Oliveto di Torricella Sabina e il suo Statuto del sec. XVI –
Durante una mia ricerca sulla condizione contadina del 1500 mi sono imbattuto nel “codicetto” , presumibilmente del sec. XVI , che altro non è che lo:” STATUTA et ordinationes facta per illustrem dominum Laurentium de Iacobatijs dominum Castri Oliveti”.
La prima pagina ,foto, è una invocazione contornata da fiorami a colori dove si legge: In nomine Domini nostri Iesu Christi et gloriosissimae eius matris Virginis Marie. Hec sunt statua et ordinationes facta per Illustrem Dominum Laurentium de Iacobatijs, dominum Castri Oliveti, Reatinae diocesis vassallis eiusdem castri”. Lo STATUTA è composto capp. Di cui i primi 26 riguardano i Malefici; dal cap.27 al 60, le cose civili: dal cap. 61 al 113 altre diposizioni di diritto civile: matrimoni e successioni, danni alla proprietà, pene per i bestemmiatori. C.13, è “aggiunta di altra mano: ” Ancora statuimo et ordiniamo tutti i feudatarij piglianti lo feudo, ciascun di loro siano obligati a beneplacito del Signore, pagare per uno della decima parte et per ogni centenaro dieci di tutti li beni del feudo pigliante secondo il vallore d’essi, et ditti feudi estimar si debbono per duoi homini eletti a beneplacito de esso Signore et padrone”.
Il “codicetto” misura mm 225×160. La scrittura minuscola gotica calligraftea, con elementi corsivi della stessa mano, eccetto le ultime linee corsive a c.13. Nella c.1 testata miniata a volute di fiori; nel mezzo lo stemma della famiglia Iacovacci. L’invocazione è in capitali azzurre e dorate; e in azzurro è pure il titolo e la numerazione dei capp. Legatura. Moderna. in pergamena. Il “codicetto” non reca alcuna data in relazione al feudatario Lorenzo Iacovacci.
In provincia di Rieti emerge dalla terra santuario di un’antica dea. Articolo di Maurizio Zuccari
Individuato a Montenero, presso Rieti, , dea sabina. I primi reperti sono esposti nella locale chiesa di San Cataldo, mentre prosegue la campagna di scavi da parte dell’università di Lione.
Erano secoli che la tampinavano. Millenni. Prima i romani che soppressero il popolo che la venerava, i sabini. Poi monaci e sant’uomini su e giù per oscure forre, a distruggere ogni vestigia d’antichi dei, edificando sulle rovine di templi e sacelli chiese e cappelle. E gli eruditi umanisti, quando le nebbie del Medioevo cominciarono a schiudersi su altre ere, e i filosofi dei secoli nuovi. Infine, soprintendenze e archeologi. E, sempre, cacciatori di pietre e tombaroli d’ogni epoca. Lei niente, resisteva a ogni assalto, svanita nel nulla come il nome che l’evocava. Vacùna. Dal Vacuum, il vuoto delle selve primigenie dove l’umano smarriva percezione di sé, affidandosi al divino femminino che evocava a un canto l’ozio ristoratore nella transumanza dei greggi e l’assenza della persona amata, il sostentamento fisico e morale. Punto di passo tra le dee madri preistoriche e le teogonie arcaiche, unica deità femminile al vertice di un pantheon protostorico. Suprema oggettivizzazione d’un popolo di pastori nomadi che dalle piane alluvionali tra il Tigri e l’Eufrate si mossero, a piedi, a ondate, fino alle catene appenniniche dell’Italia centrale, agli albori dell’età del ferro. Per dare vita a una comune koiné cetroitalica, impasto di lingua, cultura e strutture sociali che avrebbe permeato di sé le popolazioni di stirpe sabellica, dai piceni ai sanniti. E fondato quella Roma che, alla fine, tutti avrebbe ingoiato, padri e fratelli. Lei no. Troppo complessa era la dea, troppo distante dalla mentalità dei conquistatori e dalla rozzezza dei mores romani per poterla comprendere appieno, o anche solo assimilare. Si preferì dare a essa nomi nuovi, incerti attributi. Vesta, Bellona, Vittoria. Vacuna rimase sempre un mistero, per tutti.
