Gian Piero Stefanoni -Ante editoriale: “La co-stanza del cielo”
Rivista L’Altrove
L’AUTORE–Gian Piero Stefanoni, nato a Roma nel 1967 dove si è laureato in Lettere moderne, ha esordito nel 1999 con In suo corpo vivo (Arlem edizioni, premio “Thionville” sezione poesia in lingua italiana e “V.M Rippo” del comune di Spoleto per l’opera prima) a cui (oltre ad alcuni in digitale) a cui tra cartaceo ed ebook sono seguiti una decina di titoli. Suoi testi oltre che essere stati pubblicati in antologie e riviste del settore sono stati tradotti e pubblicati in Francia, Spagna, Malta, Grecia, Cile, Venezuela, Argentina oltre che in diversi dialetti e lingue minoritarie d’Italia. Sulla sua poesia, su cui è uscita nel 2023 la lettura di Francesco Di Ciaccia Di novembre (alveo) e la poetica dell’aderenza (Stampa Eliografica Correggio, col supporto nominativo dell’Archivio dei Cappuccini Lombardi) ama ricordare i riconoscimenti più lontani, il “Via di Ripetta” e “Dario Bellezza” nel 1997 e l’ultimo nella sezione poesia religiosa di “Arte in versi” nel 2021, tutti per l’inedito.
Già collaboratore con “Pietraserena” e “Viaggiando in autostrada” è stato redattore della rivista di letteratura multiculturale “Caffè” e, per la poesia, della rivista teatrale “Tempi moderni”. Dal 2013 sempre per la poesia è recensore di poesia per “LaRecherche.it” (per i cui ebook è uscito nel 2017 il lavoro sulla poesia in dialetto della provincia di Chieti La terra che snida ai perdoni) e dal 2014 giurato del Premio “Il giardino di Babuk- Proust en Italie”. Nel 2024, infine, per la Ideostampa di Colli al Metauro è uscito un breve studio sulla poesia italiana a cavallo tra novecento e nuovo millennio, All’altezza degli occhi e il ricordo Lettere da Malta, Oliver Friggieri e me. Collabora con il blog di Nazario Pardini “Alla volta di Leucade”.
TUTTI GLI ADDOMESTICABILI MONDI
Tutti gli addomesticabili mondi e gli ordini eternamente riferibili ma sotto qualcuno ha parcheggiato di nuovo di fronte all’uscita – e il mare non ha confini non accettando più di bussare.
Così, nel sonno, sei ancora tu l’intruso, l’occhio lungo la spina di pesce, la notte senza riflessi nel giorno che cede alla sete.
TU CREDI
Tu credi ma il vento in te non può riposare né adagiarsi la nuvola o l’albero finalmente alla sua maturata infanzia dare respiro nel piccolo nido.
Tu credi ma non riesce a passare – basso allo sguardo – il sole, l’oriente.
DEL CUORE
Ha le ossa fragili, le cartilagini a tempo, nel busto il silenzio della frana.
Ma non cede nel suo quieto vigore, nell’azione di forza da cui ascende il cielo contemplato dalla ruga, il grasso d’anima sola.
Perché un inizio questo Dio di pietra, un inizio questa visione del tutto che lentamente nella separazione ci consuma.
SACRAMENTO
Il fiore non ha lastre, non ha nebbia, chiaro l’odore nel riflesso composito della radice.
Sciolta alla trasparenza della terra, la luce nella forma dello stelo.
CAMMINANTI
Non teme chi non ha vita ma sposta l’altare – alza il numero nell’ammonizione adesso visibile dei ricoveri e delle piazze fasciate.
Non è pensabile in noi ciò che allo specchio riappare non più dell’altro ma nella carne, nelle case, il provvisorio scontornando l’abisso.
Non è pensabile – e non si fermano nel sottomondo stabili e labili – nel sottomondo nel mondo che di noi non ha veste.
Nota biografica di Gian Piero Stefanoni
Nato a Roma nel 1967, laureato in Lettere moderne, ha esordito nel 1999 con la raccolta In suo corpo vivo (Arlem edizioni, Roma- prefazione di Mariella Bettarini) vincendo nello stesso anno, per la sezione poesia in lingua italiana, il premio internazionale di Thionville (Francia) e nel 2001, per l’opera prima, il “Vincenzo Maria Rippo” del Comune di Spoleto. Son seguiti in cartaceo e in ebook una decina di titoli, l’ultimo dei quali è Lunamajella (Cofine Edizioni, Roma , 2019).
Presente in volumi antologici, suoi testi sono apparsi su diversi periodici specializzati e sono stati tradotti e pubblicati in greco, maltese, turco e spagnolo (Argentina, Venezuela, Cile e Spagna) oltre che in Francia e in Italia nel dialetto di aree romagnole, abruzzesi e sarde.
Già collaboratore con “Pietraserena” e “Viaggiando in autostrada” è stato redattore della rivista di letteratura multiculturale “Caffè” e, per la poesia, della rivista teatrale “Tempi moderni”. Dal 2013 sempre per la poesia è recensore di poesia per LaRecherche.it e dal 2014 giurato del Premio “Il giardino di Babuk- Proust en Italie”.
Tra i riconoscimenti ama ricordare i più lontani, i premi “Via di Ripetta” e “Dario Bellezza” entrambi nel 1997 per l’inedito e l’ultimo, sempre per l’inedito, nella sezione poesia religiosa di “Arte in versi” nel 2021.
