Nazik al-Mala’ika-Poesie pubblicate dalla Rivista Atelier-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Poesie di Nazik al-Mala’ika-Poetessa irachena
-Rivista Atelier-
Breve Biografia di Nazik al-Mala’ika, (in arabo: نازك الملائكة) (Baghdad, 23 agosto 1922 – Il Cairo, 20 giugno 2007), è stata una poetessa irachena.
È considerata una delle prime poetesse che introdussero l’uso del verso libero nella rigida struttura poetica araba.
Nazik al-Mala’ika nacque a Baghdad nel 1922 da genitori entrambi poeti, prima di sette figli. Il padre, insegnante, fu anche editore di un’enciclopedia in 20 volumi; la madre aveva scritto poesie contro la dominazione britannica. Sin da piccola mise in mostra la sua propensione all’arte poetica componendo la sua prima poesia in arabo classico all’età di soli 10 anni.
Frequentò il College universitario di Baghdad, laureandosi in letteratura nel 1944, avendo studiato anche musica. Mentre era ancora al college, pubblicò alcune poesie su giornali e riviste. La sua prima raccolta di poesie, Āshiqat al-laylā (L’amante della notte), è pubblicata nel 1947.
Grazie alla sua buona conoscenza della lingua inglese vinse una borsa di studio presso l’università di Princeton nel New Jersey. Nel 1954 proseguì i suoi studi nel Wisconsin dove conseguì il master in Letterature Comparate, ottenendo poco dopo una cattedra universitaria di letteratura.
Nel 1961 sposò ‘Abd al-Hadi Mahbuba, suo collega nella sezione di lingua araba presso il College di Baghdad. Con il marito contribuì a fondare l’Università di Basra, nel sud dell’Iraq. Molte delle sue opere sono state pubblicate a Beirut, in Libano, dove si trasferì alla fine del 1950.
Nel 1970 lasciò il suo paese in compagnia del marito e visse in Kuwait fino a che nel 1990 Saddam Hussein invase il paese. Dopo il 1990 si trasferì al Cairo, dove trascorse il resto della sua vita.
Morì nel 2007, all’età di 85 anni a causa di una serie di problemi di salute tra i quali la malattia di Parkinson.
Il Colera
Nell’orrida cripta putridi resti:
nel silenzio perenne e spietato,
dove la morte è un balsamo,
si è risvegliato il colera.
Astioso si aggira con rabbia,
cerca la lieta valle luminosa,
urla come un pazzo convulso
senza riguardo per chi piange.
Ovunque il segno dei suoi artigli:
nella capanna o la casa contadina
soltanto si odono grida di morte,
di morte di morte di morte.
Ecco che la morte infierisce
per mezzo del colera spietato
e nel silenzio amaro si ode
solo un sottofondo di preghiera.
Anche il becchino si arresta
senza più nemmeno un aiuto;
è morto anche il muezzìn:
chi pregherà per i morti?
Inesausto resta un sospiro
e il pianto infante dell’orfano,
ma domani anche lui – è sicuro –
ghermirà il morbo ferino.
O spettro perenne del colera,
triste desolazione di morte,
di morte di morte di morte.
IL CONVITATO ASSENTE
Già trascorsa la sera
volge la luna al tramonto
ed eccoci a contare
le ore di un’altra notte,guardando la luna
scivolare nell’abisso
e con lei l’allegria
senza che tu sia venuto
perso con le mie speranze,
fissando la tua sedia vuota
in compagnia della tristezza
dopo aver chiesto invocato
in silenzio la tua venuta.
Mai avrei immaginato
dopo tutti questi anni
la tua ombra ancora
in grado di sovrastare
ogni pensiero ogni parola,
ogni passo ogni sguardo,
né potevo sapere che tu
saresti stato più forte
di ogni altra presenza
e che l’unico assente
fra tutti i convitati
eclissasse ogni altro
in un mare di nostalgia.
Certo se tu fossi venutoci saremmo intrattenuti
a conversare con gli amici
finché fossero partiti
e allora anche tu forse
saresti parso come gli altri,ma la sera è già passata
e il mio sguardo gridando
interrogava ogni sedia vuota
cercando fra gli astanti
sino alla fine della sera
l’unico che non è venuto.
