Descrizione-Le loro esperienze di vita e di scrittura erano molto diverse: Charlotte Brontë riservata, solitaria e anticonformista; Elizabeth Gaskell estroversa, ambiziosa e politicamente impegnata. Eppure, le due scrittrici vittoriane furono grandi amiche. Dopo la morte di Charlotte Brontë, avvenuta nel 1855, suo padre, il pastore Patrick Brontë, affidò proprio alla Gaskell il compito di scrivere una biografia veritiera sulla figlia, troppo spesso vittima di maldicenze e pregiudizi. Elizabeth Gaskell partì così sulle tracce della popolare scrittrice, componendo un’opera notevole per quantità e qualità, attingendo a lettere, intervistando quanti l’ave – vano conosciuta e arrivando fino a Bruxelles, dove nel 1842 Charlotte si era recata insieme alla sorella Emily per studiare la lingua francese. Ne emerge il ritratto di una donna che, andando controcorrente rispetto all’epoca vittoriana, seppe trovare le parole per dare voce alla propria esperienza, anche a costo di apparire «poco femminile» agli occhi dei contemporanei. Orfana di madre e con un padre «eccentrico», Charlotte crebbe in un villaggio sperduto tra le brughiere dello Yorkshire, in una casa di pietra grigia circondata dalle lapidi di un cimitero. Fin da piccola, grazie a un padre colto e all’avanguardia, assieme alle sorelle e al fratello fu avviata agli studi e incoraggiata a pensare con la propria testa. Un’educazione che un giorno l’avrebbe spronata a mettere mano alla penna per dare vita ad alcuni dei grandi capolavori della letteratura inglese, tra cui Jane Eyre, immediato successo all’epoca della sua pubblicazione e ormai classico intramontabile, che firmò con lo pseudonimo Currer Bell. Storia di una donna volitiva, ribelle e passionale, che fece della letteratura una ragione di vita, l’opera di Elizabeth Gaskell ha il pregio raro di una biografia di Charlotte Brontë composta da una scrittrice che occupa un posto di rilievo nel pantheon delle lettere inglesi.More
Nasceva l’11 novembre 1929 Hans Magnum Enzensberger, poeta, traduttore, editore e autore tedesco. Nato in Baviera, aveva solo 15 anni quando il Terzo Reich crollò. Dopo aver studiato letteratura, filosofia e lingua tedesca nelle università di Erlangen, Friburgo e Amburgo, Enzensberger conseguì il dottorato alla Sorbona di Parigi.
Enzensberger scrisse sia in inglese che in tedesco. Oltre ai romanzi, pubblicò più di cinque volumi di poesie, tra cui raccolte per bambini. Il poeta Charles Simic elogiò la vasta portata della scrittura di Enzensberger in questo modo: «Hans Enzensberger ha la più vasta gamma di argomenti, impiega una varietà di stili… quasi tutte le sue poesie, siano esse liriche, drammatiche o narrative, hanno una qualità polemica».
Venne considerato come una delle figure fondanti della letteratura della Repubblica Federale Tedesca e fu uno dei principali autori del Gruppo 47, partecipando, nel 1968, al Movimento studentesco della Germania occidentale. Tra i suoi vari riconoscimenti e onorificenze ricordiamo il Premio Georg Büchner, il Premio Heinrich-Böll e il Premio Principe delle Asturie del 2002. Nel 2009 ricevette il prestigioso premio Griffin Poetry Lifetime Recognition Award.
Enzensberger scrisse molte delle sue poesie in tono sarcastico e ironico. Ne è un esempio, la poesia Middle Class Blues, composta da varie tipicità della vita della classe media, con la frase “non possiamo lamentarci” ripetuta più volte e si conclude con “cosa aspettiamo ancora”.
Qui la poesia in una traduzione di A. M. Giachino:
Non possiamo lamentarci. Abbiamo da fare. Siamo sazi. Mangiamo.
Cresce l’erba, il prodotto sociale, l’unghia delle dita, il passato.
Le strade sono vuote. Le chiusure sono perfette. Le sirene tacciono. Questo passa.
I morti hanno fatto il loro testamento. La pioggia è cessata. La guerra non è stata dichiarata. Questo non è urgente.
Noi mangiamo l’erba. Noi mangiamo il prodotto sociale. Noi mangiamo le unghie. Noi mangiamo il passato.
Non abbiamo nulla da nascondere. Non abbiamo nulla da perdere. Non abbiamo nulla da dire. Abbiamo.
L’orologio è caricato. La vita è regolata. I piatti sono lavati. L’ultimo autobus sta passando.
È vuoto.
Non possiamo lamentarci.
Cosa aspettiamo ancora?
da “Poesia Tedesca del Novecento”, Rizzoli.
Molte delle poesie di Hans Enzensberger presentano questi temi di disordini civili su questioni economiche e di classe.
Ne è un esempio anche Divisione del lavoro:
Che la stragrande maggioranza della stragrande maggioranza non capisca pressoché nulla, per es. poesia, diritti d’opzione, numeri pseudoprimi, e mettici perfino i massimi sistemi – è piú che comprensibile!
La stragrande maggioranza ha tutt’altre preoccupazioni, imperturbabile si tiene ai figli e alle mutue, letto soldi pop sport, a tutto ciò di cui la minima minoranza non vuol sapere nulla.
Dove andremmo a finire coi nostri cervellini se tutti pensassero su tutto?
Solo di quando in quando, in certe interminabili sere, un’occhiata dall’altra parte, alla finestra illuminata dove vivono altri, e la vaga sensazione di essersi persi qualcosa.
da “Piú leggeri dell’aria”, Einaudi. Traduzione di Anna Maria Carpi.
