Teresa Wilms Montt -Poetessa cilena-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Teresa Wilms Montt-Poetessa cilena-
Faro di Posizione.Teresa Wilms Montt: la poetessa libera e reclusa-Non dormo ancora, è tardi ma inquietamente cerco versi quasi per placare la mia sete insaziabile di bellezza. Inciampo sul web sui suoi versi, ne resto rapita. Sì, è la dinamica dell’amore. Leggo voracemente la poesia in cui Teresa si presenta. Nome, cognome e biografia condensate in versi struggenti. Fanno male, sembrano arrivare allo stomaco come un pugno. Una poetessa cilena che muore suicida a soli 28 anni a Parigi con una dose eccessiva di droga. Guardo il suo volto. E’ di una bellezza commovente.
I suoi lineamenti sono così delicati. Occhi profondi e intensi, labbra carnose, corpo sinuoso. Bella e opulente nel suo amare senza misura. Ribelle e insofferente ai conformismi, alle castrazioni, alle oppressioni di chi la vuole donna obbediente, forse solo moglie, forse solo madre. Teresa lo è. Madre di due bellissime bambine che in una foto di archivio stringe tra le braccia, come il migliore frutto delle sue opere. Ha scritto molto nella sua breve vita. La scrittura l’ha divorata e salvata.
Come l’amore. Storia infelice e tragica quella della nostra poetessa di cui forse troppo poco si parla o si conosce. Eppure in una notte di ottobre i suoi versi sembrano arrivare dritti come un proiettile sparato dal passato verso il futuro. Narra da visionaria una storia che si ripete sempre uguale. Una donna che ha vissuto perfino la reclusione in un monastero, forzatamente, come punizione. Privata delle sue due figlie. Poetessa martoriata perché l’eccesso di gelosia del marito l’ha segnata a fuoco con la violenza atroce della separazione dalle figlie.
Per cinque anni Teresa non le vedrà più. Lì si insinua il primo tentativo di suicidio. Non muore, la vita la pretende ancora. Fugge dal monastero e da quella reclusione forzata, grazie ad un amico poeta. Diventerà il suo migliore amico. Che poi una parte della critica lo voglia amante di Teresa, poco importa. L’ha aiutata a salvarsi. La nostra poetessa viaggia in lungo e largo per il mondo. Salotti letterari, salotti di politici anarchici dove incontra e conosce tanti uomini del suo tempo, intellettuali, poeti, scrittori, filosofi.
Legge e scrive. Escono le prime raccolte e sono poesie segnate dal dolore, dall’amore profondo e carnale, dal disagio esistenziale, dalla mancanza struggente delle figlie, da un senso di inadeguatezza verso il mondo, di estenuante stanchezza e solitudine come Teresa avesse cento anni. Ne ha meno di trenta. La reclusione e quel terribile tradimento da parte del marito che l’ha voluta castrare e punire, quel marito che ha sposato a soli diciassette anni, contro il volere dei genitori, l’hanno marchiata in maniera incontrovertibile.
E’ rotta già segnata. Cova in segreto un male di vivere che la porterà a non reggere più un ulteriore atroce distacco dalle figlie che riabbraccerà a Parigi dopo cinque anni. Trova pace ma per poco. Quando le figlie con il nonno paterno vanno via da Parigi, Teresa sprofonda in uno stato depressivo senza via d’uscita. Tra droghe sempre più pesanti, alcol e sofferenza, si spegne nella notte di natale del 1821, sola per overdose. Vola leggera la sua anima resa pesante dalla condanna, dal giudizio, dalla colpa. Una donna e poetessa che avrebbe dovuto scegliere tra l’amore che incontrerà oltre il matrimonio, per un uomo che lei chiamerà Anuarì, suicida anche lui, poiché crederà di non essere corrisposto e la vita di una donna “per bene”. Sposata, devota e fedele, esclusivamente madre, senza alcuna velleità letteraria e poetica.
Senza amici, senza salotti, senza viaggi, senza lettere d’amore scritte per chi ama senza resa, senza versi che in maniera prolifica fa gemmare dal suo corpo che fragile non è, nonostante le violenze. Teresa resiste infatti a tutto. Alla non comprensione dei suoi genitori aristocratici, al non amore del marito, all’amore profondo segnato dalla morte per Anuarì, alla reclusione forzata. Teresa resiste a tutto ma non a quella amputazione di utero.
