Poesie di Nedda Falzolgher -poetessa e scrittrice italiana-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Poesie di Nedda Falzolgher -poetessa e scrittrice italiana-
Nedda Falzolgher –Il 2 marzo 1956 muore a Trento la poetessa Nedda Falzolgher – con Alessandro Tamburini. Repertorio: Corinna lo Castro legge alcune poesie tratte da Nedda Falzolgher , Fin dove il polline cade, Ubaldini, Roma 1949; Audio tratto da “Edda a Nedda. Poesie di Nedda Falzolgher recitare da Edda Albertini”, tratte da L’ora azzurra dell’ombra”, regia di Francesco dal Bosco, 2006. Alessandro Tamburini (Rovereto, 29 marzo 1954) è uno scrittore, insegnante e sceneggiatore italiano, autore di raccolte di racconti, romanzi e saggi. Di recente ha pubblicato “Ultimi miracolo”, otto racconti, Edizioni Pequod, 2022
Poesie di Nedda Falzolgher -poetessa e scrittrice italiana-
La Terra
Ti ho respirata con l’alba
per non destarmi sola,
e ti ho chiamata nelle notti amare,
sorda di pietre e giovane di stelle
sotto il cielo che scende e non consola.
Ho veduto nel mio pianto infantile
tutti i colli velarsi e lontanare;
ho udito cantare gli uomini
per non sentirsi morire.
E la mia carne ti ritrovi,
o benedetta nei fiori e nei rovi,
terra, unico amore.
*
T’amo per le cose della vita leggere,
le cose che sognano i morti la sera
dentro la terra calda,
sotto il limpido brivido degli astri.
Ma più t’amo, Signore, per la misericordia
delle tue grandi campane
che portano nel vento
verso l’anima della sera
la nostra povera preghiera.
*
Ora tu vedi queste mie canzoni
simili tanto alle foglie che sperdi,
amaro Iddio del silenzio.
E sai che non hanno feste di sole
perché di tutto il sole tu inondi
la Terra dove cammina l’amore.
Ascolta ancora, Dio,
le sorgenti, e perdona,
e nella mano portaci, col seme
delle stagioni innocenti.
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Nedda Falzolgher, detta Nil (Trento, 26 febbraio 1906 – Trento, 2 marzo 1956), è stata poetessa e scrittrice. Le sue pubblicazioni:
En piaza del Littorio, Trento, 1934
Fin dove il polline cade, Ubaldini, Roma, 1949
Il libro di Nil – Prosa e poesia, Rebellato Padova, 1957 (postumo)
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GLI ASSENTI
(Nedda Falzolgher, detta Nil)
Il nostro volto, come una lampada,
più non ci illumina.
Ora ognuno ha rivolto la fronte
verso un vento notturno
e, forse, ricorda.
Tu eri una fresca radice
ansiosa di poca terra assolata,
e tu quello che sempre partiva,
e tu l’altro,
che all’alba veniva cantando
con una rama gemmata.
E senza nome
dalle vuote pianure dei venti
qualche volta sgomenti ci chiamiamo,
e invano tentiamo di amarci
col nostro pallido cuore di stelle,
perchè nel tempo immobile ritorni
quel pianto che mutava coi giorni,
vivido nella nostra carne d’amore.
L’ONDATA
Di giorno la mia porta
è una chiglia affiorante che vibra
al respiro alto del mare:
l’universo la viene a inondare
fiorendo col sole.
E le cose vivide e innamorate
passano nella mia casa pura,
e dicono caldi nomi di creatura,
di piante, di stelle serene.
Nei giorni che nulla avviene
felicità è nel vento
e porta vite in cammino
dal silenzio raggiante.
E la gioia passa con l’onda
che la riva larga ribeve:
rinasce più oltre, più breve,
e il mare torna e la consuma.
LE PAROLE DEI FIGLI
Fammi ponte alla vita
col tuo vivido corpo d’amore,
madre che sei l’isola in fiore
dove il mio tempo è fermo tra due mari.
Tu che avevi sapore di rose
nella carne ferita,
lascia che io cammini e non ti veda.
