Descrizione del libro di Tersilio Leggio, storico di Farfa e della Sabina Il cammino di Francesco – San Francesco visse nella Valle Santa una delle stagioni più intense della sua breve vita. Con certezza si sa che giunse nel reatino nel 1223, ma non si possono escludere soggiorni precedenti. Il Cammino, documentato dalle foto del grande fotografo Steve McCurry, è composto da otto tappe: parte da Rieti e si dipana attraverso la Valle Santa toccando i quattro Santuari francescani. A queste tappe si aggiunge il cammino verso il Faggio di San Francesco a Rivodutri e l’ascesa al monte Terminillo per la visita alla reliquia del corpo del Poverello di Assisi.
Tersilio Leggio, storico di Farfa e della Sabina, ci ha lasciati nella giornata del 29 aprile. È con profonda commozione che esprimo a titolo personale e a nome dell’Istituto storico italiano per il medio evo le più sentite condoglianze alla famiglia dell’amico carissimo e insigne studioso.
La figura di Tersilio Leggio ha rappresentato un esempio luminoso di storico con una profonda e appassionata conoscenza del territorio, che ha saputo coniugare felicemente con l’impegno civile di amministratore. Il suo contributo alla conoscenza e alla valorizzazione del territorio sabino e reatino rimane un punto di riferimento ineludibile per chiunque voglia comprenderne la storia e l’identità. Animatore instancabile di ricerche sulla storia di Farfa, ha condiviso con chi scrive e con l’Istituto storico italiano per il medio evo numerosi progetti, non ultimo la creazione della collana “Fonti e studi farfensi”, per la quale ha pubblicato ancora recentemente un contributo sulle origini del monachesimo in Sabina.
La sua testimonianza di storico impegnato e provvisto di una profonda umanità resterà nitida e radicata in tutti coloro che hanno avuto l’opportunità di partecipare della sua generosa opera di studioso e di uomo.
Umberto Longo
Tersilio Leggio è storico del medioevo, autore di numerosi saggi sull’Italia mediana, e in particolare su Rieti e sulla Sabina. Tra i suoi titoli ricordiamo il volume Ad fines regni. Amatrice, la Montagna e le alte valli del Tronto, del Velino e dell’Aterno dal X al XIII secolo (L’Aquila 2011).
Poesie di Sandro Angelucci-Poeta e Scrittore di Rieti
Poeta e critico letterario, saggista, Sandro Angelucci vive a Rieti dove è nato nel 1957. Insegnante, collabora a varie riviste culturali con recensioni, note critiche e testi poetici ed è stato premiato in concorsi a livello internazionale. Ha pubblicato le raccolte di poesia “Non siamo nati ancora”, “Il cerchio che circonda l’infinito” e, nei quaderni letterari de “Il Croco”, “Appartenenza”. È in corso di stampa, per Guido Miano Editore, un suo profilo critico nel IV° Volume della “Storia della Letteratura Italiana. Il secondo Novecento”. Del suo lavoro si sono occupati importanti critici, poeti e scrittori.
Verticalità
È come arrampicarmi sulla cima
dell’albero più alto
dove le gazze scrutano la sorte
e il vento
non fatica a ritrovarsi.
Come la luce
dell’attimo vivente
che buca la penombra
e sgretola le rocce.
È il mio bisogno di verticalità
che piange come un bimbo
che si perde
quando la morte vince sulla vita
ma subito sorride
all’apparire delle cose belle.
Sogno di cielo
che vince la gravità dei corpi
che a volte s’inabissa e poi risorge.
Fiamma che sale.
Brace che si accende.
Figlia Poesia
L’ho difesa
e so che dovrò difenderla
per la vita intera
la poesia.
Dovrò proteggerla
dagli artigli insanguinati
dell’uomo-macchina,
dagli insulti della lingua
del suo non essere,
della sua politica.
Dovrò prenderla sulle spalle
come una figlia
quando vorrà giocare
e per lei,
tutto per lei vorrà il mio tempo.
Sarò pronto ad asciugarlo
il suo pianto inconsolabile
quando nessuno
neppure io, nonostante tutto,
saprà capire
che quello è il pianto della Terra.