Non a quel rapimento brutale delle figlie. Non al tradimento più bieco, subdolo e sadicamente fonte di compiacimento per chi giurava di amarla. Resiste e sopporta tutto, fuorché essere defraudata delle sue figlie. L’hanno colpita non solo nella sua femminilità sacra e inviolabile, nella sua capacità di procreare e generare vita; l’hanno violentata nel peggiore dei modi. Le hanno impedito di essere madre perché una donna di pensiero, una donna intellettuale, una donna che amava e viveva di poesia.
D’impeto mi viene in mente la mia poetessa, Alda Merini. Anche a lei proprio il marito Ettore Carniti ha inflitto il manicomio e l’ha brutalmente sottratta all’amore delle sue quattro figlie. Dieci anni di orrore. Teresa cinque. Ma il dolore dell’anima non segue il corso cronologico. Dieci anni non fanno più male di cinque. E’ il gesto vile di sopraffazione e violenza che strazia prima le viscere, poi l’anima, poi il corpo. Sopravvivere è impresa per poche. Alda ce la fa. Teresa no.
Eppure entrambe si aggrappano all’amore e alla poesia. Entrambe cantano il dolore per sublimarlo, per renderlo materia magmatica ma sopportabile. Vi sono decenni importanti di distanza tra le due poetesse. Poco importa. Hanno vissuto traumi feroci simili. E hanno lasciato versi che non si scordano. Mi affiorano quelli di Alda Merini: “E va bene anche così, aggrappata al muro con te che prendi la mira con una pistola caricata a tradimenti. Forse mi vuoi sparita o forse non mi vuoi più, ma io sono quell’amore che ha reso immortale i tuoi occhi e solitudine infelice questi piccoli giorni della mia vita.”Adesso tornano ad eco i versi autobiografici di Teresa: “Sono Teresa Wilms Montt e anche se sono nata cento anni prima di te, la mia vita non è stata tanto diversa dalla tua.
Anche io ho avuto il privilegio d’essere donna. E’ difficile essere donne in questo mondo. Tu lo sai meglio di tutti. Ho vissuto intensamente ogni respiro e ogni istante della mia vita. Ho distillato una donna. Hanno cercato di reprimermi ma non ci sono riusciti con me. Quando mi hanno voltato le spalle, io ci ho messo la faccia. Quando mi hanno lasciato sola, ho dato compagnia. Quando hanno voluto uccidermi, ho dato vita. Quando hanno voluto rinchiudermi, ho cercato la libertà. Quando mi amavano senza amore, ho dato ancora più amore.
Quando hanno cercato di zittirmi, ho urlato. Quando mi hanno picchiato, ho risposto. Sono stata crocefissa, morta e sepolta, dalla mia famiglia e la società. Sono nata cento anni prima di te comunque ti vedo uguale a me. Sono Teresa Wilms Montt e non sono adatta alle signorine.” Niente altro da aggiungere. Aveva ragione Teresa, alla luce di una violenza che dura e si perpetra immutabile sulle donne da secoli, senza alcun reale cambiamento. “Le leggi dello Stato, non sono quelle del cuore”, mi sovviene Antigone.
L’uomo non impara. Ripete lo stesso copione. Il percorso verso la parità di genere è tutto roba da scrivere per addetti ai lavori: psicologi, psicoterapeuti, criminologi, forze dell’ordine, magistrati, giudici, avvocati e sì, anche intellettuali, giornalisti, scrittori, poeti e docenti. Ma siamo nel 2023 e di donne uccise, violentate, calpestate, usate, ridotte a cose inerti, annullate, defraudate della loro dignità, femminilità, maternità, ce ne sono tante, troppe. Ogni giorno è la conta della vergogna disumana.
Resta un numero antiviolenza: 1522. Resta la voce straziante di un coro di poetesse e scrittrici che come Teresa hanno avuto il coraggio di dire no e di scriverlo senza reticenze. In quel “non sono adatta alle signorine” non crediate che faccia allusione alle donne ancora in giovane età. Io da donna e scrittrice vedo ahimè, una sferzata feroce contro quegli uomini che si illudono di essere padroni della vita delle donne in quanto “signorine”.
Fragili, vulnerabili, non idonee a scrivere la storia, non all’altezza di esprimere il proprio libero pensiero. Ma le signorine, signori uomini, siete voi, paradossalmente, quando vivendo in questa patologica illusione di dominare e possedere le donne, non fate altro che perpetrare la vostra fragilità emotiva, la vostra abissale insicurezza, la vostra ferocia narcisistica. Teresa muore nel 1821. Ne moriranno ancora chissà quante ma “l’armonia vince di mille secoli il silenzio”.
