Kate Clanchy –Nata a Glasgow nel 1965, Kate Clanchy ha studiato ad Edimburgo e Oxford, città in cui oggi vive e lavora come insegnante, giornalista e scrittrice freelance. Ha vinto numerosi premi prestigiosi con diversi libri di poesia tra cui “Newborn”, una raccolta dedicata ai temi della gravidanza, della nascita e della cura di un bambino. Il suo ultimo libro è la biografia “What Is She Doing Here?: A Refugee’s Story”, con cui ha vinto il Writer’s Guild Best Book Award for 2008 e che è stato mandato in onda dalla BBC
Patagonia
Dissi forse la Patagonia, e immaginavo
una penisola, grande abbastanza
per un paio di sedie a sdraio
su cui dondolare nell’alta marea. Pensavo
a noi in un freddo mozzafiato, davanti
a un orizzonte tondo come una moneta, avvolti
nell’intreccio del ripiglino che i gabbiani giocano
dal mare fino al sole. Pensavo di aspettare
finché le onde non si fossero addormentate
dalla noia.
Posa
Ora faccio sedere mio figlio
sull’anca e reggo
il suo peso con la curva
della vita, come un albero
diviso da una forcella,
come amanti inclinati in un valzer.
Niente è perduto. Mai stata
una di quelle ragazze
rimaste magre come un fuscello.
Ai balli spesso ero da sola.
* * *
Amore
Non ne avevo mai incontrati così prima.
Una faccia da sollievo – davvero,
come una battuta su suo padre – sfocata
come da anni di lucidatura;
mani aggrinzite come foglie secche;
il calore licenzioso che emetteva,
emetteva, i suoi respiri corti,
prudenti: pensavo
che i suoi filamenti esplodessero,
pensavo fosse un imperatore,
morente su cuscini di seta.
Non sapevo come tenerlo
avvolto, non sapevo
come allattarlo, non avevo
alcuna idea su di lui. Di notte
cercavo di ricordare la sensazione
della sua testa sul mio collo, il cranio
piccolo come un gatto, quell’affetto
caldo come un soldo fuso,
e i capelli, la peluria, fine
come lo strato più interno nel pelo
di qualche rara creatura delle nevi,
un’aureola di pelliccia, se mai
incontrassi una bestia così potresti
andarci vicino. Ho cominciato da lì.
* * *
Il ponte oltre il confine
Qui, dovrei senz’altro pensare a casa:
il mio paese e la città ripida e pulita
dove sono cresciuta: i suoi banchi di nubi,
i venti e la luce cangiante, teatrale,
i suoi scrosci di pioggia burbera e gelida, o altrimenti,
la volta che il treno rimase qui un’ora e mezza.
Era caldo, per una volta. Il motore sembrava
borbottare e respirare con noi,
e nel silenzio, il suonatore sul retro
strimpellava Scotland the Brave. C’era
una luce dorata, da film, e l’uomo di fronte
soffriva, diceva, per amore.
Vide un paese nei miei occhi.
Ma era di Los Angeles,
e io pensavo a un altro ponte.
Era ottobre. Io correvo a incontrare un uomo
con cui le cose non erano proprio stabili,
e in effetti non lo sarebbero mai state, e mi fermai
a mezza strada per guardare gli uccelli – rondini
in lontane migliaia, trascinate
verso l’Africa, o il caldo, o la casa, senza sapere
cosa, ma certamente come. Scivolavano sul cielo di carta
erano croci sui grafici del mercato azionaio,
erano sabbia in un canestro scosso,
e io le fissavo, come a setacciare l’oro.