Il lavoro di Enzensberger del 1974 L’industria della coscienza sulla letteratura, la politica e i media diede origine al termine “industria della coscienza”, che identifica i meccanismi attraverso i quali la mente umana è riprodotta come un prodotto sociale. I principali tra questi meccanismi sono le istituzioni di mass media e educazione. Secondo Enzensberger, l’industria della mente non produce nulla di specifico; piuttosto, la sua attività principale è quella di perpetuare l’attuale ordine di dominio dell’uomo sull’uomo. Hans elabora l’industria della coscienza in quanto si applica alle arti in un più ampio sistema di produzione, distribuzione e consumo. Il porta coinvolge specificamente i musei come produttori di percezione estetica che non riconoscono il loro intellettuale, politico e autorità morale: «Piuttosto che sponsorizzare una consapevolezza intelligente e critica, i musei tendono quindi a favorire la pacificazione».
Sebbene principalmente poeta e saggista, Hans Enzensberger si avventurò anche nel teatro, nel cinema, nell’opera, nel dramma radiofonico, nel reportage e nella traduzione. Il suo lavoro fu tradotto in oltre 40 lingue.
Nel 2000 inventò e collaborò alla costruzione di una macchina che compone automaticamente poesie (Der LandsbergerPoesieautomat) Questo dispositivo fu usato durante il Mondiale di calcio del 2006 per commentare i giochi. «Se non sai scrivere poesie meglio della macchina, faresti meglio a lasciar perdere», disse.
First things first
In fondo non abbiamo niente da obiettare a purgatorio, reincarnazione, paradiso. Se cosí dev’essere, prego! Al momento tuttavia abbiamo altre priorità.
Della toilette del gatto, del conto in banca e delle insostenibili condizioni del mondo dobbiamo assolutamente occuparci, già a prescindere da internet e dalle notizie sul livello delle acque.
Certe volte non sappiamo piú dove a forza di problemi sbattere la testa. Intanto c’è sempre qualcuno che muore, e di continuo qualcuno che nasce.
Non si arriva mai sul serio a fare delle riflessioni sulla propria immortalità. Prima bisogna gettare un occhio all’agenda, alle scadenze,
il resto si vedrà.
da “Piú leggeri dell’aria”, Einaudi. Traduzione di Anna Maria Carpi.
Enzensberger Hans Magnus
Hans Magnum Enzensberger, poeta, traduttore, editore e autore tedesco-Scrittore tedesco (Kaufbeuren, Allgäu, 1929 – Monaco di Baviera 2022). Autore anticonformista e versatile (romanziere, autore di testi teatrali, radiofonici ecc.), è stato tra gli animatori del Gruppo 47 ed è una delle figure più interessanti della letteratura tedesca del secondo dopoguerra. I suoi scritti, in particolare i saggi, sono permeati da un profondo pessimismo e denunciano causticamente le storture e le debolezze della società contemporanea.
Opere
Ancora adolescente patì la dura esperienza della guerra a cui partecipò nel 1944-45. La sua poesia (Verteidigung der Wölfe, 1957; Landessprache, 1960; Blindenschrift, 1964; Gedichte 1955-70, 1971; Mausoleum, 1975, trad. it. 1979; Der Untergang der Titanic, 1978, trad. it. 1980), pur risentendo molto dell’insegnamento brechtiano, non vede tuttavia un mezzo di salvezza per l’uomo e si presenta come denuncia spietata di tutte le storture e debolezze della società di oggi. Essa si distingue per l’originalità dell’espressione volutamente antipoetica e provocatoria, ricorrendo sia ai mezzi più facili di rottura (abolizione delle maiuscole, introduzione del gergo commerciale, rottura sintattica, ecc.), sia alla più raffinata demitizzazione della letteratura “bella” nell’uso profanante della citazione. Lo stesso carattere aggressivo e accusatore si rivela nei saggi più strettamente letterari, in cui E., nella ricerca dell'”artista radicale” (Clemens Brentanos Poetik, 1961), denuncia ogni debolezza o inattualità del fenomeno letterario. Molto importante la sua attività giornalistica, sviluppatasi soprattutto su Kursbuch e su Trans-Atlantik, battagliere riviste da lui create rispettivamente nel 1965 e nel 1980, nonché la sua opera saggistica, sempre a contatto con l’attualità senza però mai ridurvisi: Einzelheiten (1962; trad. it. Questioni di dettaglio, 1965); Politik und Verbrechen (1964; trad. it. 1979); Deutschland, Deutschland unter anderem (1967); Das Verhör von Habana (1970; trad. it. 1971); Der kurze Sommer der Anarchie (sotto forma di romanzo, 1972; trad. it. 1973); Palaver. Politische Überlegungen (1974; trad. it. 1976); Ach, Europa! (1987; trad. it. 1989). Del 1995 è la raccolta di poesie Kiosk. Neue Gedichte (trad. it. 2013), mentre sono stati pubblicati nel 1997 ZichZack (trad. it. 1999) e il fortunato Der Zahlenteufel (trad. it. 1997), tra l’apologo e la fiaba, in cui la matematica diventa, per un alunno che non ne è attratto, un mondo quasi magico. Ha poi scritto, tra l’altro: Esterhazy. Eine Hasengeschichte (con I. Dische, 1998; trad. it. 2002); Die Elixiere der Wissenschaft (2002; trad. it. 2004), in cui racconta storie, vere e mitologiche, che orbitano intorno alla scienza; Schreckens Männer. Versuch über den radikalen Verlierer (2006; trad. it. 2007); Josefine und Ich. Eine Erzählung (2006; trad. it. 2010); Hammerstein oder der Eigensinn: eine deutsche Geschichte (2008; trad. it. 2008); la raccolta di poesie Rebus (2009); i saggi Fortuna und Kalkül. Zwei mathematische Belustigungen (2009), Meine Lieblings-Flops, gefolgt von einem Ideen-Magazin (2010; trad. it. 2012) e Sanftes Monster Brüssel oder Die Entmündigung Europas (2011). Tra i suoi lavori più recenti occorre ancora citare Tumult (2014; trad. it. 2016) e Immer das Geld! (2015; trad. it. Parli sempre di soldi!, 2017).
Fonte- Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani
Roma Capitale-Gabriele Lavia va in scena al Teatro Argentina con Re Lear di William Shakespeare-
Roma Capitale al Teatro Argentina va in scena Gabriele Lavia, tra i più grandi maestri del teatro italiano, torna al Teatro Argentina con uno dei ruoli più rappresentativi della drammaturgia shakespeariana: Re Lear di William Shakespeare. In scena con lui un cast imponente, per indagare la fragilità del potere, la follia e la devastazione delle passioni umane.