Elenco delle opere di Gian Piero Stefanoni in questo blog:
Il Dolore della Casa. Compianti dal Covid.
IL DOLORE DELLA CASA compianti dal Covid – Poiché tutto si compie in un altrove sconosciuto. Francoise Dolto per Vito, medico e uomo buono INTRODUZIONE Raccolgo nella brevità e nel ricordo di questi
Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donneè una ricorrenza istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, tramite la risoluzione numero 54/134 del 17 dicembre 1999. L’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha designato il 25 novembre come data della ricorrenza e ha invitato i governi, le organizzazioni internazionali e le ONG a organizzare in quel giorno attività volte a sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema della violenza contro le donne.
La data della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne segna anche l’inizio dei “16 giorni di attivismo contro la violenza di genere” che precedono la Giornata mondiale dei diritti umani il 10 dicembre di ogni anno, promossi nel 1991 dal Center for Women’s Global Leadership (CWGL) e sostenuti dalle Nazioni Unite, per sottolineare che la violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani. Questo periodo comprende una serie di altre date significative, tra cui il 29 novembre, il Women Human Rights Defenders Day (WHRD), il 1º dicembre, la Giornata mondiale contro l’AIDS e il 6 dicembre, anniversario del quando 14 studentesse di ingegneria furono uccise da un venticinquenne che affermò di voler “combattere il femminismo”.Il colore arancione è utilizzato come colore di identificazione della campagna, ogni anno concentrata su un tema particolare. Dal 2014 ha assunto come slogan “Orange the World”.
In molti paesi, come l’Italia, il colore esibito in questa giornata è il rosso e uno degli oggetti simbolo è rappresentato da scarpe rosse da donna, allineate nelle piazze o in luoghi pubblici, a rappresentare le vittime di violenza e femminicidio. L’idea è nata da un’installazione dell’artista messicana Elina Chauvet, Zapatos Rojos, realizzata nel 2009 in una piazza di Ciudad Juarez, e ispirata all’omicidio della sorella per mano del marito e alle centinaia di donne rapite, stuprate e assassinate in questa città di frontiera nel nord del Messico, nodo del mercato della droga e degli esseri umani.L’installazione è stata replicata successivamente in moltissimi paesi del mondo, fra cui Argentina, Stati Uniti, Norvegia, Ecuador, Canada, Spagna e Italia. La campagna in Italia viene in particolar modo modo portata avanti dal Centri antiviolenza e dalle Associazioni di donne impegnate nell’ambito della Violenza contro le donne.
La risoluzione delle Nazioni Unite del 1999
Nella risoluzione 54/134 del 17 dicembre 1999 viene precisato che si intende per violenza contro le donne “qualsiasi atto di violenza di genere che si traduca o possa provocare danni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche alle donne, comprese le minacce di tali atti, la coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia che avvengano nella vita pubblica che in quella privata”. La violenza contro le donne è ritenuta una manifestazione delle “relazioni di potere storicamente ineguali” fra i sessi, uno dei “meccanismi sociali cruciali” di dominio e discriminazione con cui le donne vengono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini per impedirne il loro avanzamento.
Richiamando quanto deliberato nella Terza e nella Quarta Conferenze mondiali sulle donne svoltesi a Nairobi nel 1985 e a Pechino nel 1995 con la partecipazione di rappresentanti di 140 nazioni, la risoluzione inserisce questo tema nella più ampia questione dei diritti umani, sottolineando come la violenza contro le donne sia un ostacolo al raggiungimento dell’uguaglianza, dello sviluppo e della pace[11], e come si renda necessaria l’adozione di misure volte a prevenire ed eliminare tutte le forme di discriminazione, specie per le donne maggiormente vulnerabili (appartenenti a gruppi minoritari, indigeni, donne rifugiate, donne migranti, donne che vivono in comunità rurali o remote, donne indigenti, anziane, con disabilità, e donne che si trovano in situazioni di conflitto armato).
Storia
Il 25 novembre del 1960 nella Repubblica Dominicana furono uccise tre attiviste politiche, le sorelle Mirabal (Patria, Minerva e Maria Teresa) per ordine del dittatore Rafael Leónidas Trujillo. Quel giorno le sorelle Mirabal, mentre si recavano a far visita ai loro mariti in prigione, furono bloccate sulla strada da agenti del Servizio di informazione militare. Condotte in un luogo nascosto nelle vicinanze furono stuprate, torturate, massacrate a colpi di bastone e strangolate, per poi essere gettate in un precipizio, a bordo della loro auto, per simulare un incidente.
Nel 1981, nel primo incontro femminista latinoamericano e caraibico svoltosi a Bogotà, in Colombia, venne deciso di celebrare il 25 novembre come la Giornata internazionale della violenza contro le donne, in memoria delle sorelle Mirabal.
Nel 1991 il Center for Global Leadership of Women (CWGL) avviò la Campagna dei 16 giorni di attivismo contro la violenza di genere, proponendo attività dal 25 novembre al 10 dicembre, Giornata internazionale dei diritti umani.
