Poesie di Lorenzo Patàro-Poeta calabrese-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Poesie di Lorenzo Patàro-Poeta calabrese-
Davide Rondoni:”Le poesie di Lorenzo Patàro sono ricche di riferimenti a luoghi e gesti e presenze che risalgono da un tempo remoto che diviene presente, e questo conferisce una nuova e antica forza epica che si intreccia al respiro lirico amoroso. Questo vivo impasto, lontano dall’essere una forma di esotismo o arcaismo, segna la ricerca di un sentimento del tempo vasto per l’avventura amorosa – che si disegna su uno scenario più consono alla profondità del sentire rispetto al piccolo orizzonte di una vicenda privata. Certo, conta la provenienza, la geografia umana. Ma conta in questo interessante tentativo anche la ricerca di una visione, di una forza che sia radicale per spingere più intensa la voce e la sua adesione all’anima e al vivere”
***
Mi innesti alla tua pianta, mi aggrappo
alla tua gemma che è ferita, raccolgo
il tuo respiro dalla crepa, lo scavo come fosse
una miniera, lo tengo come fuoco
tra le mani consegnato dalle braci,
lo tengo per quando arriva il gelo,
al riparo dalla febbre sulle tempie,
da quel freddo-animale che fa scarni,
fa muta la parola e ci leviga le ossa.
Raccolgo il tuo respiro come un frutto,
lo semino all’interno, benedico la tua fame
e la porto come un dono che ha il vizio di brillare.
***
I rovi tra la neve troveranno un’altra luce
un bastone di pastore a scavare gli anemoni
e le bacche marce nella terra
a furia di urlare il mio nome si scheggia
la tua voce o si affila come la punta di ghiaccio
che pende sottile dalla casa diroccata –
allora tu dammi un altro luogo
in cui inselvatichirmi, una pelle di ghiro
mentre dorme nel rifugio fra le travi del pagliaio
chiamami col verso dei falchi o delle volpi
donami le orme del lupo, gli occhi dei piccoli
che cercano la madre e la sua bocca
feroce quando afferra il nuovo nato dalle zampe
e il sangue che sgorga si fa pietra nel gelo,
ossidiana – rovescio del bianco nel bianco.
***
Cerchia la parola, la parola disarmata
alla fine della strage sulla linea che segna
la frontiera. Autunno-dire, inverno-sentire.
La casa è nuda. Tu fai tana nella soglia.
Si sgola la distanza e si ammanta
la preghiera di fonemi involontari.
Ti mando a brillare sulla neve.
Azzurro bene non visto che perdura.
***
Sentire come allora. Bambini-parco-giochi.
Sentire la vita come allora e in un punto
preciso, dentro al petto. Chiaro nitido
pungente. Accorgersi del noto.
Lo spazio tra le cose, tra il piede che si alza
nella corsa e il piede-ancora che tiene.
Polvere, il radioso nello spazio
tra le dita. Sentire un freddo che è lontano,
acuminato. Universo che semina nel petto
qualcosa di antico e benedetto.
In cerchio si osserva la ferita al ginocchio
del bambino, sangue e pelle, il suo frantumo.
Sentire come allora. Farsi tana e nascondersi
era un modo per lasciare il mondo vuoto, farsi
mondo nel mondo e nascondersi nel vuoto
lasciato dalle cose. Qualcuno ci cercava.
E noi acquattati come i morti. In attesa.
Trattenendo il respiro come loro.
***
Vedi, è tornato il primo freddo
a levigarci – la vinaccia nel tino si fa d’oro.
Nulla. Poi qualcosa che si muove
sotto tutte le macerie della casa.
Tutti i fossili ti ascoltano cantare
e riparano le braci dalla neve.
Ottobre vento antico di uragano.
Qualcosa di prezioso ci raccoglie
ci fa semina e tempesta. Spoliazione.
Vieni, dormiamo nel tepore tra le martore
in veglia nella notte per la caccia. Ci porta
verso tutti i malangeli perduti nella nebbia
quest’allerta che fa i luoghi argilla e fuoco.
***
Penso ai morti del paese a cui non pensa
più nessuno. Gli ingrigiti fiori finti, i fiori secchi,
il gelo che fa tana nelle tombe scoperchiate.
Quanto resta. Cosa resta in una foto
di tutto il mappamondo di un umano.
Una scritta, una data, qualche oggetto.
Cosa resta. Penso a tutti i trapassati
che non lasciano una scia. Benedico
i loro nomi, percepisco il loro sonno
come un ago, la mia notte
nella cruna della loro.
