Il DEGRADO E ABBANDONO DEGLI AFFRESCHI DELL’EX-CHIESA DI SANTA MARIA –
In Italia esistono luoghi, se pur carichi di storia per i Borghi dove sorgono, lasciati nel degrado e nella più completa rovina .L’Abside dell’ex-chiesa di Santa Maria di Castelnuovo non sono “pietre disperse” e senza storia , ma è sicuramente un edificio, porzione di edificio, dal passato antico che per qualche ragione sconosciuta non gode dei “diritti” di recupero e restauro come di altri luoghi simili esistenti nella provincia di Rieti. L’Abside è forse condannata a una fine ignobile, soffocata dai suoi stessi calcinacci?
Foto poesia di Alessandra FINITI “Novembre in SABINA”
Alessandra Finiti:”Ho fotografato molte volte questa splendida proprietà in Sabina ma mai a novembre. Abbiamo trovato una giornata bella e luminosa, ci siamo sentite telefonicamente quando ero ancora a Roma e nel giro di un’ora ero in questo paradiso. E’ la casa vacanze di Giulia Landor @In Sabina, un luogo speciale curato in ogni particolare ma nello stesso tempo autentico, una cornice perfetta per fotografare la natura e tanti dettagli .E’ lei ,Giulia, che mi ha accompagnato in ogni angolo proprio nell’ora in cui c’era la luce ideale .I suoi pioppi favolosi, visti da lontano, creano delle isole di colore nelle verdissime vallate sabine e per questo ringrazio Giulia perchè valorizzando la sua proprietà con la cura del verde ha contribuito a rendere ancora più bella questa parte di Sabina”.
Poggio Mirteto(Rieti)– Loc. 𝐂𝐚𝐬𝐭𝐞𝐥𝐥𝐚𝐜𝐜𝐢𝐨 Tenuta Sant’Antonio-I resti di una Villa Romana
Simone Fulvio Rollini:”La località collinare del 𝐂𝐚𝐬𝐭𝐞𝐥𝐥𝐚𝐜𝐜𝐢𝐨 ospita i resti di una villa romana, della quale sono visibili una cisterna e muri di terrazzamento (notevole soprattutto il muraglione in opera poligonale); sulla villa fu impiantato probabilmente nel X sec. l’insediamento di Mont’Orso, la cui torre a pianta pentagonale ancora vive come parte di un casale agricolo della Tenuta Sant’Antonio.
Grazie a Priscilla Armellin e agli Amici del Museo per la divulgazione archeologica.
Un ringraziamento agli amministratori della Tenuta Sant’ Antonio per avermi gentilmente accolto e fatto da guida; ne approfitto per suggerire il vino da loro prodotto, che sto già allegramente degustando, e per augurare che vada presto in porto il progetto di creazione di una struttura ricettiva”.
Poggio Mirteto-Tenuta di Sant’Antonio, Via Formello civ.4
(F.L.):“……Ecco l’autunno con la sua metamorfosi, le onde verdi in colline serene e i borghi con i rigoletti danzanti dai camini mentre i sentieri sono ricoperti di foglie lasciate libere dagli alberi e i cespugli spinosi ci regalano bacche rosse pronte per il Natale…...”
Castelnuovo, cambierà il motto da “Perla della Cultura della Sabina” sembrerebbe a ”Fregnacce per tutti” ?.
Castelnuovo di Farfa- Finalmente oggi, 20 settembre 2021, anche Castelnuovo celebra la sua “PORTA PIA” /“PORTA CASTELLO”-
A Castelnuovo oramai è in piena attività la fabbrica :”Amore per il Borgo”.
Be’, che dire se non EVVIVA.
Certo evviva , perché è pur vero che sembrerebbe che non abbiamo più l’acquedotto storico di Cerdomare, ma in sostituzione abbiamo “L’ORNISCHI” che disseta la nostra voglia del sapere tutto sulla storica “SAGRA delle FREGNACCE”.
Certamente la “Sagra delle Fregnacce” castelnuovese è appagante ed ora, quindi, come si potrebbe aggettivare o definire di “GREPPIA” o di “NICCHIA”?
Comunque EVVIVA ora Castelnuovo dal motto “Perla della Cultura della Sabina” ci chiediamo noi castelnuovesi, come direbbe il Foscolo:”siamo in un’ansia di trepida attesa” ,se verrà cambiato il motto in ”Fregnacce per tutti” .
Sinceramente noi sappiamo dove vanno a finire le “Fregnacce”, anche se molto gustose e invitanti, esattamente dalla parte opposta della Cultura.
