ROMA-Artemisia Gentileschi un mito del Seicento a Palazzo Braschi fino al 7 maggio 2017.
Biblioteca DEA SABINA
ROMA-Artemisia Gentileschi un mito del Seicento a Palazzo Braschi fino al 7 maggio 2017.
Roma- 23 aprile 2017-Le sale di Palazzo Braschi ospitano Artermisia Gentileschi fino al 7 maggio 2017 una nuova rassegna dedicata alla vicenda artistica e umana di Artermisia Gentileschi.Dopo la prima mostra del 1991 a Firenze, quella romana del 2001 condivisa con il padre Orazio e quella strettamente monografica a Milano dieci anni dopo, le sale di Palazzo Braschi ospitano fino al 7 maggio 2017 una nuova rassegna dedicata alla vicenda artistica e umana di Artermisia Gentileschi, pittrice dal talento smisurato e grande protagonista del suo tempo, troppo spesso legata ai drammi personali e all’errata immagine di caravaggista tout court. Nota al grande pubblico per le tumultuose vicissitudini private, che non le hanno risparmiato dettagli morbosi su un processo pubblico per stupro, la figura artistica di Artemisia venne letta in chiave femminista raggiungendo una certa fama letteraria prima grazie al romanzo di Anna Banti pubblicato nel dopoguerra e in seguito negli anni settanta del Novecento.
Nata a Roma nel 1593, primogenita del pittore toscano Orazio Gentileschi, la giovane pittrice manifesta una forte attitudine all’arte presso la bottega paterna dimostrando maggior talento rispetto ai fratelli. Qui avverrà il suo apprendistato artistico, imparando il disegno, il modo di impastare i colori e di dare la giusta luce ai dipinti. Il primo è la Susanna e i vecchioni (1610) di Pommersfelden, una sontuosa prova naturalistica in chiaro riferimento al realismo del Caravaggio e non indifferente al linguaggio della scuola bologhese. E’ evidente che a Roma ebbe l’opportunità di crescere in una fucina di talenti: Caravaggio che all’epoca lavorava nella Basilica di Santa Maria del Popolo e nella Chiesa di San Luigi dei Francesi, ma anche Guido Reni, Domenichino e i Carracci che terminavano gli affreschi della Galleria Farnese.
Dopo il processo per strupro, intentato dal padre Orazio contro Agostino Tassi, artista a cui Artemisia è molto affezionata, la pittrice appena maggiorenne va in sposa a Stiattesi, lasciando Roma per Firenze. Il lascito fiorentino sarà una serie di immagini tutta al femminile, tra Maddalene, Danae, Cleopatre, Giuditte e diverse suonatrici. E in seguito alla parentesi veneziana documentata tra il 1627 e il 1629-30, Artemisia è finalmente a Napoli, forse per effetto del legame con il nuovo vicerè Fernando Afàm de Ribera, dove muore nel 1653.
Per quanto dipingere rappresentasse una scelta non comune e piuttosto difficile per una donna all’inizio del XVII secolo, Artemisia non fu caso isolato. Prima di lei, tra la fine del ‘500 e l’inizio del ‘600, altre donne pittrici esercitarono, anche con buon successo, la loro attività. Tra queste Sofonisba Anguissola, chiamata in Spagna da Filippo II; Lavinia Fontana, che si recò a Roma su invito di papa Clemente VIII; Fede Galizia che dipinse magnifiche nature morte e una bella Giuditta con la testa di Oloferne e Lucrina Fetti insieme ad altre pittrici, più o meno note. Eppure, nonostante la forza espressiva del suo linguaggio pittorico, una tecnica declinata secondo le esigenze dei diversi committenti e una gamma di generi pittorici che dovette essere molto più ampia di quanto possiamo immaginare oggi, Artemisia ha dovuto aspettare oltre tre secoli per vedere riconosciuto dai posteri il suo status di Artista.
