Poesie di Ewa Lipska-poetessa polacca- Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA-
Poesie di Ewa Lipska-tradotte da Paolo Statuti
Breve Biografia di Ewa Lipska poetessa e pubblicista, è nata a Cracovia l’8 ottobre 1945. Comincia a scrivere versi già negli anni del liceo. Debutta come poetessa nel 1961, pubblicando sul quotidiano Gazeta Krakowska la poesie Krakowska noc (Notte cracoviana), Smutek (Tristezza) e Van Gogh. Si diploma all’Accademia di Belle Arti di Cracovia. Dal 1970 al 1980 lavora presso la prestigiosa casa editrice Wydawnictwo Literackie, dove cura le collane di poesia, continuando la sua attività creativa. Dal 1995 al 1997 direttrice dell’Istituto Polacco di Vienna. Cofondatrice e redattrice di diverse riviste letterarie, tra cui il mensile “Pismo”. Vicepresidente del PEN Club polacco. Ha ricevuto molti prestigiosi premi nazionali e internazionali per la sua creazione letteraria. Le sue poesie sono state tradotte e pubblicate in quasi 40 lingue. Autrice di numerose raccolte poetiche, tra le ultime: Ja (Io 2004), Pogłos (Rimbombo 2010), per la quale ha ricevuto il premio “Gdynia”, e Droga pani Schubert… (Cara signora Schubert…, 2012), 20 poesie scelte (CFR 2014), Il lettore di impronte digitali (titolo originale Czytnik linii papilarnych, Donzelli 2017). Ha scritto inoltre diversi testi poetici di canzoni di successo.
Ewa Lipska poesie
Forse
Forse ancora mi resterà
sbiadita come inutile verso
una fotografia. L’ultima separazione
il cielo con la pioggia svolgerà su tamburi.
E il giorno verrà il giorno verrà il giorno verrà
nel tuo grigio stinto vestito
nella fotografia così piccola così concisa
che è possibile stringere in una mano.
E più non so più non so più non so
se tu eri o sei o sarai
forse guardi e di rimpianto è il grigiore
forse soltanto con noncuranza gioisci
forse pensi che la vecchiaia già vecchiaia
adesso da me con impeto si affretti.
Tu ti sei fermata e aspetti. Io sono in cammino.
Tu negli occhi aperti ti sei fermata.
Ed io guardare non posso non posso.
Perciò guardo mortalmente ostinata.
–
Vetri
Che pena guardare quei vetri oblunghi.
Donne assonnate si tolgono il trucco dal volto.
E accanto cupi passano i viaggiatori.
Dietro di loro c‘è il paesaggio. La truppa marcia.
Nel paesaggio ci sono i tavoli. Sui tavoli c’è il vino.
A un tavolo una ragazza. Nella ragazza c’è il sorriso.
E nel sorriso c’è la tristezza. E tutto è come al cinema
in quei vetri oblunghi. Nella ragazza c’è il sorriso.
Fa pena guardare. Donne assonnate.
Nelle donne c’è l’amore. Nell’amore c’è la fine.
E poi ci sono solo vetri oblunghi
e la tristezza. Viaggiatori. Nell’amore c’è la fine.
Nei viaggiatori c’è il treno. Battono in essi le ruote.
E nelle ruote c’è l’eternità. Nell’eternità c’è la paura.
E nella paura c’è il silenzio. E nel silenzio il più silenzioso.
Nei viaggiatori c’è il treno. E il continuo gioco delle ruote.
Che pena guardare. La truppa marcia.
Nel soldato c’è la pallottola. E nella pallottola c’è la morte.
E nella morte c’è tutto e nulla c’è nella morte.
E nel sorriso c’è la tristezza. Nell’amore c’è la fine.
A un tavolo una ragazza. Nella ragazza c’è il cuore.
E nel cuore c’è un soldato. Nel soldato c’è la pallottola.
E piange la ragazza. Passano i viaggiatori.
La fresca notte si specchia nei vetri oblunghi.
Nessuno
Sono d’accordo su questo paesaggio
che non esiste.
Mio padre regge nella mano il violino.
I bambini leccano il suono.
La corrente d’aria
investe i petali delle rose.
Poi la guerra. Ci perdiamo di vista.
A frasi intere si celano le parole.
La stanza vuota
parcheggiata nell’oscurità
dell’edificio.
Prego lasciare un biglietto
dice nessuno.
Natura morta
La natura morta comincia a guastarsi.
