Vladimir Majakovskij- Poesia a Sergej Aleksandrovič Esenin-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA-
A Sergej Aleksandrovič Esenin – Poesia di Vladimir Majakovskij
Nella notte tra il 27 e il 28 dicembre Sergej Aleksandrovič Esenin morì impiccato nella sua stanza d’albergo, all’età di 30 anni.
[ Chi devo chiamare? Con chi posso dividere la triste gioia di essere vivo?]
Arrivederci, amico mio, arrivederci.
Mio caro, sei nel mio cuore.
Questa partenza predestinata
Promette che ci incontreremo ancora.
Arrivederci, amico mio, senza mano, senza parola
Nessun dolore e nessuna tristezza dei sopraccigli.
In questa vita, morire non è una novità,
ma, di certo, non lo è nemmeno vivere.
Per tutta la sua breve vita si era tenuto in bilico tra euforia, malinconia, stati depressivi. Il suo suicidio, un secondo e riuscito tentativo succeduto a poche ore dal primo, è avvolto nel mistero e così anche la genesi e il ritrovamento di quella che si ritiene essere la sua ultima poesia. Si narra infatti che la notte del 27 dicembre del 1925 Esenin scrisse col proprio sangue una poesia d’addio: Arrivederci, amico mio, arrivederci (До свиданья, друг мой, до свиданья). La poesia, non chiara, sarebbe stata da Esenin consegnata ad un amico, con la promessa di leggerla solo il giorno dopo; nel frattempo, Esenin si sarebbe impiccato. Probabilmente è una poesia d’amore e d’addio per il poeta Anatoli Marienhof (o Anatolij Mariengof) che era stato suo amante (e per un certo tempo anche convivente) negli ultimi quattro anni della sua vita.
Che il tempo
esploda dietro a noi
come una selva di proiettili.
Ai vecchi giorni
il vento
riporti
solo
un garbuglio di capelli.
Per allegria
il pianeta nostro
è poco attrezzato.
Bisogna
strappare
la gioia
ai giorni futuri.
In questa vita
non è difficile
morire.
Vivere
è di gran lunga più difficile.
A Sergej Esenin – di Vladimir Majakovskij
-Biografia di Sergej Aleksandrovic Esenin
Biografia di Sergej Aleksandrovic Esenin nacque il 3 ottobre ( 21 settembre secondo il vecchio ordinamento) del 1895 presso il villaggio Konstantinovo nella provincia di Ryazan, in una famiglia di contadini.
Sin dall’età di 12 anni, suo padre prestò servizio in un negozio di Mosca, visitando il villaggio, anche dopo il matrimonio, solo per brevi visite. Gli anni dell’infanzia (1899 – 1904), Sergej Esenin li passò con il nonno e la nonna da parte di madre – Fedor e Natalia Titovj.
Nel 1904 Esenin entrà nella scuola ( 4 anni) di Konstantinovo, dalla quale uscirà nel 1909 con il massimo dei voti.
Nel 1912 si diploma alla scuola per insegnanti “Spas-Klepikovskaya” con il titolo di insegnante di scuola di lettere.
Nell’estate del 1912 Esenin si trasferisce a Mosca, dove lavorò per qualche tempo in una macelleria, la stessa in cui lavorava suo padre. Dopo aver litigato con il padre si licenziò e lavorò prima per un editore e poi per la tipografia di Ivan Sitin negli anni 1912 – 1914. Durante questo periodo il poeta si unì ai lavoratori dal pensiero rivoluzionario ed era tenuto sotto controllo dalla polizia.
Durante il periodo del 1913 – 1915 Esenin fu volontario presso il dipartimenti storico-filosofico dell’università popolare di Mosca Shanyavskogo. A Mosca si avvicino agli scrittori del circolo Letterario – musicale Suryvskogo, composto da scrittori autodidatti provenienti dal popolo.
Esenin scrisse poesie sin dall’infanzia, principalmente sotto l’influenza di Alexey Koltsov, Ivan Nikitin e Spiridon Drozhzin. Nel 1912 aveva già scritto il poema “La leggenda di Evpatya Kolovrat, Batu Khan, l’idolo nero e il nostro salvatore gesù cristo”, oltre ad aver scritto una collezione di versi chiamata “Pensieri Malati”. Nel 1913 il poeta lavorò al poema “Tosca” e al poema drammatico “Profeta”, testi molto conosciuti.
Nel gennaio 1914 sul giornale “Mirok” ci fu la prima pubblicazione del poeta sotto lo pseudonimo “Ariston”, la poesia “Betulla”. A febbraio lo stesso giornale pubblicò “Passeri” e “Porosha”. Successivamente – “villaggio” e “vangelo pasquale”.
Nell’inverno del 1915 Esenin arrivò a Pietrogrado ( San Pietroburgo), dove si conobbe con il poeta Aleksandr Blok, Sergey Gorodetsky e Aleksey Remisov e si avvicinò a Nikolay Klyuyev, che lo influenzò molto. Le loro esibizioni congiunte, nelle quali proponevano versi scritti nello stile contadino e popolare ottennero molto successo.