E prega per la mia nuda fame
se il tuo cuore fosse pane
dal petto ancora te lo coglierei
per i giorni miei desiderosi.
*Mirabile definizione della poetessa e scrittrice Nedda Falzolgher (Trento, 1906 – Trento, 1956), contenuta in una lettera indirizzata nel 1951 all’amica d’infanzia Edda Albertini.
Colpita dalla poliomielite all’età di 5 anni, l’autrice atesina fu costretta a trascorrere su una sedia a rotelle tutta la vita, fino alla precoce morte avvenuta a soli 50 anni a causa di un tumore.
Nonostante la malattia, si dedicò sempre con pienezza alla passione letteraria. La sua prima raccolta importante fu pubblicata nel 1949 a Roma dall’editore Ubaldini, con la prestigiosa prefazione del critico teatrale Silvio D’Amico procurata dalla succitata Edda Albertini, divenuta nel frattempo una grande attrice drammatica.
Racconta la giornalista Marianna Malpaga sul magazine Vita Trentina: “Nedda scriveva usando un inchiostro verde, il colore della natura, e rigorosamente con la mano sinistra, perché aveva il braccio destro paralizzato. Nella sua poesia, però, la disabilità non viene mai menzionata. Si avverte piuttosto un grido di amore verso la vita, un desiderio mai sazio di comprendere l’esistenza di ogni piccola parte del creato.”
Per il critico Alberto Frattini, “la voce di Nedda Falzolgher merita ascolto per la purezza e la limpidezza di accenti in cui l’angoscia di una vita stroncata nell’infanzia dal male fisico sa farsi toccante elegia.”
Nel 1975 il Comune di Trento le dedicò una via cittadina. Nel 2006, inoltre, per onorarne la memoria nel centenario della nascita, l’amministrazione locale collocò una targa commemorativa sulla facciata della sua casa natale, che riporta un’epigrafe composta con frammenti delle sue liriche: “In questa ‘casa a specchio sul fiume così sola nell’urlo delle piene’ visse la sua breve vita Nedda Falzolgher, col ‘corpo segnato in croce’ e ‘il canto di allodola pura’.”
NEDDA FALZOLGHER, detta Nil (Trento, 26 febbraio 1906 – Trento, 2 marzo 1956), è stata una poetessa e scrittrice italiana.
Non ti darò contro il petto dolore
più che il rigoglio delle fronde sciolte.
Dammi tu spazio allora per questa morte:
io non ho solco per vivere
e non ho paradiso per morire;
e sento in me stormire
quest’agonia d’amore,
bionda, contro la zolla che la ignora…
Nedda Falzolgher
.
.
Ora tu vedi queste mie canzoni
simili tanto alle foglie che sperdi,
amaro Iddio del silenzio.
E sai che non hanno feste di sole
perché di tutto il sole tu inondi
la Terra dove cammina l’amore.
Ascolta ancora, Dio,
le sorgenti, e perdona,
e nella mano portaci, col seme
delle stagioni innocenti.
Nedda Falzolgher
Articolo di Marianna Malpaga
Scriveva usando un inchiostro verde, il colore della natura, e rigorosamente con la mano sinistra, perché aveva il braccio destro paralizzato. La poetessa trentina Nedda Falzolgher nacque a Trento il 26 febbraio del 1906. A soli cinque anni, l’evento che influenzerà tutta la sua vita negli anni a venire, una poliomielite che le colpisce gambe e braccio destro, costringendola in carrozzina.
Nella poesia di Nedda Falzolgher, però, la disabilità non viene mai menzionata. Si avverte piuttosto un grido di amore verso la vita, un desiderio mai sazio di comprendere l’esistenza di ogni piccola parte del creato. Ecco quindi che lo scorrere dell’acqua avviene “nell’urlo delle piene”, che il fremito del vento sconvolge le “umide chiome delle querce”, mentre “il sole passa e consuma la carne della terra amara”.
In molte poesie compare e ritorna il tema dei fiumi e dell’acqua, metafora della vita e del suo fluire e rifluire. Nedda fu costretta a rinunciare alla maternità, ma nella sua poesia questo tema si presenta sotto forma di un “amore per il creato e l’increato, per il visibile e l’invisibile, per tutte le vibrazioni che palpitano nel cosmo, dai grandi astri al cuore trafitto dell’uomo all’ultimo fremere di uno stelo”.