GLI SCAVI ARCHEOLOGICI A MONTENERO
Ora quel mistero è riemerso dalla polvere dei millenni. A Montenero, a mezza via tra Roma e Rieti, su un pianoro sotto al quale scorre il Farfa, al crocevia d’uno di quei tratturi che dalla Sabina amiternina, interna, conducevano a quella tiberina. Qui s’è trovato il primo dei suoi templi, dei tanti santuari d’altura che punteggiavano la sua terra. Un pool di archeologi di Lione, coordinati da Aldo Borlenghi e Matthieu Poux, seguendo una dritta dell’archeologo locale Federico Giletti, scavano e setacciano pietrami per una campagna che, avviata nel 2019 e complicata dalla pandemia, durerà un paio d’anni e sta dando i suoi primi frutti. Grazie anche alla fattiva collaborazione della giunta comunale guidata dalla giovanissima Lavinia De Cola. Scordatevi colonnati e statuaria, quel che c’è e si vede nei 200 metri quadri dell’area di scavo son tre muracci a secco, brani di pavimentazione in cocciopesto e tesserine marmoree, terrecotte di copertura franate, fosse sepolcrali e favisse dove si sono conservati gli ex voto.
IL SANTUARIO DELLA DEA VACUNA
Quel che s’è trovato è esposto nel giardino della parrocchiale di San Cataldo, spazzolato e lavato dai ragazzi dell’università Lumière di Lyon. Un utero miniaturizzato. Un volto di coccio. Pissidi e brocchette. E basi, carbonizzate, dei bracieri dove ardevano i fuochi vacunali nelle cerimonie autunnali in onore della dea, a base di frutta di stagione e vino novello. “Aspettiamo di trovare qualche iscrizione per avere la certezza che si tratti del santuario di Vacuna. Ora siamo al 99%”, dicono i ricercatori. Per ora, la certezza è un cippo rotolato giù dal pianoro, trovato negli Anni Cinquanta, con una dedica alla dea. Roba romana, come tutto il resto ritrovato finora, risalente al terzo secolo avanti Cristo. Al tempo dell’ultima guerra sannitica, o meglio italica, e della definitiva occupazione della Sabina. E si continua a scavare, tra reperti e sepolture dell’Anno Mille. Segno d’una frequentazione, e della sacralità del luogo, ben oltre il tempo della conquista.
In tempo di crisi si sente spesso dire :”Sono al verde!”. La curiosità mi ha indotto a fare qualche ricerca su questo modo di dire . La più conosciuta sarebbe derivata dall’uso medievale di colorare di verde la base delle candele e da qui essere agli sgoccioli, appunto essere al verde. Ma il giornalista Dott.Elio Caruso propone un’altra lettura di questo modo di dire che, a mio avviso, è molto interessante. Il Caruso ha fatto una ricerca nell’Archivio di Stato di Forlì ed ha trovato una curiosa e rara ordinanza pontificia, emessa in Romagna nel 1561, che fa luce sul perché di un universale modo di dire :Essere al Verde.
Elio Caruso inizia la sua ricerca storica, precisa e ben contestualizzata, partendo dal 1504 anno in cui avvenne il definitivo passaggio di Forlì allo Stato della Chiesa; cinque anni più tardi fu la volta di Ravenna. Alla fine del 1530, ritiratesi i Veneziani, che con buoni risultati avevano amministrato la fascia costiera sino a Cervia, l’intera Romagna e parte dell’Emilia passarono sotto il dominio pontificio, così come lo erano già il Lazio, l’Umbria e le Marche. Un cardinale con il titolo di presidente di Romagna, scelto da Roma, esercitava il governo sedendo in Ravenna, capitale della Legazione. Roma, che si era imposta come capitale sulle altre città dello Stato Pontifici, esercitava una forte attrazione sul piano demografico ed economico. Nella seconda metà del Cinquecento la Romagna, che contava circa 160mila abitanti fu tormentata da gravi avversità naturali (terremoti, alluvioni, carestie, epidemie) che in più occasioni funestarono la Regione. A rendere più ardua l’amministrazione papale penso la Riforma protestante; siamo infatti in pieno Concilio di Trento (1545/1563) e in seguito alla Controriforma le “entrate spirituali” (derivati cioè al papato dal contributo di tutte le chiese della