Nel 1916 uscì la prima raccolta di versi di Esenin, “radunitsa”, Che la critica accolse con entusiasmo vedendo in esso un flusso giovane e fresco.
Da Marzo 1916 a marzo 1917 Esenin si arruolò nell’esercito, inizialmente nel battaglione di riserva, locato a San Pietroburgo, poi da aprile servì sul treno sanitario militare Tsarskoye Selo numero 143. Dopo la rivoluzione di febbraio si congedò spontaneamente dall’esercito.
All’inizio del 1918 Esenin si trasferì a Mosca. Sposando con entusiasmo la rivoluzione, scrisse alcuni poemi – “Colomba di Giordania”, “Inonia” e “Tamburista del cielo” – Intrisi di un gioioso presagio di trasformazione della vita.
Nel periodo 1919 – 1921 entrò a far parte del gruppo degli immaginisti, i quali sostenevano che l’obiettivò della creatività è quello di creare un’immagine.
All’inizio degli anni venti nelle composizioni di Esenin apparirono le tematiche tipiche di una vita tormentata da venti di bufera, le prodezze dettate dall’ubriachezza diventarono angoscia, e si rifletterono nelle sue raccolte “Confessioni di un teppista” (1921) e “Mosca delle bettole”(1924).
Un’importante avvenimento nella vita di Esenin fu l’incontro, nell’autunno del 1921, con l’attrice americana Isidora Dunkan, che dopo 6 mesi diventò sua moglie.
Dal 1922 al 1923 i due viaggiarono per l’Europa ( Germania, Belgio, Francia e Italia) e in America, ma subito dopo il ritorno in patria i due si separarono.
Durante gli anni venti vennero scritte le composizioni che più di ogni altra diedero fama a Esenin:
“ Ha smesso di parlare il boschetto d’orato”, “Lettera alla madre”, “Noi adesso ce ne andiamo poco a poco”, il ciclo “Motivi persiani”, il poema “Anna Snegina” e altri. Il tema della patria che occupò sempre uno dei punti cardine delle sue creazioni, in questo periodo acquisì dei toni drammatici. Quello che una volta era il mondo unito e armonico della Rus’ di Esenin si divise: “ Rus’ Sovietica” – “Rus uscente”. Nelle raccolte “Rus’ Sovietica” e “Nazione Sovietica” (entrambe del 1925). Esenin si sentì come un cantore della “capanna d’oro”, poesia la quale qui non serve a nessuno. I paesaggi autunnali e gli addii diventarono il motivo dominante dei testi.
Gli ultimi due anni di vita del poeta furono segnati dagli spostamenti, tre volte si recò nel Caucaso, in svariate occasioni andò a Leningrado ( San Pietroburgo) e 7 volte a Konstantinovo.
Alla fine del novembre 1925 il poeta finì in una clinica neuropsicologica. Una delle ultime produzioni di esenin fu il poema “L’uomo nero”, in cui la vita passata fa parte di un incubo notturno. Interrompendo il trattamento, il 23 dicembre Esenin partì per Leningrado.
Il 24 dicembre 1925 si fermò presso l’albergo Angleterre, dove il 27 dicembre scrisse la sua ultima poesia “ Arrivederci amico mio, arrivederci…”
La notte del 28 dicembre 1925, secondo la versione ufficiale Sergej Esenin si tolse la vita, suicidandosi. Il poeta fu trovato la mattina del 28 dicembre. Il suo corpo pendeva da una tubatura dell’acqua sotto il soffitto, ad un’altezza di quasi tre metri. Le autorità cittadini non condussero nessuna indagine seria, e si limitarono al rapporto di un poliziotto locale.
Una commissione formata specialmente per l’occasione nel 1913 non confermò altre varianti sulla morte del poeta, se non quella ufficiale.
Sergej Esenin giace oggi presso il cimitero di Vagankovo, a Mosca.
Il poeta fu sposato più di una volta. Nel 1917 si unì a Zinaida Reich ( 1897 – 1939), segretaria- dattilografa del giornale “Delo Naroda”. Da questo matrimonio nacquero la figlia Tatiana (19178 – 1992) e il figlio Konstantin (1920 – 1986). Nel 1922 Esenin si sposò con la ballerina americana Isidora Dunkan. Nel 1925 diventò sua compagna Sofia Tolstaja ( 1900 – 1957), nipote dello scrittore Lev Tolstoj. Il poeta ebbe un figlio Yuri ( 1914 – 1937) dal matrimonio civile con Anna Izryadnova. Nel 1924 a Esenin nasce il figlio Akeksandr dalla poetessa e traduttrice Nadezhda Volpin – matematica e attivista del momento dei dissidenti, che nel 1972 si trasferì negli USA.