E quando vagamente
– se accadrà –
la mia somiglierà
alla sua innocenza
potrà dirsi compiuto il mio cammino,
forse a ritroso, forse mai concluso
dalla morte alla nascita
dalla nascita alla morte.
Dove la neve copre le distese
Io non sono qui.
Sono lassù,
dove la neve copre le distese
nell’abbraccio
che avrei desiderato,
dove il silenzio trova le parole
che avrei voluto udire.
C’è troppo chiasso qui
e poca neve:
ogni sguardo contiene mille sguardi
in ogni uomo c’è spesso un altro uomo
e sono stanco
tremendamente stanco di cercare.
Se mi offrirò
– e non ho certo intenzione di mollare –
sarà pensandomi lontano
dove le cose
non hanno più pretese della vita
ed un abbraccio
frantuma il mio rimpianto nelle vene.
Sarà lassù
dove la neve copre le distese.
-Cenni storici-Il Borgo si affaccia sul fiume Salto , deve la sua importanza come centro di interesse artistico all’Abbazia di San Salvatore Maggiore, il più importante monumento medievale di questa zona ricca di molti reperti e siti archeologici risalenti a varie epoche storiche .Concerviano fu fondato, nell’VIII secolo, sul Monte Latenano dall’Abbazia di Farfa e la sua fortuna e prosperità fu dovuta alla protezione degli imperatori carolingi. nell’arco di circa un secolo. Il Borgo subì l’assalto dei Saraceni nel IX secolo, ma fu ricostruito nell’arco di quasi cento anni. La decadenza dell’Abbazia di San Salvatore, dovuta alle guerre tra i vari Castelli limitrofi, comportò ridusse il Borgo a semplice Commenda, poi nel XVII fu definitivamente soppressa. La chiesa subì una radicale trasformazione nel corso del seicento. Oggigiorno si possono vedere i resti di pitture e affreschi medievali, mentre nell’abside resta oramai quasi illeggibile, un bell’affresco risalente al XII secolo rappresenta il Salvatore tra schiere di angeli.
Il Complesso monumentale di San Salvatore-
Il Complesso monumentale di San Salvatore maggiore, tra la fine del XX sec. e l’inizio del XXI sec., dopo alcuni decenni di abbandono, è stato ricostruito con un criterio scientifico che consente di leggere le tre stratificazioni edilizie che nel corso dei secoli sono state realizzate.
L’edificio è stato fondato come villa rustica, con, alla base della costruzione, criptoportici; un sistema costruttivo tipico del II e I sec. a. C..
La seconda stratificazione appartiene all’età medievale ed è stata realizzata per la funzionalità dell’Abbazia.
La terza stratificazione, quella che ha maggiormente trasformato l’edificio, iniziata nel XVII sec. viene completata la trasformazione dell’edificio come attualmente si presenta, ed è stata funzionale alle esigenze del Seminario delle Diocesi di Sabina, Poggio Mirteto e Rieti, ed è quella che ha portato l’edificio allo stato attuale.
Dopo la soppressione dell’Abbazia, e per le esigenze della nuova funzione dell’edificio come Seminario, furono eseguite opere edilizie che ampliarono l’edificio, secondo i criteri costruttivi ed architettonici rinascimentali. Fu modificato il prospetto della chiesa (scompare il portico riportato nell’incisione del 1685), furono sopraelevati di un piano i corpi di fabbrica est e nord, e fu costruito un nuovo corpo di fabbrica nel lato ovest.
-Angelo Maria RICCI- Poeta e letterato della SABINA-
Poesie sacre , Sonetti ed Epigrammi-
Da Poesie sacre di Angelo Maria Ricci, Sonetti ed Epigrammi.
Biografia di Angelo Maria Ricci – Nacque a Mopolino di Capitignano (L’Aquila) il 24 settembre 1776 da Serafino e da Giuseppa Pica, entrambi di nobili famiglie, Morì a Rieti il 1° aprile 1850. Un ramo del casato Ricci era presente anche a Rieti dall’inizio del XVII secolo. Il padre ricopriva l’incarico di regio tesoriere dei Borbone.