La Poesia resta e resiste. Un grazie al mio amato Foscolo va elargito. Anche se non hanno potuto cambiare il destino delle donne, mi auguro che qualche sussulto interiore lo provochino ancora oggi, Teresa Montt, Alda Merini, Maria Fuxa, Camille Claudel e tutte le altre. Spero che chi legga qualche domanda se la ponga. Qualche fremito lo provi, in nome di tutte le donne che pur subendo la lettera scarlatta della colpa mai commessa e l’onta ingiusta della punizione, il coraggio di sferzare il sistema e di dire no ce lo hanno avuto e continuano ad averlo.
Bia Cusumano
Maria Teresa Wilms Montt de las Mercedes. Poetessa, Femminista ed anarchica(Viña del Mar, Cile, 8 settembre 1893 – Parigi, Francia, 24 dicembre 1921) è stata una scrittrice, poeta e anarchica cilena. È considerata un’antesignana del femminismo-anarchico.PARIGI 24 dicembre 1921-La notte di Natale del 1921, a Parigi, muore suicida, per overdose di Véronal, Maria Teresa Wilms Montt de las Mercedes.-Poetessa, femminista e anarchica cilena-Biblioteca DEA SABINA- Le figlie, che non vedeva da 5 anni, avevano appena lasciato la città. Aveva 28 anni, era una nobildonna, intellettuale cilena, che aveva lottato per il riconoscimento dei propri diritti, dopo che il marito (sposato per amore quando aveva 17 anni) l’aveva portata di fronte ad un tribunale con l’accusa di adulterio. I giudici l’avevano fatta rinchiudere in un convento, dal quale lei riuscì a fuggire, con l’aiuto del suo amante. Dovette adottare pseudonimi maschili per pubblicare.
“Inquietudini sentimentali”
Con il capo reclino fra le braccia, in affannosa insonnia,
ripeto, come un bimbo, una prece: il tuo nome.
Sì, Anuarì, ho tanta voglia di dormire; provo lo stesso languido
sopore che turbò la tua anima prima che eternamente
si estinguesse il tuo sguardo adorato.
Come in un’orazione, le mie labbra van ripetendo, sillaba
per sillaba, il rosario sgranato del tuo nome, e le mie
mani giacciono protese al nido tiepido dei tuoi capelli
per cercare un rifugio ove morire. Anuarì! Anuarì!
Simili al brulicare di una fonte sgorgano dal mio seno
implorazioni e grida di dolore. Il caos le inghiotte tutte,
prima che possano arrivare a te. (…)
Senza di te la vita è qualcosa di tetro, un ignobile straccio
che mi segue.
Da “Poesia”, n.229, luglio/agosto 2008, traduzione di Cristina Sparagana.
Tu, così forte e bello, col tuo viso sereno e la tua fronte
sempre fissa al cielo.
Anuarí, il dolore non uccide, il dolore non reca la pazzia;
ma sprofonda nell’anima come un corpo di piombo in
un sisma infinito. Turbata, ascolto nelle lunghe notti
l’eco della mia voce che ti cerca attendendo nel buio
una risposta. Poi, la nera realtà mi percuote furente.
Forse l’anima tua pure è svanita? No! Ma com’è possibile
che tanta forza, tanto ardore astrale, possa perire
nell’eterno gelo?
(Teresa Wilms Montt, in POESIA 278, gennaio 213, Vite di poeti)
Stefano Beccastrini:CHI E’ STATA TERESA WILMS MONTT
Nata nel 1893 a Vina del Mar (Cile), Teresa Wilms Montt è stata una delle più grandi scrittrici del Novecento latinoamericano. Fin dall’adolescenza fu innamorata della vita, dell’amore, della poesia e della musica (soprattutto del melodramma italiano: la sua eroina preferita fu la pucciniana Tosca). Ribelle, femminista, impegnata nel movimento anarchico e socialista, viaggiò il mondo (Buenos Aires, New York, Madrid, Londra, Parigi) dopo esser fuggita dal Cile, ove la famiglia di suo marito l’aveva fatta rinchiudere in un convento. Ovunque si recò, attirò su di sé passione e ammirazione, segnando con la sua elegante e fascinosa presenza gli ambienti culturali – sia sudamericani che europei – che andavano aprendosi all’avanguardia letteraria e politica. Le pesò molto la lontananza forzata dalle due amatissime figlie. Le reincontrò fugacemente, dopo molti anni di distacco, a Parigi nel 1920. Fu l’ultima volta: da allora la gran voglia di vivere, di amare, di scrivere di Teresa si spense. Ella si recluse volontariamente in una stanza dell’Hotel Montaigne, ove alfine decise di uccidersi, con una forte dose di Veronal. Morì dopo esser stata inutilmente ricoverata all’Ospedale Laennec: era la vigilia di Natale del 1921.
