare prima.
Sotto al suo morso muore
la sfida di ogni creatura;
Non amare la tigre
che o ti ama
o ti divora.
A colori
Però l’uomo ha sempre visto a colori,
e uguale è il grido di ognuno che muore.
A cosa, a chi sentirsi superiori?
A ere passate e culture presenti?
Cose superate, o semplicemente
Rotte sconosciute dei venti.
Invece di far luce
sappiamo nascondere
e, invece di conoscere,
soltanto giudicare.
Invece di esplorare
ogni strada in quanto nuova
sappiamo solo chiuderci
a ogni alternativa.
Emilia Vetere
Nei campi urbani
Le porte automatiche dell’Inverno
fuori dalla stazione; ciò che prima
ha condito la mia vita, vita mia
Non ne hai lasciato nulla.
Sarà più Primavera?
Nei campi urbani della Tiburtina
la gente loda il respiro dell’aria
“Finalmente verde”, e i palazzi
sghignazzano a braccetto, in lontananza.
La vittoria del freddo
incalza, noncurante,
E io che vago, senza più una meta,
Scrivo;
Il blu del buio
mi si addensa addosso.
Sfrigolano le logoranti
frustrazioni altrui
ingoiate dalla città, Roma mia,
che ne ridi.
Poesie tratte dalla raccolta Colline (Ensemble, 2018) di Emilia Vetere
Termini
Definisci i Termini delle mie notti instabili E di giornate sature, svuotate in un flacone. Non c’è altra direzione che sappia dare ai miei passi, Tu, strada, Termini nella stazione.
Ragazze, amici, occupazioni e amore languono sul filo della spada Che rende ognuno dei miei sogni inerme, atrofizzato tra le vie di Termini.
***
Alchimia del terrore
Dimmi
se devo morire
nel nome di una convinzione e
di mazzi di pezzi di carta,
Dimmi se non ti riguarda,
Se la paura negli occhi
non era la tua
e i pianti e i gridi
non chiamavano te.
Non è solo un luogo,
non è solo un giorno
in un punto del mondo.
Dimmi, ancora, quante bocche
stanno sputando sentenze
gelate, volendo ignorare
Che è qualcosa di più grande, un velo
che ci avvolge uno a uno,
sotto lo stesso cielo.
***
In un giorno felice
Non all’altezza di ciò che mi gira in testa: Questo.
Una dei tanti nessuno tra i miei schemi inerti.
Nulla che sia più piacevole, ormai. Non più lo speziato sentore di trasgressione nel divertimento, Non ancora un premio al mio (forse) talento.
Ma in un giorno felice non avrò mai detto questo.
Difficile, no, impossibile, volevo dire, Stabilire – o provarci soltanto l’altalenante andamento dell’alto e l’abisso.
Il fulcro della mia leva, l’ultimo, unico punto che ho fisso È il disequilibrio.
Fossi una fenice, avrei finito presto anche la cenere da cui rinascere;
Ma in un giorno felice, io non avrò mai detto questo.
Roma Municipio XI-Natale 2024 e il “Concerto per Ludo”
Roma Municipio XI-Natale 2024-Sono ormai vari giorni che a Vigna Pia, come in tutta Roma, le luminarie rendono il quartiere colorato e più allegro, soprattutto in questo periodo in cui stare allegri non è sempre facile. Anche quest’anno, come un segnalibro o un inciso sottolineato, ci sarà il Concerto per Ludo che ci accompagnerà verso il Natale. Il Concerto per Ludo vuole essere un ricordo in musica di una ragazza che ora è una dolce Poesia astratta .Il Concerto “Melodie di Natale” con l’esibizione del coro “Lost On Friday” sarà, si spera, un modo di allontanare la polvere dai nostri ricordi più cari. Il concerto è un tassello che contribuisce alla costruzione del “Mosaico collettivo” che si fa “concretezza” in una borsa di studio in memoria di Ludo-
Ludovica Dell’Atti
Borsa di studio in memoria di Ludovica Dell’Atti
I genitori, la sorella, le amiche, gli amici e tutti i cari di Ludovica desiderano ricordare Ludovica Dell’Atti scomparsa prematuramente nel dicembre del 2022, mettendo a disposizione una borsa di studio per un programma scolastico annuale negli USA rivolta a studenti meritevoli iscritti al concorso di Intercultura della provincia di Roma.
Ludovica aveva compiuto da poco 17 anni e sognava di passare un anno negli USA da quando aveva iniziato il liceo linguistico. Ludovica amava l’inglese e pur non avendo frequentato corsi specifici aveva una buonissima padronanza di linguaggio, adorava mettersi alla prova parlando con dei veri madrelingua.
Attraverso lo spirito del viaggio vorremmo ricordarla ogni anno dedicandole una borsa di studio che permetta ad un ragazzo di viaggiare con lo stesso entusiasmo.
Il tuo contributo potrà aiutare a portare avanti il suo sogno!
Coro Lost on Friday
Notizie- Il Coro Lost on Fridaynasce nel gennaio 2010 dalla volontà dei componenti di riunirsi insieme cantando, sotto la guida del M° Rita Stocchi e con il valido accompagnamento al a. Da allora il coro ha intrapreso un’intensa attività concertistica, con un repertorio principalmente legato al gospel e allo spiritual, e si è esibito per beneficenza in numerose Basiliche romane, registrando un crescente consenso da parte del pubblico. Ha inoltre tenuto concerti presso il Teatro Angerosa del carcere circondariale di Rebibbia a Roma e ha partecipato in diretta, nel febbraio del 2014, al programma televisivo “La canzone di noi” su Tv2000. Il nome Lost on Friday (Persi di venerdì) nasce dal nostro giorno di prove e dal fatto che in quella sera non c’è possibilità di trovarci altrove se non a cantare nelle sale della Parrocchia di Santa Melania Juniore che gentilmente ci ospita. Il nostro logo ci rispecchia: un gruppo di persone unite, pur restando ciascuno con la propria individualità. Il loro numero, 13, riprende quello delle note in un’ottava, ma in realtà noi siamo molti di più: il coro si compone attualmente di una quarantina di persone. Le offerte raccolte durante i concerti sono elargite in opere umanitarie gestite dai responsabili dei siti dove si tengono le esibizioni. Ha al suo attivo negli ultimi anni la partecipazione a molteplici esibizioni a scopo benefico, tra cui ci piace ricordare quello nel 2022 presso la Basilica di Santa Francesca Romana in occasione del concerto organizzato dall’associazione Misioneros del Camino.Il Coro è attualmente diretto dal M° Fabrizio Adriano Neri.
Natale 2024 e il “Concerto per Ludo”
Il Concerto per Ludo “Melodie di Natale”-Coro LostOnFriday- al pianoforte Antonio Cama-Dirige il Maestro Fabrizio Adriano Neri.
Appuntamento venerdì 20 dicembre 2024-Ore 20:30
Parrocchia – Sacra Famiglia al Portuense
via Filippo Tajani, 10-Roma Municipio XI-
Offerta libera e consapevole per la borsa di studio in memoria di Ludovica
Roma al Teatro Ghione va in scena “Uno, nessuno, centomila” di Luigi Pirandello-
Roma-Al Teatro Ghione, dal 6 al 9 febbraio 2025 con Primo Reggiani, Francesca Valtorta, Jane Alexander, Fabrizio Bordignon e Enrico Ottaviano uno spettacolo tratto da uno dei romanzi più famosi di Luigi Pirandello: “Uno, nessuno, centomila”, per la regia di Nicasio Anzelmo.