Per gli studi superiori, Angelo Maria si trasferì a Roma nel Collegio Nazareno degli scolopi. Suoi maestri furono padre Carlo Giuseppe Gismondi, per le materie scientifiche, e padre Francesco Antonio Fasce, per quelle letterarie. Prima ancora di concludere gli studi entrò a far parte dell’Arcadia con il nome di Filidemo Liciense. Già nel 1792 vedevano la luce a Napoli alcune sue poesie, raccolte nel volumetto Omaggio poetico, dedicato a Domenico di Gennaro, duca di Cantalupo. Quattro anni più tardi, sempre a Napoli, fu la volta del De gemmis, poemetto latino per il matrimonio di Francesco III di Borbone con Maria Clementina d’Austria. I fatti del 1798-99 si fecero sentire anche al Nazareno: Angelo Maria, come tutti i giovani nobili non romani, prese la via del ritorno in famiglia. Il cardinale Stefano Borgia lo riportò a Roma, dove fu insignito del cavalierato gerosolimitano; si accostò agli studi biblici riprendendo la volontà di conciliare la scienza con la religione e diede alla luce la Cosmogonia mosaica, fisicamente sviluppata e poeticamente esposta in sei meditazioni filosofico-poetiche (Roma 1802), in contrasto con le teorie materialistiche e sensistiche. A Napoli entrò in contatto con i nobili-poeti Tommaso Gargallo, marchese di Castel Lentini, e Carlantonio de Rosa, marchese di Villarosa. Manifestò un certo entusiasmo per la svolta napoleonica e re Giuseppe Bonaparte lo fece capodivisione della Real Segreteria. Da Gioacchino Murat ebbe la cattedra universitaria di eloquenza. Ricci manifestò in modo evidente la sua riconoscenza: nel 1809 pubblicò un canto in ottava rima intitolato La pace; in un’altra ode, La verità, pubblicata l’anno dopo, definì Murat «di Goffredo assai maggior nel senno», anteponendolo all’eroe della Gerusalemme liberata. La musa murattiana raggiunse il culmine con I fasti di Gioacchino Murat (1813); non a caso, ottenne l’incarico di istitutore dei principini Achille e Luciano e di lettore personale della regina.
Le precarie condizioni di salute e una grave malattia del padre indussero Ricci a lasciare la città partenopea. Con la moglie Isabella Alfani, nobile nolana, e con quattro figli, nel dicembre del 1817 tornò a Mopolino. Il soggiorno non fu duraturo. Nel 1819 si trasferì definitivamente a Rieti nell’elegante palazzo neoclassico, realizzato alla fine del Settecento dal padre su progetto dell’Re Ferdinando IV, . Nello stesso 1819 vide la luce a Livorno, presso l’editore Glauco Masi, L’Italiade, poema epico in dodici canti, iniziato a Napoli dopo la caduta di Murat e il ritorno dei Borbone.
Le gesta di Carlo Magno contro Desiderio, ultimo re dei Longobardi, facevano da sfondo alla complessa trama dell’opera. Il tema era lo stesso dell’Adelchi manzoniano, ma con un’ottica ribaltata; per Ricci la caduta del Regno dei Longobardi rappresentava un soggetto di alta epopea e segnava l’alleanza tra trono e altare, il ritorno del dominio austriaco e la fondazione del Regno lombardo-veneto. I conservatori e l’ala austriacante dell’intellettualità del tempo si entusiasmarono. Di diverso avviso la Biblioteca italiana: Giuseppe Acerbi censurò il poema, definendolo «vergognoso per un italiano» (Rati, 2007, p. 15).