Che tu arrivi un giorno
ormai non lo desidero:dai miei ricordi all’istante
svanirebbero il profumo
e i colori di quest’assenza,rotta l’ala alla fantasia
languirebbero le mie canzoni.
Stringendo le dita
intorno ai frantumi
dell’ingenua mia speranza
ho scoperto di amarti
nelle sembianze del sogno,e se anche tu fossi qui
adesso in carne ed ossa
io seguiterei a sognare
quell’invitato assente.
Traduzione di Pino Blasone
IO
la notte mi chiede chi sono
sono il segreto della profonda nera insonnia
sono il suo silenzio ribelle
ho mascherato l’anima di questo silenzio
ho avvolto il cuore di dubbi
immota qui
porgo l’orecchio
e i secoli mi chiedono
chi sono
E il vento chiede chi sono
sono la sua anima inquieta rinnegata dal tempo
come lui sono in nessun luogo
continuiamo a camminare e non c’è fine
continuiamo a passare e non c’è posa
giunti al baratro
lo crediamo il termine della pena
e quello è invece l’infinito
Il destino chiede chi sono
potente come lui piego le epoche
e ridòno loro la vita
creo il passato più remoto
dall’incanto di una vibrante speranza
e lo sotterro ancora
per forgiarmi un nuovo ieri
di un un domani gelido
Il sé chiede chi sono
come lui vago, gli occhi fissi nel buio
nulla che mi doni la pace
resto ancora e chiedo, e la risposta
resta nascosta dietro il miraggio
ancora lo credo vicino
al mio raggiungerlo tramonta
dissolto, dispare
INVITO ALLA VITA
Arrabbiati, ti amo arrabbiato e ribelle,
rivoluzione cocente, esplosione.
Ho odiato il fuoco che dorme in te, sii di brace
diventa una vena appassionata, che grida e s’infuria.
Arrabbiati, il tuo spirito non vuole morire
non essere silenzio innanzi al quale scateno la mia tempesta.
La cenere degli altri mi è sufficiente,
tu, invece, sii di brace.
Diventa fuoco ispiratore delle mie poesie.
Arrabbiati, abbandona la dolcezza, non amo ciò che è dolce
il fuoco è il mio patto, non l’inerzia o la tregua con il tempo
non riesco più ad accettare la serietà
e i suoi toni gravi e tranquilli.
Ribellati al silenzio umiliante
non amo la dolcezza ti amo pulsante e vivo
come un bambino come una tempesta,
come il destino assetato di gloria suprema, nessun profumo
può alterare le tue visioni, nessuna rosa…
La pazienza? È la virtù dei morti.
Nel gelo dei cimiteri, sotto l’egida dei versi
si sono addormentati e abbiamo dato calore alla vita
un calore esaltato, passione degli occhi e delle gote.
Non ti amo oratore, ma poeta
il cui inno esprime ansia
tu canti, sebbene alterato,
anche se la tua gola sanguina
e se la tua vena brucia.
Ti amo boato dell’uragano nel vasto orizzonte
bocca tentata dalla fiamma,
disprezzando la grandine
dove giacciono desiderio e nostalgia.
Odio le persone immobili
aggrotta le sopracciglia,
mi annoi quando ridi
le colline sono fredde o calde,
la primavera non è eterna
il genio, mio caro amico, è cupo
e i ridenti sono escrescenze della vita
amo in te la sete eruttiva del vulcano
l’aspirazione della notte profonda
a incontrare il giorno
il desiderio della sorgente generosa
di stringere le otri
ti voglio fiume di fuoco,
la cui onda non conosce fondo.
Arrabbiati contro la morte maledetta
non sopporto più i morti.
ORAZIONE FUNEBRE PER UNA DONNA INSIGNIFICANTE
Ci ha lasciati senza un pallore di gota o un fremito di labbrale porte non hanno sentito nessuno narrare della sua morte nessuna tenda alle finestre stillante doloresi è levata per seguire il suo feretro sino a che non scompaia dalla vistaa eccezione delle poche persone che si sono commosse al suo ricordo.La notizia si è dissolta nei vicoli senza che il suo eco si diffondessee si è rifugiata nell’oblio di alcune fossela luna ha pianto questa tragedia.