Così è se vi pare come dice il Grande Luigi Pirandello.
CASTELNUOVO DI FARFA (RIETI) –chiesa parrocchiale SAN NICOLA DI BARI- Particolare nel dipinto del Ballerini ,sito all’interno della chiesa parrocchiale, rafficurante il miracolo dei bambini.Il Ballerini potrebbe aver preso come modelli tre bambini Castelnuovesi dell’epoca.Foto di Franco Leggeri,Castelnuovese.
IL MIRACOLO – IL MONDO DEI BAMBINI
Il bimbo nell’acqua bollente. Un’ostessa presso la quale una volta Nicola aveva alloggiato stava facendo il bagno al suo bambino. Come le dissero che Nicola era stato fatto vescovo lasciò tutto e andò ad assistere alla sua messa. Al termine, ricordandosi che il fuoco avrebbe potuto accendersi e far bollire l’acqua in cui era il bimbo, corse a casa. Il fuoco si era effettivamente acceso e l’acqua bolliva, ma il bimbo, invece dio morire, stava allegramente giocando con le bolle dell’acqua. Dopo averlo preso tra le braccia, corse fuori a raccontare il miracolo.
Il bambino indemoniato. Un bambino era indemoniato e si strappava i vestiti e si mordeva le mani. La madre lo portò da San Nicola che benedicendolo lo liberò dal demonio.
Il diavolo e il bambino. Un uomo della Lombardia era molto devoto di San Nicola e ogni anno invitava i chierici ad un banchetto. Un anno mentre si vestiva per andare in chiesa, la moglie gli disse di aver sognato che un leone con la zampa le aveva strappato la mammella e ne aveva succhiato il sangue. Recatisi in chiesa, a casa restò solo il bambino. Venne il diavolo in sembianze di viandante e chiese del cibo. Come il bambino gli portò il pane, egli lo prese e lo strangolò. Immaginarsi il dolore dei genitori quando ritornarono dalla liturgia in onore di San Nicola. Ma nonostante il dolore il padre volle invitare lo stesso i chierici a pranzo. Per cui ordinò di adagiare il bambino in una stanza e di chiuderla. Mentre i chierici mangiavano venne un pellegrino (“Signori, quello era San Nicola!”) che chiese del cibo ottenendo dal padre di poterlo consumare nella sua stanza, dov’era cioè il corpo del bambino. San Nicola lo chiamò e quello si alzò correndo tra le braccia dei genitori. La festa di San Nicola, che era già osservata, fu celebrata ancor più amorevolmente e gioiosamente.
Castelnuovo ,Particolare , dipinto nel quadro del Ballerini sito all’interno della chiesa parrocchiale.
I TRE BAMBINI RISUSCITATI
Le storie di S. Nicola non sono state narrate tutte allo stes¬so modo. Ogni popolo le ha rielaborate secondo la sua sensibilità. Ogni copista medioevale ci metteva del suo, quando proprio non incorreva in qualche errore di traduzione o copiatu¬ra. Da una di queste sviste nacque la leggenda di S. Nicola più famosa in occidente.
Come si è detto in precedenza, l’episodio più importante e più stori¬camente documentato è quello che vide il nostro Santo intervenire a sal¬vare tre innocenti dalla decapitazione, fermando la spada del carnefice. Da qualche tempo però, nel mondo cristiano la parola innocenti veniva spesso usata come equivalente di bambini (pueri). Così, ad esempio, i bambini uccisi dal re Erode (per timore che fra essi sorgesse il re d’Israele) avevano dato adito alla festa degli innocenti, che si celebra dopo il Natale. D’altra parte, nelle storie di S. Nicola raramente si dice¬va che aveva salvato tre uomini oppure tre cittadini di Mira. Per abbre¬viare e per indicare l’innocenza di quei condannati a morte, più spesso si diceva che Nicola aveva salvato tre innocenti. A quel punto qualche scrittore fece un po’ di confusione, affermando che Nicola aveva salva¬to tre bambini, invece di dire che aveva salvato tre innocenti.
Il primo a dare questa erronea traduzione sembra che sia stato Reginold, uno scrittore tedesco che nel 961 dopo Cristo fu eletto vesco¬vo proprio per aver scritto una bella Vita di S. Nicola intercalata da brani in musica. Invece di innocentes Reginold usa il termine pueri, insi¬nuando nella mente dei fedeli che si trattava di una storia diversa dal¬l’episodio della liberazione di tre innocenti dalla decapitazione. Nel corso di circa un secolo e mezzo la “storia” dei bambini salvati da S. Nicola entrò anche negli inni sacri e poco a poco venne elaborato un racconto vero e proprio seguendo due linee principali.