Arrugginiscono le viti dei giaggioli. Dalla frutta
di Chardin Courbet Cézanne
si leva un odore nauseante.
La tela perde la vista.
Nel bicchiere una pietra di vino.
Insopportabile il nero.
Profetiche visioni
dei dittatori della moda:
si approssima l’epoca dei lampi.
Piante terrestri anfibi e mammiferi
soffierà via il corno.
Il tempo accadrà sempre più raramente.
Sarà sempre più breve. Sempre di meno.
Dunque togli dalla borsetta il nostro amore.
E affrettati. Un brandello di oltremare
annuncia che faremo in tempo a ridere.
Amore
L’amore è un indovino.
Prevede se stesso te e me.
E’ del popolo eletto
e usa una lingua
ad alta tensione.
Nella Biblioteca Nazionale
macchia perfino
i libri poco letti.
In una valanga di cori
scopre un’eco
di euforia e di morte.
E quando ti raggiungerà
cerca di essere in casa.
O qualcosa del genere.
Pur di incontrarvi.
Sogno
Il sogno mi dava quindici possibilità.
Tre vie d’uscita da una situazione alquanto difficile.
In una di esse bisognava usare la chiave
che tenevo in mano.
Nel sogno proiettavano un film sulla fine del mondo.
Nessuno dei presenti in sala ha chiesto: e dopo?
Le poesie scritte nel sogno erano molto buone.
Quelle non scritte affatto – non erano peggiori.
Il tempo era come doveva essere.
Bisognava con tutto questo andare verso la veglia.
Mi ha sorpassata un gruppo di atleti
che correvano oltre il tempo.
Una vecchietta ha preso un sonnifero
ed è tornata indietro.
La veglia è sopraggiunta inattesa.
Le ho comunicato soltanto il dolore alla testa
posata male sul bianco cuscino.
Mia sorella
Mia sorella ancora non sa
che il mondo è condannato all’atlante.
E l’atlante è un enorme piatto eternamente affamato.
E’ un giornale di paesi-modelli ritagliati. A volte fuori moda.
Che all’improvviso tutto è chiaro quando si esce dal cinema.
Che le idee aderiscono perfettamente ai manichini.
Che non c’è morte che serva di esempio.
Che la morte è soltanto di natura.
Che volendo guardare il cielo bisogna
portarlo prima alla censura.
Che il più alto sapere è nella biblioteca dello spazio.
Che l’amore è amore. E l’amore è un giardino.
Che in questo giardino bisogna sfuggire l’autunno.
Che in un giardino non si può sfuggire l’autunno.
Che nessuno impedirà più la divisione delle cellule.
Che la vita è finita quando comincia.
Che Isolda è vecchia. Soffre di reumatismi.
Che la storia è una grande pattumiera.
Serve a far sparire le date e a spaventare i bambini.
Che quando la notte per un attimo gli occhi ci adombra
si risvegliano in noi gli uccelli gridando: Terra! Terra!
E allora scopriamo un nuovo continente: l’Uomo
che sulle palpebre la calda mano ci posa…
Ma mia sorella sa già
Che A come Ada.
*
Non mi ha salvata l’alluvione
benché giacessi già sul fondo.
Non mi ha salvata l‘incendio
benché bruciassi per molti anni.
Non mi hanno salvata le disgrazie
benché mi investissero treni e automobili.
Non mi hanno salvata gli aerei
che sono esplosi con me nell’aria.
Si sono abbattute su di me
le mura di grandi città.
Non mi hanno salvata i funghi velenosi
né i precisi tiri dei plotoni d’esecuzione.
Non mi ha salvata la fine del mondo
perché non ne ha avuto il tempo.
Nulla mi ha salvata.
VIVO.
Certificato di garanzia
La nostra macchina da matrimonio
si è inceppata all’improvviso.
E benché continuiamo
a pelare i pomodori
a tagliare sottilmente l’aglio
a infarcire la serata
di parole sul sesso
e a mangiare ricordo
dopo ricordo
cerchiamo nervosamente
il certificato di garanzia
che mantiene la parola.
L’esame
L’esame per il posto di re
andò a meraviglia.
Si presentarono alcuni re
e un apprendista re.
Fu scelto re un certo re
che doveva essere re.
Ottenne punti extra per le origini
l’educazione spartana
e per il sorriso
che prese tutti alla gola.
In storia rivelò
notevoli capacità di sorvolare.
La lingua obbligatoria
risultò la sua madrelingua.
Quando toccò il tema dell’arte
avvinse il cuore della commissione.