La mostra a Palazzo Braschi, nata da un’idea di Nicola Spinosa, ha il merito di offrire al pubblico una panoramica della parabola artistica e umana di Artemisia Gentileschi ben lontana dai pregiudizi che hanno limitato la giusta lettura della sua carriera. Con un corpus di 100 capolavori, frutto di prestigiosi prestiti italiani e internazionali, le opere di Artemisia dialogheranno in un serrato confronto con i suoi più grandi colleghi frequentati a Roma, Firenze, ancora Roma e infine a Napoli. Non a caso le sezioni che compongono il percorso espositivo sono connesse con le città in cui la pittrice fu attiva, a ripercorrere i periodi più salienti della sua esperienza: curata da Spinosa è la sezione napoletana, da Francesca Baldassari la sezione fiorentina, e da Judith Mann la sezione romana. Accanto a opere quali la Giuditta che taglia la testa a Oloferne del Museo di Capodimonte, Ester e Assuero del Metropolitan Museum di New York, l’Autoritratto come suonatrice di liuto del Wadsworth Atheneum di Hartford Connecticut, la mostra presenta quadri di Guido Cagnacci, Simon Vouet, Giovanni Baglione, fonte di vera ispirazione per la pittrice, ma anche la Giuditta di Cristofano Allori della Galleria Palatina di Palazzo Pitti a Firenze o la Lucrezia di Simon Vouet a completare il percorso.
Palazzo Braschi
Situato nel cuore rinascimentale di Roma, tra Piazza Navona e Corso Vittorio Emanuele II, palazzo Braschi viene progettato dall’architetto imolese Cosimo Morelli (1732-1812) per incarico di Papa Pio VI (1775 – 1799) che vuol farne dono al nipote, Luigi Braschi Onesti.
Alla realizzazione dell’edificio si fa fronte con le ricchezze che il Pontefice fa affluire nelle casse del nipote Luigi, grazie all’attribuzione spregiudicata di numerosi privilegi. Palazzo Braschi rappresenta dunque una delle ultime testimonianze di nepotismo pontificio prima delle trasformazioni politiche e culturali indotte dalla Rivoluzione francese.
La costruzione del nuovo edificio inizia nel 1792 sulla stessa area del quattrocentesco palazzo Orsini, fatto demolire l’anno precedente. I lavori si interrompono per l’occupazione francese del 1798 (durante la quale papa Pio VI muore in esilio) e riprendono nel 1802. Già nel 1804 lo scalone monumentale è ultimato e forse anche la cappella del primo piano, attribuita a Giuseppe Valadier (1762-1839).
I problemi economici del duca Luigi Braschi Onesti non permettono di completare le decorazioni del palazzo che alla sua morte, nel 1816, rimangono parzialmente incompiute.
Nel 1871, gli eredi Braschi vendono il palazzo allo Stato Italiano, che lo utilizza inizialmente come sede del Ministero dell’Interno e, successivamente, come sede di varie istituzioni fasciste. Dopo la guerra (fino al 1949) vi alloggiano trecento famiglie di senzatetto e l’uso abituale di fuochi interni arreca gravi danni agli affreschi e ai pavimenti. Il palazzo viene anche fatto oggetto di numerose demolizioni e ruberie.
Dal 1952 è sede del Museo di Roma ma soltanto nel 1990 la proprietà del palazzo passa all’Amministrazione capitolina. Chiuso per inagibilità nel 1987, l’edificio viene sottoposto a complessi e ingenti lavori di ristrutturazione e restauro. Riapre al pubblico nel 2002, benché il recupero interno dei piani superiori non sia ancora ultimato. Nel 2017 si inaugura il nuovo allestimento, concepito come un itinerario tematico attraverso le sale del secondo e terzo piano. Il primo piano del museo è invece destinato a ospitare le mostre temporanee.
Info:
Artemisia Gentileschi e il suo tempo
Museo di Roma Palazzo Braschi
Ingresso da Piazza Navona, 2 e da Piazza San Pantaleo, 10
T. +39 06 0608 (tutti i giorni ore 9 – 21)
www.museodiroma.it; www.museiincomuneroma.it;
www.arthemisia.it
Articolo del Dott. Simone Di Dato
Simone Di Dato nasce a Napoli il 19/05/1989, grande appassionato di archeologia e di arte, dopo aver conseguito la maturità classica si iscrive alla facoltà di Storia dell’arte presso l’Università Federico II di Napoli.