Nel 1993 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato la Dichiarazione per l’eliminazione della violenza contro le donne ufficializzando la data scelta dalle attiviste latinoamericane.
disegno di Pablo Picasso- Nuova Rivista Letteraria-
Fedrico García Lorca nacque a Fuente Vaqueros, nella provincia di Granada (in Andalusia) il 5 giugno del 1898, figlio di Federico García Rodríguez, un ricco possidente terriero, e di Vicenta Lorca Romero (1870–1959), un’insegnante, seconda moglie del padre[3], dalla fragile e cagionevole salute, al punto che ad allattare il figlio non sarà lei stessa, ma una balia, moglie del capataz[4] del padre, e che tuttavia eserciterà una profonda influenza nella formazione artistica del figlio: lascia infatti presto l’insegnamento per dedicarsi all’educazione del piccolo Federico, al quale trasmette la sua passione per il pianoforte e la musica:
García Lorca nacque a Fuente Vaqueros, nella provincia di Granada (in Andalusia) il 5 giugno del 1898, figlio di Federico García Rodríguez, un ricco possidente terriero, e di Vicenta Lorca Romero (1870–1959), un’insegnante, seconda moglie del padre[3], dalla fragile e cagionevole salute, al punto che ad allattare il figlio non sarà lei stessa, ma una balia, moglie del capataz[4] del padre, e che tuttavia eserciterà una profonda influenza nella formazione artistica del figlio: lascia infatti presto l’insegnamento per dedicarsi all’educazione del piccolo Federico, al quale trasmette la sua passione per il pianoforte e la musica:[3]
«Canticchiava le canzoni popolari ancor prima di saper parlare e si entusiasmava sentendo suonare una chitarra»
La madre gli trasmetterà altresì quella coscienza profonda della realtà degli indigenti e quel rispetto per il loro dolore che García Lorca riverserà all’interno della propria opera letteraria.
Federico trascorre un’infanzia intellettualmente felice ma fisicamente afflitta da malattie[3] nell’ambiente sereno e agreste della casa patriarcale di Fuente Vaqueros fino al 1909, quando la famiglia, che nel frattempo si era accresciuta di altri tre figli – Francisco, Conchita e Isabel (un quarto, Luis, morì all’età di soli due anni per polmonite) – si trasferisce a Granada.
Gli studi e le conoscenze a Granada
A Granada frequenta il “Colegio del Sagrado Corazón”, che era diretto da un cugino di sua madre, e nel 1914 si iscrive all’Università, frequentando dapprima la facoltà di giurisprudenza (non già per personale aspirazione, ma per seguire i desiderî paterni[3]) per poi passare a quella di lettere.[5] Conosce i quartieri gitani della città, che entreranno a far parte della sua poesia, come dimostra il suo Romancero del 1928.
Incontra per la prima volta in questo periodo il letterato Melchor Fernández Almagro e il giurista Fernando de los Ríos, futuro Ministro de Instrucción Pública durante il periodo denominato Seconda Repubblica Spagnola: entrambi (e in special modo il secondo[5]) aiuteranno in modo concreto la carriera del giovane Federico. Inizia nel frattempo lo studio del pianoforte sotto la guida del maestro Antonio Segura Mesa e diventa un abile esecutore del repertorio classico e di quello del folclore andaluso.[5] Con il musicista granadino Manuel de Falla, con cui stringe un’intensa amicizia, collabora all’organizzazione della prima Fiesta del Cante jondo (13 – 14 giugno 1922).[2]
Gli interessi che segnano il periodo formativo spirituale del poeta sono la letteratura, la musica e l’arte che apprende dal professor Martín Domínguez Berrueta che sarà suo compagno nel viaggio di studio in Castiglia, dal quale nascerà la raccolta in prosa Impresiones y paisajes (Impressioni e paesaggi)
L’ingresso alla Residencia de Estudiantes
Nel 1919 il poeta si trasferisce a Madrid per proseguire gli studi universitari e, grazie all’interessamento di Fernando de los Ríos, ottiene l’ingresso nella prestigiosa Residencia de Estudiantes, confidenzialmente chiamata dai suoi ospiti “la resi”, che era considerata il luogo della nuova cultura e delle giovani promesse del ’27.
Nella Residencia García Lorca rimane nove anni (fino al 1928),[5] tranne i soggiorni estivi alla Huerta de San Vicente, la casa di campagna, e alcuni viaggi a Barcellona e a Cadaqués ospite del pittoreSalvador Dalí, a cui lo lega un rapporto di stima e amicizia[6] che coinvolgerà presto anche la sfera sentimentale.
Le prime pubblicazioni
È di questo periodo (1919-1920) la pubblicazione del Libro de poemas, la preparazione delle raccolte Canciones e Poema del Cante jondo (Poema del Canto profondo), al quale fa seguito il drammateatraleEl maleficio de la maríposa (Il maleficio della farfalla, che fu un fallimento: fu rappresentata una sola volta, e in seguito allo scarso successo García Lorca decise di non farla pubblicare[3]) nel 1920 e nel 1927 il dramma storicoMariana Pineda[5] per il quale Salvador Dalí disegna la scenografia.
Seguiranno le prose d’impronta surrealistaSanta Lucía y san Lázaro, Nadadora sumeringa (La nuotatrice sommersa) e Suicidio en Alejandría, gli atti teatraliEl paseo de Buster Keaton (La passeggiata di Buster Keaton) e La doncella, el marinero y el estudiante (La ragazza, il marinaio e lo studente), oltre le raccolte poetiche Primer romancero gitano, Oda a Salvador Dalí e un gran numero di articoli, composizioni, pubblicazioni varie, senza contare le letture in casa di amici, le conferenze e la preparazione della rivista granadina “Gallo” e la mostra di disegni a Barcellona.[7]
Il conflitto interiore e la depressione
Le lettere inviate in questo periodo da Lorca agli amici più intimi, confermano che l’attività febbrile improntata ai contatti e alle relazioni sociali che il poeta in quel momento vive nasconde in realtà una intima sofferenza e ricorrenti pensieri di morte, malessere su cui molto incide il non poter vivere serenamente la propria omosessualità.[8] Al critico catalanoSebastià Gasch, in una lettera datata 1928, confessa la sua dolorosa condizione interiore:
(ES)
«Estoy atravesando una gran crisis «sentimental» (así es) de la que espero salir curado»
(IT)
«Sto attraversando una grave crisi «sentimentale» (è così) dalla quale spero di uscire curato.»
