Poesie di Mary Carolyn Davies ,Poetessa statunitense-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Poesie di Mary Carolyn Davies ,Poetessa statunitense
La poetessa statunitense Mary Carolyn Davies :la poetessa americana che sparì nel nulla.Figura stravagante e straziata della poesia americana, Mary Carolyn Davies nasce nel 1888 a Sprague, Washington, studia a Portland, nel 1911 la vediamo a Berkeley. Il talento poetico trova precoci riconoscimenti: è la prima ragazza a vincere un paio di premi letterari banditi da Berkeley.
Mary Carolyn Davies si sente parte del risveglio, non si limita ad osservarlo ma se ne fa interprete scrivendo la sua poesia sullo spartito già predisposto dalla natura
(Mary Carolyn Davies)
Morirò anch’io,
fiore, tra poco,
non essere così orgoglioso.
PRIMA CHE COMINCI APRILE
Il giorno che precede aprile,
sola soletta,
ho camminato per i boschi
e mi sono seduta su una pietra.
La pietra sembrava un leggio
e cantavano gli uccelli.
La melodia era opera di Dio
ma le parole erano mie.
(da Poetry. A Magazine of Verse, X, 5, agosto 1917)
La primavera è all’intorno ma anche dentro di noi: seduta in mezzo ai boschi, la poetessa statunitense Mary Carolyn Davies si sente parte del risveglio, non si limita ad osservarlo ma se ne fa interprete scrivendo la sua poesia sullo spartito già predisposto dalla natura
IL MATTINO
Il mattino è in piedi, alla finestra, guarda nella mia camera e dice:
“Cosa vuoi fare di me?
Sono il tuo schiavo,
ti porterò ciò che desideri:
dimmi cosa vuoi che faccia
e lo farò,
dimmi cosa vuoi
e sarà tuo”.
Un improvviso fruscio di lacrime ha scosso il cuore, e ho detto:
“Oh, mattino, non voglio nulla.
C’è una cosa che voglio. Moltissimo.
Ma non so dirti con esattezza.
Forse morire, forse vivere”.
ERO SOLA CON ME STESSA
Ero sola con me stessa, l’altra sera,
con il me che nessuno conosce,
il mio me, la persona più gentile che abbia mai incontrato
(direi, la più bella!)
Ero sola con me,
avevamo molto di cui parlare,
non ci eravamo mai incrociati prima
se non per scorci, per sbagli
(a volte, volevamo incontrarci,
altre, speravamo di non incontrarci mai).
Abbiamo avuto anni per discutere
e anni seguenti di cui sparlare,
e poi c’erano altre cose -noi, la vita-
e tutte quelle cose di cui parlare.
Così, ci siamo seduti, in silenzio,
senza dire una parola.
la poetessa americana che sparì nel nulla
<<Non ho paura del mio cuore. Non ho paura di ciò che accade nei luoghi in cui si dispongono le ombre.>>
*Versi di Mary Carolyn Davies (Sprague, 1888 – ? New York, 1940 o 1974), poetessa dalla vita misteriosa e dalla morte ancora più oscura.
Considerata una promessa della letteratura americana, l’autrice statunitense fu per alcuni anni una brillante animatrice degli ambienti culturali di New York e ricevette importanti riconoscimenti per le sue liriche, i suoi racconti ed il suo unico romanzo.
All’improvviso si eclissò dalla scena pubblica per motivi mai chiariti, forse per depressione, forse per malattia.
Sulla sua nebulosa scomparsa prova a far luce l’enciclopedia dell’Oregon Historical Society: “Nel 1940, il giornale quotidiano Oregonian riferì che Davies era indigente, malata ed emaciata, viveva in una squallida stanza piena di manoscritti e poco altro. Secondo quanto riferito, i medici la diagnosticarono come anemica e i vicini dissero che aveva poco cibo. Ethel Romig Fuller, poetessa di Portland ed editrice di poesie dell’Oregon, la visitò a New York e raccontò che era in uno ‘stato deplorevole’ da almeno due anni. Non spiegò come avesse raggiunto un tale stato. Non c’è traccia della sua morte in Oregon e nessun necrologio fu pubblicato né sull’Oregonian né sul New York Times”.
Secondo altre fonti, tuttavia, quando la sua condizione di estrema povertà e di malnutrizione fu segnalata pubblicamente, venne aiutata da amici e ritornò in salute, vivendo fino al 19 maggio 1974, giorno in cui sarebbe deceduta in una casa di cura di New York.
