Walker Evans: la fotografia sociale-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Walker Evans: la fotografia sociale-
Walker Evans: la fotografia sociale–Gli esordi tra letteratura e fotografia-Noto per essere uno dei pionieri della Straight Photography – la fotografia diretta, documentaria, spogliata da orpelli artistici – Walker Evans nasce a Saint Louis, Missouri, il 3 novembre 1903. La sua è una famiglia abbiente, il padre lavorava nel settore della pubblicità, per cui la vicinanza alla fotografia risulta essere un aspetto quasi “naturale” per Walker Evans, che fin da piccolo inizia a prendere dimestichezza con la macchina fotografica anche quando la famiglia si sposta prima a Chicago e poi nell’Ohio.
Eppure il primo “amore” artistico per Walker Evans è la letteratura: dopo un breve periodo al Williams College, si trasferisce a New York, dove nutre l’ambizione di diventare poeta e romanziere. Tra i suoi modelli ci sono Joyce, T.S. Eliot e Cummings.
Nella metropoli americana, tuttavia, Walker Evans sperimenta un vero e proprio blocco creativo. A New York è impegnato nei lavori più diversi, e dopo tre anni di insuccessi nel mondo dell’editoria, decide di imbarcarsi per Parigi, capitale culturale dell’Occidente a inizio dello scorso secolo. Anche nella capitale francese, la scrittura non è certo facile per Walker Evans, ma la città gli permette di venire in contatto con il fotografo francese Eugene Atget e con la sua allieva Berenice Abbott, che avranno grande influenza sullo stile di Evans.
Nel 1927 Walker Evans torna a New York ed entra a far parte di un nuovo circolo letterario sempre più aperto ad altre forme d’arte. È in questo contesto che il nascente interesse di Evans per la fotografia diventa una passione a tutti gli effetti.
I grattacieli della Grande Mela e la fisonomia industriale della metropoli americana sono i primi soggetti della fotografia di Walker Evans, senza espedienti estetici.
Nel 1933, Evans è a Cuba per il libro del giornalista Carleton Beals, The Crime of Cuba. All’Avana, stringe amicizia con Ernest Hemingway e immortala con tratti sempre più realistici la vita dell’isola: poliziotti, mendicanti, pescatori. Temendo che alcune delle sue fotografie potessero essere ritenute sovversive e quindi confiscate dal governo cubano, prima di lasciare L’Avana, Evans affida 46 stampe fotografiche a Hemingway. Andati persi, gli scatti saranno ritrovati solo nel 2002.
Walker Evans: l’affermazione durante la Grande Depressione
Il New Deal di Roosevelt, per contrastare la Grande Depressione, favorì in qualche modo la fotografia di diversi artisti, in particolar modo quella di Walker Evans che nel biennio 1935/1936 catturò diversi momenti di vita quotidiana degli americani di provincia. Evans lavorò infatti, percependo uno stipendio regolare, come membro della cosiddetta “unità storica” della Farm Security Administration (FSA), istituzione del Dipartimento dell’agricoltura. Il suo compito era quello di fornire un’indagine fotografica dell’America rurale, principalmente negli stati del Sud degli U.S.A.
Piccole chiese di campagna, lavoratori, insegne sbiadite: Evans immortala l’America del periodo con una fotocamera volutamente obsoleta, come a ribadire il momento di crisi nazionale, proprio come aveva fatto il suo “maestro” francese Eugène Atget nella sua Parigi.
Nel 1941 la collaborazione di Evans con lo scrittore James Agee è al centro di un volume intitolato Let Us Now Praise Famous Men (Sia lode ora a uomini di fama) una serie di fotografie che catturano senza alcun compiacimento estetico la cruda realtà della Grande Depressione.
Protagoniste del libro – accolto con grande entusiasmo dalla critica e ripubblicato nel 1960 – sono le vite di diverse famiglie di coltivatori di cotone, fotografate in zone povere degli Stati Uniti, nella metà degli anni Trenta. A inviare Evans e Agee sul campo era stata la rivista Fortune, che aveva giudicato il materiale raccolto inopportuno per la pubblicazione sul magazine: i soggetti delle immagini di Walker Evans sono ritenuti troppo realisti, complessi e crudi.
La prima mostra personale di Walker Evans al Museum of Modern Art nel 1938 riconosce al fotografo la capacità di avere catturato il vernacolo americano.
