Poesie scelte: Vincenzo Cardarelli , Poesie (Milano, Mondadori 1942)-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Poesie scelte: Vincenzo Cardarelli , Poesie (Milano, Mondadori 1942)-
Vincenzo Cardarelli-Scrittore (Tarquinia 1887 – Roma 1959), il cui vero nome era Nazareno Caldarelli. Nel 1919 fondò con altri la rivista La Ronda; collaboratore di numerosi giornali e periodici, dal 1949 diresse La Fiera Letteraria. Un autobiografismo tutto interiore e allusivo, un impressionismo e immaginismo che tendono a trasporsi in figurazioni di stagioni e paesi, trovano espressione nei toni pacatamente lirici delle sue prose di evocazione e di viaggio. Mentre nelle poesie il suo ideale di restaurazione classica, di un “ritorno a Leopardi” (propugnato in parecchi scritti polemici, e nella stessa linea direttiva della Ronda), mal si concilia con il fondo sensuale, ancora vagamente dannunziano, della sua ispirazione. Opere: Prologhi, 1916; Viaggi nel tempo, 1920; Favole e memorie, 1925; Il sole a picco, 1929; Parole all’orecchio, 1929; Parliamo dell’Italia, 1931; Giorni in piena, 1934; Poesie, 1936 (ed. definitiva 1942); Il cielo sulle città, 1939; Lettere non spedite, 1946; Poesie nuove, 1947; Solitario in Arcadia, 1948; Villa Tarantola, 1948; Il viaggiatore insocievole, 1953; Viaggio di un poeta in Russia, 1954. Postume: Opere complete, a cura di G. Raimondi, 1962, e La poltrona vuota, a cura di G. A. Cibotto e B. Blasi, 1969, raccolta dei suoi articoli e cronache teatrali dal 1910 al 1936. © Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani –
Arpeggi
Viviamo d’un fremito d’aria,
d’un filo di luce,
dei più vaghi e fuggevoli
moti del tempo,
di albe furtive,
di amori nascenti,
di sguardi inattesi.
E per esprimere quel che sentiamo
c’è una parola sola:
disperazione.
Dolce, infinita, profonda parola.
Vaga e triste è degli uomini la sorte:
degli uomini che passano
con non maggior fragore d’una foglia
che si tramuta in terra.
Precario stato il loro.
La morte è uno sciogliersi,
non un finire,
e senza tempo, senza memoria
il terrestre viaggio.
Il sole è stanco di contemplare
una tanto monotona vicenda.
Così parlava un monaco
neghittoso e bizzarro,
là, nell’antico Oriente:
piccolo uomo assediato
da immani fantasmi.
Illusa gioventù
O gioventù, innocenza, illusioni,
tempo senza peccato, secol d’oro!
Poi che trascorsi siete
si costuma rimpiangervi
quale un perduto bene.
Io so che foste un male.
So che non foco, ma ghiaccio eravate,
o mie candide fedi giovanili,
sotto il cui manto vissi
come un tronco sepolto nella neve:
tronco verde, muscoso,
ricco di linfa e sterile.
Ora che, esausto e roso,
sciolto da voi percorsi in un baleno
le mie fiorenti stagioni
e sparso a terra vedo
il poco frutto che han dato,
ora che la mia sorte ho conosciuta,
qual essa sia non chiedo. Così rapida
fugge la vita che ogni sorte è buona
per tanto breve giornata.
Solo di voi mi dolgo, primi inganni.
Scherzo
Il bosco di primavera
ha un’anima, una voce.
È il canto del cuccù,
pieno d’aria,
che pare soffiato in un flauto.
Dietro il richiamo lieve,
più che l’eco ingannevole,
noi ce ne andiamo illusi.
Il castagno è verde tenero.
Sono stillanti persino
le antiche ginestre.
Attorno ai tronchi ombrosi,
fra giochi di sole,
danzano le amadriadi.
Calendario
L’autunno romano tempesta
con furia senile.
E’ Giove che si cruccia
di non poter risplendere
in tutta la sua gloria,
dio irragionevole e antico.
E tuona con fragore
di mobili in isgombero,
lampeggia con improvvise
accensioni di lampadina,
rinnovando in autunno i suoi capricci
primaverili,
e gli alberi si illudono
di rinverdire.
Nume violento e spossato
che, al dolce tempo restio,
poi che passò l’estate
nel caos ci precipita,
per farci rivedere la sua faccia,
di là da questo diluvio,
insostenibilmente luminosa.