Il conflitto con la cerchia intima di parenti e amici raggiunge il suo apice allorché i due surrealisti Dalí e Buñuel collaborano alla realizzazione del film Un chien andalou, che García Lorca legge come un attacco nei suoi confronti.[9] Allo stesso tempo, la sua passione, acuta ma ricambiata per lo scultore Emilio Aladrén, giunge a una svolta di grande dolore per García Lorca nel momento in cui Aladrén inizia la propria relazione con la donna che ne diverrà moglie.[1][9]
La borsa di studio e il soggiorno a New York
Fernando de los Ríos, il suo amico protettore, venuto a conoscenza dello stato conflittuale del giovane García Lorca gli concede una borsa di studio e nella primavera del 1929 il poeta lascia la Spagna e si reca negli Stati Uniti.[9]
L’esperienza statunitense, che dura fino alla primavera del 1930, sarà fondamentale per il poeta,[7] e darà come risultato una delle produzioni lorchiane più riuscite, Poeta en Nueva York, incentrata su quanto García Lorca osserva con il suo sguardo partecipe e attento: una società di troppo accesi contrasti tra poveri e ricchi, emarginati e classi dominanti, connotata da razzismo. Si rafforza in García Lorca il convincimento della necessità di un Mondo nettamente più equo, non discriminatorio.[9]
Il periodo trascorso a Cuba è un periodo felice. Il poeta stringe nuove amicizie tra gli scrittori locali, tiene conferenze, recita poesie, partecipa a feste e collabora alle riviste letterarie dell’isola, “Musicalia” e “Revista de Avance”, sulla quale pubblica la prosa surrealistica Degollacíon del Bautista (Decapitazione del Battista).[10]
Sempre a Cuba inizia a scrivere i drammiteatraliEl público e Así que pasen cinco años (Finché trascorreranno cinque anni) e l’interesse maturato per i motivi e i ritmi afrocubani lo aiuteranno a comporre la famosa liricaSon de negros en Cuba che risulta essere un canto d’amore per l’anima nera d’America.
Il rientro in Spagna
Nel luglio del 1930 il poeta rientra in Spagna che, dopo la caduta della dittatura di Primo de Rivera, sta vivendo una fase di intensa vita democratica e culturale.
La realizzazione del teatro ambulante
Nel 1931, con l’aiuto di Fernando de los Ríos, che nel frattempo è diventato Ministro della Pubblica istruzione, García Lorca, con attori e interpreti selezionati dall’Istituto Escuela di Madrid con il suo progetto di Museo Pedagocico, realizza il progetto di un teatro popolare ambulante, chiamato La Barraca che, girando per i villaggi, rappresenta il repertorio classico spagnolo.[11]
Conosce in questi anni Rafael Rodríguez Rapún, segretario de La Barraca e studente d’ingegneria a Madrid, che sarà l’amore profondo[12] dei suoi drammi e delle sue poesie e al quale dedicherà, benché non esplicitamente, i Sonetti dell’amor oscuro, pubblicati postumi.[1]
García Lorca, che è l’ideatore, il regista e l’animatore della piccola troupe teatrale, vestito con una semplice tuta azzurra a significare ogni rifiuto di divismo, porta in giro negli ambienti rurali e universitari il suo teatro che riscuote grande successo e che svolge senza interruzione la sua attività fino all’aprile del 1936,[7] a pochi mesi dallo scoppio della guerra civile.
L’attività teatrale non impedisce a García Lorca di continuare a scrivere e compiere diversi viaggi con gli amici madrileni, nella vecchia Castiglia, nei Paesi Baschi e in Galizia.
Alla morte dell’amico banderillero e toreroIgnacio Sánchez Mejías avvenuta il 13 agosto del 1934 (dopo che era stato ferito da un toro due giorni prima), il poeta dedica il famoso Llanto (Compianto) e negli anni successivi pubblica Seis poemas galegos (Sei poesie galiziane), progetta la raccolta poetica del Diván del Tamarit e porta a conclusione il dramma Donna Rosita nubile o il linguaggio dei fiori.[13]
All’inizio del 1936 pubblica Bodas de sangre (Nozze di sangue); il 19 giugno porta a termine La casa de Bernarda Alba dopo aver contribuito, nel febbraio dello stesso anno, insieme a Rafael Alberti e a Bergamín, a fondare l'”Associazione degli intellettuali antifascisti“.