Nello stesso periodo Evans inizia a scattare una serie di ritratti di nascosto (Subway Portraits) nella metropolitana di New York. Come per l’America di provincia della Grande Depressione, queste fotografie rivelano momenti senza pretese della vita quotidiana, con grande realismo.
Nel 1945 Evans si unisce allo staff della rivista Time e poco dopo entra a far parte di Fortune, dove continuerà a lavorare nei due decenni successivi.
Nel 1958 sposa Isabelle Storey, una donna molto più giovane di lui, per quello che si rivelerà un matrimonio tormentato che si concluderà con un divorzio poco dopo un decennio. Nel 1965 Walker Evans diventa professore alla Yale University School of Art. Da quel momento ha realizzato alcuni progetti fotografici. Sebbene sempre meno prolifico come fotografo, Evans ha continuato a insegnare fino alla sua morte, avvenuta nel 1975.
Uomo riservato, Walker Evans non amava raccontare molto della sua vita privata ma nel 2008, la sua ex moglie, ha pubblicato un’autobiografia che ritrae il defunto marito come una persona eccentrica, determinata e di spirito, ma anche dotato di un carattere snob egocentrico.
Lo stile di Walker Evans: la poetica del quotidiano
Quando si parla dell’opera del grande fotografo americano, l’etichetta che più ritorna è quella del Realismo Sociale. Fatta questa doverosa premessa formale, va detto che il suo lascito è enorme: molta critica ha parlato di Evans come dell’obiettivo più influente per tutti i fotografi della seconda metà del Novecento.
La sua grande intuizione fu quella di rifiutare la visione altamente estetizzata della fotografia artistica – ai tempi il canone prevalente – di cui Alfred Stieglitz fu il più grande fautore. Walker Evans fu tra i primi fotografi a dare risonanza poetica alla quotidianità: le sue immagini più caratteristiche mostrano la vita “normale” americana durante il secondo quarto del secolo, in particolare attraverso la descrizione della sua architettura vernacolare, la sua pubblicità all’aperto, gli inizi della sua cultura automobilistica e i suoi interni domestici.
I suoi soggetti sono (solo) in superficie prosaici e ingenui, ma si può intuire che ciò che chiedeva a questi “eroi” di tutti i giorni fosse un’attitudine ben precisa: essere esemplari nello sforzo coraggioso, a volte ironico, di creare una cultura costruita per dare vita a una grande nazione che non aveva precedenti.
Nella sua fotografia Walker Evans ha sempre scelto di non mettere in evidenza il suo essere artista, un atteggiamento opposto a quello di Stieglitz. Evans si nascondeva come artista, imitando la fotografia vernacolare: un artista che… non interpreta l’artista. È questa la ragione per cui, secondo molta critica, Evans è percepito come un precursore della Pop Art. Anche Rauschenberg, Warhol e Lichtenstein, infatti, scelsero di rappresentare aspetti prosaici, casalinghi e quotidiani.
Walker Evans non era interessato alla politica, la sua fotografia esaltava l’America senza faziosità. Il fatto che fosse interessato ai mezzadri, che stesse fotografando gli effetti del consumismo e quelli dell’industrializzazione… non nascondeva un approccio politico, ma estetico. I progetti commissionati ai tempi dalle riviste più importanti erano una vera e propria forma d’arte e anche in questo, Evans fu un precursore, anticipando di vent’anni altri artisti che – negli anni ‘60 e ‘70 – utilizzarono le riviste per diffondere le proprie idee.
Tra il 1934 e il 1965, Evans contribuì con più di 400 fotografie a 45 articoli pubblicati sulla rivista Fortune. Non solo fotografie, ma anche layout grafici, scrittura di testi di accompagnamento alle immagini.
I suoi soggetti – sia in bianco e nero che a colori – erano insegne delle compagnie ferroviarie, utensili di uso comune, vecchi hotel, resort estivi e vedute dell’America dal finestrino di un treno. Utilizzando il formato foto-racconto giornalistico standard, Evans ha unito il suo interesse per le parole e le immagini, creando una narrativa multidisciplinare di altissima qualità, imitata dalla maggior parte dei fotografi “sociali” degli anni a venire.
Nel 1973, Evans iniziò a lavorare con l’innovativa fotocamera Polaroid SX-70 che si sposava perfettamente con la sua ricerca di una visione concisa ma poetica del mondo: le sue stampe istantanee erano, per il fotografo settantenne infermo, ciò che forbici e carta tagliata erano per l’anziano Matisse. Le esclusive stampe SX-70 sono gli ultimi lavori dell’artista, il culmine di mezzo secolo di lavoro nel campo della fotografia.