Re Lear dal 26 novembre – 22 dicembre 2024
di William Shakespeare
traduzione di Angelo Dallagiacoma e Luigi Lunari
regia Gabriele Lavia e con Gabriele Lavia
e con Luca Lazzareschi, Mauro Mandolini, Andrea Nicolini, Federica Di Martino, Silvia Siravo, Giuseppe Benvegna, Ian Gualdani, Giovanni Arezzo, Jacopo Venturiero, Beatrice Ceccherini, Eleonora Bernazza, Gianluca Scaccia, Jacopo Carta, Lorenzo Volpe
Lo spettacolo
Re Lear è una storia di “perdite”.
Perdita della ragione, perdita del Regno, perdita della fraternità.
Non resta che vivere in una tempesta. Ma la tempesta di Lear è la tempesta della sua mente. La tempesta della mente dell’umanità, la morte dell’uomo che ha abbandonato il suo Essere. Ed ora vive il suo non-Essere nella Tempesta della mente, nella Tempesta che lo travolge. E tutti sono travolti. Tranne colui che più degli altri ha sofferto e può “essere-Re” della sofferenza come percorso di conoscenza. Gabriele Lavia
Crediti
scene Alessandro Camera
costumi Andrea Viotti
luci Giuseppe Filipponio
musiche Antonio Di Pofi
suono Riccardo Benassi
assistenti alla regia Matteo Tarasco, Enrico Torzillo
assistente alle scene Michela Mantegazza
assistente ai costumi Giulia Rovetto
suggeritore Nicolò Ayroldi
foto di scena Tommaso Le Pera
produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale, Effimera s.r.l, LAC – Lugano Arte e Cultura
Info e orari
prima, martedì, venerdì, mercoledì 27 novembre e giovedì 12 dicembre ore 20.00
mercoledì e sabato ore 19.00
giovedì e domenica ore 17.00
lunedì riposo
INFO BIGLIETTERIA
Teatro Argentina – Largo di Torre Argentina
Biglietteria aperta dal lunedì al sabato dalle ore 11.00 alle ore 19.00 e la domenica tre ore prima dell’inizio dello spettacolo. In assenza di spettacolo la domenica la biglietteria resterà chiusa. (biglietteria@teatrodiroma.net – tel. 06 684000311/314)
Nella biglietteria è sempre possibile acquistare i biglietti per tutti gli spettacoli del Teatro di Roma in programmazione.
La biglietteria, come consuetudine, si dedicherà da un’ora prima dell’inizio degli spettacoli alla sola vendita dei biglietti degli spettacoli in scena. La biglietteria è dotata di terminale POS.
Biografia di Gabriele Lavia
Nasce a Milano da genitori siciliani, ma cresce a Torino, dove il padre — dipendente del Banco di Sicilia — era stato trasferito per lavoro dopo il breve lasso di tempo trascorso nel capoluogo lombardo.[1] Figura tra le più rappresentative del teatro italiano degli ultimi quarant’anni, debutta come attore teatrale nel 1963 dopo il diploma all’Accademia nazionale d’arte drammatica. Si rivela al grande pubblico recitando nello sceneggiato televisivoMarco Visconti (con Raf Vallone e Pamela Villoresi), per la regia di Anton Giulio Majano, nella parte di Ottorino Visconti. Ha preso altresì parte allo sceneggiato Aut Aut – Cronaca di una rapina (1976), interpretando un rapinatore protagonista di un colpo a una banca.
Misakh Metzarents, l’eterno talento della poesia armena
– Pangea-Rivista avventuriera di cultura & idee
Il Poeta armeno Misakh Metzarents -Ogni paese si rispecchia nel bambino d’oro, l’infante che divora tutti i doni nell’arco di una stagione, il poeta perpetuamente giovane, che svanisce, in un lascito di nostalgia, dissipato dalle sue ispirazioni. Che sia Thomas Chatterton o John Keats, Novalis o Antonia Pozzi, Rimbaud – che muore alla poesia poco più che ventenne – o Shelley o Sergej Esenin, poeti dai tratti sempre inediti, vigorosi di una solitudine del sangue, tra il capriccio e l’estasi. Stagliati in teca, questi poeti dalla giovinezza infinita, a monito, moneta di scambio per popoli dalla creatività disseccata, sempre troppo precoci, cioè troppo ingenui. Tanto al di là da trovarteli sotto al letto, coi coltellini in tasca.
Per l’Armenia, il poeta per sempre bambino, rovinato da una tragedia che diventa lirica, si chiama Misakh Metzarents. Nato nel gennaio del 1886, è stato di recente onorato con un francobollo celebrativo, quasi che, addentellato, pronto per l’affrancatura, il poeta sia più potente e prono alla patria, nella zona franca di chi può tutto e nulla. La vita di Metzarents è priva di eventi clamorosi, di ornamenti che diano al profilo onore di leggenda: tutto, in lui, è lotta con il male, la tisi, che comincia ad agguantarlo quattordicenne. Nel 1902, dopo gli studi presso il collegio di Merzifon, il ragazzo si trasferisce a Costantinopoli: si orienta alla poesia, pronto a recintare in verbi i singoli sintagmi dell’anima, con talento da paesaggista.
Il ragazzo, roso dall’infermità, amante della poesia simbolista francese, muore nell’estate del 1908, a 22 anni. L’anno prima, riesce a pubblicare due raccolti di versi, Tziatzan (“Arcobaleno”) e Nor Tagher (“Odi nuove”), accolte con stupore: c’è chi, in questi versi devoti e ‘moderni’, rintraccia una specie di eversione. Con delicata furia, Misakh porta la poesia armena nella modernità; devoto a Gregorio di Narek, il grande monaco-poeta armeno vissuto intorno al Mille, scrive salmi di irrequieta limpidezza. Ecco, ad esempio, alcuni versi da Madre di Dio:
“Ecco mi accingo ad arrampicarmi sul monticello del mio dolore;
dissipa tu le nuvole dalla via di madreperla dei sogni…
Nella notte discende ancora il ruscello di luce,
una goccia di latte della tua santità divenuta un mare;
e vedi, o Madre di Dio, ecco sto diventando bambino!
e vedi, sto diventando bambino in mezzo alla notte,
in cui sentii discendere la divina voce,
che echeggiava per la mia anima permeata da Dio”.