Ironico, grottesco, e capace di mettere in crisi la società borghese del primo Novecento, la storia segue il viaggio di Vitangelo Moscarda, un personaggio complesso alla ricerca della propria identità. Temi come l’autenticità, la percezione della realtà e il rapporto con le convenzioni sociali emergono in tutta la loro forza per una storia ancora oggi di grandissima attualità.
UNO NESSUNO CENTOMILA-di Luigi Pirandello
Con-Primo Reggiani, Francesca Valtorta, Jane Alexander, Fabrizio Bordignon, Enrico Ottaviano
Adattamento e Regia-NICASIO ANZELMO
Roma al Teatro Ghione va in scena “Uno, nessuno, centomila” di Luigi Pirandello
Ironico, grottesco, capace di mettere in crisi la società borghese del primo novecento questo è stato ed è tutt’ora la forza di Uno nessuno e centomila. L’ultimo dei romanzi di Pirandello, è denso di enigmi, e secondo lo stesso autore esso è «sintesi completa di tutto ciò che ho fatto e la sorgente di quello che farò». In una lettera autobiografica, Pirandello lo definisce come il romanzo “più amaro di tutti, profondamente umoristico, di scomposizione della vita”. Il protagonista Vitangelo Moscarda è forse uno dei personaggi più complessi della produzione pirandelliana: “prima impacciato e prigioniero delle opinioni altrui, poi sempre più consapevole e determinato a cercare l’autenticità spirituale dell’esistenza , fino all’affrancamento finale da tutte “le rabbie del mondo”. Un giorno, accorgendosi casualmente che il suo naso pende verso destra, incomincia a percorrere un viaggio scoprendo ogni giorno che passa di non essere, per gli altri, quello che crede di essere. Il protagonista, incontrando e confrontandosi con una miriade di personaggi, cercherà di distruggere le molte immagini che gli altri vedono di lui, fino a diventare aria, vento, puro spirito.
Un lavoro rivoluzionario, soprattutto per i tempi in cui fu scritto, che tocca temi estremamente attuali come il rapporto con la natura, con una spiritualità negata dalla società e dalla convenienza, la ricerca spasmodica di se stessi. Un testo che nella sua modernità sorprende, soprattutto oggi, nell’analisi dell’istituto bancario e dell’impatto che lo stesso ha sul tessuto sociale.
Un impianto scenografico in movimento, un gruppo di cinque straordinari attori e l’umorismo tipico in Pirandello, ci racconteranno questa storia ancora oggi di grandissima attualità.
Musiche di Pëtr Il’ič Čajkovskij (op. 71)- L’International Classic Ballet-
.
Roma- Teatro Olimpico- LO SCHIACCIANOCI- con musiche di Pëtr Il’ič Čajkovskij (op. 71), L’International Classic Ballet, fondato a Madrid nei primissimi anni del duemila, ha raccolto intorno a sè alcuni tra i più talentuosi professionisti del balletto clssico della scena internazionale.
. Roma- Teatro Olimpico- LO SCHIACCIANOCI- con musiche di Pëtr Il’ič Čajkovskij (op. 71)
Un ensemble di trenta ballerini provenienti da tutto il mondo, traducono, per il grande pubblico, il repertorio classico nella sua accezione più pura con la grazia espressiva che le coreografie del Novecento richiamano.
“𝗨𝗡𝗔 𝗦𝗖𝗘𝗟𝗧𝗔 𝗔𝗨𝗗𝗔𝗖𝗘
𝗖𝗛𝗘 𝗛𝗔 𝗖𝗢𝗡𝗤𝗨𝗜𝗦𝗧𝗔𝗧𝗢 𝗟𝗘 𝗣𝗟𝗔𝗧𝗘𝗘 𝗣𝗜𝗨’ 𝗣𝗥𝗘𝗦𝗧𝗜𝗚𝗜𝗢𝗦𝗘
𝗘 𝗟𝗘 𝗔𝗡𝗜𝗠𝗘
𝗣𝗜𝗨’ 𝗔𝗙𝗙𝗘𝗦𝗜𝗢𝗡𝗔𝗧𝗘 𝗔𝗟 𝗕𝗔𝗟𝗟𝗘𝗧𝗧𝗢 𝗖𝗟𝗔𝗦𝗦𝗜𝗖𝗢
𝗗𝗜 𝗧𝗨𝗧𝗧𝗔 𝗘𝗨𝗥𝗢𝗣𝗔”
.
𝗦𝗽𝗲𝘁𝘁𝗮𝗰𝗼𝗹𝗶
giovedì 5 dicembre ore 20.30
venerdì 6 dicembre ore 20.30
sabato 7 dicembre ore 16.30
sabato 7 dicembre ore 20.30
domenica 8 dicembre ore 17.30
—————————————-
𝗗𝗔𝗧𝗘 𝗘 𝗢𝗥𝗔𝗥𝗜 𝗦𝗣𝗘𝗧𝗧𝗔𝗖𝗢𝗟𝗜
𝗦𝗽𝗲𝘁𝘁𝗮𝗰𝗼𝗹𝗶
giovedì 5 dicembre ore 20.30
venerdì 6 dicembre ore 20.30
sabato 7 dicembre ore 16.30
sabato 7 dicembre ore 20.30
domenica 8 dicembre ore 17.30
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𝗣𝗥𝗘𝗭𝗭𝗢 𝗕𝗜𝗚𝗟𝗜𝗘𝗧𝗧𝗢
Da € 18,00 a € 46,00 (escluso diritto di prevendita)
Čajkovskij compose le musiche del balletto tra il 1891 e il 1892. La prima rappresentazione, che ebbe luogo il 18 dicembre 1892 presso il Teatro Mariinskij di San Pietroburgo, Russia, fu diretta interamente dal compositore italianoRiccardo Drigo e coreografata dal ballerino russo Lev Ivanov; questa esecuzione tuttavia non riscosse successo.[1] Tra gli interpreti di questa prima esecuzione spiccano l’italiana Antonietta Dell’Era, nel ruolo della Fata Confetto, il russo Pavel Gerdt come Principe Coqueluche, una giovanissima Ol’ga Preobraženskaja nella parte di Colombina e il giovane Nicolaj Legat. Il ruolo di Clara era interpretato da una bambina della scuola di ballo del Teatro Mariinskij.
La suite, estremamente popolare in sede concertistica, fu realizzata nell’agosto 1892 dal musicista stesso, che a differenza degli altri due propri balletti, per i quali non era convinto a creare una suite, lo fece su invito come “anteprima” della prossima realizzazione, addirittura quando non era stata ancora iniziata l’orchestrazione integrale del balletto (i primi numeri furono proprio quelli della Suite).[2] La diresse personalmente a San Pietroburgo il 7 marzo 1892, un esito trionfale. La Suite dura una ventina di minuti, utilizzando lo stesso organico dell’opera ballettistica.[3]
Una novità in quest’opera è la presenza di uno strumento che fu visto dal compositore a Parigi: la celesta. Čajkovskij lo volle assolutamente inserire nell’organico strumentale e lo aggiunse in alcuni passaggi del secondo atto: Scene iniziali, Passo a due (Danza della Fata Confetto) e Apoteosi con associazione al personaggio della Fata. Lo strumento venne usato da Čajkovskij anche nel proprio poema sinfonico Il Voevoda, op. 78, contemporaneo al balletto. Prima di lui, in assoluto, Charles-Marie Widor nel 1880. Il nostro musicista temeva che i suoi “rivali” russi potessero precederlo nell’utilizzo dello strumento.