E’ sepolta nel cimitero parigino di Pére Lachaise. Se capitate a Parigi, andate a trovarla…
La tua canzone si leva con monotona cadenza, o vita,
ed essa esalta il mio desiderio di morte.
Il silenzio estende il suo cristallo opaco dentro l’anima,
ove giace una passione ormai spenta…
Teresa Wilms Montt
Siete poetas suicidas
Hay una primavera en cada vida – Antología de poetas-suicidas fue propuesta en la asignatura de «Tipologías de la Edición» del máster en Estudios Editoriales (Universidad de Aveiro, Portugal).
Esta no será más una antología de elección de poemas que condensen toda la obra poética de las siete poetas-suicidas presentadas, enseñando trazos psicológicos referentes a perturbaciones y recalcaduras que originarían su trágico final de vida. Por el contrario. La selección poética intentará señalar los temas alusivos a la esperanza, pasión, amor, alegría, felicidad, transformación, sensualidad, fuerza y arrojo. Como el verso de Florbela Espanca elegido para el título supone, se enfocará el lado luminoso, fuerte y fértil de las siete autoras. A pesar de que la expresión poetas-suicidas pueda no coadunarse con la intención basilar de esta antología, su utilización transmite el peso simbólico emanado de la relación umbilical entre la poesía, la muerte y la vida.
Por orden cronológico de nacimiento, las poetas escogidas son: Alfonsina Storni (Argentina), Teresa Wilms Montt (Chile), Florbela Espanca (Portugal), Anne Sexton y Sylvia Plath (Estados Unidos), Alejandra Pizarnik (Argentina) y Ana Cristina Cesar (Brasil).
Sandra Santos
AUTODEFINICIÓN
Soy Teresa Wilms Montt
y aunque nací cien años antes que tú,
mi vida no fue tan distinta a la tuya.
Yo también tuve el privilegio de ser mujer.
Es difícil ser mujer en este mundo.
Tú lo sabes mejor que nadie.
Viví intensamente cada respiro y cada instante de mi vida.
Destilé mujer.
Trataron de reprimirme, pero no pudieron conmigo.
Cuando me dieron la espalda, yo di la cara.
Cuando me dejaron sola, di compañía.
Cuando quisieron matarme, di vida.
Cuando quisieron encerrarme, busqué libertad.
Cuando me amaban sin amor, yo di más amor.
Cuando trataron de callarme, grité.
Cuando me golpearon, contesté.
Fui crucificada, muerta y sepultada,
por mi familia y la sociedad.
Nací cien años antes que tú
sin embargo te veo igual a mí.
Soy Teresa Wilms Montt,
y no soy apta para señoritas.
AUTO-DEFINIÇÃO
Sou Teresa Wilms Montt
e ainda que tenha nascido cem anos antes de ti,
a minha vida não foi assim tão diferente da tua.
Eu também tive o privilégio de ser mulher.
É difícil ser mulher neste mundo.
Tu sabe-lo melhor que ninguém.
Vivi intensamente cada intervalo e cada instante da minha vida.
Transpirei mulher.
Quiseram reprimir-me, mas não o conseguiram.
Quando me viraram as costas, eu dei a cara.
Quando me deixaram sozinha, fiz companhia.
Quando quiseram matar-me, dei vida.
Quando quiseram fechar-me, procurei liberdade.
Quando me amavam sem amor, eu dei mais amor.
Quando quiseram calar-me, gritei.
Quando me golpearam, contestei.
Fui crucificada, morta e sepultada,
pela minha família e pela sociedade.
Nasci cem anos antes de ti
no entanto sou igual a ti.
Sou Teresa Wilms Montt,
e não sou apta para madames.
ALTA MAR
De tanta angustia que me roe, guardo un silencio que se unifica a la entraña del océano.