cristianità) vennero in gran parte a mancare, e dovettero essere sostituite dalle entrate statali, che si concretizzarono, per il popolo, in tasse e gabelle. La pesante pressione sociale, non accompagnata però da una accorta gestione finanziaria, finì per impoverire ulteriormente i territori della Stato della Chiesa, e in particolar modo la Romagna, considerata più una colonia che una provincia, spingendola verso una grave stagnazione economica. Fu in questo clima che il 27 ottobre del 1561 i romagnoli vennero messi a conoscenza di una insolita prescrizione del Papa, da osservarsi in tutto il territorio pontificio” l’obbligo, per tutti i debitori insolventi, di portare ben visibile sul capo un berretto verde come segno della loro condizione economica. La lettera apostolica, affissa alle pubbliche porte, e letta per le strade dai banditori, prescriveva che per l’avvenire tutti i debitori- affinché non “ potessero sottrarsi alla soluzione dei debiti, o in qualunque modo sfuggire e defraudare i creditori dei loro crediti, per timore se non di Dio onnipotente, almeno dell’umana vergogna”- “sempre fossero tenuti a portare un Berretto Verde, pubblicamente e privatamente, sotto pena di fustigazione attraverso la Città per la prima volta, e delle Trireme la seconda volta in cui siano stati trovati senza il detto Berretto Verde”. Era stato Papa Pio IV a volere la curiosa disposizione, probabilmente ispirato dal suo predecessore, Paolo IV, che aveva obbligato tutti gli Ebrei residenti nello Stato Pontificio a portare un Berretto Giallo come segno di distinzione. Certamente faceva affidamento sull’effetto psicologico che il vistoso copricapo avrebbe esercitato sui debitori. Per ora non sappiamo per quanto tempo rimase in vigore questa ordinanza papale.
La stampa che accompagna questo articolo è tratta dal volume di Cesare Ripa, edito a Padova nel 1618 , dove si può leggere “ Giovane pensoso,& mesto, d’habito stracciato, porta la berretta verde in testa à perpetua infamia, in ambigui li piedi,& nel Collo à legame di ferro in forma di un cerchio rotondo grosso, tiene un paniere in bocca & in mano una frusta che in cima alle corde ha palle di piombo, & una lepre ai piedi è stracciato perché sprecato ha la sua roba, non trovando più credito và come un pezzente”.
Voglio ringraziare il Dott.Elio Caruso per la sua accurata ricerca .
CASTELNUOVO DI FARFA (RI) La FONTANELLA della PIAZZETTA. Castelnuovo di Farfa-“Scoprire il fascino e il ‘mistero’ della vecchia, storica, FONTANELLA della PIAZZETTA. Questa fontanella , incastonata nella sua nicchia come un gioiello, emana fascino e, sicuramente, abbellisce l’immagine del nostro Borgo. Castelnuovo è un borgo ricco di suggestioni, scorci e vere e proprie vibrazioni. Trasuda cultura e storia. Questa fontanella è un “totem” posto all’incrocio di un quadrivio che distribuiva l’acqua potabile, acqua sorgiva e la riversava , così si dice, il supero ,nella fontana di Porta FONTE CISTERNA. L’acqua proseguiva giù sino all’ultimo fontanile che raccoglie tutti i rivoli di acqua provenienti dalla sommità del colle, LA PIAZZETTA, dove si adagia Castelnuovo”.
Dal libro di Franco Leggeri-“Castelnuovo la riva sinistra del Farfa”.
Castelnuovo, il sogno e l’UTOPIA CONSUMATA.
Sono nato a Castelnuovo in una casa senza libri, ma , poi, la vita , i fatti tristi della vita mi fecero sconfinare nella Poesia. Io divenni un castelnuovese clandestino, emigrante all’interno di una biblioteca, e ,quindi, iniziai a navigare in un “OCEANO DI LIBRI”. Ogni libro era ed è un’isola su cui mi è stato possibile vivere libero .
La Poesia e la scrittura sono il giusto modo , forse, per ripagare il mio Borgo. Ripagare Castelnuovo, con moneta giusta per avermi accolto, per avermi regalato i sogni scritti sui muri, suoni e profumi , la sua bella storia , e le piccole storie che, assieme, sono diventate il mio Castello di Kafka e forse l’isola per un nuovo “naufrago castelnuovese”.