Secondo una prima versione, il fatto sarebbe accaduto mentre Nicola si recava al concilio di Nicea. Fermatosi ad un’osteria, gli fu presentata una pietanza a base di pesce, almeno a quanto diceva l’oste. Nicola, divinamente ispirato, si accorse che si trattava invece di carne umana. Chiamato l’oste, espresse il desiderio di vedere come era conservato quel “pesce”. L’oste lo accompagnò presso due botticelle piene della carne salata di tre bambini da lui uccisi. Nicola si fermò in preghiera ed ecco che le carni si ricomposero e i bambini saltarono allegramente fuori dalle botti. La preghiera di Nicola spinse l’oste alla conversione, anche se in un primo momento questi aveva cercato di nascondere il suo misfatto.
La seconda versione della leggenda non parla di bambini, ma di sco¬lari. Un nobile di un villaggio presso Mira, dovendo mandare i figli ad Atene per continuare negli studi, disse loro di passare da Mira a pren¬dere la benedizione del vescovo Nicola. Essendo questi assente, essi non poterono incontrarlo e, giunta la sera, cercarono una locanda. Ve¬dendoli benestanti, l’oste entrò di notte nella loro camera e li uccise, prendendosi i preziosi vestiti. Non contento, mescolò le loro carni con altra carne salata, per darle agli avventori.
Il giorno dopo Nicola, divinamente avvertito, si recò dall’oste chie¬dendogli della carne. L’oste gli mostrò la carne conservata, aggiungen¬do che era buona da mangiare. Nicola attese sperando nel suo penti¬mento, ma quello non diede segni di resipiscenza. Allora il Santo bene¬disse quelle carni e i tre scolari tornarono in vita. Con la sua preghiera e le sue esortazioni, finalmente l’oste si pentì e promise di condurre una vita virtuosa. I tre scolari, come risvegliandosi dal sonno, presero le loro cose e ripresero il viaggio per Atene.
Ovviamente vi furono tante varianti di queste leggende. In molte di esse un ruolo importante e negativo svolge la moglie dell’oste. Ma le due più diffuse sono queste appena riportate, che diedero adito alla na¬scita del patronato di S. Nicola sui bambini che, a sua volta, insieme all’episodio della dote alle fanciulle, fece sorgere la figura di Santa Claus (Babbo Natale). Dalla seconda versione nacque il patronato sulle scuole (insieme a Santa Caterina d’Alessandria) e l’usanza folkloristica della festa studentesca del 6 dicembre col particolare del boy bishop (il ragazzo vescovo).
Elio MERCURI- Fotoreportage SALISANO “Stemmi e Portoni”
Elio MERCURI:”Fotografare i particolari è come inserire gli incisi in un racconto. I particolari sono come sottolineare gli appunti, i punti e virgola, ma anche un “nodo al fazzoletto” per ricordarsi di un fatto specifico. Ho fotografato molti particolari ,quelli che ho scoperto, di Salisano. Particolari che si vanno ad incastonare nel mosaico delle storie passate e disegno sulla pagina di storia futura del nostro Borgo”.
BRANO dal libro di Franco Leggeri :Castelnuovo , la riva sinistra del Farfa.
-LA VITA NEL BORGO –nel 1889
Castelnuovo di Farfa: dalla fine del 1800 fino agli anni 1960, come si può ricostruire o immaginare la vita nel Borgo? Se fossi stato un cronista del diciannovesimo secolo ,inviato da un giornale, questo sarebbe stato il “pezzo” che avrei inviato alla redazione .
Castelnuovo di Farfa- 1889- (la data è stampata sulla foto)- Castelnuovo , la vita tranquilla del Borgo, il silenzio di piccole piazze (la piazzetta) e delle vie strette tra muri di pietra sono animate dai rumori “di una vita tranquilla”. La gente impegnata nel lavoro, svolge le proprie faccende “con ritmi non affrettati ”. Il tempo nel Borgo è segnato dalle stagioni che hanno inizio con feste religiose come, ad esempio, la festa di ottobre, LA FESTA DELLA QUINDICINA , oppure la festa di San Filippo in primavera ed ancora la Festa della Madonna degli Angeli in agosto. La fiera è un appuntamento importante per l’economia agricola degli abitanti, oggi diremo :“Si capitalizza e trasforma in liquidità , moneta, il lavoro.” La Fiera-Mercato era un appuntamento molto importante per i castelnuovesi; infatti la compravendita del bestiame o il commercio minuto dei generi di prima necessità, non prodotti dall’economia locale, diventano “scorte strategiche” da immagazzinare sia per le attività agricole sia per la vita domestica .
