Vladimir Majakovskij: “non avevo mai udito niente di simile”
Biblioteca DEA SABINA
Vladimir Majakovskij: “non avevo mai udito niente di simile”
Da La nuvola in calzoni
Prologo
Il vostro pensiero,
sognante sul cervello rammollito,
come un lacché rimpinguato su un unto sofà
stuzzicherò contro l’insanguinato brandello del cuore:
mordace e impudente, schernirò a sazietà.
Non c’è nel mio animo un solo capello canuto,
e nemmeno senile tenerezza!
Intronando l’universo con la possanza della mia voce,
cammino – bello,
ventiduenne.
Teneri!
Voi coricate l’amore sui violini.
Il rozzo sui timballi corica l’amore.
Ma come me non potete slogarvi,
per essere labbra soltanto da capo a piedi!
Venite a istruirvi
dal salotto, vestita di batista,
decente funzionaria dell’angelica lega,
voi che sfogliate le labbra tranquillamente
come una cuoca le pagine del libro di cucina.
Se volete,
sarò rabbioso a furia di carne,
e, come il cielo mutando i toni,
se volete,
sarò tenero in modo inappuntabile,
non uomo, ma nuvola in calzoni!
Non credo che esista una Nizza floreale!
Da me di nuovo sono esaltati
uomini che a lungo hanno poltrito come un ospedale
e donne logore come un proverbio.
Vladimir Majakovskij, nato in Georgia nel 1893, figlio di un ispettore forestale, a Mosca dal 1906 e tra le fila bolsceviche dal 1908 – fu arrestato tre volte – si uccise il 14 aprile del 1930, sparandosi al cuore. “Secondo la mia impressione, Majakovskij si è sparato per orgoglio, per aver condannato qualcosa in sé o attorno a sé, qualcosa con cui non poteva conciliarsi il suo amor proprio”, scrive Pasternak nella sua ultima riflessione autobiografica, Uomini e posizioni. Pasternak, che baloccava con i cubofuturisti, fu il primo ad accorgersi di Majakovskij, nel 1913. Majakovskij era in scena con la tragedia Vladimir Majakovskij. “Ascoltai, completamente assorto, col cuore in gola, trattenendo il fiato. Non avevo mai udito niente di simile”. Nel 1956, immerso nel gorgo della memoria, Pasternak pensa con malinconia a quel poeta dalla “zazzera scomposta”, “bello e arguto e dotato”, che pareva un “giovane cospiratore terrorista, uno dei personaggi minori, provinciali di Dostoevskij”.
Il genio de La nuvola in calzoni (1915) e del Flauto di vertebre (1916) pare inaridirsi quando il poeta diventa il megafono della Rivoluzione, il guru della Lef, scrittore di “migliaia di versi che oggi possono interessare solo lo storico della cultura” (Michele Colucci). Nonostante la propaganda, i rapporti tra Majakovskij e la Rivoluzione sono difficili, fin da subito. “Il nuovo potere considerava i futuristi con molta diffidenza” (Woroszylski), tanto che nel gennaio del 1919 viene impedito al Collettivo comunista-futurista (Komfut) di organizzarsi in partito politico. Nel Soviet soltanto Anatolij Lunacarskij ‘proteggeva’ Majakovskij, inviso da Lenin, il quale, dopo la pubblicazione del poema 150.000.000 (1921) bacchettò in questo modo la Gosizdat, la casa editrice di Stato – l’organo, di fatto, che decideva cosa pubblicare e cosa no nella Russia rivoluzionaria – “Bisogna troncare tutto questo! Mettiamoci d’accordo perché questi futuristi non possano pubblicare più di due volte l’anno e in non più di 1500 copie”. Majakovskij aveva bisogno di pubblico, di applausi, di prestigio, di riconoscimento. “Solo a lui la novità del tempo scorreva climaticamente nel sangue”, scrive Pasternak, chiudendo Il salvacondotto. Nel poema incompiuto del 1930, A piena voce, il poeta magnifica la propria inquietudine e si redige l’epitaffio: “Spettabili/ compagni discendenti!/ Frugando/ nell’odierna/ merda impietrita,/ studiando le tenebre dei nostri giorni,/ voi,/ forse,/ chiederete anche di me”, il “pulitore di fogne/ dalla Rivoluzione/ mobilitato e chiamato”. Il poeta Majakovskij visse, sempre, nel futuro.