Homo sum
Io pago tutto.
Non c’è peccato
ch’io non abbia finora
debitamente scontato.
Ho un organismo vitale
che vuole, contrariamente
al Diavolo di Goethe,
vuole il Bene e fa il Male.
Pensate quale puntualità
e che liste di conti da saldare.
Ai messi del Signore
l’uscio della mia casa è sempre aperto.
E spesso delle loro intimazioni,
prevenendole,
io stesso senz’attenderli
mi faccio esecutore.
Sì che quand’essi giungono
ritto sull’uscio li fermo
e li rimando dicendo:
Amici, sono anch’io
cursore e complice di Dio.
Che dunque venite a fare
se il debito è già pagato ?
Forse è perciò che una donna cattiva
suole dire celiando
ch’io sono un santo e innanzi di morire
farò miracoli.
Talvolta infatti io mi vedo come uno
di quei poveri santi
che sulle tele delle sacrestie
stanno in adorazione della Vergine,
inutilmente aspettando
un suo sguardo.
Ma vi dico, in verità,
che volentieri darei, se pur l’avessi,
una tanto gloriosa vocazione
per un poco d’allegra umanità.
Sera di Liguria
Lenta e rosata sale su dal mare
la sera di Liguria, perdizione
di cuori amanti e di cose lontane.
Indugiano le coppie nei giardini,
s’accendon le finestre ad una ad una
come tanti teatri.
Sepolto nella bruma il mare odora.
Le chiese sulla riva paion navi
che stanno per salpare.
Autunno veneziano
L’alito freddo e umido m’assale
di Venezia autunnale.
Adesso che l’estate,
sudaticcia e sciroccosa,
d’incanto se n’è andata,
una rigida luna settembrina
risplende, piena di funesti presagi,
sulla città d’acque e di pietre
che rivela il suo volto di medusa
contagiosa e malefica.
Morto è il silenzio dei canali fetidi,
sotto la luna acquosa,
in ciascuno dei quali
par che dorma il cadavere d’Ofelia:
tombe sparse di fiori
marci e d’altre immondizie vegetali,
dove passa sciacquando
il fantasma del gondoliere.
O notti veneziane,
senza canto di galli,
senza voci di fontane,
tetre notti lagunari
cui nessun tenero bisbiglio anima,
case torve, gelose,
a picco sui canali,
dormenti senza respiro,
io v’ho sul cuore adesso più che mai.
Qui non i venti impetuosi e funebri
del settembre montanino,
non odor di vendemmia, non lavacri
di piogge lacrimose,
non fragore di foglie che cadono.
Un ciuffo d’erba che ingiallisce e muore
su un davanzale
è tutto l’autunno veneziano.
Così a Venezia le stagioni delirano.
Pei suoi campi di marmo e i suoi canali
non son che luci smarrite,
luci che sognano la buona terra
odorosa e fruttifera.
Solo il naufragio invernale conviene
a questa città che non vive,
che non fiorisce,
se non quale una nave in fondo al mare.
Spiragli
Che cosa mi colpisce oramai!
Un velo d’ombra di mare
sui monti lontani,
un lembo di nuvola tutelare.
Ma basta levare la testa.
Le cose non stanno che a ricordare.
Piano piano i minuti vissuti,
fedelmente li ritroveremo.
Coraggio, guardiamo.
Amore
Come chi gioia e angoscia provi insieme
gli occhi di lei così m’hanno lasciato.
Non so pensarci. Eppure mi ritorna
più e più insistente all’anima
quel suo fugace sguardo di commiato.
E un dolce tormento mi trattiene
dal prender sonno, ora ch’è notte e s’agita
nell’aria un che di nuovo.
Occhi di lei, vago tumulto. Amore,
pigro, incredulo amore, più per tedio
che per gioco intrapreso, ora ti sento
attaccato al mio cuore (debol ramo)
come frutto che geme.
Amore e primavera vanno insieme.
Quel fatale e prescritto momento
che ci diremo addio
è già in ogni distacco
del tuo volto dal mio.
Cosa lieve è il tuo corpo!
Basta che io l’abbandoni per sentirti
crudelmente lontana.
Il più corto saluto è fra noi due
un commiato finale.
Ogni giorno ti perdo e ti ritrovo
così, senza speranza.