L’ambiente reatino, particolarmente sensibile alle istanze papaline, ispirò a Ricci la composizione del San Benedetto, poema in ottava rima, scritto forse anche su sollecitazione dello stesso papa Pio VII, che vide la luce nel 1824 a Pisa. L’anno seguente, sempre a Pisa, pubblicò la Georgica de’ fiori, dedicata a Maria Beatrice d’Este, arciduchessa d’Austria e duchessa di Massa e Carrara, che proprio in quegli anni si andava occupando nel suo territorio di floricoltura. Nell’estate del 1826 tornò per qualche mese a Napoli nella speranza di veder migliorare le non buone condizioni di salute della moglie. Fu ospite nella villa dei conti di Camaldoli. Nel 1827 venne stampato a Rieti L’orologio di Flora: ventiquattro odi anacreontiche nate dalla constatazione che dal maggio all’agosto alcuni fiori si aprivano e chiudevano in ore precise. Tre anni dopo pubblicò un’altra opera di versi nuziali – il poema Conchiglie (Roma 1830), in cui le nozze divine di Oceano e Teti erano augurio per le nozze umane di Maria Cristina, figlia di Maria Isabella regina delle Due Sicilie, con Ferdinando VII, sovrano di Spagna.
Il 27 settembre 1828 era morta la moglie Isabella. Bertel Thorvaldsen curò il monumento funebre collocato nella chiesa reatina di S. Giovenale dove riposavano le ceneri della donna. Il dolore di Ricci fu consegnato a una raccolta di Elegie, con due edizioni: l’una pisana del 1828 e l’altra romana di due anni dopo. Del 1832 fu la traduzione dell’Elegia biblica di Ruth, per le nozze di Ferdinando II di Borbone con Maria Cristina di Savoia. Nel 1837 Ricci pubblicò a Roma Gli sposi fedeli.
La linea classicista sembrava incrinarsi, l’elemento storico veniva infatti evidenziato anche dal sottotitolo di Storia italo-gotica-romantica, e i personaggi Teodorico, Amalasunta, Atalarico, Goti, Ariani, Cattolici si muovevano sullo scenario del VI secolo italiano. Dopo molteplici traversie, Nigilda e Childerico sarebbero riusciti a coronare il loro sogno. Il modello manzoniano era nell’aria e forse più: una peste, il ritiro di Nigilda in convento per evitare di essere sedotta da Crispo, erano indubbiamente elementi di contatto con I promessi sposi. Di certo, l’edizione ricciana ebbe successo: ben quattro edizioni si susseguirono in pochissimo tempo.
Nel 1840 Ricci fece ristampare a Roma tutte le sue poesie di argomento religioso sotto il titolo di Poesie sacre. Acciacchi personali e familiari resero difficoltosi gli ultimi anni della sua vita.
L’Arcadia convocò in suo onore un’adunanza il 10 dicembre 1852; per quella ricorrenza Giuseppe Gioachino Belli scrisse e recitò un sonetto commemorativo.
Fonti e Bibl.: La corrispondenza intercorsa fra Angelo Maria Ricci e l’amico Bertel Thorvald-sen dal 1820 al 1838 è conservata a Copenaghen, The Thorvaldsens Museum Archives. A. Sacchetti Sassetti, La vita e le opere di A.M. R., Rieti 1898; G. Rati, A.M.R. e la polemica romantica, in Otto/Novecento, III (1979), 3-4, pp. 61-80 (riedito in Id., Saggi danteschi e altri studi, Roma 1988, pp. 159-181); G. Formichetti, Un classicista austriacante e papalino, in Ottocento nel Lazio, a cura di R. Lefevre, Roma 1982, pp. 239-251; Atti. Celebrazione del II centenario della nascita di A.M. R. (1776-1850), Rieti 1983; G. Formichetti, I testi e la scrittura. Studi di letteratura italiana, Roma 1990, pp. 275-282; M.F. Apolloni, Un poeta mecenate di se stesso: A.M. R. e gli affreschi di Pietro Paoletti in Palazzo Ricci a Rieti, in Ricerche di storia dell’arte, 1992, vol. 46, pp. 35-48; R. Messina, Iconografia di A.M. R. Architettura, scultura, pittura, grafica, Rieti 1996; Tre cantate napoletane. Musica di Gioachino Rossini, a cura di I. Narici – M. Beghelli – S. Castelvecchi, Pesaro 1999, pp. XXI-XXXI; G. Rati, La polemica intorno all’Italiade e altri saggi su A.M. R., Roma 2007; Arte e cultura nel Palazzo Ricci di Capitignano, a cura di G. Paris – F.S. Ranieri – A. De Angelis, Rieti 2011.