Nel giorno del 2 ottobre 1965, in onore del settantesimo compleanno del poeta, nel villaggio di Konstantinovo, nella casa dei suoi genitori aprì il museo S.A. Esenin – Uno dei più grandi complessi museali della Russia.
il 3 ottobre del 1995 a Mosca presso il numero 24 del Bolshoi Strochnevsky Pereulok, dove negli anni tra il 1911 e il 1918 risiedeva Esenin, venne istituito il Museo Nazionale Moscovita S. A. Esenin.
Esiste anche un ulteriore museo dedicato a Sergej Esenin dal 1981 a Tashkent ( Uzbekistan).
Materiale preparato tramite informazioni di RIA novosti e fonti aperte.
Fonte: ria.ru, 28/12/2015 – di Ria Novosti, tradotto da Axel Grieco
Axel Grieco –Nato nel 1995, appassionato di lingua e cultura russa. Ho vissuto in Russia, cercando di entrare nello strato sociale della realtà di tutti i giorni nella maniera più assoluta possibile. Adoro tutto ciò che riguarda la cultura meno conosciuta di questo paese.
Alcune Poesie di Sergej Aleksandrovic Esenin
Sul piatto azzurro del cielo
Sul piatto azzurro del cielo
C’è un fumo melato di nuvole gialle,
La notte sogna. Dormono gli uomini,
L’angoscia solo me tormenta.
Intersecato di nubi,
Il bosco respira un dolce fumo.
Dentro l’anello dei crepacci celesti
Il declivio tende le dita.
Dalla palude giunge il grido dell’airone,
Il chiaro gorgoglio dell’acqua,
E dalle nuvole occhieggia,
Come una goccia, una stella solitaria.
Potere con essa, in quel torbido fumo,
Appiccare un incendio nel bosco,
E insieme perirvi come un lampo nel cielo.
Non invano hanno soffiato i venti
Non invano hanno soffiato i venti,
non invano c’è stata la tempesta.
Un misterioso qualcuno ha colmato
i miei occhi di placida luce.
Qualcuno con primaverile dolcezza
ha placato nella nebbia azzurrina
la mia nostalgia per una bellissima,
ma straniera, arcana terra.
Non mi opprime il latteo silenzio,
non mi angoscia la paura delle stelle.
Mi sono affezionato al mondo e all’eterno
come al focolare natio.
Tutto in esso è buono e santo,
e ciò che turba è luminoso.
Schiocca sul vetro del lago
il papavero rosso del tramonto.
E senza volerlo nel mare di grano
un’immagine si strappa dalla lingua:
il cielo che ha figliato
lecca il suo rosso vitello.
Nella frescura d’autunno è bello
Nella frescura d’autunno è bello
scuotere al vento l’anima – che pare una mela –
e guardare l’aratro del sole
che solca sopra al fiume l’acqua azzurra.
È bello strapparsi dal corpo
il chiodo ardente d’una canzone
e nel bianco abito di festa
aspettare che l’ospite bussi.
Io mi studio, mi studio col cuore di serbare
negli occhi il fiore del ciliegio selvatico.
Solo nel ritegno i sentimenti si scaldano
quando una falla rompe il petto.
In silenzio rimbomba il campanile di stelle,
ogni foglia è una candela per l’alba.
Nessuno farò entrare nella stanza,
non aprirò a nessuno la porta.
Noi adesso ce ne andiamo a poco a poco
Noi adesso ce ne andiamo a poco a poco
verso il paese dov’è gioia e quiete.
Forse, ben presto anch’io dovrò raccogliere
le mie spoglie mortali per il viaggio.
Care foreste di betulle!
Tu, terra! E voi, sabbie delle pianure!
Dinanzi a questa folla di partenti
non ho forza di nascondere la mia malinconia.
Ho amato troppo in questo mondo
tutto ciò che veste l’anima di carne.
Pace alle betulle che, allargando i rami,
si sono specchiate nell’acqua rosea.
Molti pensieri in silenzio ho meditato,
molte canzoni entro di me ho composto.
Felice io sono sulla cupa terra
di ciò che ho respirato e che ho vissuto.
Felice di aver baciato le donne,
pestato i fiori, ruzzolato nell’erba,
di non aver mai battuto sul capo
gli animali, nostri fratelli minori.
So che là non fioriscono boscaglie,
non stormisce la segala dal collo di cigno.
Perciò dinanzi a una folla di partenti
provo sempre un brivido.
So che in quel paese non saranno
queste campagne biondeggianti nella nebbia.
Anche perciò mi sono cari gli uomini
che vivono con me su questa terra.
Arrivederci, amico mio, arrivederci
Arrivederci, amico mio, arrivederci.
Tu sei nel mio cuore.
Una predestinata separazione
Un futuro incontro promette.
Arrivederci, amico mio,
senza strette di mano, senza parole,
Non rattristarti e niente
Malinconia sulle ciglia:
Morire in questa vita non è nuovo,
Ma più nuovo non è nemmeno vivere.
A quest’ultima poesia di Esenin, come è noto scritta con il sangue e dedicata al poeta Anatoli Marienhof, rispose, poco tempo più tardi, Vladimir Majakovskij: