Natale
TRILUSSA, Poesie romanesche sul Natale
Biblioteca DEA SABINA
TRILUSSA, Poesie romanesche sul Natale
Er Presepio – Trilussa
Ve ringrazio de core, brava gente,
pé ‘sti presepi che me preparate,
ma che li fate a fa? Si poi v’odiate,
si de st’amore non capite gnente…
Pé st’amore sò nato e ce sò morto,
da secoli lo spargo dalla croce,
ma la parola mia pare ‘na voce
sperduta ner deserto, senza ascolto.
La gente fa er presepe e nun me sente;
cerca sempre de fallo più sfarzoso,
però cià er core freddo e indifferente
e nun capisce che senza l’amore
è cianfrusaja che nun cià valore.
Natale de guerra – Trilussa
Ammalapena che s’è fatto giorno,
la prima luce è entrata ne la stalla
e er Bambinello s’è guardato intorno:
“Che freddo, mamma mia. Chi m’aripara?
Che freddo, mamma mia. Chi m’ariscalla?”
– “Fijo, la legna è diventata rara
e costa troppo cara pe compralla” –
“E l’asinello mio ‘ndov’è finito?” –
“Trasporta la mitraja
sur campo de battaja: è requisito” –
“Er bove?” – “Puro quello
fu mannato ar macello”.
“Ma li Re Maggi ariveno?” – “È impossibile
perché nun c’è la stella che li guida,
la stella nun vò uscì, poco se fida,
pe paura de quarche diriggibile”.
Er Bambinello ha chiesto: “Indove stanno
tutti li campagnoli che l’antr’anno
portaveno la robba ne la grotta?
Nun c’è neppuro un sacco de polenta,
nemmanco una frocella de ricotta”.
– “Fijo, li campagnoli stanno in guera,
tutti ar campo e combatteno. La mano
che seminava er grano
e che serviva pe vangà la tera
adesso viè addoprata unicamente
pe ammazzà la gente.
Guarda, laggiù, li lampi
de li bombardamenti!
Li senti?, Dio ce scampi,
li quattrocentoventi
che spaccheno li campi?” –
Ner dì così la Madre der Signore
s’è stretta er Fijo ar còre
e s’è asciugata l’occhi co le fasce.
Una lagrima amara pe chi nasce,
una lagrima dorce pe chi mòre.
Le Parole e il Mito. Essere al Verde.
In tempo di crisi si sente spesso dire :”Sono al verde!”. La curiosità mi ha indotto a fare qualche ricerca su questo modo di dire . La più conosciuta sarebbe derivata dall’uso medievale di colorare di verde la base delle candele e da qui essere agli sgoccioli, appunto essere al verde. Ma il giornalista Dott.Elio Caruso propone un’altra lettura di questo modo di dire che, a mio avviso, è molto interessante. Il Caruso ha fatto una ricerca nell’Archivio di Stato di Forlì ed ha trovato una curiosa e rara ordinanza pontificia, emessa in Romagna nel 1561, che fa luce sul perché di un universale modo di dire :Essere al Verde.
Elio Caruso inizia la sua ricerca storica, precisa e ben contestualizzata, partendo dal 1504 anno in cui avvenne il definitivo passaggio di Forlì allo Stato della Chiesa; cinque anni più tardi fu la volta di Ravenna. Alla fine del 1530, ritiratesi i Veneziani, che con buoni risultati avevano amministrato la fascia costiera sino a Cervia, l’intera Romagna e parte dell’Emilia passarono sotto il dominio pontificio, così come lo erano già il Lazio, l’Umbria e le Marche. Un cardinale con il titolo di presidente di Romagna, scelto da Roma, esercitava il governo sedendo in Ravenna, capitale della Legazione. Roma, che si era imposta come capitale sulle altre città dello Stato Pontifici, esercitava una forte attrazione sul piano demografico ed economico. Nella seconda metà del Cinquecento la Romagna, che contava circa 160mila abitanti fu tormentata da gravi avversità naturali (terremoti, alluvioni, carestie, epidemie) che in più occasioni funestarono la Regione. A rendere più ardua l’amministrazione papale penso la Riforma protestante; siamo infatti in pieno Concilio di Trento (1545/1563) e in seguito alla Controriforma le “entrate spirituali” (derivati cioè al papato dal contributo di tutte le chiese della cristianità) vennero in gran parte a mancare, e dovettero essere sostituite dalle entrate statali, che si concretizzarono, per il popolo, in tasse e gabelle. La pesante pressione sociale, non accompagnata però da una accorta gestione finanziaria, finì per impoverire ulteriormente i territori della Stato della Chiesa, e in particolar modo la Romagna, considerata più una colonia che una provincia, spingendola verso una grave stagnazione economica. Fu in questo clima che il 27 ottobre del 1561 i romagnoli vennero messi a conoscenza di una insolita prescrizione del Papa, da osservarsi in tutto il territorio pontificio” l’obbligo, per tutti i debitori insolventi, di portare ben visibile sul capo un berretto verde come segno della loro condizione economica. La lettera apostolica, affissa alle pubbliche porte, e letta per le strade dai banditori, prescriveva che per l’avvenire tutti i debitori- affinché non “ potessero sottrarsi alla soluzione dei debiti, o in qualunque modo sfuggire e defraudare i creditori dei loro crediti, per timore se non di Dio onnipotente, almeno dell’umana vergogna”- “sempre fossero tenuti a portare un Berretto Verde, pubblicamente e privatamente, sotto pena di fustigazione attraverso la Città per la prima volta, e delle Trireme la seconda volta in cui siano stati trovati senza il detto Berretto Verde”. Era stato Papa Pio IV a volere la curiosa disposizione, probabilmente ispirato dal suo predecessore, Paolo IV, che aveva obbligato tutti gli Ebrei residenti nello Stato Pontificio a portare un Berretto Giallo come segno di distinzione. Certamente faceva affidamento sull’effetto psicologico che il vistoso copricapo avrebbe esercitato sui debitori. Per ora non sappiamo per quanto tempo rimase in vigore questa ordinanza papale.
La stampa che accompagna questo articolo è tratta dal volume di Cesare Ripa, edito a Padova nel 1618 , dove si può leggere “ Giovane pensoso,& mesto, d’habito stracciato, porta la berretta verde in testa à perpetua infamia, in ambigui li piedi,& nel Collo à legame di ferro in forma di un cerchio rotondo grosso, tiene un paniere in bocca & in mano una frusta che in cima alle corde ha palle di piombo, & una lepre ai piedi è stracciato perché sprecato ha la sua roba, non trovando più credito và come un pezzente”.
Voglio ringraziare il Dott.Elio Caruso per la sua accurata ricerca .
A cura di Franco Leggeri