Lo scoppio della guerra civile
Stanno intanto precipitando gli eventi politici. Tuttavia, García Lorca rifiuta la possibilità di asilo offertagli da Colombia e Messico, i cui ambasciatori prevedono il rischio che il poeta possa esser vittima di un attentato a causa del suo ruolo di funzionario della Repubblica. Dopo aver respinto le offerte, il 13 luglio decide di tornare a Granada, nella casa della Huerta de San Vicente, per trascorrervi l’estate e tornare a trovare il padre.[2]
Rilascia un’ultima intervista, al “Sol” di Madrid, in cui c’è una eco delle motivazioni che l’avevano spinto a rifiutare quelle offerte di vita fuori dalla Spagna appena menzionate, ed in cui tuttavia García Lorca chiarisce e ribadisce la propria avversione verso le posizioni di estremismo nazionalistico, tipiche di quella destra che prenderà da lì a poco il potere, instaurando la dittatura:
“Io sono uno Spagnolo integrale e mi sarebbe impossibile vivere fuori dai miei limiti geografici; però odio chi è Spagnolo per essere Spagnolo e nient’altro, io sono fratello di tutti e trovo esecrando l’uomo che si sacrifica per una idea nazionalista, astratta, per il solo fatto di amare la propria Patria con la benda sugli occhi. Il Cinese buono lo sento più prossimo dello spagnolo malvagio. Canto la Spagna e la sento fino al midollo, ma prima viene che sono uomo del Mondo e fratello di tutti. Per questo non credo alla frontiera politica.”
Pochi giorni dopo esplode in Marocco la ribellione franchista, che in breve tempo colpisce la città andalusa e instaura un clima di feroce repressione.
Numerosi si levano gli interventi a suo favore, soprattutto da parte dei fratelli Rosales e del maestro de Falla;[14] ma nonostante la promessa fatta allo stesso Luis Rosales che García Lorca sarebbe stato rimesso in libertà “se non ci sono denunce contro di lui”, il governatoreJosé Valdés Guzmán, con l’appoggio del generale Gonzalo Queipo de Llano, dà ordine, segretamente, di procedere all’esecuzione: a notte fonda, Federico García Lorca è condotto a Víznar, presso Granada, e all’alba del 19 agosto 1936 viene fucilato sulla strada vicino alla Fuente grande, lungo il cammino che va da Víznar ad Alfacar.[9] Il suo corpo non venne mai ritrovato.[9] La sua uccisione provoca riprovazione mondiale: molti intellettuali esprimeranno parole di sdegno, tra le quali spiccano quelle dell’amico Pablo Neruda.
Un documento della polizia franchista del 9 luglio 1965, ritrovato nel 2015, indicava le ragioni dell’esecuzione: “massone appartenente alla loggia Alhambra”[15], “praticava l’omosessualità e altre aberrazioni”.[16][17][18]
Il mancato ritrovamento del corpo di Lorca, tuttavia, accende un’intensa controversia circa i dettagli di questa esecuzione. Controversia ancora adesso tutt’altro che risolta.
Nel 2009 a Fuentegrande de Alfacar (Granada), tecnici incaricati dalle autorità andaluse di condurre uno studio specifico per l’individuazione della fossa comune, dove si suppone sia stato gettato il corpo, accertarono con l’impiego del georadar l’esistenza effettiva di una fossa comune con tre separazioni interne, dove riposerebbero sei corpi.
Il 29 ottobre 2009, sotto la spinta del governo andaluso, sul sito individuato, iniziarono i lavori di scavo con l’obiettivo di individuare gli eventuali resti del poeta; questi avrebbero dovuto interessare un’area di circa 200 metri quadrati per una durata di circa due mesi.
Assieme ai resti di García Lorca era atteso il rinvenimento di quelli di almeno altre tre persone: i banderilleros anarchici Joaquín Arcollas e Francisco Galadí e il maestro repubblicano Dioscoro Galindo. Secondo le autorità della regione autonoma dell’Andalusia, sarebbero stati sepolti nella stessa zona e forse nella stessa fossa comune anche l’ispettore fiscale Fermín Roldán e il restauratore di mobili Manuel Cobo.[19] Nel 2011 però il governo dell’Andalusia ha interrotto le ricerche per mancanza di fondi. Infine, il 19 settembre 2012, il Tribunale di Granada ha archiviato la richiesta di esumazione, interrompendo con ciò ogni attività di ricerca.[20]
García Lorca sotto la dittatura franchista
La dittatura di Franco, instauratasi, impone il bando sulle sue opere, bando in parte rotto nel 1953, quando un Obras completas – pesantemente censurata – viene fatto pubblicare. Quell’edizione tra l’altro non include i suoi ultimi Sonetos del amor oscuro, scritti nel novembre del 1935 e recitati unicamente per gli amici intimi. Quei sonetti, di tema omosessuale, saranno addirittura pubblicati solo a partire dall’anno 1983.
Con la morte di Franco nel 1975, García Lorca ha potuto tornare finalmente e giustamente ad essere quell’esponente importantissimo della vita culturale e politica del proprio Paese.
Nel 1986, la traduzione in lingua inglese fatta dal cantante e autore Leonard Cohen della poesia di García Lorca “Pequeño vals vienés”, e musicata dallo stesso Cohen, raggiunge il primo posto all’interno della classifica dei dischi più venduti in Spagna.
Oggi, la memoria di García Lorca viene solennemente onorata da una statua in Plaza de Santa Ana, a Madrid, opera dello scultore Julio López Hernández.
L’opera poetica
Pur esistendo importanti edizioni dell’opera completa di Lorca non si ha ancora un testo definitivo che metta fine ai dubbi e agli interrogativi nati intorno ai libri annunciati e mai pubblicati e non si è ancora risolta la questione della genesi di alcune raccolte importanti.
Si può comunque dire che la produzione che conosciamo, insieme ai materiali inediti recentemente trovati, è sufficiente ad offrirci una chiara testimonianza della corrispondenza dell’uomo con la sua poesia.
In un primo tempo Lorca manifesta il suo talento come espressione orale seguendo lo stile della tradizione giullaresca. Il poeta infatti recita, legge, interpreta i suoi versi e le sue pièce teatrali davanti agli amici e agli studenti dell’università prima ancora che siano raccolte e stampate.
Ma García Lorca, pur essendo un artista geniale ed esuberante, mantiene verso la sua attività creativa un atteggiamento severo chiedendo ad essa due condizioni essenziali: amor y disciplina.
Il periodo andaluso
Impresiones y paisajes
Nella raccolta di prose Impresiones y paisajes che esce nel 1918 dopo il viaggio in Castiglia e Andalusia, García Lorca afferma le sue grandi doti d’intuizione e di fantasia. La raccolta è densa di impressioni liriche, di note musicali, annotazioni critiche e realistiche intorno alla vita, la religione, l’arte e la poesia.
Libro de poemas
Nel Libro de poemas, composto dal 1918 al 1920, Lorca documenta il suo grande amore per il canto e la vita. Dialoga con il paesaggio e con gli animali con il tono modernista di un Rubén Darío o un Juan Ramón Jiménez facendo affiorare le sue inquietudini sotto forma di nostalgia, di abbandoni, di angosce e di protesta ponendosi domande di natura esistenziale:
Che cosa racchiudo in me
in questi momenti di tristezza?
Ahi, chi taglia i miei boschi
dorati e fioriti!
Che cosa leggo nello specchio
d’argento commosso
che l’aurora mi offre
sull’acqua del fiume?.
In questi versi sembra di sentire il sottofondo musicale che, modulando la pena del cuore, riflette la situazione d’incertezza vissuta e il suo distacco dalla fase dell’adolescenza.
Un momento di grande rilevanza per la vita artistica di Federico Garcia Lorca è l’incontro con il compositore Manuel de Falla avvenuto nel 1920. Grazie alla sua figura Lorca si avvicina al Cante jondo, che mescolandosi con la sua poesia dà origine alle raccolte delle Canciones Españiolas Antiguas, armonizzate al pianoforte proprio dallo stesso Lorca.
Il periodo che va dal 1921 al 1924 rappresenta un momento molto creativo e di grande entusiasmo anche se molte delle opere prodotte vedranno la luce solo anni dopo.
Poema del Cante jondo
Il Poema del Cante jondo, scritto tra il 1921 e il 1922 uscirà solamente dieci anni dopo. Presenta tutti i motivi del mondo andaluso ritmati sulle modalità musicali del cante jondo a cui il poeta aveva lavorato con il maestro de Falla in occasione della celebrazione della prima Fiesta del Cante jondo al quale Lorca aveva dedicato, nel 1922, la conferenza Importancia histórica y artística del primitivo canto andaluz llamado “cante jondo”.
Il libro vuole essere un’interpretazione poetica dei significati legati a questo cantoprimitivo che esplode nella ripetizione ossessiva di suoni e di ritmi popolari, come nelle canzoni della siguiriya, la soleá, la petenera, la toná, la liviana, accompagnate dal suono della chitarra:
Amalia Bautista, scrittrice e giornalista spagnola, è nata a Madrid nel 1962. La sua laurea in scienze dell’informazione le ha permesso di lavorare come attrice di doppiaggio, ma attualmente lavora come giornalista; più conosciuta per il suo lavoro poetico sviluppato in un percorso breve ma molto interessante
La regina Mab
Tu che non mi chiedi dove abito, ti meriti la risposta più di chiunque altro: non devi cercarmi nel profondo della foresta, né sulla riva di un lago dove galleggiano cadaveri gonfi, né nelle grotte umide, né sulle vette dove ci sono fiori di zucchero o di ghiaccio. Sarò dove vorrai contemplarmi dietro le tue palpebre chiuse. Ovunque i tuoi occhi mi mettano le ali
BERKSHIRE
Devo tornare a casa, è molto tardi,
ma dici “aspetta, ti voglio vedere”
le ginocchia con quelle calze nere”.
Ti mostro le mie ginocchia. Ti saluto
per l’ennesima volta. Ma non vado
né del resto tu vuoi che me ne vada.
Mi hai mostrato buffe fotografie,
i paesi più bizzarri sull’atlante,
i tuoi scacchi, le stampe della Vergine,
le tue matite e alcuni dei tuoi versi.
Mi hai parlato di tutto ciò che odi
e delle poche cose che ti piacciono.
Entrambi allora abbiamo pensato
che le risorse si erano esaurite,
ma le mie gambe sono decisive,
e fanno complottare in un istante
notturna e folle una storia d’amore.
Tornerò a casa che sarà già l’alba;
incontrerò un ubriaco per la strada
un gatto che fruga la spazzatura,
i cani infastiditi che non dormono,
e anche l’auto potrebbe non partire.
Il ponte
Se mi dicono che sei dall’altra parte di un ponte, per quanto strano sembri che tu sia dall’altra parte ad aspettarmi, io attraverserei il ponte. Dimmi qual è il ponte che separa la tua vita e la mia, in quale ora scura, in quale città piovosa, in quale mondo senza luce è questo ponte, e lo attraverserò.