Descrizione-Antrodoco-Autentico tesoro d’arte medievale (è monumento nazionale) appena fuori l’abitato. La si vuole edificata sulla vestigia di un tempio pagano dedicato a Diana (sec.V^) vicino ad un cimitero cristiano. Gli indizi di costruzione romana sono totalmente scomparsi sotto i lavori di ripristino susseguitisi nelle varie epoche; restaurata nel IX e X sec., fu poi ampliata nel XI e XII sec. La chiesa è nominata dal Papa Anastasio IV in una bolla del 1154 e la sua consacrazione, avvenuta sotto il Vescovo di Rieti Gerardo nel novembre 1051, fu sanzionata dallo stesso Federico I nel dicembre 1178. L ’interno è a tre navate; nella parte superiore dell’abside è affrescata un’immagine del “Redentore benedicente”. La facciata è a capanna con tetto irregolare e rivestimento con pietre grezze, sul portale notevole l’arco semicircolare sorretto da un architrave ornato di foglie e di animali stilizzati; ai lati le due colonne con capitelli a fogliame risultano addentrate rispetto alle colonne e ai semipilastri che sorreggono l’arco stesso. Nella torre campanaria, a sinistra della facciata, ben visibile l’alternarsi di monofore, bifore e trifore la cui varietà del materiale presente, conferma chiaramente i vari interventi di restauro. La pittura meglio conservata è lo Lo Sposalizio di S. Caterina d’Alessandria, databile alla prima metà del XV sec.. Rilevante dal punto di vista architettonico, a destra della Chiesa, il Battistero di S.Giovanni a pianta esagonale; nella sua collocazione non ha raffronti nella zona configurandosi come caratteristica tipica delle Regioni del Nord Italia. L’interno presenta un interesse notevolissimo per gli affreschi sulle pareti stilisticamente appartenenti a pittori umbro- laziali-abruzzesi del tardo trecento che danno luogo a dei cicli: Storie di Giovanni Battista, Fuga in Egitto e Strage degli Innocenti . Notevole appare il Giudizio Universale sopra la porta del Battistero. Pregevoli gli affreschi della Pietà e la figura del Precursore. Da poco sono stati completati i lavori di restauro sugli affreschi della chiesa e del battistero.
Rieti-Il Velino si racconta: evento culturale al Palazzo della Provincia-
La Rete Porta Romana ha nel proprio ambito territoriale uno scorcio incantevole del fiume Velino, di qui l’idea di dedicare al fiume un incontro per conoscere meglio il fiume, la sua storia e la relazione con la città di Rieti. Così è nato “Il Velino si racconta” per far scoprire il fiume nei suoi elementi naturalistici e storici, un appuntamento che vuole coinvolgere persone adulte ma anche bambine e bambini per tramandare loro la memoria del fiume, in primo luogo quelli delle scuole “Luigi Minervini” e “Basilio Sisti”.
Alle ore 10.30, il Palazzo della Provincia di Rieti sarà il teatro di un evento culturale e informativo dal titolo “Il Velino si racconta”. L’iniziativa è organizzata dalla “Rete di Imprese Porta Romana” e vedrà la partecipazione di diverse competenze del territorio.
L’evento sarà presieduto da Paola Simeoni, Presidente della “Rete di Imprese Porta Romana”. Apriranno i lavori i saluti istituzionali di Claudia Chiarinelli, Assessora allo Sviluppo Economico e ai Lavori Pubblici del Comune di Rieti.
Il programma prevede gli interventi di Giancarlo Cammerini, autore del libro “Il fiume in pieno” e dell’opera “Velino identità e risorsa”, e Mara Galli, Dirigente Scolastica dell’I.C. Minervini-Sisti. I due introdurranno l’illustrazione dei lavori realizzati dagli studenti, evidenziando l’importanza educativa e formativa del progetto.