Alcune versioni diverse
Dopo la prima esecuzione di Ivanov vanno ricordate quelle riviste da Aleksandr Gorskij nel 1919 e da Lopukhov nel 1929. Gorskij ha creato una sua versione del balletto per il Teatro Bol’šoj di Mosca, nella quale il ruolo di Clara è passato a una danzatrice adulta e quindi nel secondo atto al posto della Fata Confetto e il principe Coqueluche erano gli stessi Clara e Schiaccianoci a danzare il pas de deux. In seguito in Russia per molto tempo si è mantenuta la versione di Gorskij, come ad esempio nelle produzioni di Vasilij Vainonen del 1934 per il Teatro Kirov di Leningrado (già Mariinskij di San Pietroburgo) e quella di Jurij Grigorovič del 1966 per il Bol’šoj di Mosca. Nel giugno del 1934 ci fu il debutto europeo del balletto al Sadler’s Wells di Londra, riprendendo la coreografia di Ivanov. In Italia arrivò solamente quattro anni dopo, nel 1938, alla Scala di Milano, con la coreografia di Margherita Froman.
Gli anni successivi videro numerose versioni differenti del balletto, tra le quali quelle di Boris Romanov, Frederick Ashton e quelle di Nicholas Beriozoff. La rivisitazione più particolare fu quella di George Balanchine che nel 1954 decise di dividere il balletto in due parti, seguendo la trama originale: la realtà e il sogno. Questa versione è stata rappresentata dal New York City Ballet con il titolo George Balanchine The Nutcracker®.
Lo schiaccianoci è anche uno dei soggetti più rappresentati nelle scuole di ballo; una versione ad esempio è quella creata per la Scuola di Ballo dell’Accademia del Teatro alla Scala di Milano da Frederic Olivieri, rappresentata al Piccolo Teatro di Milano nel 2011 e nel 2012, un’altra invece per la Scuola di Danza del Teatro dell’Opera di Roma da Pablo Moret ed Ofelia Gonzalez rappresentata al Teatro Nazionale nel 2012 e nel 2013.
Lo schiaccianoci moderno
Lo schiaccianoci è stato ripreso più volte dal cinema, dal teatro e dallo sport.
Un esempio cinematografico è il film Fantasia di Walt Disney, in cui fate, funghi, pesci, fiori, cardi e orchidee danzano al ritmo dello Schiaccianoci: la partitura musicale di Čajkovskij è stata riproposta fedelmente. Il balletto originale dura solamente novanta minuti, quindi è più breve rispetto al Lago dei cigni o a La bella addormentata. In queste rappresentazioni i compositori omettono brani, li riordinano o addirittura aggiungono brani tratti da altre opere. Nel 1983 infatti, ne Lo schiaccianoci: fantasia su ghiaccio, un adattamento televisivo per uno spettacolo di pattinaggio su ghiaccio, le musiche originali sono state riordinate secondo un’altra scaletta e sono state aggiunte poi musiche di un altro compositore russo, Mikhail Ippolitov-Ivanov.
L’attuale popolarità de Lo schiaccianoci è in parte dovuta a Willam Christensen, fondatore della compagnia San Francisco Ballet, che importò il lavoro negli Stati Uniti nel 1944. Il successo del balletto e la coreografia di George Balanchine per la sua prima rappresentazione nel 1954 creò una vera e propria tradizione invernale nelle rappresentazioni dell’opera negli Stati Uniti.
Lo schiaccianoci ebbe anche una parodia sul settimanale Topolino, pubblicata nel 1988 con protagonista Minni, Minni e il re dei topi: la storia ha la particolarità che i ruoli dello Schiaccianoci e del Re dei Topi sono invertiti, con il primo nella parte del cattivo e il secondo in quella del buono.[4]
Nel 1990 viene realizzato un lungometraggio d’animazione intitolato: La favola del principe schiaccianoci ispirato alla favola di E. T. A. Hoffmann Schiaccianoci e il re dei topi, con le musiche originali del celebre balletto. Nel 1993 il regista Emile Ardolino produce una versione cinematografica del balletto sulla base della coreografia di George Balanchine, intitolata George Balanchine The Nutcracker® con Macaulay Culkin nel ruolo dello Schiaccianoci. Il film si distingue per essere una ripresa dell’esibizione in teatro del balletto ad opera del corpo di ballo del New York City Ballet, con le musiche originali di Čajkovskij e una voce narrante affidata in Italia ha Michele Kalamera come uniche parti audio. Al 2001 risale il film d’animazione Barbie e lo schiaccianoci (tit. orig. Barbie in the Nutcracker), che ripropone la storia e le musiche del balletto. Nel 2007 uscì il film d’animazione Tom & Jerry e la favola dello schiaccianoci (titolo originale Tom and Jerry: A Nutcracker Tale).
Un film ungherese-britannico in lingua inglese del 2010 è stato firmato dal regista russo Andrej Končalovskij, intitolato Lo schiaccianoci (tit. orig. The Nutcracker in 3D). Si tratta di un “fantasy” che utilizza sia la musica del balletto, sia altre composizioni di Čajkovskij (come la Quinta Sinfonia), per gli arrangiamenti di Eduard Artemiev e Tim Rice (canzoni). Il film ha ricevuto grandi critiche negative all’estero[5] ed addirittura un Premio per Peggior uso del 3D nella trentunesima edizione 2010 del Razzie Awards 2010, svoltasi il 26 febbraio 2011, che ad Hollywood premia i peggiori film dell’anno. In Italia è uscito il 2 dicembre 2011 con altrettanto insuccesso.
Il 2 novembre 2018 la Disney ha distribuito nelle sale una libera trasposizione cinematografica del romanzo, nel quale vennero riprese anche parti delle musiche del balletto originale. Il titolo del film, diretto da Lasse Hallström, Lo schiaccianoci e i quattro regni, ha tra gli interpreti Keira Knightley nel ruolo della Fata Confetto, Morgan Freeman in quello di Drosselmeyer, Helen Mirren nella parte di Madre Cicogna e la giovane Mackenzie Foy nel ruolo della protagonista Clara. Sono inoltre presenti i celebri ballerini Misty Copeland e Sergei Polunin per le scene di ballo.[6]
La trama del libretto dunque si basa sulla versione del medesimo racconto elaborata da Alexandre Dumas (Storia di uno schiaccianoci), dal tono più leggero. Qui verrà analizzata la versione originale del balletto, quella di Ivan Vsevoložskij e Marius Petipa.
Atto I
Durante la vigilia di Natale, agli inizi del XIX secolo, il signor Stahlbaum, in Germania, allestisce una festa per i suoi amici e per i loro piccoli figli.
Questi, in attesa dei regali e pieni di entusiasmo, stanno danzando quando arriva il signor Drosselmeyer, lo zio di Clara e Fritz, che porta regali a tutti i bambini, intrattenendoli con giochi di prestigio, nonostante all’inizio incuta paura ai bambini.
