Vittorio Emanuele II- Una vita da Galantuomo per la sua Rosina
Biblioteca DEA SABINA
Vittorio Emanuele II- Una vita da Galantuomo per la sua Rosina
Articolo dell’Ing. Andrea Natile
Subito dopo essere subentrato a suo padre Carlo Alberto, nel cingere la corona dei Savoia a seguito della disfatta di Novara e della fuga del genitore a Nizza e poi in Portogallo con falsi documenti, Vittorio Emanuele, dovette compiere il suo primo atto da Re.
Dopo la catastrofica sconfitta, la sera del 23 marzo 1849 Carlo Alberto ricevette l’elenco delle dure condizioni poste da Radetzky per un accordo di pace. Data la ruggine personale col maresciallo e ritenendo che l’austriaco avrebbe ridotto le richieste trattando col figlio Vittorio Emanuele II, nella notte abdicò in suo favore e lasciò il campo.
Dalla mattina al pomeriggio del 24 marzo 1949, a Vignale, si contrattarono le condizioni di resa; l’accordo venne siglato il 26 a Borgomanero. La prima guerra di indipendenza Italiana era finita in gran disastro.
Negli incontri con il maresciallo, Vittorio Emanuele prometteva di sciogliere i corpi volontari dell’esercito e cedeva agli austriaci la fortezza di Alessandria e il controllo dei territori compresi tra il Po, la Sesia e il Ticino, oltre a rifondere i danni di guerra con l’astronomica cifra di 75 milioni di franchi francesi.
Gli accordi dell’armistizio che, in ossequio all’articolo 5 dello Statuto Albertino, dovevano essere ratificati dalla Camera, per l’Atto di Pace, non furono approvati.
Un bell’inizio da Re, no c’è che dire.
Ma Vittorio Emanuele non sospese il Parlamento, non abrogò lo Statuto Albertino e fece indire nuove elezioni.
Era stato l’unico dei Re d’Europa dopo la restaurazione seguita ai moti del ’48, soffocati nel sangue, a mantenere uno Statuto liberale; per questo molti lo chiamarono il Re Galantuomo, altri lo pensarono solo opportunista e continuarono a chiamarlo galante uomo.
Di fisico possente, diverso da quello degli altri Savoia, era nato nel 1820, Raccontano che fosse stato scambiato col vero figlio di Carlo Alberto, morto nella culla a seguito di un incendio del palazzo dove la coppia reale viveva a Firenze. Le male lingue dicono che fosse figlio d’un macellaio, guarda caso, diventato ricco poco dopo.
Fatto sta, che pareva venire dalla strada, per le attitudini, più incline a tirar di sciabola che a intingere la penna. Nonostante il fior fiore di precettori che il padre gli aveva imposto e gli orari da caserma dedicati alla sua educazione, non imparò mai a scrivere una lettera senza lasciarci dentro qualche errorino di sintassi.
Amava il biliardo e l’arte della caccia, e non solo quella al fagiano; prediligeva le donne semplici, sui prati e nei fienili, ma non disdegnava di esser galante sui divani di broccato. Finchè si innamorò sinceramente di una figlia del popolo, Rosa Vercellana, la bella Rosina.
Le scappatelle certo non gli mancarono. Si dice che in giro per il regno avesse seminato un numero imprecisato di figlioli, ma era da lei che correva a rifugiarsi quando non ne poteva più di lavoro, di corte e d’etichetta.
Le aveva fatto costruire a due passi dalla Venaria Reale, nella tenuta della Mandria gli Appartamenti Reali di Borgo Castello, che usava ufficialmente per la caccia e per poterle fare visita. Li le regalò il titolo di Contessa di Mirafiori e Fontanafredda ed è lì che ebbero Vittoria ed Emanuele.
Dopo aver assolto i suoi doveri di sovrano sposando come di dovere una Signora di stirpe reale, Maria Adelaide D’Austria, da cui ebbe quattro figli, alla morte di lei non volle più riaccasarsi, nonostante il chiacchiericcio sulla sua condotta sentimentale, ormai la sua Rosa la mostrava a tutti, alla luce del giorno.
A niente valsero i consigli del gran segretario di stato, il Camillo Benso, che lo spronavano ad accettare.
La bella Rosina invece, la sposò per ben due volte, nel 1869 la prima.
Nel 1865 Firenze era divenuta capitale del regno sabaudo, e lei lo aveva seguito, stabilendosi nella villa Medicea La Petraia.
A causa di una brutta polmonite, mentre si trovava nella tenuta di caccia a San Rossore, il Re stava per morire e lei non l’abbandonò un solo istante. Si sposarono con contratto morganatico, ovvero lei rinunciava al diritto di successione e all’eredità.
Il secondo matrimonio fu a Roma, con rito civile, il 7 ottobre 1877.
Il 20 settembre 1870 il generale Cadorna aveva aperto una breccia a Porta Pia, e Vittorio Emanuele si era trasferito al Quirinale che non era più il palazzo dei Papi ma del Re dell’Italia tutta. A Roma per la sua Rosina aveva ribattezzato la splendida villa Ludovisi villa Mirafiori.
La sera del 5 gennaio 1878 gennaio, una forte febbre, sembra malarica, forse contratta nelle lunghe ore passate a caccia nelle paludi laziali, lo costrinse a letto.
Prima di morire, chiese di restare solo con i principi Umberto e Margherita, ma all’ultimo fece introdurre anche Emanuele, il figlio avuto dalla Bela Rosin, che per la prima volta si trovò di fronte al fratellastro Umberto, che non aveva mai voluto incontrarlo.
Assistito dai figli, ma non dall’unico amore vero della sua vita, a cui era stato impedito di recarsi al capezzale, moriva il Re Galantuomo.
La sua esistenza finiva a soli 58 anni, dopo quasi 29 anni di regno.
#anfaceb I miei Post
I miei Articoli http://www.alphaomega-arte.it/