Al report per completezza avrei allegato la foto della TORRE DELL’OROLOGIO , in cui si vedono le case con le facciate annerite dal tempo, e anche dall’abbandono . Al Centro si è riunito un gruppo di donne, bambini e anche due ciclisti;le biciclette, probabilmente con le gomme piene, perché le strade non erano asfaltate, ma pavimentate con un misto di cava . Tutti i castelnuovesi erano incuriositi dalla complessa attrezzatura del fotografo: cavalletto di legno che sosteneva l’enorme macchina fotografica , spettacolo inconsueto per l’epoca , specialmente per i borghi agricoli tagliati fuori dai processi di industrializzazione e, quindi, dal progresso.
Oggi il centro storico di Castelnuovo è pressoché immutato, salvo la casa parrocchiale (orrenda) costruita negli anni ’50 o primi anni ’60. Per la realizzazione di questo edificio si è dovuto demolire l’antica bottega del falegname Asterio . La bottega demolita, io la ricordo con affaccio su di un piccolo piazzale, antistante palazzo Perelli, con al centro una vecchia macina di un mulino ad olio. BRANO dal libro di Franco Leggeri :Castelnuovo , la riva sinistra del Farfa.
Castelnuovo , la riva sinistra del Farfa.
Foto archivio privato Franco Leggeri
La nascita dell’ESTATE CASTELNUOVESE
LA FONTANA-
Noi vecchi Castelnuovesi nella storia? Lo siamo già, l’abbiamo già scritta .
Castelnuovo di Farfa- Castelnuovo è , a volte, un romanzo, un noir, ma anche un documentato reportage giornalistico. Ritrovarsi un detective story che entra dentro i fatti recenti e antichi della vita delle persone, oppure, narrare Castelnuovo alla vigilia della grande speranza del dopo guerra e poi gli anni della corsa verso Roma. Raccontare e ricordare le partenze delle famiglie per realizzare il sogno di una vita migliore, sognando un lavoro sicuro. E’ la cronaca di una navigazione verso la grande città, leggere questo “libro dei ricordi” scritto da lacrime ,rimpianti, amori sopiti , delusioni e speranze cresciute con i figli nati a Roma . Noi Castelnuovesi eravamo radici trapiantate in terra nuova, Roma come terra promessa. Da Castelnuovo eravamo partiti verso la periferia romana, sì quella narrata da Pasolini , dagli uliveti tranquilli alle vie trafficate della Roma del boom edilizio , della speculazione selvaggia , la Roma dei palazzinari. E’ questa la trama , il filo del racconto che fa scorrere la narrazione di un mese di agosto di tanti anni fa , un giorno lungo, inciso nella memoria dei Castelnuovesi, quello della festa della Madonna degli Angeli. Si tornava a Castelnuovo con lo “stordimento della modernità” e ci si immergeva con i racconti, magari seduti sui bordi della Fontana ,nella narrazione , dopo un prologo carico di nostalgia mal mascherata. Il racconto e i racconti a più voci, per rivivere e parlare con la tua gente, riascoltare e dialogare parlando il dialetto e gustando il caro vecchio sapore della “madrelingua”. Si raccontava di Roma , con la descrizione delle sue strade e dei suoi quartieri . Noi ci sentivamo, inconsapevolmente, reporter di viaggi e si snocciolava una narrazione da cronista della vita metropolitana, “navigatori” esperti della Capitale. A tratti i racconti erano interrotti dal passaggio della “ragazzina” che ora era diventata donna. Seduti sulla Fontana , con i nostri racconti , si percorrevano sentieri nascosti, riscoprendo la cultura e l’antica storia del nostro paese. Noi ragazzi eravamo le contraddizioni del nostro Castelnuovo e del suo futuro. Eravamo, inconsapevolmente, il contrasto, tuttora irrisolto, tra l’antico e il moderno. Eravamo stati partoriti da un dolore antico che aveva cercato, con la partenza, fortemente il riscatto, e la voglia di salire su quell’ascensore che portava ai piani alti di un grattacielo, forse, podio dove si ammirava un orizzonte lontano e impensabile, oltre la fantasia. In quei pomeriggi di agosto si smaltiva lo “stordimento della modernità” e si tornava ad essere cronisti di storie antiche, cronisti del passato dove ognuno di noi arricchiva il racconto con dettagli e incisi a volte piacevoli a volte tristi. Così era l’Estate di noi Castelnuovesi , carica e desiderosa di avvenire. Erano storie che cercavano anche il volto di un amore intenso. Castelnuovo era ed è il nostro paese, dove tutto è visibile affacciandosi, oppure restando dietro i vetri delle finestre per vivere i racconti corali di una piazza amica e fraterna. Cosa è rimasto, mi chiedo scrivendo questo articolo, di quelle Estati Castelnuovesi? Castelnuovo è forse morto? Non nei racconti, ma sicuramente è stato “ucciso” da un’arroganza bigotta, sì quella del perbenismo di facciata che ostenta e maschera la propria ignoranza e l’affoga , appunto,“nell’arroganza spocchiosa ” che dopo decenni è ancora in essere. Scrivo questa riflessione perché ho voglia di riaccendere la fiamma dei ricordi, non un ritorno al passato, ma un forte desiderio di modernizzare una stagione e ritrovare il pentagramma dov’è scritta la melodia che tutti, noi veri Castelnuovesi, abbiamo amato e amiamo e che , forse, molti, come me, rimpiangono .