Se tu sapessi com’è già remoto
il ricordo dei baci
che poco fa mi davi,
di quel caro abbandono,
di quel folle tuo amore ov’io non mordo
che sapore di morte.
Alla deriva
La vita io l’ho castigata vivendola.
Fin dove il cuore mi resse
arditamente mi spinsi.
Ora la mia giornata non è più
che uno sterile avvicendarsi
di rovinose abitudini
e vorrei evadere dal nero cerchio.
Quando all’alba mi riduco,
un estro mi piglia, una smania
di non dormire.
E sogno partenze assurde,
liberazioni impossibili.
Oimè. Tutto il mio chiuso
e cocente rimorso
altro sfogo non ha
fuor che il sonno, se viene.
Invano, invano lotto
per possedere i giorni
che mi travolgono rumorosi.
Io annego nel tempo.
Vincenzo Cardarelli: vita, poesie e opere
4.La poetica di Cardarelli
Chi è stato Vincenzo Cardarelli?
Al bar della stazione ci fermiamo tutti per un caffè. Se viaggiando nel tempo fino, ci fossimo fermati alla stazione di Corneto Tarquinia, negli ultimi anni dell’Ottocento, avremmo scambiato due chiacchiere con un certo Antonio Romagnoli. Magari ci avrebbe dato qualche informazione sugli orari dei treni; magari avremmo scambiato qualche chiacchiera in modo distratto, sul governo o sul tempo.
Intanto avremmo visto un bambino giocare da qualche parte e quel bambino è il figlio illegittimo di Antonio Romagnoli e di Giovanna Caldarelli. E quel bambino, di nome Nazareno, nato sfortunato per via di una menomazione al braccio sinistro, nato già solo in un mondo che sembra non avere troppo posto per lui, quel bambino è un poeta, uno di quelli bravi davvero.
Cambierà nome e sarà Vincenzo Cardarelli il poeta che più di tutti ha cantato l’incanto dell’amore, della giovinezza, dell’adolescenza e come il tempo possa travolgerci.
La vita di Vincenzo Cardarelli
Vincenzo Cardarelli (nato Nazareno Caldarelli) nasce nel 1887 in una famiglia di umili condizioni, a Corneto Tarquinia (Viterbo) dove un tempo splendeva la civiltà etrusca: il padre gestisce il bar della stazione ferroviaria e ha una relazione con Giovanna Caldarelli, che ne resta incinta.
Nazareno è un figlio illegittimo e per la madre è difficile riuscire a tirarlo su. Dopo le scuole elementari, lascia gli studi e a diciassette anni si trasferisce a Roma trovandosi a fare i mestieri più vari, ad esempio il correttore di bozze per il giornale l’«Avanti». Era il primo contatto con il mestiere di giornalista che avrebbe iniziato proprio con quel giornale.
La rivista letteraria La Ronda
La sua carriera giornalistica fu intensa in quegli anni e furono molte le collaborazioni di Cardarelli con altri giornali come «Il Marzocco», «Il Resto del Carlino», ecc.
Non partecipò alla prima guerra mondiale poiché riformato e passò invece di città in città (Firenze Venezia, Milano, Lugano…) per poi tornare a Roma dove fu tra i fondatori e direttori della rivista letteraria «La Ronda», di cui fu anche il maggiore esponente e teorico.
La morte
Fu il momento di massima gloria per il poeta, perché poi, nonostante altre importanti collaborazioni, finì mano a mano sempre più isolato e lontano dai riflettori.
Morì in solitudine a Roma nel 1959. È sepolto a Tarquinia, per sua volontà, davanti ai luoghi della civiltà etrusca da lui tanto amata e più volte evocata poeticamente.
L’esperienza de «La Ronda» per un ritorno all’ordine
Parlare di Cardarelli richiede una doverosa premessa sulla rivista «La Ronda» e sugli ideali letterari da essa proposti. Dopo gli squilibri e le esagerazioni del Futurismo, dopo la febbre di cambiamento sfociata nella grande guerra, ecco che si avverte l’esigenza di tornare all’ordine e all’armonia.
Roma si candida a nuovo centro della letteratura italiana, scalzando idealmente Firenze (dove erano state fondate le riviste la «Voce» e «Lacerba»).
La rivista «La Ronda», uscita per la prima volta nell’aprile del 1919, con la sua bella copertina color mattone e il disegno di un tamburino che chiama a raccolta, si impone di ritrovare l’ordine perduto e recuperare la misura e l’equilibrio del mondo classico, perseguendo una ricerca stilistica capace di rispecchiare sia l’eleganza e la concretezza della forma, sia la profondità intellettuale.
