Poesia Kurda – Il “Lamento di Khajeh”-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA-
Poesia Kurda-Pubblicato da Lunaria
Il “Lamento di Khajeh” (secolo XIX) è uno dei più celebri poemi popolari della Letteratura Kurda
Siyaband, bandito gentiluomo, dopo molte avventure rapisce la bellissima Khajeh, figlia del principe, che altrimenti non potrebbe sposare. I due giovani vivono felicemi per tre giorni sul monte Sipan, finchè Siyaband, andando a caccia, viene spinto da un cervo giù da un precipizio. Non teme la morte, ma piange la sorte della giovane sposa. E Khajeh si getta nel baratro, per morire abbracciata a Siyaband. è una delle leggende più popolari del folklore Kurdo.
“Lamento di Khajeh”
Siyaband, Siyaband! Non parlare.
Chi avrebbe predetto una fine così triste?
E non dovrei piangere, non dovrei versare lacrime
calde, di sangue?
Dormi, amor mio, dormi.
I tuoi lamenti tristi e profondi
sono lamenti di morte.
Come resistere, come non piangere
se i tuoi sospiri per me
arrivano dritti al mio cuore?
Cadono lacrime sul mio dolore.
Dormi, amor mio, dormi.
Perchè piangi, Siyaband, perchè piangi ancora?
Mi hai lasciato, sei corso lungo l’abisso.
Sapevi che senza di te non ho protezione, sostegno.
Come potrebbe la mia ferita guarire?
Dormi, amor mio, dormi.
Oh Sipan, oh rocce di Sipan! Non fermatemi!
Apritemi la via, portatemi da Siyaband!
Oh Sipan, apri un sentiero, un passaggio,
fa’ che io passi, che vada
sarò di Siyaband la tomba, non solo la sposa!
Una poesia dolcemente erotica:
“Sono la rosa selvatica”
(secolo XIX; qualche verso)
Sono la rosa selvatica non ancora dischiusa
coperta di rugiada, tutta rorida.
Se tu non mi tocchi
io non fiorirò
se tu non mi tocchi
non esalerò il mio profumo.
Sono la rosa selvatica, la rosa di montagna
lontana da te…
L’amore sboccia con le carezze
tu, con amore, rendi morbida la terra intorno a me!
Una straziante ballata d’amore, su una donna crudele e il suo innamorato disposto al sacrificio:
“Rose di sangue” (secolo XIX)
“Guarda, c’è festa e si danza laggiù,
ascolta il dahol, il flauto e lo zorna; (*)
abiti variopinti, brusio di parole
non manca che il frusciar della tua seta.
Dammi la mano, ti prego, affrettiamoci!
Corriamo alla danza, lieti del nostro amore.”
“Senza rose nei capelli, una rossa, una dorata
alla festa non vengo, non vengo a danzare.”
“Per la tua bellezza, per la tua bellezza,
per gli sguardi furtivi vicino alla sorgente:
l’autunno ha già spogliato alberi e giardini.
Dove trovo le rose? Ormai han le labbra chiuse.”
“Senza rose nei capelli, una rossa, una dorata
alla festa non vengo, non vengo a danzare.
Se il tuo amore fosse vero, se mi avessi dato il cuore,
coglieresti le rose nel giardino del pascià.”
“Il giardino del pascià è di là del fiume,
tutto circondato da sgherri assassini.
Se ci vado corro mille e mille rischi,
se non vado la mia diletta si offenderà.”
“Senza sosta ho cercato nel giardino del pascià,
ecco le rose gialle che ho colto per te;
di rose rosse, ahimè, non ne ho trovate.
Verrai ora alla festa, a danzare con me?”
“Mai, se non ho rose rosse per ornarmi le chiome!”
“Non vuoi questa ferita, rossa come le rose?”
“Le armi del nemico, ahimè, ti hanno insanguinato!
Vieni, appoggia il tuo capo qui sul mio seno,
lascia ch’io pianga il tuo cuore amato, perso per una rosa!”
(*) Il Dahol è una specie di tamburo, lo Zorna una sorta di clarinetto.
“La canna e il vento” di Sherko Bekas
(qualche verso)
“Da quel giorno
le ferite degli amanti
parlano con le dita del vento
e cantano,
ovunque nel mondo,
da quel giorno.”