Poesia dedicata a noi Castelnuovesi senza volto e senza diritto di parola –Dalla raccolta
MURALES CASTELNUOVESI
Sulla vecchia cote dei ricordi affiliamo lame di impossibili rivolte. Abbiamo grattato terre incolte con il chiodo del primitivo, seminando speranze di poveri. Spartendo i raccolti con il padrone è rimasta la rabbia dei figli e l’aia deserta.
Anche in noi, questo furore taciuto riporta a scelte lontane, quando vita, giovinezza e volti di ragazzi inebriati di troppa ingenuità tutto bruciammo. Solo per amore. Bastasse questo pugno di anni (paura e speranza della sera) per ritoccare quella bilancia e non imbastire cupi silenzi su mani stanche, ma golose di sole.
A Castelnuovo mattini uguali e incerti come aste sul quaderno di stagioni incolori, quando il silenzio diventa eresia, e l’antico ripetersi scava sentieri tra le pietre scritte, e il rito del ritrovarsi tra il vuoto di assenze che pesano – già affiora il dire: questa è l’ultima volta – resta, ancora, da capire la somma dei perché, mentre la nebbia nasconde l’oblio.
Non ha senso la Storia . Anche quella che si scrive nel bronzo e le stagioni rigano di una patina verde (ora, che dissolti i cristalli di lacrime, alza soltanto steli di pietra e grovigli di lamiere), anche quello che è stato, e furono parole e musica e canti nati nei bivacchi e folla e bandiere, e tutti a premere l’erba sul cuore dei morti: anche l’amore di allora e le schegge di verità ( forse, anche i giuramenti), adesso, non hanno più senso.
Il tempo, con il volto di rigattiere, ha raccolto le cose vecchie districando dai rami brandelli incolori, lembi di aquiloni e frammenti di foglie stinte di speranza. Castelnuovo nel cuore, i ricordi, le speranze, le lotte vecchie e nuove e ancora giorni senza tregua ,bivacchi per nuove battaglie e strategie per nuovi obiettivi.
Brano da ” Il vecchio e il giovane nella storia , Castelnuovo per sempre. Castelnuovo nel cuore.”dalla raccolta di Poesie – “MURALES CASTELNUOVESI” di Franco Leggeri .
Castelnuovo di Farfa il corrosivo “VERBA”
– Ai castelnuovesi della mia generazione come dice Pasolini :”non era concesso sperimentare il conformismo dei giovani ribelli”. Noi che siamo nati solo come “carne” siamo dovuti nascere anche come “spirito” poi, nel distacco adolescenziale, abbiamo anche sperimentato la ribellione, ma fu difficile ribellarsi contro il “vuoto”. Noi giovani castelnuovesi riuscimmo a schiuderci e da larve ci ritrovammo a volare , ci fu chi atterrò lontano e chi vicino; chi ebbe la forza di tornare e chi si è invece disperso nell’infinito cielo.
Sono tornato , molto spesso, nel mio Dedalo, nei miei vicoli e nelle mie vie circolari , raggi che partono dal totem che è la “Fontanella della Piazzetta” .