Compose la sua prima poesia nel 1917, a undici anni, e la dedicò alla madre, una figura importantissima nella sua vita. È lei che, fino alla sua morte, avvenuta nel 1950, si occuperà della figlia e le insegnerà francese e latino, lasciandole in dono una grande passione per la letteratura e per la poesia. È sempre lei che si sente dire da un medico: “La creatura non morirà perché ha il cuore troppo fondo e resiste. Ma questo male improvviso le taglierà le strade dalla terra”. Ed è ancora lei che, distrutta eppure risoluta, gli risponderà: “Non importa. Muterà cammino”.
Nella sua casa sul Lungadige, quindi, Nedda comincerà a scrivere e, a partire dagli anni Trenta, raccoglierà attorno a sé un gruppo di amici amanti dell’arte e della cultura, un cenacolo che l’accompagnerà negli anni a venire. Nel gruppo, ci sono anche nomi conosciuti come quello di Marco Pola.
Per Nedda scrivere è “pura arte che vive nella luce”. E, a Dio, al quale è legata da una forte spiritualità, chiede: “Datemi la forza di poter scrivere, Signore; fate ch’io possa chiudere in me e alimentarla sempre della più pura luce questa forza divina e indomita come una limpida fonte”.
La poetessa è forte ma, come per tutti i poeti, la scuote un’ansia vitale e una paura – che è al tempo stesso una consapevolezza – della sua solitudine. “Devo avere il coraggio di vivere sola, di pensare sola, di soffrire sola”, scrive. “Nessuno potrà capire che la mia strada è questa; nessuno dirà: vengo con te”.
In occasione di un incontro dedicato alla poetessa, l’amico Raffaele Gadotti ricorda che, a un certo punto, “non voleva più saperne di cose scritte: voleva vedere”. Nedda, insomma, voleva conoscere quel mondo che aveva scoperto attraverso le lettere d’inchiostro stampate sui libri; voleva “vivere fuori”, uscire dalla sua casa sul Lungadige. E dopo – ma solo dopo – scrivere. “Dicevamo che a mano a mano che usciva fuori – ha ricordato Gadotti – a vedere il mondo e a conoscere la natura direttamente, la Nedda cambiava; e cambiava anche la sua poesia, il suo modo di scrivere. Non erano più fiori di carta, fiori di cartapesta, sia pure molto colorati, o di stagnola: le sue poesie adesso erano fiori vivi; erano rami spezzati, ma vivi; erano frutti vivi; erano qualche cosa di naturale, di spontaneo. E nella sua poesia incominciò a sentirsi di più, perché scavava più dentro di sé”.
Nedda Falzolgher morì molto giovane, a cinquant’anni. Era il 2 marzo 1956. Nella vignetta di Giorgio Romagnoni, una poesia che parla del suo slancio vitale. È lei quell’”allodola pura” che si adagia sul “respiro del mondo”.