La notte non se n’è curata e si è trasformata in giornoQuindi è giunta la luce con le grida del lattaio, il digiuno,il miagolio di un gatto affamato tutto pelle ed ossa,le liti dei commercianti, l’amarezza, la lotta,i bambini che lanciano pietre da un lato all’altro della strada,le acque sporche nei canali e i venti che giocano da soli con le porte delle terrazzein un oblio pressoché totale.
Traduzioni di Valentina Colombo
UN INVITO A SOGNARE
Suvvia … sogniamo, che la dolce notte si avvicina
e il buio tenero, le guance delle stelle ci chiamano
vieni … andiamo a cercare sogni, a contare fili di luce
e rendiamo il declivio della sabbia testimone del nostro amore
Cammineremo insieme sul petto della nostra isola insonne
e lasceremo sulla sabbia le orme dei nostri passi randagi
e verrà il mattino a gettare le fresche rugiade
e magari spunterà, dove abbiamo sognato, un fiore
Sogneremo di salire verso le montagne della luna
a dilettarci lì dove non c’è fine e non c’è nessuno
lontani … lontani, dove il ricordo
non potrà raggiungerci, poiché saremo al di là della ragione
Sogneremo di tornare fanciulli, noi due , sopra le colline
correremo, innocenti, sulle rocce e pascoleremo i cammelli
vagabondi senza dimora se non la capanna dell’immaginazione
e quando dormiremo ci inzacchereremo di sabbia
Sogneremo di camminare verso l’ieri e non nel domani
e di arrivare a Babilonia in un’alba fresca
porteremo al tempio, come due innamorati, il patto d’amore
e ci benedirà un sacerdote babilonese con mano pura
COMPIANTO DI UN GIORNO VACUO
Nel lontano orizzonte si intravide il buio
finì il giorno estraneo
e i suoi echi si voltarono verso le caverne dei ricordi
e come era la mia vita così sarà anche domani
un labbro assetato e un bicchiere
la cui profondità rispecchia il colore di un odore
e semmai lo sfiorassero le mie labbra
non troverebbero i resti del sapore dei ricordi
non troverebbero nemmeno i resti
finì il giorno estraneo
finì e perfino i peccati singhiozzarono
e piansero anche le sciocchezze che io chiamai
ricordi
finì e non rimase nella mia mano
se non il ricordo d’una melodia che gridava nell’interiorità del mio essere
compiangendo la mia mano da cui svuotai
la mia vita, i miei ricordi lontani, e un giorno della mia giovinezza
tutto si perse nella valle dei miraggi
nella nebbia
era un giorno della mia vita
lo gettai perso senza agitazione
sui resti della mia giovinezza
presso il colle dei ricordi
sopra le migliaia di ore perse nella nebbia
nei labirinti di notti lontane
fu un giorno vacuo. Fu strano
che le ore pigre suonassero e calcolassero i miei momenti
non era un giorno della mia vita
era piuttosto un’indagine orrenda
del resto dei maledetti ricordi che strappai
insieme al bicchiere che ruppi
presso la tomba della mia speranza morta, dietro gli anni
dietro il mio essere
fu un giorno vacuo .. fino all’arrivo della sera
le ore passarono in uno stato di semipianto
tutte quante fino a sera
quando la sua voce svegliò il mio udito
la sua dolce voce che persi
quando la tenebra cinse l’orribile orizzonte
e si cancellarono i resti del mio dolore, e anche i miei peccati
e si cancellò la voce di Habibi la mano del tramonto portò via i suoi echi
in un posto nascosto agli occhi del cuore
sparì e non rimase nulla se non il ricordo e il mio amore
e l’eco di un giorno estraneo
come il mio pallore
e fu vano supplicarlo di ridarmi indietro la voce di Habibi
Traduzione di Gassid Mohammed
CINQUE CANTI AL DOLORE
1
Dispensa alle notti tristezza e smania
Ci versa negli occhi calici d’insonnia
Sulla nostra via l’abbiam trovato
Un mattino d’abbondante pioggia
Gli abbiam dato dell’amore
Un cenno di pietà e un angolo remoto
Pulsante ormai nel nostro cuore
**
Non ci ha più lasciati nè si è allontanato
Una volta mai dal nostro cammino
Ci segue lungo tutta l’esistenza
Ah non gli avessimo dato da bere nemmeno una goccia
Quel triste mattino
Dispensa alle notti tristezza e smania
Ci versa negli occhi calici d’insonnia.
2
Da dove ci viene il dolore?