Ho vissuto e camminato nella notte castelnuovese, quando i veli del silenzio mostrano i disegni, tratti di pennellate di colore indefinito che sono lasciati dal pianto della terra. I miei vicoli di Castelnuovo sono per me arterie che alimentano i pensieri per poi arrivare alle radici del tempo passato. Allora i ricordi diventano , a volte, il mio pane della tristezza, ma anche l’humus dove sboccia la tenerezza , la fragilità, della mia poesia.
Ora che sono al crepuscolo della mia vita devo riordinare le parole, i segni e, con saggezza, dividerli dalle “chiacchere” e dal rumore interiore prodotto dai veli che si agitano all’alito della luna castelnuovese.
La luna che illumina via Coronari e via Garibaldi sino al totem della Piazzetta dove dalla Fontanella sgorgano fiumi di Ricordi e la “grammatica” che alimentava il sogno di un “posto” diverso .
Noi ragazzi di allora avevamo le unghie forti che si conficcavano nell’anima per trovare la forza di annullare il distacco.
Abitare le parole è diventato un esercizio , anche testimonianza, per trasformare il pensiero in immagine e i paradossi in “profili” di letture.
Se i ricordi diventano racconti estrapolati dai colori macinati e prodotti da meccanismi che non rispettano le regole ecco, allora, che la forza dirompente dei personaggi iniziano a muoversi e a intravedersi nella rete di Dedalo. Escono allora dal letargo le barche cariche di pensieri è così che la penna entra nell’inchiostro della navigazione e il contesto innovativo esce dall’esperimento e e il viaggio della penna prosegue, naviga, nelle motivazioni degli “abissi profondi” in questo mare aperto che offre la visione “larga” necessaria per scrivere e descrivere “l’Orgoglio Castelnuovese”. L’Orgoglio è la volontà libera racchiusa nell’irrazionale dove le azioni non sono trappole, ma pluralità costruttiva all’interno di spazi di libertà “liquida”. Noi castelnuovesi riusciamo a scoprire il vero volto del nemico, il vigliacco dietro le quinte , verme serpente nascosto nel letame dei suoi residui organici.L’Orgoglio dei castelnuovesi è stata la forza di cancellarsi dal volto quella atavica paura e con coraggio hanno saputo attraversare le frontiere del servilismo.
Si può leggere ancora il racconto di intere generazioni che hanno inciso i frammenti dei loro racconti nei campi arati , fertili, ma protetti dall’oro del silenzio.
Nelle notti si possono ascoltare le voci dei contadini di Castelnuovo:“………I sospiri, le vibrazioni e il ritmo della vita umile dei contadini che attendono una nuova alba. Sogni soffocati dalla stanchezza, attimi di gioia strappati all’impossibile. Gli assoli di note fuggite a cavallo di onde distese sul pentagramma, dove le note sono gocce di sudore di una vita che si consuma nel breve segmento di un riposo povero , dopo una cena avara…….”
Brano dalla raccolta Muralese Castelnuovesi di Franco Leggeri.
Castelnuovo di Farfa-Metti un pomeriggio di ricordi.
Castelnuovo di Farfa-“Se un Castelnuovese abita a Roma, ve ne sono moltissimi, nei fine settimana o per qualsiasi altro motivo decide di lasciarsi alle spalle rumori, stress e cemento dove andare se non in Sabina . E innegabile che la mente e il corpo si distendono immergendosi nel “morbido” paesaggio collinare , ma come descrivere , trovare le parole, il piacere di “affogare” gli occhi e l’anima tra gli uliveti . Tornando in Sabina , a Castelnuovo, ritrovi sepolti sotto uno strato spesso di fogli polverosi, migliaia di immagini archiviate nella memoria. Questi fogli si sono stratificati e appiccicati l’uno all’altro, ma è ancora leggibile lo scritto. Qui a Castelnuovo ritrovi i volti del passato vedendo i giovani che corrono per la piazza. Certo a Castelnuovo , tappa intermedia tra passato e futuro, scopri che puoi ancora incontrare un sorriso e chi crede ancora nella stretta di mano. Si , qui a Castelnuovo puoi incontrare ancora un sorriso che si allarga e ti viene incontro per una stretta di mano per dimostrare , a me, che esistono ancora ricordi e voci che hanno segnato , inciso, le notti castelnuovesi senza lampioni. Disperdi l’ansia quotidiana, ma ricordi e rivivi l’ansia di guadagnarsi il futuro , proprio qui dove hai costruito il timbro della rabbia e lo slancio per la