Nel volumeLa mistica cristiana (Mondadori, 2020), Boghos Levon Zekiyan installa Misakh Metzarents tra gli ultimi protagonisti della Mistica armena: “Anima di una sensibilità assai delicata ed elevata, di una religiosità consapevole e profonda, è autore di composizioni che, oltre all’altissimo valore poetico, sono intrise di un vissuto religioso così singolare e originale da rasentare lo spessore di un’esperienza mistica vera e propria”.
In Metzarents le immagini liriche sembrano acqua tra le dita, riflessi che danno l’idea di un falò, chiostri in assedio, il tempo in un elmo: tutto è trasfigurato dalla disciplina della solitudine, da una riservatezza senza riserve, una preparazione all’addio in danza, potremmo dire, avvento di contrari venti. D’altronde è questo il genio dei poeti morti giovani: si giunge all’appuntamento con loro in ritardo di un secolo; la giacca sull’attaccapanni sembra appartenergli, la riconosci dai polsi e dai bottoni, ma è preparata per te, perché non ti turbi il tormento, il freddo di un oggi con le chele.
Veglia domenicale
Della sera che lentamente fugge è gioiosa la luce purpurea.
Fili d’oro avvolti nella nebbia di velluto dell’incenso,
frange azzurre, l’arcobaleno, voci fluttuanti, una mistica rosa,
lacrime di luce dei ceri che nella quiete si consumano.
La mia anima, assetata d’incenso, s’imbeve dell’attimo quieto,
mentre oscillano i turiboli dagli occhi oro fuoco.
Un torpore d’incanto mi lascia là immobile,
sento il bacio del tulle di zaffiro che l’animo mi avvolge.
Tinte di ametista ungono le volute dell’incenso,
m’inginocchio al mistero le braccia incrociate,
e attendo che spunti dalla mia anima la domenica di luce.
Tutto di smeraldo e di rubino è ora il sogno delle fiaccole,
dagli archi, dall’altare spuntano luce e risa,
adagio la mia anima in questo meraviglioso sogno si tuffa.
Della sera che lentamente fugge, è gioiosa la luce purpurea.
Traduzione di Boghos Levon Zekiyan
*
La sera
Come una ragazza che cammina sotto i pini
che va dove soffia la brezza serale
presso un bosco di melograni in fiore
la sera passa, il giorno si allontana.
Cade la sera come un fiore appassito
in varie sfumature di blu, cammina,
muore lentamente, si piega,
fragile stame di speranza, luce che fluttua infima.
Poi è buio: come la mia anima, incassata
nella solitudine, che fermenta nell’oscurità –
la lampa dei sogni si è sbriciolata, tempo fa,
abbandonando lo spirito sotto la pioggia –
cerca una casa.
*
Canto d’amore
Il vento ha sentimento sufficiente
per illuminare i fiori
piccole torce di luce.
Questa notte la festa illumina le strade
dolce è il balsamo, dolce hashish
nel vento – ne divento ebbro.
Come baci i fiori riempiono il tempo
con petali e semi – tutto è in eccesso
tutto è nel delirio
ma a me manca il solo bacio che desidero.
*
Se potessi conservare qualcosa
terrei quest’ora come un pezzo di me;
distillerei questa singola ora
come fosse un’essenza;
se potessi scegliere, vorrei
che questa singola ora
diventasse tutta la mia vita –
confuso e benedetto,
potrei scrivere per sempre
di questa singola ora con te
e lucidare nel suo lavacro
la mia esistenza, purificato
finalmente di tutto.
*
L’acqua scorre
Barba d’argento sul fiume
che sbatte contro le rocce sterili:
sboccia nel golfo dove l’acqua
è calda e il sole è un nascituro.
I montanari si arrampicano oltre
il villaggio dai ponti sospesi.
Nel cortile del monastero anche
gli alberi si chinano in preghiera.
Il silenzio inghiotte le lacrime del mattino:
questo è il momento in cui bagnano gli orti
e i novizi restano in piedi, in piena luce.
Le chiuse vengono aperte, le vanghe
incurvano il corpo serpentino delle acque.
Le pale girano senza fermarsi, come richiami:
una ragazza intona una canzone – un giorno
si scoprirà donna. La terra mette una mano
sulla bocca del fiume, che chiacchiera ancora:
soltanto lo stolto si lamenta in anticipo
del suo futuro.
*
Delirio
Buio costruito ad arte dalla strega: sono
in delirio – è Amore che mi crolla sul corpo –
un frutto fatato innesta nell’anima
ricordi che voglio dimenticare.
Le luci si spengono ma io amo
la tenebra che fa germinare agonia:
il dolore è largo, è un lago, ed espelle
il mio cuore – berrò il nero calice della vita triste.
È troppo buio e non posso più sognare:
smetto di vogare intorno ai miei amori.
Gli occhi hanno unghie, lampi d’alba
ed è lì che le mie pene, selvagge, si consumano.
*
Le api
I miei desideri sono api:
scavano cinture d’oro
fanno piovere
i loro favi, volano, sciamano,
ronzano, riempiono il sentiero,
strappano il velo della nebbia
ricamato e trasparente
ovunque portano il sole.
Misakh Metzarents
Fonte-Pangea-Rivista avventuriera di cultura & idee
Misak Metsarents or Medzarents (Armenian: ; 18 January 1886 – 5 July 1908) was a leading Armenianneo-romantic poet.