* * *
Un uomo sposato
L’uomo sposato la notte scorsa sognava
di una casa che gli era stata lasciata: una casa come quelle che hai nei sogni,
mille stanze, un corridoio. Vagava
in giro da solo, mi disse, sorrideva
con suo sorriso quieto e interiore. Trovavo
un giardino segreto, mura alte, chiuso, uno strano verde vellutato. Lì, una finestra guardava verso l’oceano. Piegava le mani pallide,
avevo, diceva, la chiave. Sua moglie toccava
la figlia addormentata, pesante lussuoso animale,
e lo guardava, d’intesa, soddisfatta.
traduzioni di Sergio PASQUANDRA
Breve biografia di Kate Clanchy –Nata a Glasgow nel 1965, Kate Clanchy ha studiato ad Edimburgo e Oxford, città in cui oggi vive e lavora come insegnante, giornalista e scrittrice freelance. Ha vinto numerosi premi prestigiosi con diversi libri di poesia tra cui “Newborn”, una raccolta dedicata ai temi della gravidanza, della nascita e della cura di un bambino. Il suo ultimo libro è la biografia “What Is She Doing Here?: A Refugee’s Story”, con cui ha vinto il Writer’s Guild Best Book Award for 2008 e che è stato mandato in onda dalla BBC
John Ronald Reuel Tolkien- Il libro dei racconti perduti
– Bompiani- Giunti Editore-
Descrizione del libro di John Ronald Reuel Tolkien ha scritto nel corso della vita molti racconti e versi che arricchiscono la mitologia e le storie della Terra di Mezzo. Dopo la sua scomparsa il figlio Christopher per volontà del padre ha seguito con cura la pubblicazione di questo tesoro, portando alla luce nuovi personaggi, episodi epici e luoghi incantati. Il libro dei racconti perduti – seconda parte segna il ritorno di alcuni personaggi e vicende incontrati nel primo volume della Storia della Terra di Mezzo ma anche la comparsa di creature, episodi e leggende nuovi raccontati con tutta la forza creativa e il genio di J.R.R. Tolkien. Tra le narrazioni che costituiscono i pilastri su cui si regge la storia di Arda si trova la storia d’amore tra Beren e Lúthien, le avventure di Túrin Turambar e lo spaventoso confronto con il drago Glorund, ma anche la strenua resistenza dei signori elfici contro l’esercito di Morgoth e la creazione della collana dei Nani, la splendente Nauglafring. Le sei storie qui raccolte sono arricchite dai commenti e dalle note di Christopher Tolkien, che indica ai lettori riferimenti e percorsi per continuare ad esplorare la vastità e la profondità della fantasia ma anche della competenza storica e linguistica del padre. E il viaggio non è che all’inizio…
Breve biografia di John Ronald Reuel Tolkiennacque il 3 gennaio 1892 a Bloemfontein, in Sudafrica, da genitori inglesi. Insegnò Lingua e letteratura anglosassone a Oxford, e poi Lingua e letteratura inglese. Morì a Bournemouth, nello Hampshire, il 2 settembre 1973. Tra le sue opere, tutte pubblicate da Bompiani, ricordiamo Il Signore degli Anelli, Lo Hobbit e I figli di Húrin. Sempre per Bompiani è in corso di pubblicazione il ciclo di volumi La storia della Terra di Mezzo, curato da Christopher Tolkien.
Bompiani è un marchio Giunti Editore Sede operativa Via Bolognese 165, 50139 Firenze
Aung San Suu Kyi -La Signora del “Paese delle mille Pagode”
Articolo dell’Ingegner Andrea Natile
Aung San Suu Kyi birmana di Yangon, nata nel 1945, era figlia del generale Aung San, uno dei principali esponenti politici birmani. Dopo aver negoziato l’indipendenza della nazione dal Regno Unito nel 1947, fu ucciso da alcuni avversari politici, lasciando la bambina di appena due anni.
Dopo la morte del marito, sua madre divenne una delle figure politiche di maggior rilievo in Birmania, tanto da diventare ambasciatrice in India nel 1960.
Aug San la seguì ovunque ed ebbe la possibilità di frequentare le migliori scuole indiane e successivamente quelle inglesi.
Ad Oxford, conseguì una prestigiosa laurea in Filosofia, Scienze Politiche ed Economia.
Poi continuò i suoi studi a New York, dove lavorò per le Nazioni Unite e dove incontrò il suo futuro marito, Michael Aris, studioso di cultura tibetana, che sposò nel 1971.
Ritornò in Birmania nel 1988 per accudire la madre gravemente malata.