Antonio Baldini (1889-1962), scrittore, giornalista e saggista italiano, co-fondatore della rivista ‘La Ronda’. Roma, 1950 circa — Fonte: getty-images
Soprannomi dei fondatori
Sono sette i redattori e co-fondatori della «Ronda»: Riccardo Bacchelli (1891-1985), Antonio Baldini (1889-1962), Bruno Barilli (1880-1952), Vincenzo Cardarelli (1887-1959), Emilio Cecchi (1884-1966), Lorenzo Montano (alias Danilo Lebrecht, 1880-1952) e Aurelio Emilio Saffi, segretario di redazione.
I fondatori si chiamano anche «i sette savi» o «i sette nemici» e ciascuno ha un soprannome ironico. Antonio Baldini è Margutte, il celebre goliardo mezzo-gigante che troviamo nel Morgante di Luigi Pulci; Vincenzo Cardarelli detto “pubblicista”, Emilio Cecchi “esquire” (lo scudiero, perché deve difendere i poeti con la sua esperienza nella critica letteraria), Riccardo Bacchelli è “possidente”, Antonio Baldini è “baccelliere in lettere”, Lorenzo Montano è “industriale”, “Bruno Barilli è “compositore”, Aurelio Emilio Saffi è “docente nelle scuole governative”.
Gli obiettivi de La Ronda
Questa rivista non ambisce a creare un’opinione politica, ma vuole solo occuparsi di letteratura. Troppo fresco è il ricordo degli intellettuali interventisti come Pascoli e D’Annunzio o il bellicismo dei poeti futuristi come Marinetti.
Quali sono allora gli obiettivi? Riassumiamo:
- Culto dei classici
- Gusto aristocratico della letteratura
- Ricerca del decoro espressivo
- Ordine e misura.
«La Ronda» difende anche l’idea della cosiddetta prosa d’arte e il cosiddetto «capitolo», una prosa descrittiva che punta a creare un frammento compiuto (che è un ossimoro) capace di esprimere controllo e piena chiarezza del dettato.
Queste due forme poetiche rappresentano un’evoluzione particolare della prosa lirica. I modelli letterari di riferimento della prosa «rondista» sono:
- Le Operette morali di Leopardi (più che le inquiete poesie)
- Petrarca
- Firenzuola
- Manzoni
Questi sono dei modelli di riferimento, ma i rondisti non sono chiusi in sé stessi, avulsi da quanto è accaduto o sta accadendo nella letteratura europea. La fine della «Ronda» è nel 1922.
Ordine, armonia e disciplina sono diventate parole di propaganda del regime fascista e questo creerebbe una sovrapposizione inammissibile. Si chiude così la sua stagione, in un dignitoso e duro silenzio.
La poetica di Cardarelli
Versi discorsivi
Dopo la premessa con «La Ronda» e i suoi ideali risulta più semplice capire quale sia la poetica di Cardarelli, visto che lui è uno dei co-fondatori della rivista letteraria.
Cardarelli punta a una poesia dove i versi abbiamo uno svolgimento discorsivo che possa mettere in luce i segreti moti psicologici dell’autore; con armonia, ma sempre con urgenza; con un ritmo implacabile, con uno scopo a rivelarsi subito chiaro.
Una poesia che ragiona, come un lungo colloquio dell’anima. Colloquiale ma non per ironia come accadeva ai poeti crepuscolari; prosaica ma non per questo meno ricercata e intimamente lirica. Una poesia, quella di Cardarelli, che è discorso sempre in atto, fluente, vivido.
Le parole di Cardarelli
Dice di sé stesso il poeta:
«che la mia poesia “discorra” non c’è dubbio. Anzi corre precipitosamente allo scopo, con un ritmo che non ammette divagazioni, non concede indugi, quantunque non sempre in modo graduale e pacifico. Più spesso procede per giustapposizione di idee o d’immagini, per rifrazioni di un medesimo concetto che, accennato fin dalle prime sillabe, si svolge, se mi è permesso di dirlo, come un tema musicale. È la mia maniera di esprimermi».
Il tempo: ossessione ed occasione
La soggettività di Cardarelli si spande nel tempo perché il tempo è la tela del suo io, come l’autoritratto non potesse mai davvero finire; se non con la morte, ovviamente. E allora il tempo è ossessione ed occasione insieme. Non interessa tanto il tempo storico, quanto il tempo in cui l’io ha modo di scoprire il suo passaggio silenzioso nell’esistenza.