Alla sua nipote prediletta Clara regala uno schiaccianoci a forma di soldatino che Fritz, il fratello della bambina, rompe per dispetto. Ma Drosselmeyer lo ripara per la gioia della bambina.
Arrivano alla festa anche gli altri parenti e amici che si uniscono ballando con gioia. Clara, stanca per le danze della serata, dopo che gli invitati si ritirano, si addormenta sul letto e inizia a sognare. È mezzanotte e tutto intorno a lei inizia a crescere: la sala, l’albero di Natale, i giocattoli e soprattutto una miriade di topi che cercano di rubarle lo schiaccianoci.
Clara tenta di cacciarli, quando lo Schiaccianoci si anima e partecipa alla battaglia con i soldatini di Fritz: alla fine rimangono lui e il Re Topo, che lo mette in difficoltà. Clara, per salvare il suo Schiaccianoci, prende la sua scarpetta e la lancia addosso al Re Topo, distraendolo; lo Schiaccianoci lo colpisce uccidendolo. Ed ecco che lo Schiaccianoci si trasforma in un Principe e Clara lo segue, entrando in una foresta innevata. L’Atto si chiude con uno splendido Valzer dei fiocchi di neve.
Atto II
I due giovani entrano nel Regno dei Dolciumi, dove al Palazzo Reale li riceve la Fata Confetto e il principe Coqueluche, che presentano loro la corte del castello. Schiaccianoci racconta come la sua battaglia con il re dei Topi si sia conclusa felicemente grazie all’intervento di Clara, allora la fata organizza una festa in onore della fanciulla. Quindi tutti gli abitanti del palazzo si esibiscono in una serie di danze che compongono il Divertissement più conosciuto tra le musiche di Čajkovskij e culminano nel celeberrimo Valzer dei fiori.
Tra queste danze spicca in modo particolare il pas de deux (passo a due) della Fata Confetto con il Principe Coqueluche, in cui nella seconda variazione (Danza della Fata Confetto) si può riconoscere in modo eclatante il suono della celesta. A coronamento di questo passo a due tutti gli abitanti di quel posto fantastico si esibiscono in un gran divertissement coinvolgendovi anche Clara e Schiaccianoci, che alla fine vengono incoronati come nuovi sovrani del Regno dei Dolciumi. Quindi la Fata Confetto si inchina davanti a loro e dopo li conduce su di una slitta trainata da renne, che prende il volo tra i saluti di tutti.
Segue una festante apoteosi, rappresentata da uno sciame di api volanti attorno a un grande alveare.
Nella versione di Aleksandr Gorskij e in quelle successive che ne riprendono lo schema, il balletto si conclude con il risveglio di Clara accanto al suo schiaccianoci-soldatino e con una sua danza in ricordo del sogno che l’ha portata in un mondo ricco di avventure fantastiche.
Robert Creeley (Arlington, Massachusetts, 21 maggio 1926 – Odessa, Texas, 2 aprile 2005) Poeta statunitense, tra i maggiori esponenti della lirica postmoderna. Viaggiò in Europa e Asia vivendo per quarant’anni in Giappone, dove apprese la filosofia buddhista e lo zen. È spesso accostato ai poeti della Black Mountain, pur essendone lontano stilisticamente.
LE PIETRE
Cercando di pensare
ad una via d’uscita,
le pietre del pensiero
che spostano,
lanciate
in acqua,
molte altre cose.
Così la vita
è acqua, anche l’amore
ha una sostanza
simile.
Mancando
l’acqua una domenica
mattina Dio
non provvederà –
che sia mia moglie,
il suo calore
disteso
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al mio fianco, che sia questo
senso di calda
umidità la condizione
di ogni fioritura?
Lascia cadere
la pietra,
pensa bene, pensa
bene di me.
Robert Creeley
LA FINESTRA
La posizione esiste
dove la metti, dove si trova,
hai tu, per esempio,
quella grossa cisterna là,
argentata, con la chiesa bianca a fianco,
hai tu spostato tutto questo
e a quale scopo? Com’è pesante
il mondo monotono
con ogni cosa al suo posto.
Un uomo passa, una macchina accanto
nella strada che termina,
una foglia
gialla
sul punto di cadere.
Tutto
cade
al suo posto.
Il mio volto è pesante
a questa vista. Sento
l’occhio che si spezza.
Robert Creeley
PASSEGGIANDO
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Nella mia testa
passeggio, ma non sono
nella mia testa, dove si
può passeggiare
senza pensarlo, è forse
la strada stessa qualcosa
di più che veduto. Credo
potrebbe essere, sentire
come la sentono i miei piedi,
proseguire e alla fine
raggiungere, adagio,
uno scopo della mia intenzione.
IL LIMITE
Non posso
andare avanti
o indietro.
Sono preso
nel tempo
come limite.
Quello che pensiamo
pensiamo –
per nessun altro motivo
pensiamo se non per
pensare soltanto –
ciascuno per sé.
IL MECCANISMO
Se dovessimo cadere ora
alle nostre ostinate ginocchia
e sprofondare nel sonno, io
affondato nelle tue, allora
cosa ci terrebbe uniti
se non un peso
senza consistenza. Credi tu
nell’amore, e quanto.
Robert Creeley
“TENGO PER ME QUESTE MISURE…”
Tengo per me queste misure
che ho care,
di giorno in giorno le pietre
accumulano posizione.
Non esiste niente
se non ciò che il pensiero rende
meno tangibile. La mente,
per quanto veloce, rimane
indietro, vi sostituisce
come pietre semplici lapidi
solo per tornare
fiduciosa là dove
non può più. Tutto
oblia. La mia mente sprofonda.
Tengo tra le mani questo peso
è l’unico modo di descriverlo.
VARIAZIONI
L’amore esiste solo
così com’è l’amore. Questi
sensi ricreano
la loro definizione – una mano
trattiene in sé
ogni ragione. Gli occhi
hanno visto tanta bellezza
che si chiudono.
Ma prosegui. Così la voce
ancora, questi sensi ricreano
lo stato singolare provato
e provato ancora.
Ascolto. Ascolto
la mente che si chiude, la voce
che prosegue oltre,
le mani dischiuse.
Tenaci tengono
così strette soltanto se stesse,
sterili prese
di tale sensazione.
Ascolta, là dove
gli echi sono più
intensi, più luminosi,
sensazioni di suono
che si svelano e si celano
non più soltanto di amore, l’intenzione della mente,
la visione degli occhi, le mani che si stringono –
spezzati in echi, questi sensi ricreano
la loro definizione. Sento che la mente
si chiude.
Robert Creeley
QUALCHE POSTO
L’ho risolto, ho trovato
nella vita un centro
e me lo sono assicurato.
È la casa,
gli alberi al di là,
una vista limitata la racchiude.
Il tempo
la raggiunge
solo come in forma di vento, un breve
soffocato respiro. E se
la vita non lo raggiungesse?
Quando dovesse accadere
qualcosa, me l’ero assicurata,
proprio io, proprio,
insistendo.
Non c’è nulla che io sia,
nulla che non sia. Un luogo
in mezzo, io esisto. Sono
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più del pensiero, meno
del pensiero. Una casa
con venti ma una distanza
– qualcosa di sciolto al vento,
la sensazione del tempo come di quella esistenza,
sentieri verso le luci che lui ha abbandonato.