Biography
Misak Metsarents was born Misak Metsadourian in the village of Pingian [hy], near Agn in the Vilayet of Kharpert. In 1886, he moved with his family to Sepastia, where he attended the Aramian School. Until 1902, he attended the Anatolia Boarding School in Marzvan, which was run by American missionaries. From 1902 to 1905, he attended the Central School in Constantinople. However, tuberculosis forced him to leave his education, and he later died from the ailment July 5, 1908, at the age of 22.[1]
Poetry
Metsarents began writing in 1901, with his first verses published in 1903. He also collaborated with many Armenian publications such as “Masis”, “Hanragitak”, “Eastern Press”, “Light”, “Courier”, “Manzumei Efkiar”, “Buzandion”.[2] Much of his poetry discussed the despair of his inevitable mortality.
Legacy
The poet enriched Armenian poetry with his lyrical and genuine masterpieces, although Metsarents only managed to publish two volumes of poetry in his lifetime: “Dziadzan” (Rainbow) (1907) and “Nor dagher” (1907). He was commemorated in 2012 by his portrait appearing on an Armenian postal stamp.[3]
Fabio Zuffanti -Sacre sinfonie. Battiato: tutta la storia-
-Editore IL CASTELLO-
Descrizione –Lo scrittore, critico musicale e musicista Fabio Zuffanti racconta Battiato in un’ampia biografia che si legge come un romanzo. Agevolato da una larga serie di interviste e dichiarazioni rilasciate da Battiato nel corso del tempo e dal contributo di diversi personaggi che lo hanno conosciuto e frequentato, il volume mostra l’evoluzione di un personaggio molto diverso dal “maestro” che tutti conoscono. Il viaggio comincia negli anni 40 del Novecento con l’infanzia in Sicilia, il rapporto con la famiglia e la scoperta della musica. Poi, nel 1964, il trasferimento a Milano, la gavetta, gli incontri, le grandi crisi e i pensieri suicidi, la sperimentazione, l’esperienza con le droghe, la scoperta del misticismo e della meditazione, le amicizie, l’affetto per la madre, la scelta di passare la vita da solo e il successo. Da qui tante altre esperienze lungo i decenni, con sfide sempre nuove che lo portano a confrontarsi con il cinema e la pittura, fino alla malattia e agli ultimi anni della sua vita.
Contatti
IL CASTELLO SRL a socio unico
VIA MILANO 73/75, 20010 CORNAREDO (MI)
Tel. 02 / 99.76.24.33
Fax 02 / 99.76.24.45
info@ilcastelloeditore.it
Il Castello è nata come derivazione della Menotti Libri, una agenzia libraria fondata nell’immediato dopoguerra da Aldo Menotti, che distribuiva le pubblicazioni di case editrici di Roma e del sud Italia.
Nel 1948 al figlio Mosè, che collaborava nell’agenzia, veniva l’idea di stampare un libro. Era l’epoca in cui si stava diffondendo il cinema passoridotto, e così nacque ilVademecum del cinedilettante, tradotto dall’inglese: 1000 copie (per prudenza), che furono vendute in 15 giorni. Un successo! E se ne fece una decina di ristampe.
Al Vademecum seguirono altri manuali di cinema, poi di fotografia e di pittura. Il Castello andava sempre più imponendosi perché non sbagliava un titolo.
Una nota curiosa che può spiegare il successo del Castello. Al signor Menotti furono preziosi l’esempio e i consigli di Italo Briano, un simpatico e validissimo editore genovese che stampava e legava i libri in casa, tutto da sé: titoli specializzati, poche copie, molto cari. “Tanto – diceva – , una tabella o una nozione di un mio libro valgono ben il suo prezzo! E poi vendo i libri al 25% di sconto, così i librai smetteranno di far sconti al pubblico! E per finire, regola base: qua le palanche, ecco il libro”. Che tempi!
Mario Luzi-Un viaggio terrestre e celeste. Con un’appendice di scritti dispersi-
A cura di: Baioni Paola, Savio Davide-Edizioni di Storia e Letteratura – Roma
A cent’anni dalla nascita di Mario Luzi, il volume curato da Paola Baioni e Davide Savio ricorda la figura del grande poeta raccogliendo una serie di interventi che ne indagano l’eredità, tuttora viva e operante sulla letteratura italiana. È soprattutto l’ultima stagione dell’opera luziana, quella “paradisiaca”, a porsi come centro dell’attenzione: sotto l’insegna di Frasi nella luce nascente, Luzi ha sviluppato un coerente percorso di ricerca, che mirava ad approssimare i «fondamenti invisibili» dell’esistenza, secondo i modi dell’interrogazione e della lode a Dio. Pur consapevole della finitudine del linguaggio, Luzi ha intessuto un discorso frammentario ma aperto alle manifestazioni dell’essere, tale da trasformare la poesia in epifania, l’enigma in kerigma. Oltre a ospitare i contributi dei maggiori studiosi di Luzi, il volume è impreziosito da sette scritti dispersi, taluni inediti, reperiti da Stefano Verdino, e dalla riproduzione di alcune carte del taccuino che ospita i lacerti embrionali di un’opera epocale, Nel magma, esaminati da Daniele Piccini. È presente inoltre una sezione di Testimonianze, dove i poeti stessi raccontano Luzi: Milo De Angelis, Franco Loi, Guido Oldani, Silvio Ramat, Davide Rondoni e Cesare Viviani recano un tributo di amicizia e di riconoscenza all’uomo e al maestro, faro insostituibile nelle acque agitate del Novecento.
Edizioni di Storia e Letteratura
via delle Fornaci, 38
00165 Roma
tel. 06.39.67.03.07
Edizioni di Storia e Letteratura
Fondate da don Giuseppe De Luca, le Edizioni di Storia e Letteratura diedero alle stampe il loro primo volume nel 1943. In un periodo tragico della storia italiana, durante il quale era però anche giunta a maturazione l’esigenza di un profondo rinnovamento culturale, De Luca intendeva tener «alta l’indagine storica e letteraria, e risollevare erudizione e filologia», convinto che solo l’attenta ricognizione di tutte le testimonianze e il rigoroso accertamento dei fatti avrebbero potuto promuovere una corretta valutazione del patrimonio sia di ambito civile sia di ambito religioso. Da qui il carattere distintivo delle Edizioni, con un catalogo imperniato sulle scienze umanistiche dove da sempre convive con la voce e la scrittura dei ‘maestri’ la ricerca dei giovani studiosi, a cominciare da Lo scrittoio del Petrarca di Giuseppe Billanovich.