L’eredità di Walker Evans
Le immagini di Evans hanno cambiato per sempre il nostro modo di osservare distributori di benzina, sfasciacarrozze, tralicci, architettura rurale, interni di case, strade polverose. I luoghi in cui l’uomo comune vive e lavora. Nel 1938 la mostra American Photographs è il primo evento del MoMA dedicata al fotografo, con un centinaio di scatti: l’allestimento è quanto di più libero si potesse immaginare ai tempi, quasi un omaggio alla personalità di Walker Evans.
La produzione di Walker Evans continuerà negli anni successivi con lo stesso spirito non convenzionale, preannunciando la grammatica della fotografia che nei decenni successivi sarà appannaggio di diversi artisti. Le immagini scattate di nascosto nella Metropolitana di New York, i paesaggi immortalati dai treni in movimento, i ritratti frettolosi per strada: sono tutti approcci contemporanei alla fotografia, non certo comuni un secolo fa.
Negli ultimi anni della sua vita Walker Evans trascorre gran parte del suo tempo a raccogliere materiali con inconsueta, quasi ossessiva, meticolosità. Dopo la sua morte, un amico fotografa quelli che erano i suoi ambienti: oggetti ovunque, assurdi assemblaggi di cose che attiravano la sua attenzione, la sua curiosità. L’epitaffio lasciato per questi suoi amati oggetti è indicativo del carattere di Evans: “Do not disturb the arrangement of tin beer caps in this wash bowl” (non disturbate la sistemazione dei tappi delle lattine di birra in questo lavandino).
Breve bografia di Walker Evans (1903-1975). Dopo studi in letteratura e un breve soggiorno a Parigi, divenne un protagonista della vita culturale newyorchese tra gli anni ’20 e ’30. A consacrarlo furono una serie di lavori dedicati a genti e luoghi della Grande Depressione. Nel 1938 il MoMa di New York gli dedicò la prima mostra personale in assoluto riservata a un fotografo.
Evans si rivela grazie all’incarico della Farm Security Administration, ente governativo che intende documentare lo stato degli USA negli anni della Grande Depressione. Insieme a un gruppo fenomenale di talenti quali Dorothea Lange, Arthur Rothstein, Russell Lee e altri, reinventa la fotografia documentaria e realizza alcuni degli scatti più iconici di sempre. Queste fotografie in parte confluiranno nello storico catalogo della sua prima mostra personale, American Photography, una raccolta che ebbe un’enorme influenza anche in Europa.
Ma la ricerca di Evans scavalca la dimensione meramente sociale. Nel suo “inventario” anti-retorico di architetture e oggetti la quotidianità, paradossalmente, rappresenta in maniera puntuale il più realistico e irrealistico dei miti: l’America.
Con Sia lode ora a uomini di fama (1941), la potenza dei volti della gente comune, la suggestione delle tracce di una società in sofferta transizione, si accompagna alla letteratura, ai testi potenti e realistici di James Agee. L’incontro tra immagine e scrittura è qualcosa di più di una sperimentazione, diventa all’istante un classico, degno in questo dell’amico Hemingway conosciuto nel 1933 a Cuba
Dai desolati stati del Sud alla metropoli. Evans cerca l’immediatezza della strada, la messa in scena del caso e della serialità: la serie Many are called, realizzata tra il 1938 e il 1940, ma pubblicata solo 25 anni dopo, consiste di fotografie “rubate” nella metropolitana con una macchina fotografica nascosta nel cappotto.
Walker Evans lavorò a stretto contatto con molti scrittori americani e non abbandonò mai la scrittura. Fu assunto come redattore dalla rivista Fortune ed elaborò la forma dei “foto-saggi”: articoli composti da fotografie e testi in base ad argomenti da lui individuati, sviluppati e impaginati. Sono immagini riprese da treni in corsa, oggetti di uso quotidiano, cartelloni pubblicitari. Quella cara vecchia America che stava cambiando per entrare nella sua fase pop, come avrebbe riconosciuto Andy Warhol, suo grande ammiratore.
Negli ultimi anni di vita, le precarie condizioni di salute lo portano a effettuare esperimenti, pubblicati poi nel 2001, con la nuovissima e maneggevole Polaroid SX-70. A interessarlo sono ancora gli oggetti comuni scomposti e colti, con immediatezza e talvolta a colori, nelle loro linee essenziali: immagini di lettere, poster, cartoline… immagini di immagini.
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