Poesie di John Ashbery- poeta statunitense
Biblioteca DEA SABINA
Poesie di John Ashbery- poeta statunitense
Questa stanza
La stanza in cui entrai era il sogno di questa stanza.
Certo tutti quei piedi sul sofà erano miei.
Il ritratto ovale
di un cane ero io in piú tenera età.
Qualcosa riluce, qualcosa viene azzittito.
A pranzo mangiavamo pastasciutta tutti i giorni
tranne la domenica, quando una quaglia veniva indotta
a esserci servita. Perché ti dico questo?
Nemmeno sei qui.
CARTE
Perdere tempo con questi rompicapo?
Perché su che cosa farei lezione allora?
Il maestro che viene dopo, dopo tutto,
li toglie di mezzo o li brucia.
Io dunque non sono molto forte?
Il mio arco sarà eretto, teso lungo la sabbia
fin dove si vedono gli ulivi? No,
io sono un pezzo di stoffa normale, ma mi colpisce
la sera nel plenilunio.
L’heureuse, la chiamavano.
Giorno dopo giorno guardava lo sguardo azzurro del globo
nel suo giardino soleggiato, senza dire niente.
Notando questo, neanche il vecchio ceppo diceva niente.
Finché è sbottato:
«Non puoi essere qualcosa? Hai le buone maniere che ci vogliono
e la tua veste è un movimento di verde pisello iniettato di spuma marina».
So che un giorno io mi rassegnerò
alle buone maniere e al commercio con gli altri.
Perciò lancio il mio cappello su questo attaccapanni.
Ecco siamo in due. Prendine due.
Continuando a girare nel cielo demente,
la macina dello zucchero versa poesie e più semplici mosse.
E come spiegare le rose nella nostra fornace?
Una scimmia molto materna ci porta
a un tavolo coperto di argenteria e di cristalli,
pentole sporche di cristallo che permettevano al vecchio
di vedere attraverso le lacrime:
lui avresti dovuto invitare.
Paradossi e ossimori
Questa poesia si occupa del linguaggio a un livello alquanto piano.
Guardala che ti parla. Guardi da una finestra
o affetti irrequietezza. La sai ma non la sai.
Ti manca, la manchi, le manchi, ti manca. Vi mancate a vicenda.
La poesia è triste perché vuole essere tua, e non può.
Cos’è un livello piano? È quella cosa e altre,
e ne mette in gioco un sistema. Gioco?
Beh, di fatto, sí, ma io ritengo che il gioco sia
una piú profonda cosa esterna, un modello di ruolo sognato,
come nella ripartizione della grazia queste lunghe giornate agostane
senza dimostrazione. A finale aperto. E prima che te ne accorga
si perde nel vapore e nel cicaleccio della macchina da scrivere.
È stata giocata un’altra volta. Penso tu esista solo
per tormentarmi a farlo, al tuo livello, e poi tu non ci sei
o hai adottato un atteggiamento diverso. E la poesia
mi ha deposto dolcemente accanto a te. La poesia è te.
*
Il brivido di un’avventura d’amore
È diverso quando hai il singhiozzo.
Tutto è – cosí tante mani con secondi fini si contendono
la tua attenzione, una sciarpa, uno sbuffo di fuliggine,
o solo un boato di silenzio da una radio.
Cos’è? È una cosa che saprai
con sconcerto quando, alla fine di una lunga coda
al self-service, vassoio in mano, ti dicono che la porta ha chiuso
dopo la seconda guerra mondiale. Siracusa fu dichiarata capitale
di una nazione malconcia, ma il direttorato
aveva altri, reconditi scopi. Proclamare la logica
vittima della verità era uno di questi.
La solitudine di tutti (e la conseguente promiscuità)
profumava i vicoli di paesi che avevamo pensato civili.
Ti ho visto che aspettavi il tram e sono passato di fretta.
Ahimé eri solo un bimbo con l’armatura. Ora quando brindisi ribaldi
fanno vela attorno a un tavolo troppo bene imbandito, ecco le conseguenze
sono solo polvere, malattia e vecchiaia. I bei ricordi
sono solo ciò che sono. Cosí io convoglio qualsiasi cosa
nella mia eventualità, una vena di mercurio
che continua a disperdersi, piú su, piú puntuale
ogni volta. Dirndl maculati di fiori obsoleti,
indossati di nuovo in città, promuovono un dibattito aperto.
*
E lei si chiama Ut pictura poesis
Non puoi dirlo piú cosí.
Preoccupato della bellezza devi
uscire allo scoperto, in una radura,
e riposare. Certo, qualsiasi cosa strana ti succeda
è OK. Chiedere di piú non sarebbe
da te, tu che hai cosí tanti amanti,
gente che ti ammira ed è pronta
a fare cose per te, ma tu pensi
non sia giusto, che se ti conoscessero davvero…
Basta cosí con l’autoanalisi. E adesso,
su cosa mettere nella tua poesia-quadro:
i fiori sono sempre belli, specie i delphinium.
I nomi di bambini conosciuti un tempo e le loro slitte,
i razzetti vanno bene – esistono ancora?
Ci sono un sacco di altre cose con le stesse proprietà
delle sunnominate. Ora si devono
trovare alcune parole importanti e molte di basso profilo,
dal suono fiacco. Lei mi contattò
perché comprassi la sua scrivania. D’improvviso la strada fu
follia pura e clangore di strumenti giapponesi.
Prosaici testamenti vennero sparpagliati tutt’attorno. La sua testa
s’allacciò alla mia. Eravamo una biciancola. Qualcosa
andrebbe scritto su come ciò ti condizioni
l’estrema austerità di una testa pressoché vuota
che si scontra con il rigoglioso fogliame Rousseau-simile del suo desiderio di [comunicare
qualcosa nelle intermittenze del respiro, anche se solo nell’interesse
d’altri e per il loro desiderio di capirti e disertarti
per altri centri di comunicazione, cosí che la comprensione
possa avere inizio, e cosí facendo essere di sfatta.
Nota biografica di John Ashbery è un poeta statunitense (Rochester, New York, 28 luglio 1927 – Hudson, 3 settembre 2017). Insieme con Kenneth Koch e Frank O’Hara è stato uno dei New York Poets, che perseguivano un rinnovamento della poesia analogo a quello dei Beats e dei Black Mountain Poets. Nella sua opera confluiscono le problematiche più avanzate delle arti contemporanee, la ripresa dell’eredità modernista e la fusione di poesia e arti visive. Tra le sue opere Some Trees (Alberi, 1956); The Tennis Court Oath (Il giuramento del campo da tennis, 1962); Self Portrait in a Convex Mirror ( 1975; Autoritratto in uno specchio convesso, Milano, 1983); April Galleon (Galleone d’aprile, 1987; Can You Hear, Bird: Poems (1995); Chinese Whispers: poems (2002). Nel 2008 per Luca Sossella esce Un mondo che non può essere migliore. Poesie scelte 1956-2007, antologia curata da Damiano Abeni con Moira Egan.