Poesie di Sujata Bhatt -Poetessa indiana-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Poesie di Sujata Bhatt -Poetessa indiana-
pubblicate dalla Rivista L’Altrove
Sujata Bhatt nasce a Ahmedabad, in India, nel 1956. Attualmente vive in Germania, a Brema. Sujata Bhatt ha pubblicato cinque raccolte di versi, per le quali ha ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali, tra cui il Commonwealth Poetry Prize (Asia) e l’Alice Hunt Bartlett Award: Brunizem (1988), Monkey Shadows (1991), The Stinking Rose (1995), Augatora (2000) e A Colour for Solitude (2002). Questa antologia è la prima traduzione italiana delle sue poesie. Ha curato The Pentuin Anthology of Contemporary Indian Women Poets
Biografia-Sujata Bhatt (Ahmedabad, 6 maggio 1956) è una poetessa e traduttrice indiana.-Sujata Bhatt è nata ad Ahmedabad e ha trascorso l’infanzia a Pune prima di trasferirsi a New Orleans con la famiglia nel 1968. Qui si è laureata all’Università dell’Iowa e nel 1987 ha esordito con la raccolta Brunizem, che le è valso il Alice Hunt Bartlett Prize e il Commonwealth Poetry Prize.[1] Da allora ha pubblicato una decina di raccolte poetiche, oltre a tradurre diverse poesie dal gujarati all’inglese per un’antologie di poetessie indiane pubblicata dalla Penguin Books.
Vive a Brema con il marito, lo scrittore Michael Augustin, e la figlia.[2]
Opere (parziale)
- Brunizem (1988)
- The One Who Goes Away (1989)
- Monkey Shadows (1991)
- The Stinking Rose (1995)
- Point No Point (1997)
- Augatora (2000)
- The Colour of Solitude (2002)
- Pure Lizard (2008)
Poesie di Sujata Bhatt -Poetessa indiana-
Anche l’acqua scarseggia
I
Anche l’acqua scarseggia
E c’è una bambina
Che regge una brocca nera sulla testa,
Vende acqua alla stazione.
Riempita d’acqua la sua tazza d’ottone
Me la porge sollevando le braccia al finestrino,
Su su fino a me che mi sporgo dal treno.
Ma non riesco a pensare a lei in inglese.
II
Mi chiedi che cosa intendo dire
Quando affermo che ho perso la mia lingua.
Ti chiedo, che cosa faresti
Se avessi due lingue in bocca
E perdessi la prima, la lingua madre,
E non riuscissi a sapere davvero la seconda,
Quella straniera.
Non potresti usarle insieme
Anche se quando pensi finisce che fai così.
Se poi ti capitasse di stare in un paese
Dove si parla un’altra lingua ancora,
La tua lingua madre marcirebbe,
Marcirebbe e ti morirebbe in bocca.
Un’altra storia
Il grande Pan non è morto;
è solo emigrato
in India.
Qui gli dèi girano indisturbati,
travestiti da serpenti o da scimmie;
ed è peccato
trattare male un libro.
È peccato spingere un libro da una parte
con il piede,
è peccato sbatterlo forte
contro un tavolo,
è peccato buttarne uno sbadatamente
dall’altra parte della stanza.
Devi imparare a girare le pagine con garbo,
senza disturbare Sarasvati,
senza offendere l’albero
dal cui legno è stata fatta la carta.
Quella che va via
Ci sono sempre, in ciascuno di noi,
queste due persone: quella che resta,
e quella che se ne va.
Eleanor Wilner
Ma io sono quella
che va via, sempre
la prima volta fu la più –
fu la più
silenziosa.
Non parlai,
né risposi
a coloro che immobili mi salutavano
con il lieve fruscio
dei sari mossi dal vento.
Io sono quella
che va via sempre.
Talvolta mi chiedono se
sto cercando un posto
in cui l’anima smetterà
di vagare.
Un posto in cui fermarmi
senza più desiderio di partire.
Chissà.
La gioia è forse
potere sempre partire.
Eppure non ho mai lasciato la mia casa.
Me la sono portata via
con me – qui, nell’oscurità
del mio essere. Se tornassi indietro,
non troverei
in nessun luogo quella prima casa,
là fuori
in quella terra-madre.
Non ci permisero
di prendere molto
ma riuscii a nascondere
la mia casa dietro al cuore.
Guarda la spiaggia vuota
ora al crepuscolo – non c’è sole
a indorare le onde,
non c’è luna ad avvolgerle
in riflessi d’argento –
guarda
l’oscurità che si insinua
quando il mare è senza maschera
non è più così bello.
Ora il vento cessa
di soffiare a vuoto –
mentre la terra chiama
la casa chiama
torna, torna –
sono quella
che va via, sempre.
Perché devo –
con la mia casa intatta
che sempre cambia
così che le finestre non si intonano
più con le porte – i colori
si scontrano in giardino –
e l’oceano abita in camera da letto.
Sono quella
che va via, sempre
via con la sua casa
che può solo restarmi dentro
il sangue – la mia casa
che non trova posto
in nessuna geografia.
Femminilità
Ho pensato a lungo a quella ragazza
che raccoglieva sterco di vacca in un’ampia cesta rotonda
lungo la strada principale che passava da casa nostra
e dal tempio Radhavallabh a Maninagar.