En la noche cuando los hombres duermen, mis ojos haciendo tríptico con el farol del palo mayor, velan con el fervor de un lampadario ante la inmensidad del universo.
El austro sopla trayendo a los muertos cuyas sombras húmedas de sal acarician mi cabellera desordenada.
Agonizando vivo y el mar está a mis pies y el firmamento coronando mis sienes.
ALTO MAR
De tanta angustia que me rói, guardo um silêncio que se unifica às entranhas do oceano.
De noite quando os homens dormem, os meus olhos fazendo tríptico com a luz do cajado, velam com o fervor de um candelabro ante a imensidão do universo.
O austro sopra trazendo os mortos cujas sombras húmidas de sal acariciam os meus cabelos desordenados.
Agonizando vivo e o mar está a meus pés e o firmamento coroando as minhas têmporas.
BELZEBUTH
Mi alma, celeste columna de humo, se eleva hacia
la bóveda azul.
Levantados en imploración mis brazos, forman la puerta
de alabastro de un templo.
Mis ojos extáticos, fijos en el misterio, son dos lámparas
de zafiro en cuyo fondo arde el amor divino.
Una sombra pasa eclipsando mi oración, es una sombra
de oro empenachado de llamas alocadas.
Sombra hermosa que sonríe oblicua, acariciando los sedosos
bucles de larga cabellera luminosa.
Es una sombra que mira con un mirar de abismo,
en cuyo borde se abren flores rojas de pecado.
Se llama Belzebuth, me lo ha susurrado en la cavidad
de la oreja, produciéndome calor y frío.
Se han helado mis labios.
Mi corazón se ha vuelto rojo de rubí y un ardor de fragua
me quema el pecho.
Belzebuth. Ha pasado Belzebuth, desviando mi oración
azul hacia la negrura aterciopelada de su alma rebelde.
Los pilares de mis brazos se han vuelto humanos, pierden
su forma vertical, extendiéndose con temblores de pasión.
Las lámparas de mis ojos destellan fulgores verdes encendidos
de amor, culpables y queriendo ofrecerse a Dios; siguen
ansiosos la sombra de oro envuelta en el torbellino refulgente
de fuego eterno.
Belzebuth, arcángel del mal, por qué turbar el alma
que se torna a Dios, el alma que había olvidado las fantásticas
bellezas del pecado original.
Belzebuth, mi novio, mi perdición…
BELZEBUTH
A minha alma, celeste coluna de fumo, eleva-se até
à abóbada azul.
Levantados, implorando, os meus braços, formam a porta
de alabastro de um templo.
Os meus olhos extáticos, fixos no mistério, são duas lâmpadas
de safira em cujo fundo arde o amor divino.
Uma sombra passa eclipsando a minha oração, é uma sombra
de ouro ornado de chamas impetuosas.
Sombra formosa que sorri oblíqua, acariciando os sedosos
caracóis dos enormes cabelos luminosos.
É uma sombra que observa com um olhar de abismo,
em cuja margem se abrem as flores rubras de pecado.
Chama-se Belzebuth, sussurrou-mo na cavidade
da orelha, produzindo-me calor e frio.
Gelaram-me os lábios.
O meu coração converteu-se rubro de rubi e um ardor de frágua
me queima o peito.
Belzebuth. Passou Belzebuth, desviando a minha oração
azul até à negrura delicada da sua alma rebelde.
Os pilares de meus braços converteram-se humanos, perdem
a sua forma vertical, estendendo-se com tremores de paixão.
As lâmpadas de meus olhos reluzem fulgores verdes acesos
de amor, culpados e devotos a Deus; seguem
ansiosos a sombra de ouro envolta no torvelinho refulgente
de fogo eterno.
Belzebuth, arcanjo do mal, porquê turvar a alma
que se volta para Deus, a alma que havia esquecido as fantásticas
belezas do pecado original.
Belzebuth, o meu noivo, a minha perdição…
María Teresa de las Mercedes Wilms Montt, seconda di otto sorelle, era nata nel 1893 a Viña del Mar (Cile) in una famiglia benestante.
María Teresa iniziò preso a ribellarsi ai genitori e a mostrare una certa insofferenza verso la vita borghese.
Fece molto scalpore la scelta di sposarsi, contro la volontà dei suoi genitori, con un funzionario di stato con il quale ebbe due figlie, Elisa e Sylvia Luz. La famiglia visse nella capitale cilena prima e ad Iquique poi, nel nord del paese.