Rilevate negli anni Novanta del secolo scorso da Federico Codignola, le Edizioni di Storia e Letteratura hanno tenuta fissa la prua sulla rotta di un’editoria che si sostanzia di ricerche di valore e rigorosa attenzione al libro, portando la barca con i dolia – il simbolo della casa editrice – a navigare sicura nelle acque per certi versi ignote del nuovo millennio. Il catalogo mantenuto sempre vivo, ben oltre i termini usuali nello scenario editoriale odierno, spazia dalla filologia classica e umanistica alla storia medievale, moderna e contemporanea, dalle scienze documentarie alla filosofia, dalla storia delle religioni alle letterature europee; si distingue per l’attenzione alla memorialistica, per le nutrite collane di carteggi – da Croce e Palazzeschi a Prezzolini, Sturzo e Ungaretti – e per le edizioni nazionali di pregio – Svevo, Tozzi, Verri, Vico, Marino.
La tradizione esemplificata nei nomi degli autori presenti nella collana maggiore – Billanovich, Campana, De Sanctis, Dionisotti, Kristeller, Momigliano tra gli altri – e dalle collane di ampio respiro create da De Luca – Letture di Pensiero e d’Arte, Sussidi eruditi, Temi e testi – si rinnova nei progetti degli ultimi anni avviati con la collaborazione di prestigiose istituzioni culturali, ma anche come contributo indipendente ad un’auspicabilmente viva editoria di cultura. Così, a completare un percorso, sono nate la collana di filologia e letteratura greca Pleiadi e la riproposizione della celebre serie dei Papiri Greci e Latini; a colmare una lacuna è sorta Biblioteca del XVIII secolo. Alle tradizionali collane in anastatica della casa editrice si sono affiancate le Edizioni Gobettiane che ripropongono al lettore contemporaneo l’intero ‘catalogo’ dell’intellettuale-editore torinese. Per un pubblico più ampio, invece, Civitas raccoglie testi brevi e pregnanti corredati da nuove introduzioni. Bites inaugura un nuovo percorso che ambisce a portare rigore filologico ed edizioni critiche nel campo dell’open access e dell’editoria digitale.
Infine, in anni recentissimi argomenti ha aperto la casa editrice alla ‘varia’ con una collana orientata in primis alla storia del pensiero e alla memorialistica, mentre Ricerca filosofica si propone come il contenitore che mancava per la filosofia contemporanea.
Nasce nel 2023, in concomitanza con l’ottantesimo anniversario delle Edizioni di Storia e Letteratura (1943-2023), Il tempo ritrovato. Destinata ad un pubblico ampio e non specialista, per la prima volta dalla fondazione, la collana apre le porte ad opere di narrativa mai pubblicate in Italia. Accoglie anche saggistica e recuperi dal catalogo storico, in una nuova veste grafica. Non si configura come una serie tematica, ma come un cantiere aperto che restituisce al lettore un nuovo tempo, autentico e non misurabile: il tempo della coscienza e della riflessione. Le Edizioni di Storia e Letteratura continuano così la loro navigazione spinte dallo stesso spirito di libertà, alieno ad ogni preclusione ideologica e culturale.
Aaron Edward Hotchner -Papà Hemingway. Racconti personali
– Pgreco editore-
Sinossi-“Aaron Edward Hotchner non è solo autore di Papà Hemingway, la più accreditata biografia dell’autore americano, ma è stato anche tra i suoi più cari amici.” Susanna Nirenstein, “la Repubblica”
Nel 1948 Aaron Edward Hotchner va all’Avana per chiedere a Ernest Hemingway di scrivere un articolo per la rivista “Cosmopolitan”. L’articolo non si materializza, ma da quel primo incontro fino alla morte di Hemingway, nel 1961, Hotchner e l’autore vincitore del premio Nobel sviluppano una profonda e duratura amicizia. Fanno baldoria a New York e a Roma, corrono con i tori a Pamplona, cacciano in Idaho e pescano nelle acque di Cuba. Ogni volta che si incontrano, Hemingway parla di una sorprendente varietà di argomenti, dall’arte del daiquiri perfetto alla Parigi degli anni ’20 fino alla sua infanzia a Oak Park, Illinois. E, fortunatamente, Hotchner prende nota di tutto. In questo libro, dunque, egli ci racconta dettagli affascinanti sulla vita quotidiana di Hemingway e documenta i suoi ricordi di Gertrude Stein, Francis Scott Fitzgerald, Martha Gellhorn, Marlene Dietrich e molti dei più importanti artisti e delle celebrità del Ventesimo secolo. Negli ultimi anni, quando la cattiva salute dello scrittore comincia a influenzare il suo lavoro, Hotchner ritrae teneramente e onestamente i valorosi tentativi di Hemingway di sconfiggere la depressione che lo porterà a togliersi la vita. Profondamente compassionevole e molto divertente, questa biografia “fa vivere Hemingway come nessun’altra”.
Aaron Edward Hotchner (1917-2020) è stato un editore, romanziere, drammaturgo e biografo statunitense. Ha scritto molte sceneggiature televisive, oltre alle note biografie di Doris Day ed Ernest Hemingway.
Pgreco editore–Marchio editoriale distribuito da:
MIM Edizioni Srl
Piazza Don Enrico Mapelli 75
20099 Sesto San Giovanni (MI)
Telefono (+39) 02 24861657
E-mail info@mimesisedizioni.it
Breve biografia di Ernest Hemingway ,Scrittore statunitense (n. Oak Park, Illinois, 1899 – m. Sun Valley, Idaho, 1961). Romanziere tra i più celebri del Novecento, tema ricorrente di tutta la sua opera è la sfida alla morte, carattere distintivo anche di un percorso di vita singolare, conclusosi con il suicidio. In posizione polemica contro ogni abbandono emotivo, con i suoi laconici dialoghi e il tono verbale sempre un po’ al disotto della situazione, volontariamente implicante più di quanto dice (understatement), H. inaugurò quella narrativa sconcertante (hard–boiled) che ha avuto tanti seguaci e imitatori. Autore del più importante romanzo sulla prima guerra mondiale, A farewell to arms (1929), tra le sue opere principali occorre citare anche For whom the bell tolls (1940) e The old man and the sea (1952), vincitore del premio Nobel per la letteratura nel 1954.