Quell’anno la Birmania fu scossa da una rivolta che si estese a tutto il Paese. Fortemente influenzata dagli insegnamenti del Mahatma Gandhi e dai precetti buddisti, Aung San Suu Kyi aderì alle proteste, e il suo primo atto fu una lettera aperta con cui chiese al governo la formazione di un comitato per preparare libere elezioni.
A Yangon, tenne un comizio alla Pagoda Shwedagon davanti a mezzo milione di persone, diventando subito un simbolo del movimento democratico nazionale.
Le proteste aumentarono, e il 18 settembre l’esercito mise in atto un colpo di Stato guidato da Saw Maung, un generale particolarmente vicino alle posizioni dell’ex dittatore Ne Win, che impose la legge marziale. I militari stroncarono le proteste con la violenza e ci furono circa 3 000 morti tra i dimostranti.
Nel suo primo comunicato, la nuova giunta militare annunciò la volontà di indire elezioni democratiche con il sistema multipartito.
In vista delle future elezioni, Aung San Suu Kyi, contribuì a fondare la Lega Nazionale per la Democrazia (LND) e fu eletta segretario generale.
Malgrado la proibizione del regime, tenne diversi comizi in giro per il Paese. Poi il regime militare la confinò agli arresti domiciliari senza averla processata. In seguito le diede la possibilità di lasciare il Paese, ma Aung San Suu Kyi rifiutò la proposta di andarsene.
Il regime fissò per il maggio 1990 le elezioni generali, che videro la schiacciante vittoria della Lega Nazionale per la Democrazia di Aung San Suu Kyi, la quale sarebbe quindi diventata primo ministro.
Ma i militari mantennero il potere con la forza, annullando il voto popolare.
Nel 1991 le fu assegnato il premio Sakharov per la libertà di pensiero e l’anno successivo vinse il premio Nobel per la Pace, che si rifiutò di ritirare per non lasciare il paese cui non avrebbe più potuto fare ritorno.
Il premio fu ritirato dai suoi figli. Tutti i soldi del premio furono devoluti per costituire un sistema sanitario e di istruzione a favore del popolo birmano.
Gli arresti domiciliari le furono revocati nel 1995; rimase comunque in uno stato di semilibertà e non poté mai lasciare il Paese.
Nonostante le pressioni del governo statunitense, del segretario generale delle Nazioni Unite e di papa Giovanni Paolo II, ai suoi familiari non fu mai permesso di visitarla.
Al marito nel 1997 fu diagnosticato il cancro che lo uccise nel 1999.
Lei non potè andare neanche al suo funerale.
Sotto le pressioni internazionali, le misure restrittive furono allentate; ma, nel 2003, mentre si trovava su un convoglio con numerosi sostenitori dell’LND, alcune persone collegate ai militari tesero un agguato e massacrarono circa 70 attivisti
Lei riuscì a salvarsi solo grazie alla prontezza di riflessi del suo autista, ma fu di nuovo messa agli arresti domiciliari. Da quel momento la sua salute andò peggiorando, tanto da richiedere interventi e ricoveri ospedalieri.
Finalmente il 13 novembre 2010 Aung San Suu Kyi fu liberata.
Il 16 giugno 2012 al ritiro del Nobel per la Pace che aveva vinto nel 1991, tenne un memorabile discorso.
“Onorati ospiti, membri dell’Accademia, miei compagni del popolo birmano,
Sono qui oggi a nome dei milioni di birmani che hanno sofferto per decenni sotto un regime oppressivo. Sono qui a nome dei prigionieri politici che sono ancora detenuti nelle carceri birmane, che sono ancora perseguitati per le loro idee e le loro convinzioni. Sono qui a nome dei poveri, dei diseredati e dei malati che lottano ogni giorno per sopravvivere in un paese che è stato devastato dalla corruzione e dalla violenza…”
Negli ultimi tempi però, sulla testa di Aung San, nel panorama internazionale dell’opinione pubblica, si sono addensate delle nubi.
Per motivi di realpolitik non ha mai voluto condannare esplicitamente il comportamento dei militari che tuttora sono al potere.
La questione riguarda la persecuzione dei rohingya, una minoranza etnica di quasi un milione di persone, 700.000 dei quali sono dovuti scappare nel vicino Bangladesh, in Thailandia, Malesia e Indonesia, bersagliati da attacchi dell’esercito e dai fondamentalisti buddisti.