PAROLE
Sei sempre
con me,
non esiste
un luogo
separato. Ma se
nel luogo
tormentato
non posso parlare,
non solo indulgenza
o timore
ma una lingua
guasta
da ciò che gusta –
Esiste una memoria
di acqua,
di cibo quando uno ha fame.
Un giorno
e non sarà questo
allora dirò
parole
come chiari, bellissimi
filtri di cenere,
come polvere
da un luogo inesistente.
UNA PREGHIERA
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Benedici
una cosa piccola
ma infinita
e quieta.
Vi sono sensi
che creano un oggetto
col loro semplice sentirlo.
10 poesie di Robert Creeley tratte da “Parole” (dal libro “Per amore”, edizione italiana di Mondadori, 1971, traduzione di Perla Cacciaguerra, introduzione di Agostino Lombardo)
VALENTINA PER TE
*
Da dove, fino dove
il pensiero da fare –
Da dove, per dove
persino i significati ora mentono
Come, dove
queste speranze di riconciliare il cielo –
Anche la strada cambia
senza di te, anche il giorno.
Robert Creeley
Robert Creeley (Arlington, Massachusetts, 21 maggio 1926 – Odessa, Texas, 2 aprile 2005) Poeta statunitense, tra i maggiori esponenti della lirica postmoderna. Viaggiò in Europa e Asia vivendo per quarant’anni in Giappone, dove apprese la filosofia buddhista e lo zen. È spesso accostato ai poeti della Black Mountain, pur essendone lontano stilisticamente.
Roma -Torretta di Porta Pertusa-Fotoreportage di Franco Leggeri-
Torretta di Porta Pertusa
Nota -Fotoreportage di Franco Leggeri,la Torretta di Poerta Pertusa si trova a Roma ,sulla via Aurelia vicino al Vaticano di fronte all’ingresso dell’Ospedale San Carlo di Nancy, esisteva una sola foto in B/N. risalente agli anni 1940.
La storia in beve-Il Tomassetti parla di questa Torretta e la chiama “torretta nei pressi di Porta Pertusiam…(1)”. Il Tomassetti cita gli Atti Capitolini e citazioni della Camera Apostolica.
Questa Torretta è l’ultima delle torri di avvistamento della via Aurelia immediatamente a ridosso , linea d’aria (100/150 metri) dalle mura vaticane proprio di fronte a Porta Pertusa in posizione strategica sopra a Via Baldo degli Ubaldi in posizione dominante Valle Aurelia e Valle del Gelsomino-Via Gregorio VII. Dalla Torretta era possibile vedere Villa Carpegna e la Torre Rossa,oggi non più esistente ma ricordata dalla via omonima (poi è stato scoperto che Torre Rossa è in essere e pubblicherò foto e storia..).La Torretta ha una altezza di circa 7 m. La base di 3 m. circa.
La torretta si trova all’interno della Villa Pacelli in via Aurelia civ. 290 di fronte all’ospedale San Carlo . Nel 1947 Pio XII donò la villa Pacelli alla Congregazione Oblati di Maria Immacolata che ancora la possiedono , la villa è sede Generalizia della Congregazione.
Per le foto si ringrazia Monsignor Gilberto Pinon Gaytàn- Padre Generale della Congregazione Oblati di Maria Immacolata che mi ha ricevuto e mi ha permesso di scattare le foto . Per ultimo allego anche la foto in B/N del 1940-
(1)- Durante la Repubblica Romana del 1849 i francesi cercarono, ma invano, di aprirla per attaccare Garibaldi il quale aveva piazzato l’artiglieria repubblicana nei giardini vaticani.
È strutturata su tre aperture: due accessi secondari posti ai lati del portale principale, contornato da un maestoso bugnato. Attualmente è murata, e si trova su viale Vaticano, vicino alla via omonima, in corrispondenza del torrione di San Giovanni (restaurato da papa Giovanni XXIII che vi risiedette negli ultimi tempi del suo pontificato) che costituisce il baluardo sud-occidentale delle originali mura leonine.
L’epoca di edificazione, come anche per la porta Cavalleggeri, è alquanto controversa. Come l’altra, sembra dover risalire al tempo del rientro dei papi dalla cattività avignonese, quindi verso la fine del XIV secolo, quando i pontefici, di ritorno a Roma da Avignone con un consistente seguito, fissarono definitivamente la loro dimora in Vaticano (abbandonando la precedente residenza del Laterano) e le tre aperture delle mura leonine[1] si rivelarono insufficienti a soddisfare le esigenze del conseguente incremento demografico ed edilizio. Venne aperta forando le mura originarie, da cui il nome, e sembra dovesse servire solo per un utilizzo da parte della Curia e non per il traffico cittadino. Stefano Piale, basandosi sul fatto che non ne esistono menzioni precedenti all’umanista Flavio Biondo, ritiene che fu aperta dall’antipapa Giovanni XXIII, facendola quindi risalire al primo quarto del XV secolo. Di contro, potrebbe invece esserci un riferimento in un documento del 1279.
Praticamente nessuna citazione fa riferimento alla posterula situata poco oltre la porta, della quale esiste una sola testimonianza che la definisce “porta Palatii”.
Il restauro più consistente, insieme a quello dell’intero tratto occidentale di mura, sembra si possa far risalire a papa Pio IV, nel 1565, che però non vide la fine dei lavori, sebbene presso la porta sia stata apposta, in memoria, una lapide con lo stemma dalla sua casata, i Medici.
Fu probabilmente chiusa e riaperta in varie occasioni, di una sola delle quali però si ha notizia, poiché un documento del 1655 riferisce che fu aperta per l’arrivo a Roma della regina Cristina di Svezia[2].
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Traduzione di Salvatore Quasimodo-Illustrazioni di Renato Guttuso –
Einaudi editore-20 febbraio 1952 (prima edizione)
PABLO NERUDA – Poesie. Traduzione di Salvatore Quasimodo. Illustrazioni di Renato Guttuso. Torino, Einaudi editore, 1952 (20 Febbraio).-Cm. 22, pp. 169 (7). Con 5 suggestive tavole a piena pagina f.t. ed una piccola illustrazione n.t. di Renato Guttuso. Bella brossura editoriale illustrata dallo stesso Guttuso. Trascurabili segni del tempo. Esemplare nel complesso ben conservato. Importante traduzione italiana delle poesie di Pablo Neruda curata da Salvatore Quasimodo. Ricercata prima edizione seguita da molte ristampe identiche per forma e contenuto. Cfr. Iccu; Galati (1980): cita erroneamente il 1965 come data per la prima edizione italiana.
Pablo Neruda
Biografia di Pablo Neruda
Pablo Neruda, Pseudonimo del poeta cileno Ricardo Neftalí Reyes Basoalto (Parral 1904 – Santiago 1973). Premio Nobel per la letteratura nel 1971, N. è considerato una delle voci più autorevoli della letteratura contemporanea latino americana, per la sua sensibilità acuta ma non preziosa, ricchissima d’immagini ma non complicata. È stato testimone di molti degli eventi cruciali che hanno segnato il XX secolo: dalla guerra civile spagnola alla guerra fredda, dai movimenti di liberazione in America Latina alla morte di S. Allende. La sua opera poetica comprende un’impressionante antologia di testi fra i più alti della poesia moderna di lingua spagnola, sostenuti da un prodigioso dono di «canto» che si articola nelle strutture musicali più disparate, con una costante sperimentazione linguistica e metrica, sui temi congeniali dell’amore, del paesaggio natale e delle speranze collettive.