Da dove viene?Ha stretto i nostri sogni col passato
Nutrito le nostre rime
Ieri lo abbiam trascinato nelle acque in profondità
Frantumato e disperso nei flutti del lago
Di lui non abbiam serbato alcuna traccia
Convinti d’esser tornati salvi dalla sua malvagità
Mai più tristezza scagliata sui nostri sorrisi
Mai pù singulti celati forti dietro i nostri canti
**
Abbiam rievuto poi rosa rossa aulente
Ce l’hanno inviata d’oltre mare i nostri amati
Che ci aspettavamo? Gioia e lieto appagamento?
Pur si è disvelata e ha fatto scorrer lacrime assetate d’ardore
Bagnando le nostre dita tristemente intonate
Noi ti amiamo oh dolore
**
Da dove ci viene il dolore?
Da dove viene?
Ha stretto i nostri sogni col passato
Nutrito le nostre rime
Poiché siam per lui sete e bocca riarsa
Che lo mantiene in vita e ci disseta.
3
Non possiamo vincere il dolore?
Rimandarlo al giorno dopo? O un mattino
Tenerlo occupato? Distrarlo con un gioco? Un canto?
Una antica filastrocca andata?
**
Chi sarà mai questo dolore
Un tenero fanciullo dagli occhi curiosi
Acquietato da un tocco affettuoso
E messo a dormire col sorriso e una cantilena
**
Oh chi ci ha offerto le lacrime e il rimpianto?
Chi se non lui non ha avuto cuore alla nostra tristezza
Per poi venir da noi in lacrime a chiederci di amarlo
Chi se non lui ci ha elargito tormenti col sorriso?
**
Questo piccino…ha assolto chi ha peccato
Nemico amato amico odiato
Colpo di pugnale cui ci chiede offrir la guancia
Senza un rimorso senza alcun dolore
**Fanciullo, abbiam perdonato quella mano e quella bocca
Che negli occhi solchi di lacrime ci scava
E le ferite riapre volta a volta
Sì, da tempo perdonato e l’offesa e la rovina
4
Come dimenticheremo il dolore?
Come lo dimenticheremo?
Chi illuminerà per noi La notte della sua memoria?
Lo berremo lo mangeremo
Seguiremo il vagare dei suoi passi
E se dormiremo, la sua ombra
Sarà l’ultima che vedremo
**
I suoi contorni la prima cosa
Che riconosceremo al mattino
Con noi lo porteremo ovunque
ci porteranno la speranza e le ferite
**
Gli permetteremo di erigere pareti
Fra i nostri aneliti e la luna
Fra la nostra passione e il fresco ruscello
Fra i nostri occhi e i nostro sguardo
**
Gli permetteremo di versare l’afflizione
E negli occhi la tristezza
Lo accoglieremo in una gola inebriata
Fra le pieghe dei nostri canti
**
Alla fine i fiumi se lo porteranno
Gli darà un guanciale il cactus
Scenderà nella valle l’oblio
Oh tristezza buona sera!
**
Dimenticheremo il dolore
Lo dimenticheremo
Poiché con fervore
Lo avremo dissetato
5
Ti abbiamo incoronato divinità nel sonno dell’alba
E sul tuo altare argenteo ci siamo imbrattati la fronte
Oh nostro amore, o dolore
E abbiam bruciato l’incenso con lino e sesamo
Offerto sacrifici, intonato versi
A melodie babilonesi
**
Per te abbiam costruito un tempio
dai muri profumati
E irrorato la terra
con olio e vino schietto
E lacrime brucianti
Per te abbiamo acceso fuochi
con foglie di palma
Stoppie di grano e la nostra angoscia,
lunga la notte
E il labbro silente
**
Abbiamo salmodiato e chiamato e fatto voti
Con datteri di un ‘ebbra Babilonia e pane e vini
E rose liete
Innanzi ai tuoi occhi abbiam pregato,
abbiamo offerto sacrifici
Infilato amare lacrime
In un rosario
**
Oh tu che ci hai concesso
e musica e canti
Oh lacrime che saggezza
ci avete elargito,
oh fonte dei pensieri
Abbondanza e fertilità
Crudele tenerezza, castigo colmo di pietà
Ti abbiam nascosto nei nostri sogni,
in ogni nota
Dei nostri canti desolati
CANTO D’AMORE PER LE PAROLE
Perché abbiamo paura delle parole
quando sono state mani dal palmo rosa
delicate quando ci accarezzano gentilmente le gote
e calici di vino rincuorante
sorseggiato, un’estate, da labbra assetate?