La situazione è controversa, in quel paese la realtà religiosa è complessa, è un paese con religione di stato buddista.
Biografia di Anne Stevenson(1933-2020)Nata a Cambridge, in Inghilterra cresciuta in America, nel New England e in Michigan, ha studiato musica, pianoforte e violoncello, poi storia e letteratura europea presso la University of Michigan, dove in seguito ritornò per conseguire una specializzazione in inglese e lavorare al suo primo studio critico su Elizabeth Bishop. Dal 1964 è stabilmente in Gran Bretagna. Ha risieduto a Cambridge e a Oxford, in Scozia, al confine anglo-gallese e ultimamente nel Galles del Nord e a Durham. Ha ottenuto molte literary fellowships da università britanniche e statunitensi ed è stata la vincitrice inaugurale dell’importante premio letterario inglese The Northern Rock Foundation Writer’s Award, nel 2002. Nel 2007 le sono stati assegnati tre importanti premi negli Stati Uniti: The Lannan Lifetime Achievement Award for Poetry, dalla Lannan Foundation di Santa Fe, il Neglected Masters Award, dalla Poetry Foundation di Chicago e l’Aiken Taylor Award in Modern American Poetry, da The Sewanee Review in Tennessee. Nel 2008, The Library of America ha pubblicato Anne Stevenson: Selected Poems, a cura di Andrew Motion, Poeta Laureato del Regno Unito dal 1999 al 2009, nell’ambito di una serie dedicata alle maggiori figure della letteratura americana. Ha pubblicato oltre venti raccolte di poesia, , e numerosi saggi critici e biografici. Oltre alle numerose raccolte di poesia, una ventina, principalmente con la Oxford University Press e dal 2000 con Bloodaxe Books, Anne Stevenson ha pubblicato nel 1989 una biografia di Sylvia Plath, Bitter Fame, un libro di saggi letterari, Between the Iceberg and the Ship, nel 1998, due studi critici su Elizabeth Bishop, l’ultimo nel 2006, e About Poems (and how poems are not about), nel 2017. Le ultime raccolte pubblicate sono Poems 1955-2005 (2005), Stone Milk (2007), Astonishment (2012), In the Orchard (2016). Nel 2018 è apparsa la prima edizione italiana, con testo a fronte, di una selezione di sue poesie, a cura e traduzione di Carla Buranello, pubblicata dall’editore Interno Poesia con il titolo Le vie delle parole. Links:https://www.anne-stevenson.co.uk/
A Dream of Guilt Remembering my mother
When in that dream you censure me,
I wander through a house of guilt.
It has a door – apology –
and windows – smiles. My selves have built
this huge, half-loved neglected place
out of the lintels of your face.
And still I hurt you. Still I – we –
entangle in obscure regret.
Your kind restraint, like stolen money,
weighs on me. I can’t forget. I can’t forget.
Hushed memories like cobwebs lace
this house too fragile to efface.
Un sogno di colpa
Ricordando mia madre
Quando nel sogno mi rimproveri,
io vago in una casa di colpa.
Ha una porta – le scuse –
e finestre – sorrisi. I miei io l’han costruito
questo luogo vasto, semi-amato, trascurato,
usando i tratti del tuo viso.
E ancora ti ferisco. Ancora io – noi –
c’impigliamo in oscuri rammarichi.
Il tuo riserbo gentile mi opprime,
come denaro rubato. Non posso dimenticare. Non posso.
Memorie sopite come tele di ragno ricamano leggere
questa casa troppo fragile per cadere.
*
Hands
Made up in death as never in life,
mother’s face was a mask
set in museum satin.
But her hands. In her hands,
resting, not crossing, on her Paisley dress
(deep combs of her pores,
her windfall palms, familiar routes
on maps not entirely hers
in those stifling flowers)
lay a great many shards of lost hours
with her growing children. As when
tossing my bike
on the greypainted backyard stairs,
I pitched myself up, through the screened door,
arguing with my sister. “Me, marry?
Never! Unless I can marry a genius.”