Vita
Di origini modeste, frequentò il liceo di Temuco e l’univ. di Santiago, dove nel 1921 si mise in mostra vincendo una gara poetica con La canción de la fiesta. Nominato console in India nel 1926, iniziò una brillante carriera diplomatica che gli dette modo di maturare le sue esperienze con continui viaggi e incontri. Stabilitosi in Spagna nel 1934, sempre al seguito dell’ambasciata cilena, si legò subito con il gruppo repubblicano di R. Alberti, F. García Lorca, M. Hernández e dette vita, sulle colonne della rivista da lui stesso fondata, El caballo verde para la poesía, a una vivace polemica con J. R. Jiménez. La guerra civile, il suo temperamento drammatico e, non ultima, la morte di Lorca e di Hernández, lo spinsero sempre più a precisi impegni politici che tanta parte hanno avuto poi nella sua vita e in tutta la produzione posteriore. Dopo ancora qualche anno di servizio diplomatico, nel 1944 N. tornò in Cile, e fu eletto senatore; ma un’accusa di tradimento lo costrinse ben presto a esulare in Messico, da dove compì lunghi viaggi in Europa (Parigi, Polonia, Ungheria). Nel 1949 presiedette a Città di Messico il congresso mondiale dei Partigiani della pace. Nel 1951 visitò l’Italia e la Cina. Nel 1952 fu ancora in Italia, da dove venne espulso come straniero indesiderabile. Tuttavia, a seguito di un movimento d’opinione pubblica, il decreto fu revocato, e N. poté trascorrere un lungo periodo a Capri. Nel 1953 tornò in patria, nel suo rifugio di Isla Negra presso Valparaíso. Con l’avvento alla presidenza della Repubblica di S. Allende (1970), fu nominato ambasciatore a Parigi. Nel 1972, gravemente malato, tornò in Cile, mentre il governo Allende era in crisi. Nel 1973, quando ormai la minaccia del colpo di stato militare era incombente, N. seguì Allende sul cammino della morte, mentre la dittatura di Pinochet s’instaurò in tutto il paese.
Opere
Trovatosi a scrivere negli anni in cui l’opera di R. Darío dettava legge in tutta l’Ispano-America, N. non aveva potuto fare a meno di allinearsi con le tendenze moderniste, benché la sua ispirazione fosse già orientata verso altre strade. Uscito finalmente dal pericoloso equivoco tra il 1924 e il 1935, e avendo raggiunto una notevole maturità espressiva, poté dare sfogo alla sua originalità, divenendo, in breve tempo, il maggior rappresentante degli anti-modernisti. Il sentimento riacquista allora l’importanza che l’esasperato formalismo gli aveva negato e la personalità intensa e drammatica del poeta si fa luce con versi che sembrano scritti, come disse Lorca, «più che con l’inchiostro, con il sangue». La società borghese, giudicata corrotta e ipocrita, è presa continuamente di mira con attacchi violenti alle convenzioni, ai sentimenti codificati, all’ordine costituito, mentre, con immagini grottesche, se ne sviliscono i suoi sacerdoti. Dal 1940 N., ormai marxista convinto, si dedica quasi esclusivamente alla poesia sociale e alla lotta politica: il dolore, l’umiliazione, la speranza sono i temi ricorrenti di questa nuova produzione, accompagnati da una vena di profondo calore umano che riesce a smorzare i toni marcatamente propagandistici e a dare spesso pagine d’intensa poesia. Tra le sue opere principali si ricordano: Crepusculario (1923), Veinte poemas de amor y una canción desesperada (1924), Tentativa del hombre infinito (1926), Residencia en la tierra (1933; 2a ed., con l’aggiunta di un 2º vol. contenente le liriche composte dopo il 1931, 1935), España en el corazón (1937), Tercera residencia (raccolta delle poesie composte dopo il 1935, 1945), Canto general (1950), la sua opera maggiore, amplissimo poema sulla storia del Cile e della stessa America latina come insieme di tradizioni e incrocio di civiltà; Odas elementales (1954), Nuevas odas elementales (1956), Tercer libro de las odas (1957), Estravagario (1958), Navigaciones y regresos (1959), Memorial de Isla Negra (1964), Arte de pájaros (1966), Fulgor y muerte de Joaquín Murieta (1967, dramma scritto in Italia), La barcarola (1968), Las manos del dia (1968), Aun (1969), l’apocalittico Fin del mundo (1969), Las piedras del cielo (1970), La spada encendida (1970), Geografía infructuosa (1972). Da segnalare infine le prose autobiografiche di Confieso que he vivido (1973; trad. it. 1975) e la traduzione italiana integrale della sua opera poetica (1960-73).
Pablo Neruda
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Renée Vivien, pseudonimo di Pauline Tarn (Londra, 11 giugno 1877 – Parigi, 18 novembre 1909), è stata una poetessa britannica che scrisse in francese, soprannominata “Saffo 1900”. Si trasferì giovanissima in Francia. Lì venne a contatto con l’ambiente articonformista parigino. La Vivien era apertamente lesbica, viveva lussuosamente e amava viaggiare. Morì a trentadue anni a causa di una pleurite contratta a Londra, ma le sue condizioni erano già deboli e precarie a causa di continui digiuni..La Tarn aderì ai modi del Simbolismo, Parnassianesimo e fu anzi fra gli ultimi poeti ad aderire a tale scuola.
Somiglianza inquietante
Ho visto sulla tua fronte bassa il fascino del serpente. Le tue labbra hanno inumidito il sangue di una ferita, e qualcosa dentro mi disgusta e si pente mentre il tuo freddo bacio mi punge con un morso.
Uno sguardo da vipera è nei tuoi occhi socchiusi, e la tua testa furtiva e piatta si raddrizza più minacciosa dopo il languore del riposo. Ho sentito il veleno in fondo alla tua carezza.
Duranti i giorni d’inverno nervosi e ghiacciati, tu sogni i tepori di profonde vallate, e ci si immagina, al vedere il tuo lungo corpo ondulato, delle scaglie d’oro lentamente spiegate.
Ti odio, ma la tua plastica e luminosa bellezza mi prende e m’affascina e m’attira senza fine, e il mio cuore, pieno di spavento davanti alla tua crudeltà, ti disprezza e t’adora, o Rettile e Dea
Renée Vivien poetessa britannica
Versi d’amore
Tu conservi negli occhi la voluttà delle notti, o gioia inaspettata al termine delle solitudini! Il tuo bacio è come il sapore dei frutti e la tua voce fa sognare meravigliosi preludi mormorati dal mare nella bellezza delle notti.