Lorenzo Patàro (Castrovillari, 1998), laureato in Lettere Moderne all’Università di Salerno, vive a Laino Borgo (CS), in Calabria. Ha pubblicato la raccolta “Bruciare la sete” (Controluna, 2018), finalista al Premio di Poesia “Solstizio” opera prima nel 2019. Sue poesie, edite e inedite, sono state pubblicate su riviste come Atelier, Poesia del nostro tempo, Il sarto di Ulm – bimestrale di poesia, sul sito ufficiale di poesia della Rai (Poesia, di Luigia Sorrentino), sul quotidiano La Repubblica. Con alcuni inediti è tra i vincitori della ventisettesima edizione del Premio internazionale di poesia “Ossi di seppia” (Taggia, 2021). È presente nell’antologia “Distanze obliterate. Generazioni di poesie sulla rete” (Puntoacapo, 2021).
Fonte- clanDestino nasce come una sfida di giovani amanti della poesia a Forlì.
Nel 1988 nove ragazzi, tra cui Gianfranco Lauretano e Davide Rondoni, decidono di dar vita alla rivista, proseguendo con nuovo nome e taglio, il lungo lavoro per la poesia italiana che aveva fatto la casa editrice Forum di Forlì di G. Piccari, con la rivista “Quinta Generazione”.
Da quel momento in poi una serie di voci importanti hanno viaggiato con clanDestino; ma non solo grandi nomi, anche tanti poeti e scrittori hanno esordito e si sono incontrati con la rivista e ne hanno tratto spunti per la loro arte.
Fin dall’inizio clanDestino si è distinto per il suo essere in un certo modo, mai neutro né banale, ospitale e attento, vivace compagno di strada che cerca la vita nella vita.
Poesie di Lorenzo Patàro-Poeta calabrese <<Se non dovessi tornare, sappiate che non sono mai partito. Il mio viaggiare è stato tutto un restare qua, dove non fui mai.>>
*Versi di ‘Biglietto lasciato prima di non andar via’ di Giorgio Caproni, l’ultima, inquietante ed oscuramente premonitrice lirica pubblicata sul suo profilo Instangram, sei giorni fa, da Lorenzo Patàro (Castrovillari, 1998 – Laino Borgo, 2025), giovanissimo poeta di sicuro talento scomparso ieri in circostanze non comunicate dai familiari.
Laureato in Lettere e Filologia moderna, il ventiseienne autore calabrese era tra i più attivi e stimati operatori dell’affollata e promiscua scena poetica contemporanea, anche in virtù di un’intensa attività pubblicistica in qualità di critico de Il Foglio e del magazine letterario Inverso.
Con la raccolta ‘Amuleti’ era approdato alla finale del Premio Strega Poesia 2023. Aveva inoltre ricevuto riconoscimenti in vari concorsi, tra cui Pontedilegno Poesia, Ossi di Seppia e Ritratti di poesie.
Della sua opera ha scritto Davide Rondoni sulla rivista ClanDestino: “Le poesie di Patàro sono ricche di riferimenti a luoghi e gesti e presenze che risalgono da un tempo remoto che diviene presente, e questo conferisce una nuova e antica forza epica che si intreccia al respiro lirico amoroso. Questo vivo impasto, lontano dall’essere una forma di esotismo o arcaismo, segna la ricerca di un sentimento del tempo vasto per l’avventura amorosa, che si disegna su uno scenario più consono alla profondità del sentire rispetto al piccolo orizzonte di una vicenda privata. Certo, conta la provenienza, la geografia umana. Ma conta in questo interessante tentativo anche la ricerca di una visione, di una forza che sia radicale per spingere più intensa la voce e la sua adesione all’anima e al vivere.”
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RIINIZIARSI
(Lorenzo Patàro)
Se a tutto c’è una fine
che tu sia il tuo inizio.
SIAMO STATI CENERE
Siamo stati cenere
di incendi causati
dai nostri stessi
baci infiammati.
Rinasceremo vento
per disperdere i frammenti,
ci bruceremo ancora
per farne tramonti.
VEDI, È TORNATO IL PRIMO FREDDO
Vedi, è tornato il primo freddo
a levigarci – la vinaccia nel tino si fa d’oro.
Nulla. Poi qualcosa che si muove
sotto tutte le macerie della casa.
Tutti i fossili ti ascoltano cantare
e riparano le braci dalla neve.
Ottobre vento antico di uragano.
Qualcosa di prezioso ci raccoglie
ci fa semina e tempesta. Spoliazione.
Vieni, dormiamo nel tepore tra le martore
in veglia nella notte per la caccia.
Ci porta verso tutti i malangeli perduti nella nebbia
quest’allerta che fa i luoghi argilla e fuoco.
PENSO AI MORTI DEL PAESE
Penso ai morti del paese a cui non pensa più nessuno.
Gli ingrigiti fiori finti, i fiori secchi,
il gelo che fa tana nelle tombe scoperchiate.
Quanto resta. Cosa resta in una foto
di tutto il mappamondo di un umano.