In questa città María Teresa si immerse nella scrittura ed entrò in contatto con influenti artisti dell’epoca che la introdussero agli ideali femministi e anarchici a cui restò fedele per tutta la sua vita. Sempre in questo periodo iniziò a pubblicare alcuni scritti sotto pseudonimo. A causa delle sue amicizie e della relazione con il cugino del marito, venne richiamata a Santiago e fu reclusa in un convento. Disperata per la separazione dalle figlie, cadde in una profonda depressione e tentò il suicidio nel marzo del 1916.
Fu un suo celebre amico, lo scrittore Vincente Huidobro, ad aiutarla a fuggire dal monastero. I due andarono a Buenos Aires, dove iniziò a frequentare i circoli intellettuali femministi e pubblicò degli scritti in cui trattava di temi a lei cari, dalla spiritualità all’erotismo. Dopo qualche mese prese la decisione di trasferirsi a New York per lavorare come infermiera della Croce Rossa, ma la fortuna l’abbandono ancora una volta: venne scambiata per una spia tedesca e le fu impedito di mettere piede sul suolo statunitense.
Sconsolata, venne deportata in Spagna. Anche a Madrid, María Teresa entrò rapidamente in contatto con scrittori e artisti dell’epoca e continuò a scrivere con lo pseudonimo di Teresa de la Cruz. Nel circolo di intellettuali che frequentava c’era Julio Romero de Torres, un pittore di Córdoba che ne fece la sua musa ispiratrice, usandola più volte come soggetto dei suoi lavori.
Dopo un breve incontro con le figlie nel 1920, Teresa continuò la sua ricerca intellettuale e viaggiò spesso a Londra e Parigi, ma non riuscì mai a superare il dolore della separazione. Morì la vigilia di Natale del 1921 in un hotel di Parigi per una overdose di barbiturici.
Maria Teresa Wilms Montt de las Mercedes (Viña del Mar, Cile, 8 settembre 1893 – Parigi, Francia, 24 dicembre 1921) è stata una scrittrice, poeta e anarchica cilena. È considerata un’antesignana del femminismo-anarchico.
Femminista ed anarchica
Tra il 1912 e il 1915 risiede ad Iquique, una città allora in piena espansione. La gelosia del marito e il maschilismo imperante negli ambienti intellettuali la spingono verso una vita errabonda, ma comunque ricca e stimolante. Mantiene una stretta amicizia con artisti e intellettuali influenti, come il poeta Victor Domingo Silva. Pubblica i suoi primi testi con lo pseudonimo di Iquique Tebal o Tebal.
In questa fase incontra donne e sindacalisti del nascente movimento operaio e aderisce agli ideali femministi e anarchici, grazie all’influenza esercitata dalla spagnola femminista Zarraga Betlemme e del lavoro dell’attivista cileno Luis Emilio Recabarren. In questa fase è anche vicina agli ambienti della massoneria.
Tornata a Santiago, il marito scopre la sua relazione extraconiugale con Vicente Zañartu Balmaceda e spinge la sua famiglia per rinchiuderla in convento. Depressa per la situazione, Maria Teresa mette in atto il suo primo tentativo di suicidio il 29 marzo 1916.
Nel mese di giugno del 1916, Vicente Huidobro l’aiuta a fuggire dal convento e con lei ripara a Buenos Aires. Il suo soggiorno in questa città gli permette di incontrare un cosmopolita circolo intellettuale che avrà su di lei una grande influenza.
Nel 1917 pubblica Inquietudes Sentimentales e Los Tres Cantos. Emigrata a New York, vorrebbe lavorare per la Croce Rossa, ma le autorità statunitensi la bloccano ad Ellis Island perché sospettano possa essere una spia tedesca (la sua famiglia è di origine tedesca).
Attività intellettuali a Madrid e Parigi
Si trasferisce in seguito in Spagna, a Madrid, dove vive da bohèmien e incontra numerosi scrittori. Celandosi dietro lo pseudonimo di Teresa Cruz pubblica diverse sue opere: En la Quietud del Mármol e Mi destino es errar.
Nel 1920 si stabilisce a Parigi, dove in seguito viene raggiunta dalle sue figlie che non vedeva da cinque anni. Dopo la loro partenza per il Cile, Maria Teresa cade preda di una forte crisi depressiva.
La notte di Natale del 1921, muore suicida per overdose di Véronal. Aveva soli 28 anni.
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