Il critico Davide Brullo, che definisce la scrittrice “figura stravagante e straziata della poesia americana”, commenta invece così la sua indecifrabile sparizione dopo l’iniziale successo mondano: “Pare sia morta nel 1940: nessun giornale ne ha dato notizia, nessuna lapide la ricorda. Enigma che cuce le palpebre. Forse è stata scambiata per un’altra, e con il nome di un’altra sepolta, tra preghiere in ricamo, chissà dove. Mary Carolyn Davies è scomparsa, del corpo ha fatto un incorporeo monile. Così muore un poeta: si fa invisibile, cioè eterno.”
I ‘Mary Carolyn Davies papers’, ovvero tutti i suoi manoscritti, le sue fotografie e le sue corrispondenze epistolari, sono oggi custoditi dall’University of Oregon.
Mary Carolyn Davies
Canti di ragazza
I
Forse,
mentre piantava l’Eden
a Dio è caduto per errore un seme
nella tessitura prossima al Tempo:
è sbocciato
in quest’ora?
II
Abbiamo preso in mano la Vita, fissandola con curiosità
senza sapere se prenderla per un giocattolo o meno.
Era bella da vedere, sembrava un petardo rosso
eravamo certi della sua scia luminosa.
L’abbiamo gettata mentre la miccia stava bruciando…
III
Morirò anch’io, fiore, tra poco
non essere così orgoglioso.
IV
Il sole muore
solo
su un’isola
nella baia.
Chiudete gli occhi, papaveri
non voglio che vediate la morte
siete troppo giovani!
V
Il sole cade
come la goccia di sangue
di un qualche eroe.
Noi
che amiamo il dolore
ne gioiamo.
Canti di ragazza
(versione pubblicata su “Others”, n.1, July 2015)
I
Il mattino è in piedi, alla finestra, guarda nella mia camera e dice:
“Cosa vuoi fare di me?
Sono il tuo schiavo
ti porterò ciò che desideri:
dimmi cosa vuoi che faccia
e lo farò
dimmi cosa vuoi
e sarà tuo”.
Un improvviso fruscio di lacrime ha scosso il cuore, e ho detto:
“Oh, mattino, non voglio nulla.
C’è una cosa che voglio. Moltissimo.
Ma non so dirti con esattezza. Forse morire – forse vivere –”
II
Non ho paura del mio cuore.
Non ho paura di ciò che accade
nei luoghi dove si appaltano le ombre.
Non ho paura – vieni, entra
e guarda ovunque.
Non ho paura – cos’è quello?
Un posto pericoloso su cui passeggiare – il cuore.
Soprattutto – il proprio.
III
Tornare giovani
abbastanza giovani per ridere di ciò di cui devi piangere.
IV
Io siamo in tre; la ragazzina che ero, la ragazza che sono, la donna che sarò. Ci consultiamo spesso riguardo al tessuto con cui vogliamo tessere il sogno che stiamo facendo.
A volte dicono che sogno ad occhi aperti,
ignorano che stiamo tenendo consiglio, la bambina, la ragazza che sono, la donna che sto diventando.
Ci sono molte cose che ignoro.
V
Ero sola con me stessa, l’altra sera
con il me che nessuno conosce
il mio me, la persona più gentile che abbia mai incontrato.
(Direi, la più bella!)
Ero sola con me
avevamo molto di cui parlare
non ci eravamo mai incrociati prima
se non per scorci, per sbagli
(a volte, volevamo incontrarci
altre, speravamo di non incontrarci mai)
Abbiamo avuto anni per discutere e anni
seguente di cui sparlare
e poi c’erano altre cose – noi, la vita –
e tutte quelle cose di cui parlare.
Così, ci siamo seduti, in silenzio, senza dire una parola.
VI
Un piccolo bacio trema sulle mie labbra
non esce di casa, ha paura.
“Vai, vai”, gli dico, ma piange e non si muove.
Un piccolo bacio è irrequieto sulle mie labbra
“Devo andare”, sibila, “devo andare”
“Aspetta ancora un attimo”, gli dico, “aspetta” –
VII
Lo sguardo di uno sconosciuto
a volte di avvicina a me.
Un colore,
un suono,
e sento il tuo respiro;
i tuoi occhi mi toccano.
La stanza oscura in cui muore il giorno,
e io che piango per te;
un uccello che grida contro chi gli ruba il nido,
un fiore appena nato, che trema –
e il mio cuore batte di gioia per te –
per te, che non conosco
che so soltanto amare.