Articolo di Marianna Malpaga
Spiritualità e canto in Nedda Falzolgher
In questa “casa a specchio sul fiume / così sola nell’urlo delle piene” visse la sua breve vita Nedda Falzolgher, col “corpo segnato in croce” e “il canto di allodola pura”. Queste parole sono incise sulla targa commemorativa che il Comune di Trento volle dedicare alla poetessa Nedda Falzolgher (1906-1956), per onorarne la memoria nel centenario della nascita. “Il caso di Nedda Falzolgher resta, per i più, ancora da scoprire”, scriveva nel 1966 il grande critico e poeta Alberto Frattini. “Eppure è una voce che meriterebbe d’essere ascoltata, per la purezza e la limpidezza di accenti in cui l’angoscia di una vita stroncata nell’infanzia dal male fisico sa farsi toccante elegia, equilibrando l’ansia disperata d’amore in placata letizia d’ascesi e d’offerta, entro un dolceamaro colloquio tra la creatura e il Creatore che solo può suggerirle parole di verità e di salvezza”. T’amo, Signore, per la muta passione delle rose. T’amo per le cose della vita leggere, le cose che sognano i morti la sera dentro la terra calda, sotto il limpido brivido degli astri. Ma più t’amo, Signore, per la misericordia delle tue grandi campane che portano nel vento verso l’anima della sera la nostra povera preghiera. * Nedda Falzolgher appartiene, in effetti, a quel novero di poeti che non hanno avuto grandi riconoscimenti dalla critica, ma che purtuttavia hanno lasciato un corpus di opere di indiscusso valore artistico. La sua sfortunata vicenda umana (fu colpita dalla poliomielite all’età di cinque anni rimanendo paralizzata alle gambe e al braccio destro) le impedì una partecipazione attiva alla società letteraria del suo tempo, nondimeno si dedicò con entusiasmo allo studio dei classici e riuscì a riunire nella sua casa affacciata sull’Adige un piccolo cenacolo di amici e poeti per discutere di letteratura, filosofia e argomenti culturali. Poi venne la guerra, la casa sul fiume fu danneggiata dalle bombe, e quel piccolo gruppo si sciolse. Dopo la morte dell’amatissima madre (che l’aveva sempre incoraggiata nella sua spontanea vocazione poetica), Nedda rimase sola con il padre e con la fedele governante Adele, la quale, in un articolo a firma di Renzo Francescotti pubblicato nel 2006 sul quotidiano L’Adige, così la ricorda: “Era un creatura angelica. Aveva un volto molto bello ed una voce melodiosa aperta al dialogo con familiari ed amici. Era lei, paradossalmente, ad offrire loro conforto: lei, che fra tanti più fortunati che si piangono addosso, in nessuno di suoi versi alluse mai alla sua condizione fisica…”. Passano gli anni e la vita di Nedda Falzolgher continua ad esprimersi attraverso la scrittura. Attraverso quei versi che vergava con la mano sinistra prediligendo l’inchiostro verde, e che portavano alla luce il suo mondo di emozioni in delicata sintonia con l’ambiente naturale: …Che ansia, allodola pura, questo palpito d’angelo sommerso che ha smarrito la vena dei venti; sul respiro del mondo senti ancora tutte le stelle mutar la tua voce in chiarore… * Superati i quarant’anni, Nedda Falzolgher, che aveva sino ad allora pubblicato soltanto su alcune antologie, decise di raccogliere le sue liriche in volume. Il libro, intitolato Fin dove il polline cade, uscì nel 1949 a cura dell’editore Ubaldini con prefazione del grande critico teatrale Silvio D’Amico (una prefazione procurata dalla famosa attrice Edda Albertini, anch’essa trentina, che aveva fatto parte del gruppo della “casa sul fiume” e aveva conservato con la poetessa un’amicizia affettuosa). Non furono in molti ad accorgersene: tra questi lo scrittore Bruno Cicognani e il già citato Alberto Frattini. Ma, al di là della disattenzione della critica, sono versi che esprimono una profonda ansia spirituale; versi che affidano al canto un dolore centellinato nelle sue pieghe più amare, per sublimarlo in una superiore intuizione di vita. Ora tu vedi queste mie canzoni simili tanto alle foglie che sperdi, amaro Iddio del silenzio. E sai che non hanno feste di sole perché di tutto il sole tu inondi la Terra dove cammina l’amore. Ascolta ancora, Dio, le sorgenti, e perdona, e nella mano portaci, col seme delle stagioni innocenti. * Nedda morì giovane, ad appena cinquant’anni. Dopo la sua morte, il padre affidò a Franco Bertoldi, docente universitario a Milano e Trento (anche lui del gruppo degli amici della “casa sul fiume”), l’incarico di ordinare e pubblicare in una antologia le poesie della Falzolgher. Il volume uscì nel 1957 per i tipi dell’editore Rebellato e fu intitolato Il libro di Nil (il soprannome con cui Nedda veniva chiamata dagli amici). In quest’opera postuma c’è una sezione di poesie intitolata Ritmi dell’infinito, dalla quale proponiamo alcuni versi, rivelatori di uno stato d’animo contraddittorio: sentimento della vita che sfugge e sofferenza per ciò che non si è vissuto… Stasera io sono stanca delle tue mani lontane; stanca di grandi stelle disumane, com’è sazia l’agnella di erbe amare… * Trascorreranno ancora molti anni prima che la critica inizi ad accorgersi dell’opera della poetessa trentina. Nel 1978, edita dal Comune di Trento, uscì l’antologia Nedda Falzolgher, poesie e prose (1935-1952). Tre anni dopo, il noto critico letterario Vittoriano Esposito pubblicò un’importante monografia intitolata Il caso letterario di Nedda Falzolgher. Nel 1986 fu la volta di Marcella Uffreduzzi, qualificata studiosa della poesia d‘ispirazione cristiana del ‘900, che pubblicò un volume intitolato La casa sull’Adige, comprendente quasi ottanta poesie della Falzolgher, da cui emergono una grande forza interiore, una fede salda seppure inquieta, e una profonda spiritualità. E oggi? Oggi per fortuna c’è la rete, grande serbatoio di memoria collettiva, dove è possibile rintracciare importanti testimonianze sulla vita e l’opera di Nedda Falzolgher e leggere alcune delle sue raffinate composizioni liriche. Ed è appunto con una di queste composizioni che ci congediamo dai nostri lettori, nella speranza d’aver dato anche noi un piccolo contributo per la riscoperta di una delle più sensibili autrici del ‘900 letterario. Non ti darò contro il petto dolore più che il rigoglio delle fronde sciolte. Dammi tu spazio allora per questa morte: io non ho solco per vivere e non ho paradiso per morire; e sento in me stormire quest’agonia d’amore, bionda, contro la zolla che la ignora…
FONTE-ZENIT-
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*Mirabile definizione della poetessa e scrittrice Nedda Falzolgher (Trento, 1906 – Trento, 1956), contenuta in una lettera indirizzata nel 1951 all’amica d’infanzia Edda Albertini.
Colpita dalla poliomielite all’età di 5 anni, l’autrice atesina fu costretta a trascorrere su una sedia a rotelle tutta la vita, fino alla precoce morte avvenuta a soli 50 anni a causa di un tumore.
Nonostante la malattia, si dedicò sempre con pienezza alla passione letteraria. La sua prima raccolta importante fu pubblicata nel 1949 a Roma dall’editore Ubaldini, con la prestigiosa prefazione del critico teatrale Silvio D’Amico procurata dalla succitata Edda Albertini, divenuta nel frattempo una grande attrice drammatica.
Racconta la giornalista Marianna Malpaga sul magazine Vita Trentina: “Nedda scriveva usando un inchiostro verde, il colore della natura, e rigorosamente con la mano sinistra, perché aveva il braccio destro paralizzato. Nella sua poesia, però, la disabilità non viene mai menzionata. Si avverte piuttosto un grido di amore verso la vita, un desiderio mai sazio di comprendere l’esistenza di ogni piccola parte del creato.”
Per il critico Alberto Frattini, “la voce di Nedda Falzolgher merita ascolto per la purezza e la limpidezza di accenti in cui l’angoscia di una vita stroncata nell’infanzia dal male fisico sa farsi toccante elegia.”
Nel 1975 il Comune di Trento le dedicò una via cittadina. Nel 2006, inoltre, per onorarne la memoria nel centenario della nascita, l’amministrazione locale collocò una targa commemorativa sulla facciata della sua casa natale, che riporta un’epigrafe composta con frammenti delle sue liriche: “In questa ‘casa a specchio sul fiume così sola nell’urlo delle piene’ visse la sua breve vita Nedda Falzolgher, col ‘corpo segnato in croce’ e ‘il canto di allodola pura’.”
LA POESIA DI NIL -Articolo di Felice Serino
Nedda Falzolgher, detta Nil, nasce il 26 febbraio 1906 a Trento, quando quella parte del territorio è ancora sotto il dominio austriaco. Il padre era un bancario e la madre di ricca famiglia. Primogenita, sensibile, intelligente, vive nei primi anni una vita serena e gioiosa. La bimba cresce bene fino all’età di cinque anni, quando inattesa la disgrazia viene a stravolgere il suo destino: è colpita da paralisi infantile, o più comunemente detta, poliomielite.