Tra i relatori, Maurizio Turina, Presidente di APS Acqua Pubblica Reatina SpA, interverrà sul tema “Il Velino nel ciclo delle acque”, offrendo una panoramica tecnica e ambientale sulla gestione delle risorse idriche locali. Maria Gemma Grillotti Di Giacomo, Presidente del “Gruppo di Ricerca Interuniversitario GECOAGRI-LANDITALY”, discuterà il ruolo del fiume Velino nella storia e nello sviluppo della città di Rieti.
Il coordinamento dell’evento sarà affidata a Vincenza Bufacchi di Punto Impresa Srl CSA di CNA Rieti, che guiderà gli interventi e le discussioni.
L’iniziativa vedrà la partecipazione delle classi quinte della Scuola Primaria “Luigi Minervini” e delle classi prime della Scuola Secondaria di Primo grado “Basilio Sisti”, con un’esposizione dei lavori degli alunni, a testimonianza dell’impegno educativo delle scuole locali nel promuovere la consapevolezza ambientale e storica.
L’evento è finanziato ai sensi della D.D. n. G05757/2023 nell’ambito del progetto “Reti di Impresa tra Attività Economiche”, un chiaro segno dell’impegno delle istituzioni nel sostenere iniziative che valorizzino le risorse naturali e culturali del territorio.
TURANIA e Lago del Turano- (Rieti)- Brevi cenni storici-
TURANIA (Rieti)-Brevi cenni storici- Le prime notizie circa un paese chiamato “Petescia” risalgono all’890 e appartengono ad un documento che registra una donazione concessa all’Abbazia di Farfa. Il borgo, di origine preromane, deriva il suo antico nome da “ Pat-Aschi” che vuole dire , probabilmente, “Apertura della fiamma” mentre fu solo da 1950 che ebbe il nome di TURANIA in relazione al fiume omonimo che scorre nella zona. Fu feudo degli Orsini, dei Tagliacozzo, dei Muti e dal 1632, per quasi tre secoli, dei principi Borghese. Di particolare interessante è la chiesa parrocchiale di San Salvatore ricostruita completamente ne 1779. La chiesa di Santa Maria del Carmine, chiesa cinquecentesca, sorge nei pressi del centro abitato e vi si celebra solennemente il 16 luglio di ogni anno, la festa della Madonna del Carmine.
Posto a 536 m sul livello del mare lungo il corso del fiume Turano, il lago è lungo una decina di chilometri scarsi ed ha un perimetro di circa 36 km.
Il bacino è di origine artificiale: fu realizzato nel 1939, con la costruzione della diga del Turano nei pressi dell’abitato di Posticciola e di Stipes, allo scopo di produrre energia idroelettrica e di evitare che le piene del fiume inondassero la Piana di Rieti[2]. Il vicino lago del Salto, anch’esso artificiale, fu realizzato contemporaneamente; i due laghi sono collegati da una galleria sotterranea lunga 9 km e insieme alimentano la centrale idroelettrica di Cotilia (situata a Cittaducale), parte del nucleo idroelettrico di Terni di Enel Green Power, che rilascia poi le acque nel Velino a monte della città di Rieti.
Il lago si distende ai piedi del monte Navegna (1506 m), una riserva naturale coperta di boschi, ed è caratterizzato dalla presenza sulle sue rive di antichi paesi e castelli che si specchiano nelle limpide acque. A metà del lago si fronteggiano infatti, il primo su una penisola e l’altro su un cocuzzolo roccioso, i due centri abitati di Colle di Tora e di Castel di Tora, i cui nomi furono cambiati nel 1864 a ricordo dell’antica città sabina di Tora. Recente è la scoperta di una necropoli romana di età imperiale (200 d.C. circa) proprio nei pressi del paese di Castel di Tora[3]. Gli altri paesi che si affacciano sul lago sono Ascrea e Paganico Sabino.
Il Turano è stato utilizzato più volte come location cinematografica: il lago è infatti protagonista del film Il santo patrono (1972) di Bitto Albertini, dove recita Lucio Dalla nella parte del parroco Don Arcadio. Il film è stato girato per la maggior parte a Colle di Tora. L’antico borgo medievale di Antuni è stato invece protagonista del film Il cielo è vicino (1954) di Enrico Pratt.