VIII
Tra poco morirò anch’io, fiore,
non essere così orgoglioso –
*
La porta
La più piccola porta spalanco,
la porta interiore.
Ora il mio cuore non ha più nulla
da nascondere.
La più lontana porta – la serratura
è vinta, e puoi capirlo anche tu:
la sala è una fortezza fragile.
Che tu sia buono.
*
Canto d’amore
Un muro ciclopico mi protegge:
è costruito con le parole che mi hai sussurrato.
Spade mi tengono al sicuro:
sono i baci delle tue labbra.
Davanti a me, uno scudo a guardia del male:
è l’ombra delle tue braccia tra me e il pericolo.
I desideri della mente sanno il tuo nome
i bianchi sentieri del cuore
sbocciano in te.
Il grido del mio corpo incompiuto
è consacrato a te.
Il sangue ritma il tuo nome
incessante, spietato,
il tuo nome, il tuo nome.
*
Claustrale
Questa notte la piccola suora è morta.
Le mani posate
sul petto; l’ultimo sole ha tentato
di baciare la sua treccia;
hanno ricavato una tomba
dove il fiume s’incassa, intimidito.
L’anima della piccola suora, ritratta
nel pudore, è andata in silenzio
da suo fratello Cristo
sotto l’Albero della Vita;
il Suo viso si è contratto in un sospiro
quando la vide piangere.
Ha posato le mani sulle sue
le ha benedette: “Cieco
chi ti ha fatto questo” – sorrise
anche il pianto va arguito
“D’altronde, nessuno si è accorto che Maria
cresceva un figlio in grembo”.
*
Prima che cominci aprile
Il giorno che precede aprile
sola, sola,
ho camminato nei boschi
mi sono seduta su una pietra.
La pietra sembrava un leggio
e cantavano gli uccelli.
Il ritmo è opera di Dio:
io metto le parole.
*
Stelle impaurite
Le stelle sono come noi bambini
che non vogliamo crescere.
Di notte, le piccole stelle impaurite
si raccolgono nella Via Lattea –
I coraggiosi stanno sempre da soli!
*
La fata solitaria
Una goccia di rugiada brilla
ancora sull’erba, il sole non
l’ha consumata: è una lacrima caduta
nella notte, il resto del pianto
della più solitaria fata.
*
L’abito
Sotto gli sguardi curiosi dei morti
per varcare i cieli (oh, i frutti immaturi
i peccati inconfessabili!)
vestivo
un abito tessuto delle tue promesse.
Potrei essere sola, spaventata
ma ogni donna si accorgerà di me.
*
Paura dei morti
Pietà di noi: dobbiamo temere
i terribili morti.
Queste creature di carne e ossa
che ora ascendono al loro trono.
Da lì giudicano, senza giudizio, ciò che facciamo.
Non abbiamo altra legge che quella che hanno
forgiato per noi: i loro desideri sono i nostri
e con il loro metro distinguiamo il bene dal male.
Siamo liberi e in catene, ci ricordano.
Pietà di noi; dobbiamo temere
i terribili morti.
*
Canto notturno per un bimbo
Una volta, una donna, a Betlemme
ha avuto un bimbo, come me:
una volta, ha fissato la sua testa
insonne, l’ha tenuta sulle ginocchia
e con i giovani annebbiati occhi
ha pregato per lui.
Ogni vita è fatta di lotta e di dolore
ogni vita ha un portagioie:
che su quei sentieri interrotti
possa camminare, fiero,
così lei, ieri come oggi,
per il figlio prega.
Che il mio bambino, mentre gli anni
precipitano veloci, non abbia bisogno
di altre mani: tienilo con te
libero dal male, al sicuro dal dolore.
Mary Carolyn Davies
Mary Carolyn Davies: la poetessa americana che sparì nel nulla
Fin dal primo numero, però, la figura più affascinante che transita per “Others” è Mary Carolyn Davies, a cui è dato l’onore di inaugurare il carosello poetico con Songs of a Girl, poemetto di ipnotica facilità.