Il brano Idea della morte
Si legge nel brano Idea della morte (1918), incluso in Viaggi nel tempo (1920):
«Sono turbato dalla sensazione del tempo come un pericolo assiduo. Il desiderio, spesso spropositato in me, di abbandonarmi, è vinto da una vaga inquietudine senza causa, che urge e mi consiglia di levarmi su, presto, come se ad ogni istante si potesse correre il rischio di perdere tutto il tempo in una volta, tutte le probabilità e le occasioni. […] E mentre noi che ne andiamo, ilari e distratti, per la nostra strada, egli ci cammina dietro, e allorché, trasalendo, ci rivolteremo per guardarlo, ci avrà già passati».
Il tema del vagabondaggio
Il tema del tempo si lega a quello dell’occasione perduta e dell’infanzia passata inesorabilmente.
C’è anche il tema del vagabondaggio, spiccatamente autobiografico, perché Cardarelli si percepisce come un uomo sempre messo al bando.
La sofferenza permea ma non spezza il rigore espressivo e logico della poesia di Cardarelli che riesce sempre a trovare la giusta armonia e una mai acquietata dolcezza.
Il concetto di «impassibilità»
Mengaldo sottolinea il concetto di «impassibilità», come capacità di volgere l’ispirazione «indifferentemente su tutte le cose, come si diffonde la luce». E aggiunge che questa definizione dello stesso poeta «chiarisce benissimo le motivazioni del cosiddetto classicismo cardarelliano, in quanto rifiuto delle salienze espressive e dell’esposizione violenta di singoli particolari in nome di un’equa distribuzione dell’energia stilistica su tutta la superficie del testo…» (Poeti italiani del Novecento, 366).
Alcune poesie con breve commento
Poesia del Novecento: movimenti, poeti e le opere più importanti
Il tempo: passaggio in cui la realtà si rinnova
Vediamo alcune delle poesie più rappresentative di questo poeta, cercando di dare un piccolo commento a ognuna. Non serve la parafrasi perché non si parla più in italiano antico!
Abbiamo detto che il tema del tempo è di assoluta importanza per Cardarelli. Lo è per tanti poeti, in verità, se non per tutti. Cardarelli ha comunque un modo tutto suo di esprimerlo: ora dolce, ora terribile; ora occasione, ora rimpianto.
Il tempo è anche il passaggio in cui la realtà si rinnova. Come se fossimo in un sonetto della corona dei mesi, Cardarelli sceglie di parlarci di febbraio, il mese più corto dell’anno, un mese piccolo e sempre bambino.
Febbraio
Febbraio è sbarazzino.
Non ha i riposi del grande inverno,
ha le punzecchiature,
i dispetti di primavera che nasce.
Dalla bora di febbraio
requie non aspettare.
Questo mese è un ragazzo
fastidioso, irritante
che mette a soqquadro la casa,
rimuove il sangue, annuncia il folle marzo
periglioso e mutante.
Cardarelli innamorato
L’amore è il tema dei poeti: quanto è difficile parlarne? Quanto è difficile scriverne? Scommetto che tutti ci abbiamo provato ad esprimere questo sentimento su carta per poi capire che non ne siamo capaci.
Compito sopraffino da lasciare ai poeti, che parlano per noi tutti. In questa poesia Cardarelli si accorge di essersi innamorato: se ne accorge dallo sguardo di lei triste e felice a un tempo.
Nella mancanza di lei, come in un provenzale “amore da lontano”, il poeta si agita e pensa a cosa sta accadendo e a come quel sentimento, come un uccellino si sia aggrappato ai rami del suo cuore.
Amore
Come chi gioia e angoscia provi insieme
gli occhi di lei cosí m’hanno lasciato.
Non so pensarci. Eppure mi ritorna
piú e piú insistente all’anima
quel suo fugace sguardo di commiato.
E un dolce tormento mi trattiene
dal prender sonno, ora ch’è notte e s’agita,
nell’aria un che di nuovo.
Occhi di lei, vago tumulto. Amore,
pigro, incredulo amore, piú per tedio
che per gioco intrapreso, ora ti sento
attaccato al mio cuore (debol ramo)
come frutto che geme.
Amore e primavera vanno insieme.