Il lago del Turano è protagonista del videoclip di Petrolio[8], brano del rapper di XFactorCranio Randagio, e di alcune scene dei videoclip dei brani Ovunque tu sia[9] di Ultimo e de Il tuo amico di sempre[10] di Sergio Cammariere.
Sport
Nell’area del lago sono praticati, oltre a sport acquatici come vela, SUP, kayak, l’escursionismo-trekking grazie alla rete sentieristica della Riserva Naturale Regionale “Navegna-Cervia”, l’enduro, il ciclismo e dal 2017 alcuni piloti hanno iniziato a sorvolare il lago con il parapendio acrobatico.
Abbazia di Farfa l’esercito badiale.Milizia di Campagna.
L’Abbazia di Farfa aveva un piccolo esercito comandato, ordine diretto, dall’Abate. L’esercito doveva provvedere alla sicurezza del monastero , alle numerosissime dipendenze , alla giustizia e al buon governo dello Stato Abbaziale.
L’esercito fu impiegato,milizie rusticane , sotto il comando del grande Abate Pietro, per sette lunghissimi anni al contrasto all’invasione dei Saraceni. Le truppe dell’Abbazia furono più volte messe ai diretti ordini di vari Imperatori come nell’assedio di Cere (Cerveteri) nell’anno 999, le truppe furono al servizio di Ottone III, mentre nel 1022 erano impegnate nell’assedio di Troia ed erano comandate dall’Imperatore Enrico II. Per esercito si chiarisce che non deve essere inteso nel senso moderno cioè di un gran numero di soldati , ma lo si deve intendere in senso antico, quando tutti i principali Signori avevano alle proprie dipendenze dei militi che molto spesso erano contadini e come si può leggere negli annali scritti dallo storico francese Prudence de Troyes quando descrive la vittoria del Duca Guido I di Spoleto contro i Saraceni nella famosa battaglia avvenuta nell’846 d.C. a Lorium, nella Valle dell’Arrone sulla via Aurelia alle porte di Roma:” ” Guy, magravede Spolète accurt l’appel du Pape avec le concurs des Romaines il reporte une grande victoire sur les mecreants, battus par les milicies de la campanie romaine”. Traduzione “ Guido, margrave di Spoleto, accorse all’appello del Papa Sergio II , e con il concorso dei Romani riporta una grande vittoria sui miscredenti, battuti con l’aiuto determinante delle Milizie della Campagna Romana-Milizie Rusticane”.
Nella cronaca, seconda giornata, della guerra tra Berengario e Guido da Spoleto si legge testualmente :” Dopo una tregua, nella quale Guido poté rifare più numeroso e potente il suo esercito. La seconda giornata fu combattuta sul fiume Trebbi: stavano per Guido cinquecento fanti francesi capitanati da Ascanio di lui fratello, seicento cavalli sotto gli ordini di un Guaisino e di un Uberto, una schiera di giovani toscani, mille fanti di Camerino, cento pedoni guidati da un Alberico: un Ranieri guidava un’altra banda , trecento corazze un Guglielmo, e altre trecento un Ubaldo: seguivano parecchie migliaia di uomini di campagna( MILIZIA DI CAMPAGNA) più usati ,avvezzi, all’aratro che alle armi.Anche Berengario aveva con se tremila Friulani capitanati da Gualfredo, a cui aveva ceduto o promesso il marchesato del Friuli, mille e cinquecento corazze guidate da Unroco, mille e duecento cavalli tedeschi, altri cinquecento cavalli sotto gli ordini di un Alberico e una forte schiera di fanti e milizie rusticane.
Franco Leggeri.
Fonti –Card. IldefonsoScuster; Prudence de Troyes -Lorium;”Santa Maria di Galeria- Imperatore Carlo V “le Memorie principe Orsini;L’abbazia di Farfa di I.Boccolini-Abbazia di Farfa Tip. Vaticana 1921 ;Condizione contadina del 1500 Autori vari.