Uno dei membri della commissione
avvinse un po’ troppo forte.
Sì
quello era davvero un re.
Il presidente della commissione
corse a chiamare il popolo
per consegnarlo solennemente
al re.
Il popolo
era rilegato
in pelle.
.
A due voci
– Non sarò più tua moglie.
– Non sarò più tuo marito.
– I bambini non capiranno cos’è accaduto.
– Bisogna mandarli al cinema.
– I segugi dei miei pensieri hanno fiutato
la separazione.
– Una grossa cicatrice dopo questo amore
resterà.
– Lo seppelliremo visto che è giunto
così insensato.
– Le sentinelle dei ricordi metteremo
presso la bara.
– Quanto si può tenere un cadavere
in casa?
– Quanto si può tenere un cadavere
nel cuore?
– Faremo brevi discorsi.
– Gli augureremo ogni bene.
– Affinché non ritorni.
– Forse ancora una volta…
– Non ci troverà in casa. Andiamo in tintoria.
– Troppo incauti siamo stati con noi stessi.
Prima dell’alluvione fuggivamo verso il fiume.
– Prima della siccità fuggivamo verso il sole.
Eternamente stanchi abusavamo della farmacia.
– Coprivamo le orecchie quando l’orologio ci minacciava
sonando l’allarme sonando l’allarme.
– Ci separavamo per ulteriori incontri
su una funivia. Fissando il baratro
sceglievamo l’amore che ci occorreva.
– Eravamo atterriti dalla profondità del destino.
– Soli come il deserto che non spera più nel cielo.
– E soltanto del nostro amore ancora
la camicetta di seta. Del nostro amore
il pettine.
– E le labbra
che impediscono l’accesso alla parola.
– La sera fa già fresco.
Prendiamo i cappotti dei bambini.
– E andiamogli incontro.
Il cinema è lontano.
Il giorno dei Vivi
Nel giorno dei Vivi
i morti giungono alle loro tombe
– accendono le luci al neon
e piantano i crisantemi delle antenne
sui tetti dei multipiani sepolcri
a riscaldamento centralizzato.
Poi
scendono con gli ascensori
verso il quotidiano lavoro:
la morte.
Poesie tradotte da Paolo Statuti è nato a Roma il 1 giugno 1936. Nel 1963 si è laureato in Scienze Politiche presso l’Università di Roma. Nello stesso anno è stato assunto come impiegato dalle Linee Aeree Italiane Alitalia, che ha lasciato nel 1980. Nel 1975, presso la stessa Università romana, ha conseguito la laurea in lingua e letteratura russa ed altre lingue slave (allievo di Angelo Maria Ripellino). Nel 1982 ha debuttato in Polonia come poeta e nel 1985 come prosatore. E’ autore di numerose traduzioni letterarie pubblicate (prosa e poesia) dal russo, ceco e soprattutto dal polacco nella lingua italiana. Ha collaborato con diverse riviste letterarie polacche e italiane. Nel 1987 ha pubblicato in Italia due libri di favole: “Il principe-albero” e “Gocce di fantasia” (Edizioni Effelle di Marino Fabbri). Una scelta di queste favole è uscita anche in Polonia con il titolo “L’albero che era un principe” (”Drzewo, które było księciem”, Ed. Nasza Księgarnia, Warszawa, 1989).
Dal 1982 al 1990 ha lavorato presso la Redazione Italiana di Radio Polonia a Varsavia, realizzando molte apprezzate trasmissioni prevalentemente letterarie. Nel 1990 ha ricevuto il premio annuale della Associazione di Cultura Europea – Sezione Polacca, per i meriti conseguiti nella divulgazione della cultura polacca in Italia.
Negli anni 1991-1997 ha insegnato la lingua italiana presso il liceo statale “J. Dąbrowski”di Varsavia ed ha preparato l’esame scritto di maturità in questa lingua, a livello nazionale, per conto del Provveditorato Polacco agli Studi.
A gennaio del 2012 ha creato un suo blog: musashop.wordpress.com, dedicato a poesia, musica e pittura, dove pubblica in particolare le sue traduzioni di poesia polacca e russa. Recentemente sono uscite in Italia nella sua versione raccolte di poesie di: Małgorzata Hillar, Urszula Kozioł, Ewa Lipska, Halina Poświatowska e sono in corso di stampa: K.I. Gałczyński, Anna Kamieńska e Anna Świrszczyńska. Pratica anche la pittura (olio e pastello) ed ha al suo attivo 9 mostre personali in Polonia, dove risiede da molti anni.