lotta. E’ qui che mi chiedevo cosa ci fosse oltre l’orizzonte, ma non è questo il giorno, oggi, per essere l’archeologo del ricordo. Ormai, forse, solo la Poesia ha un effetto tellurico e carnale che sa trasformare il mio tempo. Il “tempo differente” in tempo di Poesia; di salvezza e di recupero di tutto ciò che l’uomo perde nel suo allontanarsi dall’infanzia, beata età dell’innocenza, che nella memoria poetica diventa un luogo di simboliche appartenenze. Qui a Castelnuovo, le fragili figure dei sogni rivivono , sono ferite, le più insanabili ferite, fatte di carne e di sangue. Ferite, sogni feriti che incontro nei vicoli di Dedalo (Castelnuovo) con un destino , un tragico destino di dolore, ma forse questa è una storia di ordinaria follia dove il pathos si genera in stigmatiche narrazioni che, poi, riesco sempre a diluirsi nella “retorica dei sentimenti”. Ai primi segni di pioggia va in frantumi, nel mio ricordo, il mondo arcadico, bucolico, ma fragile come un presepe di cartapesta. Ora a Castelnuovo regna la stirpe della “razza carnefici”, a Castelnuovo sono escluso, sono l’intellettuale-poeta, con la testa tra le nuvole e nel cuore i versi di una poesia. Si, è vero riesco ancora a sentire tra i vicoli di Dedalo le canzoni ingenue e sentimentali dell’anteguerra. E’ ora di andare ,ma resterò sempre col cuore castelnuovese. E ora lancio lo sguardo verso questo cielo carico di nubi e di spazi azzurri , sembra un cielo di Raffaello, dove le leggi della natura mescolano la vita e morte anche nel misto colore di un pomeriggio qualunque passato qui a Castelnuovo”.
“Non immaginavo che l’amore / avesse il potere di sopravvivere anche dopo, / dopo che il suo profilo abbandona le forme / nella nebbia ormai grigia dell’ignoto” (p. 49). Questi versi, posti poco oltre la metà del libro (per cui il libro stesso si richiude come uno scrigno intorno a queste righe), probabilmente ci danno il senso stesso di questo dolente Canzoniere dell’assenza (Kairós) di Antonio Spagnuolo. Un amore che dunque fa assonanza con memoria, e verso la conclusione dello stesso testo quest’altra parola chiave compare con un altro termine topico dell’intera poesia di Spagnuolo, attinente alla dimensione onirica: “Non immaginavo che l’amore / avesse il potere di vertigini nel morso di memorie, / stregato dall’eterno sussurro, / inciso nel cristallo del sogno” (ivi). Amore/memoria/sogno. Dunque, come in un sogno, come nella dimensione atemporale del sogno, la memoria – anch’essa eternatrice – recupera l’amore, l’amore non perduto, ma sempre presente. È questo infatti un canzoniere dell’assenza/presenza, quella presenza che la poesia, freudianamente (e la psicoanalisi come nella premessa l’autore stesso sottolinea è fondamentale per Spagnuolo), recupera come in un sogno a occhi aperti, in un estremo appagamento di desiderio, il desiderio di avere ancora e sempre accanto la persona amata. Amore, memoria, sogno una triade che si aggiunge all’altra che costantemente ha accompagnato la poesia di Spagnuolo, e cioè: seno/segno/sogno. Termini che ritroviamo anche qui ricorrenti. Il seno è la sensualità, l’erotismo che ricompaiono anche in questo libro in riferimento alla moglie ricordata anche nella sua corporeità: e ciò che manca è – al di là della stessa sensualità – il corpo come segno tangibile della presenza, e portatore accanto a noi dell’essenza stessa della persona Per fare un solo riferimento: “Ricordo le tue mani delicate, / diafane nel tocco della gioventù, / una carezza che sfugge nel sussurro / che mi opprime la mente ogni giorno / e rimbalza segreti inconfessati” (Mani, p. 33). E Spagnuolo, che negli ultimi anni è andato cantando il senso della vecchiaia ritorna qui invece delicatamente alla gioventù, anche se poi in un altro testo la tenerezza rima con la vecchiezza (“Tenerezza dicesti al tremore / degli anni che volgono a vecchiezza”; Tenerezza, p. 70). E il termine rughe che ha solcato recenti raccolte di Spagnuolo compare anche in questa più volte. Dunque l’assenza, lo stare al di fuori dell’essere. Ma è invece dell’essenza, dello stare nell’essere che la poesia va alla ricerca. Anzi, è questa assenza che si fa presenza nelle parole stesse che la vogliono esorcizzare. Una precedente