Dimmi ancora
Dimmelo ancora, è così bello che non mi stancherò mai di ascoltarlo. Dimmi ancora che la coppia della storia fu felice fino alla morte, che lei non era infedele, che a lui neppure venne in mente di ingannarla. E non dimenticare che, nonostante i problemi, continuavano a baciarsi ogni notte. Dimmi mille volte, per favore: È la storia più bella che conosca.
Luce di mezzogiorno
Né il tuo nome né il mio sono gran cosa solo poche lettere, un segno se li vediamo scritti, un suono se qualcuno pronuncia queste lettere insieme.
Perciò non capisco bene cosa mi succede, perché tremo o mi sorprendo, perché sorrido o divento impaziente, perché scherzo o divento così triste se incontro le lettere del tuo nome.
Non c’è nemmeno bisogno di nominarti, chiamano sempre la luce di mezzogiorno, il frutto, il paradiso prima dell’espulsione.
LA TORRE
Edifichiamo una torre di minuti,
accatastiamo i momenti in cui abbiamo potuto vederci,
parlare, sorridere, fare l’amore, accarezzarci
fino in fondo all’anima.
Ammucchiamoli con cura infinita,
perché non cadano,
questi secondi di limpida gioia
che ci hanno dato la pace e dolci lacrime.
Costruiamo un fragile grattacielo
che brilli al sole e resista alla pioggia.
La torre arriverà fino alle nuvole.
Però non innalzeremo mai al suo fianco un’altra torre
con tutti i minuti in cui non siamo stati insieme,
con i giorni perduti al di là del mare
e le notti trascorse ad abbracciare altri corpi.
Sarebbe insopportabile contemplare questa torre.
Rovescerebbe troppe volte l’universo.
GLI OLEANDRI
Li ho visti crescere sui marciapiedi
e in autostrada sugli spartitraffico,
nei giardini privati più lussuosi
e cingere blocchi di mattonelle
lungo sobborghi tristi come l’uomo.
Mi sorprende che siano così belli,
che si adattino bene a ogni terreno,
che richiedano ben poche attenzioni.
Mi sorprende che siano velenosi.
Amalia Bautista, scrittrice e giornalista spagnola, è nata a Madrid nel 1962.La sua laurea in scienze dell’informazione le ha permesso di lavorare come attrice di doppiaggio, ma attualmente lavora come giornalista; più conosciuta per il suo lavoro poetico sviluppato in un percorso breve ma molto interessante
Lontane dal disastro di questi giorni, le fotografie di Tano D’Amico dalla Palestina
ci raccontano la quotidianità e la bellezza di un territorio martoriato.
DESCRIZIONE
Demonizzati, “diversi” perché espatriati, rinchiusi in lembi di terra martoriata. Agli occhi degli occidentali i palestinesi sono sempre apparsi nel tumulto degli eventi, in una dimensione di lotta, di resistenza attiva, se non di vera e propria guerra.Questo movimento convulso, però, si quieta nelle fotografie di Tano D’Amico che ne ritrae l’esistenza di tutti i giorni. Mentre da fuori incalza rabbiosa la storia, si ha l’impressione che i momenti di vita, catturati dagli scatti di Tano, possano durare l’attimo di un sospiro. Accompagnate da poesie di autori palestinesi, le foto che qui vengono proposte ci parlano della quotidianità, della bellezza e del dolore di un territorio senza pace.
L’Autore
Tano D’Amico, è uno dei più grandi fotografi italiani viventi.Ha realizzato, tra gli altri, reportage in Palestina, Grecia, Irlanda, Germania, Svizzera, Spagna e Portogallo. Con Mimesis ha pubblicato Fotografia e destino (2020), Misericordia e tradimento (2021), Orfani del vento (2022).“Lo strazio della Palestina è la cicatrice impresentabile che unisce i due secoli. Una cicatrice che ci attraversa, che ci chiede conto, che chiama la stessa sete di giustizia di quando eravamo bambini.”
“La Palestina oggi non ha più immagini che la difendano perché ha vinto in ogni ambito l’immagine senza vita, senza astrattezza, senza musica, senza voce. L’immagine morta; l’immagine cosa. Che si può usare a piacimento, che si può riassemblare come si vuole.”
“Un premio Nobel per la letteratura, vero padre nobile del muro che ruba ai palestinesi ancora più terra, ancora più acqua, ancora più vita, ancora più dignità, ancora più felicità, sostiene che le parole in Palestina sono pericolose perché hanno molti significati.
Bisogna stare attenti a pronunciarle; sono di parte. Anche la parola pace è di parte, mi spiegava la direttrice di una delle più grandi agenzie giornalistiche del mondo. È di parte perché con la pace uno dei due popoli ha tutto da guadagnare; l’altro tutto da perdere.”
Ilario Fiore –Partigiano , scrittore e giornalista RAI-
Ilario Fiore (Cortiglione, 14 novembre 1925 – Roma, 12 settembre 1998)–E’ stato partigiano a diciotto anni in una brigata Garibaldi del Monferrato. Ha esordito nel giornalismo accompagnando una nave turca che dalla costa ligure trasportava ebrei superstiti dell’olocausto in Palestina. Ha vissuto sette rivoluzioni: Egitto, Argentina, Algeria, Ungheria, Spagna, Portogallo e Cina. Poi l’America di Kennedy e l’Unione Sovietica di Breznev. Ha lavorato per la RAI come inviato, gestendo le sedi di Mosca, di Madrid e di Pechino. Ha filmato venticinque documentari, primo dei quali la versione televisiva di un suo libro, “L’Italiano di Ponte Cayumba”. E’ autore di numerosi libri ricevendo numerosi riconoscimenti, dal premio “Marzotto” 1957, all’”Estense 1981” all’ “Assisi” 1989. Tra le sue opere più famose : “Tien An Men”, “Rapporto da Pechino”, “La croce e il drago”, “Il Kennediano”, “La nave di seta”. Morì nel 1998 mentre stava lavorando ad un libro sul tentato furto da parte dei russi dei progetti per il Concorde. Fu sepolto nel cimitero di Castel di Guido a Roma.Riportiamo qui di seguito due poesie inedite dello scrittore, entrambe le poesie sono dedicate alla madre.