Sherko Bekas fu colpito da un mandato di cattura per la sua attività poetica, si unisce ai partigiani combattenti Pesh Merga e diventa la voce della resistenza Kurda, alternando poesia e lotta armata. Nel 1987 si rifugia in Svezia, pubblicando poesie, romanzi, opere teatrali e ricevendo il premio del Pen Club svedese. Tornato nel Kurdistan liberato, diventa ministro per la Cultura della Regione autonoma del Kurdistan iracheno dalla sua fondazione (1992)
“La nostra poesia è scritta con le lacrime” di Mehmet Emin Bozarslan
(qualche verso)
La fantasia tesse nuovi racconti,
ricama con fili di lacrime,
con colori di sangue,
del sangue dei ragazzi e delle ragazze
che scorre eroico sui nostri monti,
su queste montagne kurde.
“Sirio” di Goran, poeta nato nel 1904 e morto, dopo persecuzioni e carcere, nel 1981. Nelle sue poesie utilizzò le forme antiche della metrica Kurda, rifiutando la metrica della poesia medio-orientale.
Il tramonto! E la memoria disperde
il respiro del vento
invita la mia anima scura e greve
a una cerimonia di dolore.
Il mondo pacificato dal silenzio
è un oceano senza confini
in esso il mio pianto
si alza come calda melodia.
L’oscurità ha chiuso il sipario
ha velato il volto della terra
immagini di desiderio indistinguibili
attraverso lacrime brucianti.
Il mio cuore è spinto nel vuoto oscuro della disperazione
oh se tu mi salvassi, stella – splendente Sirio!
Sirio che sorridi con le labbra rosse della prima luce
tu puoi arrestare la malinconia che scorre dal mio cuore
Un tuo fluido sguardo tocca il mio spirito oscuro
fa che la notte che viene splenda di pietà sulla mia testa china.
Ascolta Stella dei Re; ascolta, bianca splendente Sirio!
Sorgi, asciuga con i tuoi capelli le lacrime degli occhi della notte!
Ora qualche notizia storica-letteraria, tratta dalle note di Ibrahim Ahmad e Laura Schrader, in “Canti d’amore e di libertà del popolo Kurdo” (Tascabili Economici Newton)
“La poesia (…) è diventata un’arma molto efficace e forte nella lotta dei popoli per la libertà, l’autodeterminazione, la democrazia, la pace. Alcuni poeti hanno combattuto sul campo di battaglia e hanno dato la vita, come martiri.
L’oppressione, la tirannia degli occupanti del Kurdistan, torturatori dei Kurdi, hanno dunque provocato una rivoluzione anche nella poesia.” (Ibrahim Ahmad)
“Per la sua posizione strategica e per le sue risorse (…) il Kurdistan è stato sottoposto a diverse dominazioni. Ma, se nelle città e presso le corti principesche i letterati – molti, non tutti – adottarono per le loro opere, nei secoli scorsi, l’arabo, il persiano, il turco, nei villaggi si sono tramandate una lingua e una poesia multiforme (…) la lingua Kurda è la lingua dell’Avesta. Alcune parole Kurde di oggi sono le stesse usate da Zardasht (Zarathustra) nelle Ghata, gli inni sacri scritti di cui rimangono pochi frammenti.”
“La poesia popolare Kurda si canta, e anche le liriche contemporanee vengono dette con voce, cadenze e tono che sono musicali (…) Il divieto islamico di far musica al di fuori del contesto religioso non ebbe alcun ascolto da parte Kurda. Fanno parte del folklore poemi epici, cavallereschi, d’amore in molte versioni, che cantano i bardi: fiabe, leggende, racconti, ballate e canti dedicati ai villaggi, alle stagioni, alla natura, all’amore.”
“Originariamente, una delle forme di poesia popolare tra le più note, il Laùk, tipico di molte aree del Kurdistan settentrionale, era composto e cantato esclusivamente dalle donne, ma non perchè fossero musiciste di mestiere. Le donne, soprattutto in occasione di fatti d’arme, cantavano le gesta del marito, del figlio, del fratello o ne celebravano il ricordo di fronte alla famiglia, al villaggio, all’assemblea della tribù. In alcuni aspetti della cultura e della lingua Kurda affiorano tracce di matriarcato, resti di una civiltà remota eppure tenace, tanto da aver resistito all’offensiva antifemminile del Corano: la donna Kurda ha mantenuto un ruolo importante, anche a capo di clan e principati in pace e in guerra, nei movimenti indipendentisti e nella resistenza. In Kurdistan, viaggiatori ed etnologi dei secoli scorsi notavano innanzitutto che le donne anzichè nascondersi sotto il velo informe in uso negli altri paesi islamici, indossavano abiti dai colori splendenti che mettono in risalto la femminilità, e che le danze popolari di donne e uomini insieme, parte integrante della vita sociale, erano motivo di scandalo per i popoli vicini.” (Laura Schrader)
Il poeta più importante della Letteratura Kurda è Ahmadi Khani (1651-1707), il “Dante Kurdo”, autore del poema epico “Mam e Zin”.