Vita e opere
Figlio di un medico, iniziò, non ancora ventenne, a collaborare con un giornale di Kansas City. Durante la prima guerra mondiale combatté sul fronte italiano e rimase ferito, guadagnandosi la medaglia d’argento al valor militare. Fu a Parigi (1921-26) col gruppo degli espatriati americani e subì l’influenza dello stile di G. Stein (Three stories and ten poems, 1923; In our time, 1925); i ricordi del soggiorno francese sono stati pubblicati postumi in A moveable feast (1964). I primi libri che inaugurarono quel dialogo laconico e quel tono verbale sempre un poco al di sotto della situazione, implicante più di quanto dice (understatement), e quel conseguente carattere sconcertante della narrativa (cosiddetta hard- boiled), che in lui nascevano da una polemica contro ogni abbandono emotivo, furono The sun also rises (1926) e A farewell to arms (1929). Con Death in the afternoon (1932), e Green hills of Africa (1935) diede incremento a tutta la contemporanea narrativa anglosassone di reportage. Al centro del suo mondo interiore sta l’esigenza di una norma individuale, di un personale codice d’azione come unico valore riconosciuto. Così anche nelle sue novelle, raccolte insieme con una commedia (The fifth column and the first forty-nine stories, 1938). Al principio di monotonia che tale situazione interiore sembra determinare non si sottraggono neanche, nonostante maggiori contatti umani, i personaggi delle opere successive: To have and have not (1937), For whom the bell tolls (1940). Sono anche da ricordare: The torrents of spring (1926), Across the river and into the trees (1950), e uno dei suoi più felici racconti: The old man and the sea (1952).
Descrizione del libro di Michela Monferrini-Dalla parte di Alba-Un’anziana scrittrice riceve nel suo appartamento parigino una studentessa di Lettere e nel dialogo con lei riaccende le stanze dell’infanzia, le avventure della giovinezza, le pagine della maturità. Figlia di un diplomatico cubano e di un’ammirata donna della borghesia romana, Alba de Céspedes ha trascorso una vita in bilico tra continenti e rivoluzioni, all’inseguimento dei suoi genitori, alla ricerca dei suoi personaggi, alla conquista di una stanza tutta per sé per dedicarsi a ciò a cui si sentiva destinata fin da bambina: scrivere, scrivere, scrivere. Carica di storia ― il nonno, poeta e combattente, è stato il primo presidente in armi di Cuba ― ha attraversato il Novecento in prima persona, prestando la voce alla Resistenza e il cuore a uomini che non potevano capirla fino in fondo. Intrecciati a zie e maggiordomi, amanti e conoscenti, amici e cartomanti, fanno la loro comparsa tra le righe Natalia Ginzburg e Simone de Beauvoir, Thomas Mann e Fidel Castro, Benedetto Croce e Italo Calvino, ma soprattutto le ombre letterarie dei suoi personaggi femminili. Alba de Céspedes diventa qui a sua volta protagonista di un romanzo che è anche una riflessione sul senso della scrittura come eredità di una vita.
Michela Monferrini (Roma, 1986)è autrice di due guide letterarie dedicate alla Napoli di Raffaele La Capria (Conosco un altro mare, Perrone 2012) e al Portogallo di Antonio Tabucchi (Cercando Tabucchi, Postcart 2016), e del ritratto Grazia Cherchi (Ali&No, 2015). Ha pubblicato il romanzo Chiamami anche se è notte (Mondadori 2014, finalista Calvino 2012 e Zocca 2015) e, per ragazzi: L’altra notte ha tremato Google Maps (Rrose Sélavy 2016, Premio Simpatia per l’impegno nel sociale 2017 e finalista Gigante delle Langhe 2018) e Charlotte Brontë, tre di sei (rueBallu, 2018). Il suo ultimo libro è Muri maestri (La nave di Teseo, 2018). È stata finalista al Premio Subway Poesia 2005 e Campiello Giovani 2008. Ha curato la biografia del critico Walter Mauro, La letteratura è un cortile (Perrone, 2011) e la miscellanea di scritti su Antonio Debenedetti Quasi un racconto (Edilet, 2009). Autrice della guida letteraria Conosco un altro mare. La Napoli e il Golfo di Raffaele La Capria (Perrone 2012), il suo romanzo d’esordio è uscito per Mondadori nel 2014: Chiamami anche se è notte, finalista Premio Calvino 2012 e finalista Premio Zocca Giovani 2015.