Una scritta, una data, qualche oggetto.
Cosa resta. Penso a tutti i trapassati
che non lasciano una scia.
Benedico i loro nomi, percepisco il loro sonno, come un ago, la mia notte, nella cruna della loro.
“Amuleti” di Lorenzo Pataro-(Ensemble 2022)-Dalla prefazione di Elio Pecora
[…] Questo libro di Lorenzo Pataro possiede qualità e forze e umori. Il territorio, nel quale l’autore si cerca e si palesa, appartiene a un altrove che ingloba l’umano, ma non lo isola e restringe. Il titolo Amuleti fa pensare agli amuleti montaliani, a oggetti e soggetti che modulano i significanti ed estendono i significati. Nell’epigrafe di Gianni Celati – una delle tre che aprono il libro e sono indubbiamente mappe per un tragitto da compiere – si dice di parole che “chiamano qualcosa perché resti con noi”. Quel che resta qui di una fitta elencazione di luoghi, oggetti, animali, piante, stagioni è insieme vigilanza e stupore, attesa trepida e insopprimibile desiderio di essere e di restare. E se della negazione e del dubbio, in cui è stato immerso e sommerso il Novecento, persistono qui le ombre e gli appigli, se una irreparabile scontentezza sta dietro gli avvii e le soste di tanto chiamare ed evocare, mai s’accampa una definitiva rinuncia alla felicità, mai si cede a un’estrema invalicabile negazione. Tutto – in questo continente di parole, di frasi, di cadenze – si avvolge in un ritmo denso e pacato. Il verso, che propende all’endecasillabo, ne esce per acclimatarsi in chiare e libere cadenze. Tutto si presenta come composto di un’uguale sostanza, eludendo ogni separatezza, trovando segrete ragioni in una confidenza e in una prossimità che sfociano in una cercata alleanza. […]
da Amuleti (Ensemble 2022)
Ancora ritorna lo sparviero
il nibbio a piantare l’urlo nella schiena
a percorrere il dolore come un dito
che tocca la ferita e la ripara
la stagione degli amori ritorna
e spalanca i richiami dei tordi nella nebbia
se getti il germoglio sul cemento
lo ruba la gazza e lo conserva
nel nido poi scopre il tuo segreto
e smette di brillare ogni preghiera
ancora ritorna lo sparviero
la poiana caduta a capofitto.
*
Stella di grafite, ti ho gettato
tra le onde, lieve combustione.
Luce primitiva, fammi iena
fammi aratro, braccato
nella nebbia. Luce-grembo.
Ti ho gettato in tutti i pori
nascita ulteriore, dono dei relitti,
fatica del restauro, sapiente oro.
*
I rovi tra la neve troveranno un’altra luce
un bastone di pastore a scavare gli anemoni
e le bacche marce nella terra
a furia di urlare il mio nome si scheggia
la tua voce o si affila come la punta di ghiaccio
che pende sottile dalla casa diroccata –
allora tu dammi un altro luogo
in cui inselvatichirmi, una pelle di ghiro
mentre dorme nel rifugio fra le travi del pagliaio
chiamami col verso dei falchi o delle volpi
donami le orme del lupo, gli occhi dei piccoli
che cercano la madre e la sua bocca
feroce quando afferra il nuovo nato dalle zampe
e il sangue che sgorga si fa pietra nel gelo,
ossidiana – rovescio del bianco nel bianco.
*
Sentire come allora. Bambini-parco-giochi.
Sentire la vita come allora e in un punto
preciso, dentro al petto. Chiaro nitido
pungente. Accorgersi del noto.
Lo spazio tra le cose, tra il piede che si alza
nella corsa e il piede-ancora che tiene.
Polvere, il radioso nello spazio
tra le dita. Sentire un freddo che è lontano,
acuminato. Universo che semina nel petto
qualcosa di antico e benedetto.
In cerchio si osserva la ferita al ginocchio
del bambino, sangue e pelle, il suo frantumo.
Sentire come allora. Farsi tana e nascondersi
era un modo per lasciare il mondo vuoto, farsi
mondo nel mondo e nascondersi nel vuoto
lasciato dalle cose. Qualcuno ci cercava.
E noi acquattati come i morti. In attesa.
Trattenendo il respiro come loro.
Lorenzo Pataro (Castrovillari, 1998) ha pubblicato la raccolta di poesie Bruciare la sete (Controluna 2018). Sue poesie sono state pubblicate su riviste e blog come «Atelier», «Interno Poesia», «Poesia del nostro tempo», «ClanDestino», «Il sarto di Ulm»; sul sito ufficiale di poesia della Rai («Poesia», di Luigia Sorrentino); sul quotidiano «La Repubblica». Ha vinto i premi “Ossi di seppia” (2021) e “Poeti oggi” (2022).