Tu porti sulla fronte il languore e l’ebbrezza, i giuramenti eterni e le confessioni d’amore, sembri evocare la timida carezza il cui ardore trafuga la luminosità del giorno e ti lascia sulla fronte l’ebbrezza e il languore
Renée Vivien poetessa britannica
I solitari
Coloro che hanno per mantello lenzuoli funerari provano la voluttà divina di essere solitari. La loro castità ha pena dell’ebbrezza delle coppie della stretta di mano, dei passi dal ritmo lieve. Coloro che nascondono la fronte nei lenzuoli funerari sanno la voluttà divina di essere solitari. Contemplano l’aurora e l’aspetto della vita senza orrore, e chi li compatisce prova invidia. Coloro che cercano la pace della sera e dei lenzuoli funerari conoscono la spaventosa ebbrezza di essere solitari. Sono i beneamati della sera e del mistero. Ascoltano nascere le rose sottoterra e percepiscono l’eco dei colori, il riflesso dei suoni… Si muovo in un’atmosfera grigio-viola. Gustano il sapore del vento e della notte, hanno occhi più belli delle torce funerarie.
Renée Vivien poetessa britannica
La poesia di Renée Vivien fu per molti motivi celata, ancora oggi è sconosciuta, e proprio per questo motivo è interessante scoprirla e apprezzarla. Vivien scrisse del suo amore omosessuale per Natalie Clifford Barney, condannò nei suoi versi certi schemi patriarcali e maschilisti, creò addirittura un salotto letterario di sole donne in risposta all’Accademia francese che ne escludeva la partecipazione. Della sua poesia tradotta in italiano non abbiamo moltissimo, ma ricordiamo Cenere e polvere, a cura di Teresa Campi.Nella Parigi di inizio Novecento, venticinque secoli dopo Saffo, in una città mondana e libertina, tra i pizzi delle gonne al Moulin Rouge e i cocktail “al vetriolo” serviti nei salotti, una poetessa sfidò il suo tempo, scrivendo versi appassionati sull’amore e sulle donne.
Il suo nome era Pauline Mary Tarn (1877-1909), meglio conosciuta come Renée Vivien, una “figlia di Baudelaire”, come fu definita, che mise fine alla sua vita troppo presto, a soli trentadue anni.
Riportata in auge dal femminismo degli anni Settanta come una pioniera del canto lesbico, è ora considerata una delle voci più autorevoli del simbolismo francese. Al di là di ogni vivisezione psicoanalitica, che la tratteggia come anoressica, masochista, amante della Morte a discapito della Vita, la provocazione di Renée Vivien ha ancora molto da dire a favore del canto poetico inteso come “panico del suono”.
Teresa Campi, la prima studiosa italiana di Renée Vivien, restituisce finalmente un ritratto sincero di questa straordinaria donna presentandola non più come una figura misteriosa e “depravata” ma anzi come un personaggio appassionato, sullo sfondo dell’atmosfera dorata dei salotti e cenacoli delle jeunes filles de la Societé Future tra cui spiccava l’americana Natalie Clifford Barney, ricca e spavalda amante di Renée.
Il loro legame, tanto sulfureo quanto doloroso, divenne il perno centrale dei delicatissimi e mistici versi della poetessa. Eccentrica e scandalosa, ma anche colta e raffinata, la “Musa delle violette” ci ha lasciato parole appassionate e tempestose, che continuano a risuonare nel tempo.
“Mi hanno segnata a dito con un gesto stizzito perché il mio sguardo ti cercava teneramente, e vedendoci passare nessuno ha capito che io ti avevo scelta semplicemente. Osserva la vile legge che io trasgredisco e giudica il mio amore, che non conosce il male”.
– Renée Vivien
La Tarn aderì ai modi del Simbolismo, Parnassianesimo e fu anzi fra gli ultimi poeti ad aderire a tale scuola. Una donna dichiaratamente lesbica di alto profilo, nella Parigi della Belle Époque.
Scrisse sia versi che prose poetiche, utilizzando anche lo pseudonimo di Paule Riversdale[2] nelle opere composte in collaborazione con Hélène van Zuylen van Nyevelt.
Biografia
(FR)«Voici la nuit: je vais ensevelir mes morts,
Mes songes, mes désirs, mes douleurs, mes remords,
Tout le passé… Je vais ensevelir mes morts.»
(IT)«Ecco la notte: sto per seppellire i miei morti,
i miei sogni, i miei desideri, i miei dolori, i miei rimorsi,
tutto il passato… Sto per seppellire i miei morti»
Nell’ambiente “bohémien” parigino il suo stile di vita e il suo modo di vestire erano altrettanto noti dei suoi versi: viveva lussuosamente, era apertamente lesbica, e aveva una relazione con l’ereditiera e scrittrice statunitenseNatalie Clifford Barney. Ebbe inoltre per tutta la vita una passione per una sua amica intima d’infanzia, Violet Shillito, che però rimase sempre sul piano platonico.
Vivien era colta ed aveva viaggiato molto. Aveva passato un inverno in Egitto, visitato la Cina ed esplorato l’Europa e gli USA. I suoi contemporanei la considerarono bella ed elegante, grazie anche ai capelli biondi e agli occhi scuri con riflessi dorati. I digiuni protratti (un’abitudine che avrebbe poi contribuito alla sua morte) l’avevano resa anche relativamente magra.
Viveva lussuosamente a Parigi, in un elegante appartamento a piano terra che si apriva su un giardino alla giapponese. La sua casa era piena di mobili ed opere d’arte provenienti dal lontano Oriente. Inoltre, amava i fiori freschi.
Renée Vivien romanzò la morte e, in una sua visita a Londra nel 1908, profondamente abbattuta e oberata dai debiti, tentò il suicidio ingerendo una quantità eccessiva di laudano. Si distese sul divano, tenendo un mazzo di violette sul cuore. Il tentativo di suicidio fallì, ma in Inghilterra contrasse la pleurite e tornò a Parigi considerevolmente indebolita, tanto da essere costretta a camminare con un bastone.
Morì il 18 novembre 1909, all’età di 32 anni, a causa della pleurite e dell’indebolimento fisico dovuto ai frequenti digiuni. La sua morte fu riportata a quel tempo come suicidio, ma fu probabilmente il risultato di un’anoressia nervosa aggravata dalla pleurite e dall’alcolismo. Fu seppellita al cimitero di Passy, nell’esclusivo sobborgo parigino.
Durante la sua breve vita, Renée Vivien fu conosciuta anche come la “Musa delle violette”, soprannome dovuto al suo amore per questo fiore, richiamo al suo amore d’infanzia, Violet Shillito.
Molti dei suoi versi sono velatamente autobiografici e scritti in francese, e la maggior parte di essi non è mai stata tradotta in inglese, sua lingua madre.
La sua poesia fu largamente apprezzata, così come le opere di Natalie Clifford Barney, grazie alla contemporanea riscoperta delle opere di Saffo, l’antica poetessa greca, anch’essa notoriamente lesbica.
Opere
Études et préludes (1901), raccolta di poesie.
Cenere e polvere, a cura di Teresa Campi, Roma 1981 (traduzione italiana di: Cendres et poussières (1902), raccolta di poesie).
Brumes de Fjords, (1902), prosa poetica; i critici la salutarono come “il più grande poeta dell’anno;
Évocations (1903), raccolta di traduzioni moderne e adattamenti di testi di Saffo,
Du vert au violet (1903), prosa poetica, la prima a firma Renée Vivien
Une femme m’apparut (1904), romanzo autobiografico.
La dame à la louve (1904), racconti.
Les Kitarèdes (1904), traduzioni moderne di otto poetesse greche.
La Vénus des aveugles (1904), raccolta di poesie.