Ella si sente attratta per vocazione naturale verso la scrittura e la poesia; vocazione che rappresenta per il suo spirito sofferto una specie di resurrezione.
“Nil non poteva andare verso le cose, ma le cose venivano a lei a cimentare la sua forza e la sua gioia, e tutto la investiva e subito l’abbandonava, lasciando segni di grazia sulla sua anima con il moto dell’onda marina che scrive parole di vita su tutta la riva” (da Il libro di Nil).
I genitori cercano di renderle la vita meno disagevole possibile. La mamma la incoraggia in quella sua insaziabile sete di cultura che la indirizza verso la scrittura alimentando il suo mondo interiore. Nedda apprenderà ad uscire da quel mondo circoscritto dalle pareti di casa per conoscere il mondo esterno, perseguendo il raggiungimento di un ideale superiore.
Dall’età di 27 anni, ella riceve in casa amici poeti e artisti, e la sua dimora diviene presto un punto d’incontro culturale. Fra i giovani frequentatori c’è un ragazzo, Franco Bertoldi, che resterà per lei un amore impossibile.
“Non ti darò contro il petto dolore
più che il rigoglio delle fronde sciolte.
Dammi tu spazio allora per questa morte:
io non ho solco per vivere
e non ho paradiso per morire;
e sento in me stormire
quest’agonia d’amore,
bionda, contro la zolla che la ignora…”.
Nella sua opera Il libro di Nil, pubblicato postumo dal padre, c’è una sezione di poesie intitolata Ritmi dell’infinito, dove si leggono versi scritti durante la guerra.
“Stasera io sono stanca
delle tue mani lontane;
stanca di grandi stelle disumane,
com’è sazia l’agnella di erbe amare…”.
Il 2 settembre 1943 Trento fu bombardata e Nedda fu salvata dalle macerie, insieme ai genitori. In seguito, la ragazza inizierà una corrispondenza con Domenico, suo salvatore e amico, facente parte di un servizio di volontariato. Lo spirito altruistico e la bontà di Domenico fanno sì che Nedda si avvicini ad una dimensione spirituale personale intensa.
“Ma una luce è posata sulle cose,
come la carità senza parola;
e ogni vita attende sola
che la raccolga con gesto d’amore”.
La guerra termina e la ragazza può tornare a casa. Intanto la madre da tempo malata, viene a mancare nel settembre del ’50.
“T’amo, Signore, per la muta passione delle rose.
T’amo per le cose della vita leggere,
le cose che sognano i morti la sera
dentro la terra calda,
sotto il limpido brivido degli astri.
Ma più t’amo, Signore per la misericordia
delle tue grandi campane
che portano nel vento
verso l’anima della sera
la nostra povera preghiera”.
Nedda ha sempre continuato a scrivere nel trascorrere degli anni. Ora, sente la vita sfuggirle e soffre per quel che non ha vissuto.
“Ora tu vedi queste mie canzoni
simili tanto alle foglie che sperdi,
amaro Iddio del silenzio.
E sai che non hanno feste di sole
perché di tutto il sole tu inondi
la Terra dove cammina l’amore”.
“Ascolta ancora, Dio,
le sorgenti, e perdona,
e nella mano portaci, col seme
delle stagioni innocenti”.
Nil rende lo spirito il 2 marzo ’56, a 50 anni.
Chiudiamo questo breve excursus con dei versi stupendi, nati da quest’anima candida:
“…Che ansia, allodola pura,
questo palpito d’angelo sommerso
che ha smarrito la vena dei venti;
sul respiro del mondo senti
ancora tutte le stelle
mutar la tua voce in chiarore…”.
[Notizie liberamente tratte da: Nedda Falzolgher – la poesia, la vita, Isa Zanni, Linguaggio Astrale n. 136/04]
Bibliografia
Nedda Falzolgher: poesia e spiritualità, edizione Comune di Trento 1990
Nedda Falzolgher: il cuore, la poesia, edizione Comune di Trento 1990
© Felice Serino