Figura stravagante e straziata della poesia americana, Mary Carolyn Davies nasce nel 1888 a Sprague, Washington, studia a Portland, nel 1911 la vediamo a Berkeley. Il talento poetico trova precoci riconoscimenti: è la prima ragazza a vincere un paio di premi letterari banditi da Berkeley. Tuttavia, la vita universitaria non la conquista e poco dopo sbarca a New York, decisa a vivere di scrittura. Pare sia tenace, indomita: entra nei club di Greenwich, conosce Marianne Moore e Duchamp, è adorata da Kreymborg che ne fa una delle collaboratrici più assidue di “Others”. I suoi primi libri in versi, The Drums on our Street: A Book of War Poems (1918), Youth Riding (1919) e The Skyline Trail: A Book of Western Verse (1924), vengono paragonati a quelli di Edna St. Vincent Millay. I versi per bambini sono accolti in importanti antologie del tempo; nel 1921 pubblica il suo unico romanzo, The Husband Test.
Qualcosa, però, resta evidentemente irrisolto: un tarlo, la tenia del disgusto, un’affabile afflizione. Nel 1918 divorzia dal marito, Leland Davis; negli anni Venti torna a Portland dove, tra l’altro, diventa presidente della Northwest Poetry Society. Alcune rare fotografie del 1936 la vedono di fianco a un cavallo, in un bosco; è magra, minuta, sorride. Il ritorno a New York è devastante. Mary Carloyn Davies scompare dalla vita pubblica quasi subito. Non pubblica più, non frequenta più nessuno. Alcuni amici hanno detto di una malattia, che la inibiva a spostarsi; hanno detto della cupa indigenza, di una solitudine che si fa palude ma non abbastanza pena.
Tutti, infine, mollano Mary Carolyn Davies, la promessa della poesia americana. E lei, infine, infinitamente, scomparve. “Non esistono tracce della sua morte”, si limitano a scrivere i reperti biografici. La University of Oregon custodisce, in due scatole, i “Mary Carolyn Davies papers”: le poesie, una manciata di racconti manoscritti, una serie di atti unici, qualche fotografia, i taccuini, la smilza corrispondenza con gli editori.
Pare avesse tre fratelli, pare che qualcuno l’abbia messa al mondo, creatura di evanescenze e notti striate. Nessuno ha riscattato il corpo di Mary Carolyn Davies, in pochi ne ricordano il corpus. Estremità francescana, putredine della più pura povertà, veglia sulla cenere. Pare sia morta nel 1940, Mary Carolyn Davies: nessun giornale ne ha dato notizia, nessuna lapide la ricorda. Enigma che cuce le palpebre. Forse è stata scambiata per un’altra, e con il nome di un’altra sepolta, tra preghiere in ricamo, chissà dove. Mary Carolyn Davies è scomparsa, del corpo ha fatto un incorporeo monile.
C’era sempre l’attesa negli occhi di nostra madre,
Ansia, meraviglia e supposizione,
Durante le lunghe giornate, e nel più lungo, lento,
Ancora pomeriggi, che sembravano non andare mai,
E la sera, quando era solita sedersi
Ascolta il nostro discorso casuale e lavora.
Quando il giorno era buio e piovoso,
Non è in grado di essere all’estero, lei sarebbe in piedi
Accanto alla finestra, sbircia fuori e tremare,
Come piccole gocce di pioggia slegate per fare un fiume
Che si precipitò, tempestoso, giù per il vetro della finestra,
E di’: “Mi chiedo cosa fanno nella pioggia?
È bagnato lì nelle trincee, pensi?”
E lei si chiederebbe se avesse il suo inchiostro
E le lame e il dentifricio che ha mandato;
E se leggeva molto nel suo Testamento,
O lamentele pulite, alcune mattine, come lo faranno i ragazzi.
Ma sempre l’unica meraviglia nei suoi occhi
Era: “È che vive, vive, vive, è ancora
Vivo e gay? O giacere morto da qualche parte
E là lo troveranno a terra?».
Chiuse i coperchi ogni notte a quello sguardo
Di attesa, come una mano potrebbe chiudere un libro
Ma non cambiare mai le parole che c’erano dentro.
E quando i rumori del mattino iniziavano
Un nuovo giorno, e un giovane sole toccò il cielo,
Si svegliò di nuovo con l’attesa negli occhi.
Ma ora e’ finita. Lei non legge
Le liste di vittime, da quando è arrivato
Una o due settimane fa. Non c’è bisogno.
Sta facendo maglioni per altri uomini
E lavorare a maglia con la stessa attenzione di allora.
Non c’è cambiamento, tranne che mentre si veste
I suoi aghi, veloci e ritmici come prima,
Non c’è attesa agli occhi di nostra madre,
Ansia o meraviglia più.
Questa poesia è di pubblico dominio. Pubblicato in Poem-a-Day il 7 dicembre 2024, dall’Accademia dei poeti americani.