Toffia in notturna “…………., è una visione, uno stato d’animo, sensibilità per l’astratto e immateriale che solo loro, gli Artisti e i bambini lo sanno individuare e vivere. Parlo di quel particolare momento, durante il crepuscolo, che annuncia il passaggio dalla luce al buio: la cosiddetta “Ora Blu”. “L’here blue”, cara alla poetica , alla contemplazione e ai voli immensi che solo i notturni sottolineati dalle note di Chopin sanno trasformare la realtà in estasi che, poi, si sveglia alle note del Jazz”………… ……”immaginate Ernest Hemingway qui seduto nella piazza “all’Here Blue” a gustare il suo rum, chissà, forse, avrebbe scritto: “Il Vecchio e la Valle del Farfa”, o no?………..”
Brano Tratto da “Murales Castelnuovesi” di Franco Leggeri
POGGIO BUSTONE (Rieti)- Ricerca storica e Articolo dell’Arch. Maurizio PETTINARI
“Intorno al 1117 è nominato il castrum ed il podium di Poggio Bustone quando Berardo, signorotto del luogo, donò il territorio all’Abbazia di Farfa, ma il dominio dell’Abbazia durò pochi anni per passare poi al regno Normanno. Alla fine del XII secolo, il paese fu incluso nel territorio reatino.
San Francesco, con i suoi primi sei compagni, prese a predicare nel 1208 nella valle reatina prendendo dimora a Poggio Bustone.
Il paese fu completamente raso al suolo dal terremoto del reatino del 1298, che provocò la morte di 150 abitanti. Dal 1817 Poggio Bustone divenne sede di un governatorato che aveva alle sue dipendenze i comuni di Labro, Morro e Rivodutri. Poggio Bustone nella storia recente fu protagonista della lotta partigiana, nel mese di aprile del 1944, fu invaso dalle truppe nazi-fasciste che portarono morte e distruzione, in seguito per il coraggio dimostrato dalla popolazione il paese fu insignito di Medaglia d’Argento al valore.
Architetture religiose
Chiesa di San Giovanni Battista
La parrocchiale di S. Giovanni Battista è la principale chiesa del centro storico del paese. All’interno si trova un affresco quattrocentesco di S. Francesco che riceve le stimmate; sotto l’altare maggiore si conservano le reliquie di S. Felice martire. Secondo la leggenda il corpo del Santo fu portato su di un carro trainato da buoi che spontaneamente giunsero al castrum di Poggio Bustone.
Il Santuario di Poggio Bustone
Immediatamente fuori dal paese, sul lato della montagna, sorge il santuario francescano di Poggio Bustone, meta dei numerosi pellegrini che percorrono il Cammino di Francesco. Il santuario sorge nei pressi del romitorio dove, nel 1208, si fermò il santo di Assisi, che qui ebbe l’apparizione dell’angelo che gli annunciava la remissione dei peccati.
La costruzione del santuario iniziò nel Duecento e continuò nei secoli successivi. Il complesso comprende una chiesa, il convento di San Giacomo (ove risiedono i frati Francescani) e il tempietto della Pace.
La chiesa (che risale alla fine del Trecento) ospita degli affreschi che ritraggono la Madonna delle Grazie con il bambino e due angeli ai lati in adorazione, il castello di Poggio Bustone su cui vigilano San Francesco e Sant’Antonio oltre alle artistiche vetrate ed al tradizionale crocefisso in legno.
Il convento di San Giacomo (risalente al XV secolo) si sviluppa intorno a un chiostro dove si possono trovare un quadro con le parole del “Cantico delle Creature”, mentre nelle lunette sono raffigurati episodi della vita di San Francesco. Aperto al pubblico è il refettorio in cui si può trovare l’altare in legno con l’edicola dedicata a San Giacomo utilizzate da San Francesco e dai suoi primi seguaci.
Il santuario è collegato al Tempietto della Pace (XX secolo) per mezzo di un sentiero in cui sono poste le edicole della via crucis, ognuna composta da un diverso materiale (legno, marmo, bronzo, ceramica, ecc). Terminato il sentiero si può trova una statua in bronzo del Santo. (Informazioni tratte da Wikipedia).
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