Sono nato castelnuovese , da genitori castelnuovesi e da nonni castelnuovesi , ma ho vissuto anche altrove una parte della mia vita. A Castelnuovo ho trascorso anni importanti, quelli che danno “l’impronta” alla formazione umana. Sono castelnuovese “dentro” e incatenato a Castelnuovo da sentimenti contrastanti come : Ammirazione per le sue straordinarie risorse , ma anche, ahimè, frustrazione per il modo in cui, quotidianamente, esse vengono sprecate da incapaci, si quelli della “Dittatura della Maggioranza”.
Come castelnuovese, orgoglio castelnuovese, sono parte di quella pattuglia che pensa che fare qualcosa , anche poco, sia meglio che non fare nulla ed abbandonare il Borgo, l’amato Castelnuovo, al suo triste destino di :”colonia della sottocultura Sabina”. Troppi castelnuovesi, senza altra colpa se non quella di essere nati a Castelnuovo, meritano di avere una chance , cioè quella di valorizzare le loro straordinarie qualità nascoste che spesso non sanno nemmeno di possedere. Credo , fortemente, che la politica dei piccoli passi, in un Borgo come Castelnuovo, sia quella da percorrere, quindi, piccoli passi e non spese faraoniche , soldi pubblici mal spesi per passerelle pre-elettorali, che diventano solo un pallido ricordo “snocciolati e bevuti” nei discorsi del bar.
Spero che altri “castelnuovesi dentro”, anche se residenti altrove, vogliano unire le loro idee e le loro voci in un progetto di Rinascimento culturale castelnuovese.
Piccola riflessione di un castelnuovese
Castelnuovo, Noi i ragazzi di via Coronari.
Amici miei, siamo quelli che abbiamo intrecciato i nostri sogni
come i vimini di un canestro
e, poi, li abbiamo riposti, nascosti
così lontano dalla vita vera.
Erano le inutili verità
rifiutate da noi adolescenti
che sapevamo annegare nel pane
i fiori del nostro sorriso.
Ora siamo diventati realtà dei sogni dei nostri padri
e artisti nel raccontarci una vita dispersa
nelle difficoltà di un percorso asfaltato da incognite.
Amici miei ora il sorriso
e il sospiro (soddisfatto?) di essere arrivati nell’oasi dei ricordi
quelli da noi sussurrati e nascosti tra sassi di via Coronari.
Ricordate?
Allora ci è stato impossibile
Far volare i nostri aquiloni che, oggi, ritroviamo
CASTELNUOVO DI FARFA – DOMENICA 2 SETTEMBRE 1759- EFFERATO DELITTO COMMESSO NEL PALAZZO DEL MARCHESE SIMONETTI- “TUTTI I PARTICOLARI IN CRONACA.”
Il 2 settembre 1759, domenica, circa quattro ore prima del giorno, entrarono dodici banditi in casa del Marchese Paolo Simonetti di Castelnuovo di Farfa. Prima di entrare nella stanza, dove dormiva il Marchese , presero il servitore, che vi era a dormire, lo scannarono e lo gettarono nella vasca. Entrati poi nella stanza di detto Paolo con coltelli lo assalirono alla gola e pregandoli della vita fecero qualche piccolo segno ma presero gran somma di denaro. L’efferato delitto consumato destò raccapriccio in tutta la Sabina.
Cronaca COPIATA di sana pianta da libri dell’epoca
Castelnuovo di Farfa, La sera con “La V Strada” ovvero “I vecchi amici” in concerto-tributo all’Estate Castelnuovese .