raccolta di Spagnuolo si intitolava non a caso Rapinando alfabeti (2001): cioè una intenzionale, insistita operazione di scavo nella lingua alla ricerca di ciò che in qualche modo dicesse l’indicibile. Ebbene, in questo Canzoniere compare invece l’espressione “germogliando alfabeti”, come in ascolto della voce della moglie: “Ascolta! Ascolta! Ascolta! / Il rintocco delle campane ha sempre l’eco / delle tue parole, / delle tue parole sussurrate in penombre vespertine, / delle tue parole incise nel mio ricordo / per incendiare convulsioni improvvise” (A sera, p. 72). Questa assenza, questo silenzio producono dunque spontaneamente, naturalmente, naturalisticamente (germogliare, appunto), il bisogno di produrre un canto, un threnos. E la parola treno compare nel componimento Un treno in ombra (p. 19), sì, come simbolo del viaggio – della vita come “viaggio in sospeso” –; ma questo “treno senza meta” sembra rievocare anche il genere letterario, la trenodia, il canto per la perdita di un caro; in Specchio (p. 75) possiamo leggere, seppure declinato come impossibilità: “Non so piangere! Non so trasformarle lacrime in versi / e versi in lacrime”. Il riferimento al treno e al viaggio ci permette qui di recuperare il tema del tempo, di cui sempre è tramato ogni riferimento alla vita, alla memoria che tenta di sottrarre all’oblio e all’ombra ciò che si è perduto scivolando dal piano del tempo finito a quello dell’infinità e dell’eternità dell’ombra. E c’è nel libro tutta un’insistenza lessicale, e dunque concettuale e sentimentale, sulle gradazioni – buio, ombra, penombra, luce, bagliore, oltre che un richiamo continuo ai colori che nella luce prendono vita, o anche e soprattutto alla “dissoluzione di colori” (p. 70). Ma non c’è un netto contrasto dialettico tra ombra e luce, nell’incertezza complessiva, nel dubbio che grava su tutto. Il riflesso della luce si fa riverbero, abbaglio, parvenza e quindi illusione (a cui corrisponde anche il “tranello” che è la vita). Illusione, altro termine fondamentale in questo libro. Altro sentimento che, anche ontologicamente pervade l’esistenza. L’illusione dell’eternità dell’amore, perché la morte ha strappato l’oggetto-soggetto d’amore. Illusione perché l’attesa del ritorno rimane insoddisfatta: Non ritorni è il titolo di un libro precedente del 2016, un altro capitolo di questo perenne canzoniere dell’assenza. E in questo recente libro leggiamo: “La tua assenza scivola, e affogo l’ultima illusione” (p. 80). Eppure in questo abbandono, in questo gioco tra illusione-disillusione-delusione c’è un momento nel quale sembra di avvertire una fugace composizione, o almeno la traccia di questo bisogno. Emblematico è in questo senso il testo Insieme (pp. 46-47). Leggiamo, anche se il senso delle espressioni andrebbe ulteriormente indagato nella complessità del testo: “alterna fortuna aggrega persone”; “aggrega figure”; “bene comune”; “aggregare lingue”; “legami di sangue”; “la proiezione della comunità”. Tutto ciò “all’incrocio del golfo” – Napoli, la città, la comunità – e “ancorati alla Croce”, in una “convergenza del credo”, e compare anche il termine “vangelo”. In un libro tutto incentrato nell’immanenza di un sentimento terreno, pur fortemente spirituale oltre che fisico, si affaccia, per scorci, un elemento religioso: la Croce è scritta con la maiuscola. Sappiamo che pur nella sua ricerca laica Spagnuolo ha pubblicato ormai molti anni fa «Io ti inseguirò». Venticinque poesie intorno alla Croce. Qui l’inseguita è la donna amata, ma si rivede, in uno scorcio, la Croce, come in una momentanea pausa nel dolore dell’assenza: “dove tutto è sospeso nel luogo che accoglie”. Ma, nonostante le violenze che ho praticato al testo estrapolandone lacerti che, a partire dal titolo, Insieme appunto, testimoniano pure una via d’uscita, prevale ancora e sempre il sentimento dell’assenza: “Le mie mani ti vorrebbero ancora, / ma stringo inutilmente le mie dita / tra il cuscino e il silenzio, / e rivivo riflessi nei rintocchi / di un orologio indiscreto” (Ironie, p. 77). E proprio in conclusione c’è un velo, seppure un “velo di malizie”, che, scrive il poeta, “avvolge il mio ricordo nel segreto”.
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