Donna m’apparve, a cura di Teresa Campi, Roma 1989 (traduzione italiana di: Une femme m’apparut (1905), nuova versione del suo romanzo autobiografico).
À l’heure des mains jointes (1906), raccolta di poesie.
Flambeaux éteints (1907), raccolta di poesie.
Chansons pour mon ombre (1907), antologia poetica.
Varie prose ironiche e satiriche (1907).
L’Album de Sylvestre (1908), volume d’aforismi.
Sillages (1908), raccolta di poesie di prosa poetica.
Anne Boleyn (1909), biografia.
Antologie di poesie e di prose, rimaneggiate (1909).
Dans un coin de violettes, raccolta postuma di poesie.
Le Vent des vaisseaux, raccolta postuma di poesie.
Haillons, raccolta postuma di poesie.
Une Femme m’apparut…, a cura di Patrizia Lo Verde, « I Miti Rivisitati », Collana di Testi in Edizione Critica diretta da Maria Teresa Puleio, Cuecm, 2004 (edizione integrale della prima versione originale pubblicata a Parigi da A. Lemerre il 27 febbraio 1904).
Note
^ Cettina Calò, L’urlo delle viole, in Il Foglio quotidiano, Anno XXVIII numero 89, 15/16 aprile 2023, p. 12.
Chiara Gagliano, Cinque poesie di Renée Vivien, su Almanacco de Lo Spazio Letterario, 27 aprile 2022. URL consultato l’8 settembre 2023 (archiviato l’8 settembre 2023).
Teresa Campi, Sul ritmo saffico. La vita e le opere di Renée Vivien, Bulzoni, Roma 1983.
André Germain, Renée Vivien, Crés, Paris 1917.
Jean-Paul Goujon, Renée Vivien à Mytilene, Edition à l’écart, Reims 1978.
Jean-Paul Goujon, Tes blessures sont plus douces que leurs caresses, Deforges, Paris 1986, ISBN 2-905538-15-5
Karla Jay, The amazon and the page. Natalie Clifford Barney and Renée Vivien, Indiana University Pres, Bloomington, Ind. 1988, ISBN 0-253-30408-3
Paul Lorenz, Sapho 1900. Renée Vivien, Julliard, Paris 1977.
Maria Gabriella Adamo, « “…une prosodie mystérieuse et méconnue”. Note su una traduzione italiana di Renée Vivien », in Giovanna BELLATI – Graziano BENELLI – Paola PAISSA – Chiara PREITE (éd.), « Un paysage choisi » – Mélanges de linguistique française offerts à Leo Schena, Turin, L’Harmattan Italia, 2007, pp. 21-35.
Patrizia Lo Verde, « Une Femme m’apparut… ou de l’hybridation générique », dans Renée Vivien à rebours, études pour un centenaire, sous la direction de Nicole G. Albert, Paris, Orizons, 2009, pp. 119-127.
“Poesie in prosa”, introduzione e traduzione di Mariella Soldo, Bari, LiberAria Edizioni, 2011.
Patrizia Lo Verde, « Nota aggiornata su Une Femme m’apparut… di Renée Vivien », Studia Universitatis Babeș-Bolyai Philologia, 4/2022, pp. 379-393.
Pёtr Il’ič Čajkovskij LETTERE DA SANREMO (1877-1878)
A cura di Marina Moretti-Introduzione di Valerij Sokolov
Zecchini Editore Varese
Il soggiorno di Pёtr Il’ič Čajkovskij a Sanremo, dalla fine di dicembre 1877 alla metà di febbraio 1878, si colloca in un periodo cruciale della vita del compositore, che nella fitta corrispondenza indirizzata alle persone più vicine e legate a lui da rapporti di affetto e di lavoro rivela il complesso e a volte contraddittorio e tormentoso intreccio di sentimenti che agitavano il suo animo. Le lettere alla baronessa Nadežda von Meck, al fratello Anatolij, alla sorella Aleksandra Davydova e ad alcuni tra i più importanti esponenti del mondo musicale russo, qui presentate per la prima volta in traduzione italiana, tra le descrizioni dell’ambiente, della vita quotidiana e della sua “anima malata”, ruotano sempre intorno a ciò che per il compositore è centrale: la sua musica e la possibilità di dedicarsi ad essa con tutte le sue forze, per poter “lasciare di se stesso un ricordo duraturo”. E questo gli riuscì anche grazie al periodo sanremese, una tappa importante sulla strada del suo destino.
Pёtr Il’ič Čajkovskij LETTERE DA SANREMO
Biografia di Pёtr Il’ič ČajkovskijMusicista russo (Votkinsk 1840 – San Pietroburgo 1893). Compositore geniale e versatile, tra le sue opere più celebri spiccano Eugenio Oneghin (1879) e La Dama di picche (1890). Assai importante è la produzione che dedicò al balletto, di cui C̆. è considerato, sotto l’aspetto musicale, uno dei padri. I suoi capolavori (Il lago dei cigni, 1876; La bella addormentata nel bosco, 1890; Schiaccianoci, 1892), tengono presenti le esigenze coreografiche e ritmiche della rappresentazione, imponendo e suggerendo agli interpreti nuove e ardite soluzioni. Vita e opereStudiò con A. Rubinstein, e si diplomò a San Pietroburgo nel 1865. Fu professore al conservatorio di Mosca. Compì numerosi giri artistici, quale compositore e direttore, in Francia, Germania, Italia e in altri paesi. Tra le sue musiche emergono specialmente le opere Eugenio Oneghin (1879) e La Dama di picche (1890); i balletti Il lago dei cigni (1876), La bella addormentata nel bosco (1890), Schiaccianoci (1892); la musica per La fanciulla di neve (1873); la IV, la V e la VI (Patetica) tra le sei sinfonie; i concerti per violino op. 35 (1877) e per pianoforte (specie il III, op. 75; 1893). Fu musicista di schietta e generosa natura, non molto disciplinata spiritualmente e piuttosto incline a certa sentimentale eloquenza (soprattutto melodica), oltremodo comunicativa anche per la frequente amplificazione oratoria. Rispetto ai musicisti nazionalisti russi del Gruppo dei Cinque, egli fu il principale esponente della tendenza “occidentalizzante”, anche se i caratteri nazionali sono tutt’altro che assenti nella sua produzione. I suoi lavori sono tuttora popolarissimi: egli è l’autore russo più eseguito in patria, mentre la sua Sinfonia patetica ed anche le Sinfonie IV e V e i Concerti per violino e orchestra e per pianoforte e orchestra sono fra i brani del repertorio sinfonico più frequentemente eseguiti nelle sale da concerto d’Europa e d’America. I suoi balletti sono considerati come pezzi classici del genere e le sue opere teatrali sono state oLe lettere alla baronessa Nadežda von Meck, al fratello Anatolij, alla sorella Aleksandra Davydova e ad alcuni tra i più importanti esponenti del mondo musicale russo, qui presentate per la prima volta in traduzione italiana, tra le descrizioni dell’ambiente, della vita quotidiana e della sua “anima malata”,
Il 6 novembre 1893, a San Pietroburgo, muore Pёtr Il’ič Čajkovskij.Di Čajkovskij sono ben note le pagine strumentali ispirate al nostro Paese: e in questa raccolta inedita di lettere da Sanremo troviamo le ragioni più profonde dell’estetica del compositore più russo di tutti, e insieme più cosmopolita.
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