I was in love with Mr. Wullover,
a pianist.
Mother’s hands moved staccato on a fat ham
she was pricking with cloves.
“You’ll be lucky, I’d say, to marry a kind man.”
I was aghast.
If you couldn’t be a genius, at least
you could marry one. How else would you last?
My sister was conspiring to marry her violin teacher.
Why shouldn’t I marry a piano
in Mr. Wullover?
As it turned out, Mr. Wullover died
ten years before my mother.
Suicide on the eve of his wedding, O, to another.
No one said much about why at home. At school
Jennie told me in her Frankenstein whisper,
“He was gay!”
Gay? And wasn’t it a good loving thing
to be gay? As good as to be kind,
I thought then.
And said as much to my silent mother
as she wrung out a cloth until her knuckles shone,
white bone under raw thin skin.
Mani
Truccato in morte come mai lo fu in vita,
il volto della mamma era una maschera
incastonata in seta da museo.
Ma le mani. Nelle sue mani,
abbandonate, non incrociate, sull’abito damascato
(i favi profondi dei pori,
i palmi vizzi, percorsi familiari
su mappe non del tutto sue
tra quei fiori soffocanti)
giaceva un cumulo di cocci di ore perdute
con bambini che crescevano. Come la volta in cui
scagliai la bici
sulle scale tinte di grigio del cortile,
e mi slanciai per la porta posteriore,
gridando a mia sorella. “Sposarmi, io?
Mai! A meno che non possa sposare un genio”.
Ero innamorata del signor Wullover,
un pianista.
Le mani della mamma fecero uno staccato su un grasso prosciutto
che stava lardellando con spezie.
“Considerati fortunata, credimi, se sposerai un uomo gentile”
Ero esterrefatta.
Se non puoi essere un genio, almeno
puoi sposarne uno. Come altro sopravvivere?
Mia sorella tramava per sposare il suo insegnante di violino.
Perché mai io non avrei potuto sposare un pianoforte
nella persona del signor Wullover?
Poi accadde che il signor Wullover morì
dieci anni prima della mamma.
Si suicidò alla vigilia del suo matrimonio, O, con un’altra.
A casa nessuno disse molto sul perché. A scuola
Jennie mi sussurrò con ghigno da Frankenstein,
“Era gay!”
Gay? Gaio? Non era forse una cosa buona
e amabile? Buona quanto essere gentile,
pensai.
E lo dissi alla mamma che zitta
strizzava uno straccio fino ad avere lustre le nocche,
ossa bianche sotto una pelle screpolata e sottile.
*
The Day
The day after I die will be lively with traffic. Business
will doubtless be up and doing, fuelled by creative percentages;
the young with their backpacks will be creeping snail-like to school,
closed in communication with their phones; a birth could happen
in an ambulance, a housewife might freak out and take a train to nowhere,
but news on The News with irrepressible importance will still sweep
everybody into it ¬like tributaries in a continental river system,
irreversible, overwhelming and so virtually taken for granted
that my absence won’t matter a bit and will never be noticed.
Unless, of course, enough evidence were preserved to record
the memorable day of my death as the same day all traffic ceased
in the pitiful rubble of Albert Street, to be excavated safely, much later,
by learned aboriginals, who, finding a file of my illegible markings
(together with the skeleton of a sacred cat), reconstructed my story
as a myth of virtual immortality, along with a tourist view of a typical
street in the late years of the old technological West – a period
they were just learning to distinguish from the time of the Roman wall,
built of stone (so it seemed) long before anything was built of electricity.
Il giorno
Il giorno dopo la mia morte il traffico sarà vivace. Di certo gli affari
andranno a gonfie vele, sospinti da percentuali creative;
zaino in spalla, come lumache i ragazzi strisceranno verso scuola,
chiusi in comunicazione con i loro telefoni; su un’ambulanza qualcuno potrebbe nascere
e una casalinga dar di matto e prendere un treno diretto in nessun luogo,
ma le notizie su The News continueranno a trascinare tutti
con la loro importanza irresistibile – come immissari di un sistema fluviale continentale,
irreversibili, travolgenti e così virtualmente e ciecamente accolte
che la mia assenza conterà meno di un bit, seppure sarà mai notata.