L’addio
Gli amori dei poeti di norma finiscono tutti. Ma come è dolce il finire delle cose, a volte, quanto è strano di colpo capire che qualcosa è finito. Sotto i nostri occhi, d’improvviso.
E qualcosa si spezza in noi e quella vita, quella possibilità, quella promessa di giorni felici svanisce per sempre. Resta solo il ricordo, amaro, poi magari più dolce e sbiadito, come una luce che passa attraverso le tende. In questa poesia l’addio è netto, deciso: «Non mi lasciasti nessuna speranza», dice Cardarelli.
Ed è così che di lei resta solo lo spettro, un compagno silenzioso e fastidioso; quel silenzio è un baratro dove l’assenza sembra chiamare a sé ogni cosa.
Crudele addio
Ti conobbi crudele nel distacco.
Io ti vidi partire
come un soldato che va alla morte
senza pietà per chi resta.
Non mi lasciasti nessuna speranza.
Non avevi, in quel punto,
la forza di guardarmi.
Poi più nulla di te, fuorché il tuo spettro,
assiduo compagno, il tuo silenzio
pauroso come un pozzo senza fondo.
Ed io m’illudo
che tu possa riamarmi.
E non fo che cercarti, non aspetto
che il tuo ritorno,
per vederti mutata, smemorata,
aver noia di me che oserò farti
qualche amoroso e inutile dispetto.
Nostalgia e rimpianto
Nascono ombre smisurate da corpi troppo brevi, perché breve è il loro passaggio nel tempo. I ricordi sono così: uno «strascico di morte».
Con una metafora truce e dolorosa, Cardarelli ci porta nella dimensione della nostalgia e del rimpianto che l’amore genera in lui. I ricordi sono «fantasmi agitati da un vento funebre», per riprendere l’immagine dello spettro della poesia precedente, cara al poeta.
La donna amata è un ricordo e quindi, implicitamente, uno spettro che si aggira nella memoria del poeta (la parola «trapassata» si usa infatti per i morti).
L’ultimo sussulto della storia, prima del commiato, è nella consapevolezza che il tempo raggiunge ogni cosa e che l’amore è un fuoco che brucia e agita quel tempo, breve, concesso alla vita.
Passato
I ricordi, queste ombre troppo lunghe
del nostro breve corpo,
questo strascico di morte
che noi lasciamo vivendo
i lugubri e durevoli ricordi,
eccoli già apparire:
melanconici e muti
fantasmi agitati da un vento funebre.
E tu non sei più che un ricordo.
Sei trapassata nella mia memoria.
Ora sì, posso dire che
che m’appartieni
e qualche cosa fra di noi è accaduto
irrevocabilmente.
Tutto finì, così rapito!
Precipitoso e lieve
il tempo ci raggiunse.
Di fuggevoli istanti ordì una storia
ben chiusa e triste.
Dovevamo saperlo che l’amore
brucia la vita e fa volare il tempo.
Amore e solitudine
“Attesa” è giustamente una delle poesie più famose di Cardarelli, per dolcezza, malinconia e finanche lieve candore delle immagini. Come nei poemi cavallereschi l’amore è una ricerca attiva o passiva: possiamo andare incontro all’amata come il furioso Orlando di Ariosto o possiamo attendere l’arrivo dell’amata, alla finestra, febbricitanti nell’attesa.
L’amore ha un modo tutto suo di disattendere l’una e l’altra dinamica. Se cerchiamo, non troviamo. Se aspettiamo, non arriva. E allora l’amore si fa compagno della solitudine, intensa esplorazione dell’altro dentro di noi.
È un’assenza che si colma di senso. L’assenza della donna amata brilla tumultuosa come una stella. Come un temporale che, eccolo, è lì, pronto a scrosciare con impeto, ma poi se ne va verso altri luoghi.
L’amore è tutto. Saffo lo definiva dolce-amara bestia. Cardarelli lo vorrebbe coprire di fiori, ma anche di insulti.
Attesa
Oggi che t’aspettavo
non sei venuta.
E la tua assenza so quel che mi dice,
la tua assenza che tumultuava
nel vuoto che hai lasciato,
come una stella.
Dice che non vuoi amarmi.
Quale un estivo temporale
s’annuncia e poi s’allontana,
così ti sei negata alla mia sete.
L’amore, sul nascere,
ha di questi improvvisi pentimenti.
Silenziosamente
ci siamo intesi.
Amore, amore, come sempre,
vorrei coprirti di fiori e d’insulti.