Roberto Guidotti-Dostoevskij, l’uomo del sottosuolo e quelle lucide memorie-Biblioteca DEA SABINA
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Roberto Guidotti-Dostoevskij, l’uomo del sottosuolo e quelle lucide memorie-
Dostoevskij scrisse 160 anni fa una delle opere più significative della sua produzione letteraria. Si tratta di Memorie dal sottosuolo libro fuori dai canoni tipici del romanzo ottocentesco, ma che anticipa in maniera chiara il ciclo dei grandi capolavori che si concluderà con I Fratelli Karamazov.
Le memorie è un romanzo centrale nel pensiero dello scrittore russo, anche se è sempre sbagliato considerare l’opera di Dostoevskij un sistema organico di idee e filosofia. Anzi Dostoevskij non era un filosofo né uno psicologo, sebbene le sue intuizioni siano notevoli e anticipano di molto il pensiero introspettivo e psicologico che sarà ripreso abbondantemente nella letteratura novecentesca.
Con Le memorie Dostoevskij scende a fondo nell’animo umano rilevando l’abiezione, il male, la cattiveria, l’invidia e altre propensioni negative dell’essere umano. Il protagonista è un uomo che si definisce nell’incipit del romanzo “malato, malvagio, odioso”. Un individuo di quarant’anni che si vede già vecchio e oramai estraneo, isolato e rigettato dalla società. Società che lui disprezza e nella quale non desidera rientrare in nessun modo. Verso la società l’uomo del sottosuolo mostra un senso di superiorità e nello stesso tempo la paura che da questa venga considerato un reietto. Cosa per la quale a volte prova anche un certo compiacimento.
Nella prima parte del romanzo definita Il sottosuolo il narratore si presenta ai lettori, pienamente consapevole che chi legge non può che schifarlo come lui teme o come si augura che avvenga. Nella seconda parte A proposito della neve fradicia il protagonista va infilarsi in un ritrovo di ex suoi compagni di scuola dove viene snobbato, deriso e umiliato, cosa peraltro frequente nei personaggi dello scrittore russo. L’episodio finale vede l’uomo del sottosuolo recarsi in un casa di tolleranza dove a sua volta per vendicarsi della mortificazione ricevuta, beffeggia e umilia la giovane prostituta Lisa, convincendola ad abbandonare la sua degradata professione. La invita a casa sua cosa che avviene qualche giorno dopo. Alla sua venuta l’uomo ha reazioni di rabbia, tenerezza, pianto, odio; un’indecisione nevrotica che si evince anche nel dialogo e nell’atteggiamento nei riguardi della giovane. Prima la caccia e poi va fuori per cercarla pentito del suo trattamento. Non la troverà e il racconto si chiude con un messaggio ai lettori che possono continuare, eventualmente, a considerarlo un essere spregevole anche se c’è un tentativo di giustificarsi che nello stesso tempo non è una giustificazione e non lascia speranza. Il libro si chiude con questo assunto: tutti gli uomini che nascono si vergognano persino di essere uomini perché nasciamo “uomini già morti”.
Annullando le convenzioni borghesi, che vogliono l’uomo deviato o condizionato dalla società, come Anna Karenina che si toglie la vita perché rifiutata dal suo mondo, il protagonista del nostro romanzo si mostra nudo nell’intimità dei suoi sentimenti che questa volta da “sotto” emergono in superficie come sono realmente, a prescindere dagli altri e da quello che pottebbero pensare. Dostoevskij anticipa in maniera lucida e sorprendente quello che Freud avrebbe scoperto decenni dopo con la teoria dell’inconscio. Il sottosuolo è la sede del male afferma Dostoevskij, un vecchio mostro inconoscibile che verrà inquadrato dagli studiosi in strutture psicologiche rigorosamente articolate. Ma non solo, Dostoevskij fa dire al suo alter ego che “due più due non fa quattro”. L’uomo del sottosuolo non si aspetta un’umanità migliore nonostante il positivismo, la rivoluzione industriale, il progresso scientifico. Non ha nessuna fiducia in un nuovo umanesimo. E la neve non è sempre bianca e pulita ma spesso sporca e fradicia anche metaforicamente, moralmente e spiritualmente. Il motivo è quell’io o per meglio dire quell’ego, che può rivelarsi o essere nel profondo della sua essenza malvagio, anche se l’umanità si trasforma e sembra progredire socialmente. Un’anticipazione, una visione futura o una profezia – e nel caso di Dostoevskij il termine può essere pertinente – che presuppone l’impossibilità dell’uomo di evolversi come “uomo nuovo” e buono soltanto perché la società con le sue componenti più all’avanguardia preme per quella direzione, come immaginava l’intellighenzia progressista russa di quegli anni. Il manifesto di tale ideologia era semplificata dal libro Che fare? di Nicolay Cernyswsekj che auspicava una società in cui la bontà, l’amicizia e l’altruismo e naturalmente l’uguaglianza, alla fine avrebbe prevalso un giorno tra gli uomini, partendo proprio dalla culla originaria, la Russia stessa. Lo stesso Lenin che utilizzava la locuzione Che fare? diede il via a quel tentativo che non portò realmente a una nuova era d’oro per l’umanità.
Anzi, la storia avrebbe proprio dimostrato che l’epopea dell’uomo è in fondo una catastrofe continua che prescinde l’organizzazione politica, religiosa o morale della società stessa. L’uomo rimane – se non sempre come affermava il protagonista del romanzo- spesso indisponete verso gli altri, mediocre e cattivo, giusto per usare alcuni epiteti che l’uomo del sottosuolo rivolge a se stesso.
Certo la conclusione o il messaggio estrinseco del protagonista non è una verità assoluta visto che sensibilità, amore, generosità, compassione, pietà sono caratteristiche anche presenti nell’animo o coscienza dell’uomo. Lo stesso Dostoevskij fu protagonista nel corso della sua vita di slanci di generosità o di bene verso il prossimo che rasentavano l’esaltazione e l’eccesso.
Quello che risalta e viene trascurato nell’analisi del suddetto romanzo è che Dostoevskij grande e attento lettore del Vangelo e ammiratore – a dir poco – della figura di Cristo, parafrasò quello che diceva Gesù stesso, ovvero che dal cuore vengono “propositi malvagi, gli omicidi, gli adultèri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze” e altro ancora ( Mt 15,19). E’questo il vero problema del male, evidenziato anche “dai grandi peccatori” che fanno capolino praticamente in tutti i romanzi e i racconti.
Nei grandi romanzi che seguiranno – escludendo la pubblicistica – Dostoevskij continuerà a rigettare le teorie, le ideologie o i propositi di cambiare il mondo in meglio da parte di uomini o di classi di uomini. In Delitto e castigo, I demoni, L’idiota e i Karamazov comparirà sottolineata, celata o traslata la figura di Cristo come vero e unico faro di luce e verità. Per lo scrittore russo sarà una specie di riferimento costante e un conforto all’interno di una vita vissuta tra soddisfazioni, successi ma spesso costellata da difficoltà, dilemmi, atroci dubbi, paure e tragedie.
Roberto Guidotti