A meno che, certo, non rimanessero tracce sufficienti a identificare
il giorno memorabile della mia dipartita come quello in cui il traffico si fermò
tra le macerie miserevoli di Albert Street, molto tempo dopo, e in tutta sicurezza,
riportate alla luce da colti aborigeni i quali, ritrovato un file di miei illeggibili segni
(accanto allo scheletro di una gatta sacra), ricostruissero la mia storia
come un mito di immortalità virtuale, accanto all’istantanea di una tipica
strada della tarda era tecnologica occidentale – un periodo
che staranno appena imparando a distinguere dall’epoca del Vallo di Adriano,
fatto con pietre (a quel che sembrerà) molto tempo prima che tutto venisse fatto con l’elettricità.
*testi in traduzione Carla Buranello
Carla Buranello, nata a Venezia, si è laureata presso l’Università Ca’ Foscari Venezia in Lingue e Letterature Straniere, facoltà di Anglo-Americano. Ha lavorato presso un’azienda commerciale internazionale con ruolo dirigenziale. Di recente ha intrapreso per passione un’attività di traduzione di poesie dall’italiano all’inglese e dall’inglese all’italiano. Ha stretto amicizia con la poetessa anglo-americana Anne Stevenson e ha iniziato a tradurne le poesie. Stevenson ne ha apprezzato il lavoro invitandola ad approntare una raccolta da pubblicare in Italia. La raccolta è stata pubblicata nel 2018 dall’editore IP Interno Poesia con il titolo Le vie delle parole. Ha tradotto anche un libro inglese di racconti ispirati alla scienza, non ancora pubblicato.
Biblioteca DEA SABINA- La rivista «Atelier»
La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale (marzo, giugno, settembre, dicembre) e si occupa di letteratura contemporanea. Ha due redazioni: una che lavora per la rivista cartacea trimestrale e una che cura il sito Online e i suoi contenuti. Il nome (in origine “laboratorio dove si lavora il legno”) allude a un luogo di confronto e impegno operativo, aperto alla realtà. Si è distinta in questi anni, conquistandosi un posto preminente fra i periodici militanti, per il rigore critico e l’accurato scandaglio delle voci contemporanee. In particolare, si è resa levatrice di una generazione di poeti (si veda, per esempio, la pubblicazione dell’antologia L’Opera comune, la prima antologia dedicata ai poeti nati negli anni Settanta, cui hanno fatto seguito molte pubblicazioni analoghe). Si ricordano anche diversi numeri monografici: un Omaggio alla poesia contemporanea con i poeti italiani delle ultime generazioni (n. 10), gli atti di un convegno che ha radunato “la generazione dei nati negli anni Settanta” (La responsabilità della poesia, n. 24), un omaggio alla poesia europea con testi di poeti giovani e interventi di autori già affermati (Giovane poesia europea, n. 30), un’antologia di racconti di scrittori italiani emergenti (Racconti italiani, n. 38), un numero dedicato al tema “Poesia e conoscenza” (Che ne sanno i poeti?, n. 50).
Direttore responsabile: Giuliano Ladolfi Coordinatore delle redazioni: Luca Ariano
Redazione Online Direttori: Eleonora Rimolo, Giovanni Ibello Caporedattore: Carlo Ragliani Redazione: Mario Famularo, Michele Bordoni, Gerardo Masuccio, Paola Mancinelli, Matteo Pupillo, Antonio Fiori, Giulio Maffii, Giovanna Rosadini, Carlo Ragliani, Daniele Costantini, Francesca Coppola.
Redazione Cartaceo Direttore: Giovanna Rosadini Redazione: Mario Famularo, Giulio Greco, Alessio Zanichelli, Mattia Tarantino, Giuseppe Carracchia, Carlo Ragliani.
La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale e si occupa di letteratura contemporanea.
direzioneatelierpoesiaonline@gmail.com
Per tutte le comunicazioni e proposte per Atelier Online, sia di pubblicazione di inediti che di recensioni vi preghiamo di scrivere al seguente indirizzo mail di direzione: eleonorarimolo@gmail.com
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