(A una madre)
La leggenda di Angiolina.
Sei piccola ma mi sembravi grande
quando piangevo per venirti in braccio.
Il canto della tortora nel bosco
ti guidava fuori verso la luce
dove volevi che il figlio vivesse
lontano dai lupi di una favola
vera per te, azzannata com’eri
stata sui pascoli di Vallescura.
Sognavo di diventare scrittore
per metterti in un romanzo d’amore;
e pittore per dipingerti donna
di grandezza sovrannaturale,
oppure musicista per comporre
la canzone che potesse suonare
parole e note col tuo nome,
una gloria più lunga della vita.
Dicevi che dopo al Bambinello
veniva il tuo orfano di padre;
e non sapevi che tanto amore
rompeva quelle catene antiche
che non fecero volare uomini
tanto degni da essere tuoi figli.
La leggenda (2)
Dolorosa gloria della tua vita
ogni giorno dentro di me risuona;
ombra calda di estati lontane
nell’aia sotto l’albero di alloro;
e la nebbia della sera dei Morti
e la tua voce sicura accanto al fuoco
col requieterna sconfiggeva.
Restituivi certezze al bambino
che avevi voluto nella pena,
per dare gioia all’uomo che moriva
sulla Croce fatta con le doghe
della sua bottega di falegname.
Due pale di quercia ti lasciava
per farti più forte della spada
che l’aveva trafitto a Caporetto.
Frammento di quercia di quella croce
e filo di ferro di quella spada,
mi mandavi per le strade del mondo
a difendere le cause dei giusti.
Fino ad oggi nessuno ha saputo
che ignota vittoria amara
aveva arricchito di dolcezza
il latte succhiato dal tuo seno.
Opere
Cose viste in Algeria 1956
Ultimo treno per Budapest 1957
Il Kennediano 1964
La campagna d’Italia fotografata dal pentagono 1965
Poesie di Francesca Serragnoli da “La quasi notte“, MC Edizioni, 2021
Quando ero bambina aprivo la finestra sporgevo volevo essere la rosa di qualcuno.
Nell’incavo dell’occhio l’acqua intingi il dito, dicevano portalo alla fronte il triciclo della croce.
Un giorno da questa finestra cadrà la mia vita un tonfo lieve di palpebre la bocca aperta come alla prima comunione.
***
Nessuno mi vuole come madre mi guardano e non parlano con occhi celesti o marroni battono le mani sulle ginocchia e corrono scalzi negli ingressi luminosi.
***
Vivrò ai margini di quel sorriso di neonato come i signori che dormono in terra con la vita tutta lì poco più alta di un fiore
quel sorriso alato poserà e alzerà la sua farfalla come sotto al pesco un’ombra matura allungandosi stacca la sua morte
il soffio nero del vento nel fogliame doloroso delle mie viscere.*
*Gli ultimi due versi sono di Christophe Manon
***
Miseria delle storie non raccontate l’ora davanti a cui non potrai più inginocchiare niente l’essere ascoltati quando si piange le cicale le foglie del leccio le scie bianche incrociate sulla luna i nasi bagnati degli animali l’odore del miele bere quando si ha sete l’odore delle mani che hanno cucinato il silenzio nella sala d’aspetto il caffè, il vino.
Tuo nel mondo è piccolissimo cade in terra come i bambini ti guarda con occhi impietriti un secondo prima di piangere. Allargo le braccia come una madre o come una croce.
***
La profondità del lago mi fissa la superficie vibra battuta da un ventaglio come il salice vorrebbe sfiorare l’acqua la mia ombra s’inclina l’infinito è quel centimetro enorme sgualcito dove la vita spinge la testa per passare
nella stanza l’arazzo lava i miei colori un panno che mani bianche alzano e abbassano da un cesto scendere ricorda i movimenti di una culla risalire ha la bruciante paura dell’acqua di evaporare, diventare niente
il sole scuce la rosa del volto l’orlo increspato di un vestito l’onda è vapore, salsedine goccia che riconosce una spalla non sua l’oro blu della quasi notte, nient’altro dà al fiore l’ultimo tremito.
Da “La quasi notte“, MC Edizioni, 2021
Francesca Serragnoli è nata a Bologna nel 1972. Si è laureata in Lettere Moderne e in Scienze Religiose. Ha pubblicato le raccolte Il fianco dove appoggiare un figlio (Bologna 2003, nuova ed. Raffaelli Ed. 2012), Il rubino del martedì (Raffaelli Ed. 2010) e Aprile di là (LietoColle – collana Pordenonelegge, 2016), La quasi notte (MC, Milano, 2020). E’ stata tradotta in varie lingue, suoi testi sono apparsi in varie antologie estere e in volume in Argentina, Spagna e in Romania.
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