In epoca moderna i Kurdi sono stati massacrati. Leggo dalle note di Laura Schrader che:
“Fino a due anni fa in Turchia era vietato l’uso della lingua Kurda anche in privato. I familiari dei Kurdi, incarcerati e torturati anche se bambini o bambine con accuse di “separatismo”, dovevano limitarsi a guardare in silenzio, piangendo, i loro parenti nelle ore di visita, non conoscendo altra lingua che il Kurdo per comunicare con loro.”
Così Hejar ha espresso in versi la disperazione del suo popolo nella sua poesia “Il nostro destino”:
“Ai nostri oppressori, tutta la ricchezza del petrolio.
A noi, neppure quel poco che serve
per alimentare la lampada nelle nostre notti oscure.
Gli stranieri del nostro paese
si sono ingozzati, saziati del nostro patire.
E noi, poveri, infelici, miserabili
trasciniamo brevi esistenze di terrore.
Vietata a noi la lingua materna.
Vietato a noi respirare.
Massacrati i nostri giovani, a migliaia e migliaia.
Desiderare la libertà, chiedere la libertà
è diventato un crimine per noi,
i Kurdi.”
Il poeta Khabat, parlando dei bombardamenti iracheni con armi chimiche nel 1988 sulla città Kurda di Halabja, poi distrutta con la dinamite:
“Era pomeriggio.
Nubi grevi di morte
scendono sulla città
18 minuti
terremoto
paura, silenzio.
Corpi rossi di sangue
ritagliano aiuole di fiori.”
(da “La canzone della città uccisa”)
“L’Est” è l’espressione usata in Turchia per indicare il Kurdistan, parola che fino a due anni fa era vietato pronunciare.
Il poeta Cahit Külebi così ricorda, nei suoi versi:
“Nero sangue inonda le notti
trascina morte, trascina disperazione.
[…] Un sorso di agonia dalla mano di chi amate
è tutto quello che aveste da bere, e che berrete.
Questo è l’Est. Negli occhi,
sguardo di agnelli al macello.”
e il poeta Latif :
“Il cibo diventa sangue nel corpo”
e Ferhad Shakely :
“Lentamente vagano le ore
nel buio di strade, vicoli, mercati
trascinando dolore, tristezza
ore impiccate
agli alberi e ai muri
gente trafitta
dalle lance della sventura.
Il tempo, qui,
è una macchina
e la manovra la polizia.”
(“Kamishli”, città del Kurdistan, in Siria)
“A sera, quando la luce
lascia le fradice tristi finestre della tua stanza
ti siedi, specchiandoti nel vetro scuro, annebbiato
contando una a una le gocce di pioggia
che battono sulle fradice tristi finestre della tua stanza.
Guardi lontano.
Il cielo è come un manto scuro indistinto;
su di esso, neppure un fiore
(…) Acuisci lo sguardo e ti accorgi
che la terra si è fatta velo rosso sangue.
(…) Tu sai che in questa notte
tutti i tuoi sogni saranno impiccati
alle forche di questa città.
(…) Scorgo un barlume di luce
e lo chiamo Kurdistan.
O Kurdistan!
Culla di lacrime, di gloria e d’amore!
Terra sanguinante di sangue,
suolo ferito dalle ferite.
Paese addolorato dal dolore.
Siedo alla finestra della notte
e osservo gli infiniti percorsi dell’oscurità.
(…) Il mio cuore vorrebbe
come una nuvola gonfia
sciogliersi in pioggia sulle vette rosate
confondendosi nel crepuscolo.”
(“Kurdistan, la terra sanguinante”)
Chi volesse sentire una band Metal Kurda: Ferec (caricati su YouTube)
Pubblicato da Lunaria