Ho pensato a lungo al modo in cui lei
muoveva le mani e i fianchi
e all’odore di sterco e di polvere di strada e di gigli di canna umidi,
l’odore di fiato di scimmia e di abiti appena lavati
e la polvere dalle ali dei corvi che ha un odore diverso
ed ancora l’odore di sterco mentre la ragazza lo raccoglie
tutti questi odori che mi circondavano separatamente
e simultaneamente. L’ho pensata a lungo,
ma non volevo usarla per una metafora,
per una bella immagine, ma soprattutto non volevo
dimenticarla o spiegare a chiunque la grandezza
e la forza che rilucevano dai suoi zigomi
ogni volta che trovava un mucchio di sterco
particolarmente promettente.
Muliebrity
I have thought so much about the girl
who gathered cow-dung in a wide, round basket
along the main road passing by our house
and the Radhavallabh temple in Maninagar.
I have thought so much about the way she
moved her hands and her waist
and the smell of cow-dung and road-dust and wet canna lilies,
the smell of monkey breath and freshly washed clothes
and the dust from crows’ wings which smells different-
and again the smell of cow-dung as the girl scoops
it up, all these smells surrounding me separately
and simultaneously – I have thought so much
but have been unwilling to use her for a metaphor,
for a nice image – but most of all unwilling
to forget her or to explain to anyone the greatness
and the power glistening through her cheekbones
each time she found a particularly promising
mound of dung –
Il pavone
Il suo forte richiamo stridulo
sembra arrivare dal nulla.
Poi, un lampo di turchese
nel fico sacro.
Il collo snello inarcato lontano da te
mentre discende,
e mentre sfreccia via, uno scorcio
della punta della coda.
Mi dicevano che devi stare seduta in veranda
a leggere un libro,
se possibile uno dei tuoi preferiti
con grande concentrazione.
L’istante in cui inizi a vivere dentro al libro
ti cadrà sopra un’ombra blu.
Il vento cambierà direzione,
il ronzio fisso delle api
nei cespugli vicini
cesserà.
Il gatto si sveglierà e si allungherà.
Qualcosa ha spezzato la tua attenzione;
e se alzi lo sguardo in tempo
potresti vedere il pavone
girarsi mentre si raccoglie nella coda
per chiudere quegli occhi scuri brillanti,
viola con frange di ambra dorata.
È la coda che deve battere le ciglia
per occhi che stanno sempre aperti.
The Peacock
His loud sharp call
seems to come from nowhere.
Then, a flash of turquoise
in the pipal tree.
The slender neck arched away from you
as he descends,
and as he darts away, a glimpse
of the very end of his tail.
I was told
that you have to sit in the veranda
and read a book,
preferably one of your favourites
with great concentration.
The moment you begin to live
inside the book
a blue shadow will fall over you.
The wind will change direction,
the steady hum of bees
in the bushes nearby
will stop.
The cat will awaken and stretch.
Something has broken your attention;
and if you look up in time
you might see the peacock
turning away as he gathers in his tail
to shut those dark glowing eyes,
violet fringed with golden amber.
It is the tail that has to blink
for eyes that are always open.
da Brunizem (Carcanet Press 1988), traduzione in italiano di Stefania Zampiga
Biography
Sujata Bhatt (b. 1956) grew up in Pune but emigrated with her family to the United States in 1968. She studied in the States receiving an MFA from the University of Iowa and went on to be writer-in-residence at the University of Victoria, Canada. More recently she was visiting fellow at Dickinson College, Pennsylvania. She currently lives with her husband and daughter in Bremen, Germany. Her first collection, Brunizem, won the Commonwealth Poetry Prize (Asia) and the Alice Hunt Bartlett Award. Subsequent collections have been awarded a Poetry Book Society Recommendation and in 1991 she received a Cholmondeley Award.
For Bhatt, language is synonymous with the tongue, the physical act of speaking. She has described Gujarati and the Indian childhood it connects her to as “the deepest layer of my identity”. However, English has become the language she speaks every day and which she, largely, chooses to write in. The repercussions of this divided heritage are explored in her work, most explicitly in ‘Search for My Tongue’ which alternates between the two languages. The complex status of English – its beauties and colonial implications – are also conveyed in the moving ironies of ‘A Different History’ and ‘Nanabhai Bhatt in Prison’ about her grandfather who read Tennyson to comfort himself during his incarceration by the British authorities. Such division finds geographical expression in poems which explore ideas of home (‘The One Who Goes Away’) and question our mental mapping of the world (‘How Far East is it Still East?’). It’s present too in her voice, with its musical melding of Indian and American inflections.
However, it’s in the non-verbal world of animals and plants that Bhatt finds a source of unity denied to humans except for the very young, as in her poem ‘The Stare’ in which the ‘monkey child’ and the ‘human child’ experience a moment of tender connection. Perhaps it is this longing for unity which makes Bhatt’s writing so sensual; her poems are rich with the smell of garlic, the touch of bodies, the vibrant plumage of parrots. An intense colourist like the women artists who inspire some of these poems, Bhatt acknowledges that language splits us from experience but through the physical intensity of her writing brings us closer to it so that “the word/is the thing itself”.