Il Castello di Boccea- Articolo e Fotoreportage di Franco Leggeri-Roma Municipio XIV-Il Castello sorge sul “fundus Bucciea” che domina la valle del fiume Arrone e il fondo denominato anticamente “Ad Nimphas Catabasi”, sito al decimo miglio dell’antica via Cornelia,(domina il ristorante i SALICI sito sulla via Boccea). Si accede da una via sterrata all’interno della campagna e, come d’incanto, si vedono i resti del vecchio castello, luogo dove albergano le fiabe e ciò che rimane di una architettura delle allucinazioni per chi ha voglia di emozioni, le grandi emozioni, con un percorso iniziatico alla fantasia. Della vecchia costruzione , oltre ai cunicoli e gallerie, è visibile il Torrione, costruito in pietra selce e mattoni con rinforzi di possenti barbacani, necessari per contenere ed arginare il progressivo cedimento del banco tufaceo che costituisce la base naturale del fabbricato. Il Castello domina i boschi dove, nel 260 d.C. furono martirizzate S.s. Rufina e Seconda, mentre nelle vicinanze, al XIII miglio della stessa via Cornelia, nel 270 d.C. sotto l’Imperatore Claudio il Gotico, subirono il martirio Mario e Marta con i figli Audiface ed Abachum, famiglia nobile di origine persiana, come si legge nel Martirologio Romano”Via Cornelia melario terbio decimo ad urbe Roma in coementerio ad Nimphas, sanctorum Marii, Marthae, Audifacis et Abaci, martyrum”. Le prime tracce cartacee documentali del Castello si trovano nella bolla di Papa Leone IV, conservata negli archivi vaticani,tomo I pag. 16, con la quale si conferma la donazione al monastero di San Martino del “fundus Buccia” e delle chiese dei Santi Martiri Mario e Marta. Il Papa Adriano IV nel 1158 confermò alla basilica vaticana il Castello e i fondi di Atticiano, Colle e Paolo. In un antico atto conservato in Vaticano, al fascicolo 142,si legge che nel 1166 Stefano, Cencio e Pietro, fratelli germani e figli del fu Pietro di Cencio, cedettero a Tebaldo, altro fratello, la loro porzione del Castello di “Buccega”. Sempre dal medesimo archivio si apprende che Giacomo, Oddo, Francesco e Giovanni di Obicione, Senatori di Roma nell’anno 58 ( 1201), stabilivano che la basilica di San Pietro possedesse e godesse tutti i beni e gli abitanti del Castello di Buccia fossero sotto la protezione del Senato. Si stabilì che anche i canonici del Castello usufruissero dei privilegi e consuetudini accordati ai loro vicini, cioè come l’esercitavano nei loro castelli i figli di Stefano Normanno, Guido di Galeria e Giacomo di Tragliata (Vitale, “Storia diplomatica dei Senatori di Roma”, pag. 74 ). Da una bolla di Gregorio IX del 1240 si ha notizia di un incendio che distrusse il Castello e che il Pontefice ordinò di prelevare il denaro necessario alla ricostruzione direttamente dal tesoro della Basilica Vaticana (Bolla vaticana Tomo I, pag.124).In un lodo del 1270,che tratta di una lite di confini della tenuta,si menziona tra i testimoni Carbone,Visconte del Castello di Boccea. Il Castello subì nel 1341 l’attacco di Giacomo de’ Savelli, figlio di Pandolfo che, dopo averlo preso, scacciò gli abitanti e lo incendiò. Papa Benedetto XII, che era ad Avignone, scrisse al Rettore del patrimonio di San Pietro di”costringere quel prepotente a risarcire il danno”. Dopo il saccheggio da parte del Savelli il luogo rimase deserto secondo il Nibby mentre il Tomassetti, nella sua opera (pag.153) ci descrive il castello e la tenuta ancora abitato da una popolazione di 600 anime, cifra ricavata dalle quote sulla tassa del sale dell’anno 1480/81, durante il papato di Sisto IV. Della trasformazione da Castello a Casale di Boccea, moderna denominazione, si trova traccia nel Catasto Alessandrino del 1661,dove la costruzione viene indicata come “Casale con Torre”. Va ricordato che da 20 ettari di uliveto di Boccea si produceva l’olio destinato ai lumi della Basilica Vaticana, come si può desumere dalla cartografia seicentesca di G.B.Cingolani dove si legge”seguita a destra il procoio pure detto delle Vacche Rosse del Venerabile Capitolo di San Pietro, chiamato Buccea, olium Buxetum”. Attualmente il Casale di Boccea è in ristrutturazione con destinazione turistico-alberghiera, con un grande ristorante nel quale troneggia un imponente camino seicentesco in pietra. Altre tracce del passato sono i vari stemmi papali inseriti nei muri ed un frantoio manuale di recente ritrovamento, del tutto simile a quelli del Castello della Porcareccia e di Santa Maria di Galeria.
Descrizione del libro di Elli Stern -IL SUONO ROSSO-Ambientato tra Praga e la campagna toscana, Il suono rosso racconta l’incontro denso di conseguenze tra Daniel Wien, un giovane violoncellista in crisi, e il celebre maestro Aron Feuerlicht, sparito dai palcoscenici internazionali dopo essere sopravvissuto alla Shoah suonando nell’orchestra di Auschwitz. Sullo sfondo un’avvincente storia d’amore, alcune memorabili lezioni di musica, l’irresistibile mondo dell’opera e il sorprendente potere del passaggio della memoria tra le generazioni.
Un racconto sconvolgente: la memoria, la riscoperta del passato. Elli Stern, scrittrice e traduttrice, unisce la verve narrativa all’ambientazione musicale: il suo romanzo Il suono rosso offre uno spaccato sul mondo musicale passato e presente, fra drammi storici e vicende personali, culminando in una rievocazione del destino dei musicisti nei campi di concentramento nazisti che non può lasciare indifferenti.
Elli Stern.Nata in Israele nel 1973, alla tenera età di tre mesi mi sono trasferita a Milano, crescendo felicemente all’ombra del Teatro alla Scala.Dopo gli studi di filosofia alla Statale, dove mi sono laureata in filosofia teoretica con una tesi sul Demoniaco nei Contes d’Hoffmann di Jacques Offenbach, sono andata a Berlino per imparare il tedesco, la lingua segreta che i miei genitori parlavano quando non volevano che li capissi.A Berlino ho trascorso un lungo periodo di formazione alla Staatsoper, scrivendo testi per i programmi di sala e collaborando alle produzioni come coach di italiano e volenterosa assistente degli assistenti alla regia.Ho poi diretto per dieci anni l’ufficio stampa ed edizioni di Ferrara Musica avendo spesso occasione di collaborare con Claudio Abbado, sotto la cui supervisione ho creato, insieme ad Alberica Archinto, un video per Euroarts dedicato al Pelleas und Melisande di Schönberg.Da molti anni lavoro come traduttrice dall’inglese, dal francese e dal tedesco, collaborando in particolare con il Saggiatore alla traduzione di testi di argomento musicale, tra cui l’epistolario della famiglia Mozart.Nel 2021 le edizioni Zecchini hanno pubblicato il mio primo romanzo, Il suono rosso.Vivo a Londra insieme al compositore Nimrod Borenstein e a nostra figlia Alma.
Zecchini Editore
Via Tonale 60, 21100 Varese (Italy)
Telefono:
+39 0332 331041
Fax:
+39 0332 331013
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