Castelnuovo di Farfa 14 agosto 2021-Piano e forte, dolcezza e energia, questo e molto altro è “La V Strada”, pronta sempre a tornare sulla Piazza Comunale di Castelnuovo. Anche ieri sera sono tornati ad abbracciare i loro fan , vecchi e nuovi, in una dimensione più intima , causa Covid19 e, allo stesso tempo, affascinante . Credo che “La V Strada” sia l’unica cosa che possa e sappia unire le anime dei “DUE CASTELNUOVO”. Credo anche che nessuno possa mettere, per fortuna, “il cappello” su questo “patrimonio culturale castelnuovese ”. A mio avviso, “La V Strada”,è stata la dimostrazione di come noi Castelnuovesi vogliamo e possiamo riprendere il posto nel panorama culturale della Sabina.Ho riascoltato e navigato nell’infinito blu della fantasia con brani che hanno sottolineato, segnato , oramai, tante generazioni di Castelnuovesi. Ho ascoltato brani amati da noi tutti, non come “prodotto secondario” della musica a “buon mercato”, ma , lo confesso, con una velata e dolce malinconia e mi sono così trascinato o cullato all’interno delle estati Castelnuovesi dove ,NOI Tutti Castelnuovesi, eravamo i protagonisti e creatori di Eventi. Grazie alla band musicale “La V Strada”, vero testimonial perfetto per un Castelnuovo che vuole “ ripartire” offrendo il meglio di se stesso nello scenario suggestivo della Sabina ,che ha fatto e farà da cornice a questo “nostro “ ritornare , lo speriamo tutti,ad essere LA PERLA DELLA SABINA. “La V Strada” ha sintetizzato ed è, a mio avviso, la scossa di energia positiva necessaria per lasciare, finalmente, che il tempo riprenda a scorrere e che scandisca attimi e momenti delle nostre vite che entreranno a far parte dei nostri ricordi più belli.
Un GRANDE GRAZIE alla band musicale “LA V STRADA”.
Franco Leggeri, castelnuovese
P.S.La nota negativa della serata è stata, ahimè, un signor NESSUNO il quale come “un sassolino” nella scarpa interveniva a rompere sistematicamente l’atmosfera della dolce serata estiva castelnuovese. Ho chiesto in giro chi fosse questo signor NESSUNO, mai visto nelle manifestazioni e nelle Estati castelnuovesi, ma nessuno lo conosce, appunto, perché mai visto nelle Manifestazioni Castelnuovesi.Per dirla con Fortebraccio quando descriveva un parlamentare italiano, :” Chi è sceso dall’auto del Ministero ?.. il signor NESSUNO”.
RIETI-15 febbraio 2017-Verrà aperta venerdì 17 febbraio alle ore 16 presso l’Archivio di Stato di Rieti la mostra “LA SABINA DI PAUL SCHEUERMEIER. Un pescatore di parole e immagini nella Sabina del primo dopoguerra. I documenti dell’Università di Berna.” Nel 1925 Paul Scheuermeier visitò alcuni centri della provincia di Rieti (Rieti, Amatrice e Leonessa) nel contesto della sua indagine per lo “Sprach – und Sachatlas Italiens und der Südschweiz”, il monumentale atlante linguistico ed etnografico dell’Italia e della Svizzera meridionale , realizzato in base al progetto dei due grandi studiosi, Karl Jaberg e Jakob Jud . Egli effettuò numerosi rilevamenti etno-linguistici e fotografici oggi conservati presso l’Università di Berna insieme al suo diario di viaggio. Grazie alla collaborazione che abbiamo stabilito con l’università di Berna abbiamo riunito questi documenti per farne una mostra e un libro-catalogo edito dall’Archivio di Stato in collaborazione con l’Associazione Storica per la Sabina e l’Istituto Luce.
Dopo la Sabina di Schinkel, arriva ora la Sabina di Paul Scheuermeier – ha commentato il direttore dell’Archivio di Stato Roberto Lorenzetti – dentro un percorso attraverso il quale stiamo riportando in luce documenti storico-iconografici riguardanti il nostro territorio di gran pregio e conservati in varie parti del mondo. Come nel caso dei disegni del grande architetto tedesco
Friedrich Schinkel si tratta di immagini in massima parte inedite. Nel caso specifico riguardano il mondo contadino di alcuni lembi della nostra provincia nel primo dopoguerra. Per spiegare le immagini sono stati utilizzati gli stessi testi di Scheuermeier rintracciati presso l’Università di Berna in lingua tedesca con traduzione in italiano. Alla inaugurazione della mostra e alla presentazione del libro catalogo parteciperanno il prof. Renato Covino dell’università di Perugia e la dott.ssa Patrizia Cacciani dell’istituto Luce.
La mostra resterà aperta fino alla fine di aprile dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13 e dalle 14,30 alle 18,30.
Informazioni-
Archivio di Stato di Rieti Viale Canali, n.7 02100 Rieti t.0746204297 – fax 0746481
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