Perché abbiamo paura delle parole
quando tra di loro vi sono parole simili a campane invisibili,
la cui eco preannuncia nelle nostre vite agitate
la venuta di un’epoca di alba incantata,
intrisa d’amore e vita?
Allora perché abbiamo paura delle parole?
Ci siamo assuefatti al silenzio.
Ci siamo paralizzati, temendo che il segreto possa dividere
le nostre labbra.
Abbiamo pensato che nelle parole giaceva un folletto
invisibile,
rannicchiato, nascosto dalle lettere dalle orecchie del tempo.
Abbiamo incatenato le lettere assetate,
vietando loro di diffondere la notte per noi
come un cuscino, gocciolante di musica, sogni,e caldi calici.
Perchè abbiamo paura delle parole?
Tra di loro ne esistono di incredibile dolcezza
le cui lettere
hanno estratto il tepore
della speranza da due labbra,e altre che, esultando di gioia
si sono fatte strada
tra la felicità momentanea di due occhi inebriati.
Parole, poesia, teneramente
hanno accarezzato le nostre gote,
suoni che, assopiti nella loro eco, colorano, una frusciante,
segreta passione, un desiderio segreto.
Perché abbiamo paura delle parole?
Se una volta le loro spine ci hanno ferito,
hanno anche avvolto le loro braccia attorno al nostro collo
e diffuso il loro dolce profumo sui nostri desideri.
Se le loro lettere ci hanno trafitto
e il loro viso si è voltato stizzito
ci hanno anche lasciato un liuto in mano
e domani ci inonderanno di vita.Su, versaci due calici di parole!
Domani ci costruiremo un nido di sogni di parole
in alto, con l’edera che discende dalle sue lettere.
Nutriremo i suoi germogli con la poesia
e innaffieremo i suoi fiori con le parole.
Costruiremo un terrazzo con la timida rosa
con colonne fatte di parole,
e una stanza fresca inondata di ombra,
protetta da parole.
Abbiamo dedicato la nostra vita come una preghiera
Chi pregheremo… se non le parole
Traduzione di Manuela Rasori
sorgente dei testi: la farfalla di fuoco
Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.–Breve Biografia di Nazik al-Mala’ika, (in arabo: نازك الملائكة) (Baghdad, 23 agosto 1922 – Il Cairo, 20 giugno 2007), è stata una poetessa irachena.
È considerata una delle prime poetesse che introdussero l’uso del verso libero nella rigida struttura poetica araba.
Nazik al-Mala’ika nacque a Baghdad nel 1922 da genitori entrambi poeti, prima di sette figli. Il padre, insegnante, fu anche editore di un’enciclopedia in 20 volumi; la madre aveva scritto poesie contro la dominazione britannica. Sin da piccola mise in mostra la sua propensione all’arte poetica componendo la sua prima poesia in arabo classico all’età di soli 10 anni.
Frequentò il College universitario di Baghdad, laureandosi in letteratura nel 1944, avendo studiato anche musica. Mentre era ancora al college, pubblicò alcune poesie su giornali e riviste. La sua prima raccolta di poesie, Āshiqat al-laylā (L’amante della notte), è pubblicata nel 1947.
Grazie alla sua buona conoscenza della lingua inglese vinse una borsa di studio presso l’università di Princeton nel New Jersey. Nel 1954 proseguì i suoi studi nel Wisconsin dove conseguì il master in Letterature Comparate, ottenendo poco dopo una cattedra universitaria di letteratura.
Nel 1961 sposò ‘Abd al-Hadi Mahbuba, suo collega nella sezione di lingua araba presso il College di Baghdad. Con il marito contribuì a fondare l’Università di Basra, nel sud dell’Iraq. Molte delle sue opere sono state pubblicate a Beirut, in Libano, dove si trasferì alla fine del 1950.
Nel 1970 lasciò il suo paese in compagnia del marito e visse in Kuwait fino a che nel 1990 Saddam Hussein invase il paese. Dopo il 1990 si trasferì al Cairo, dove trascorse il resto della sua vita.
Morì nel 2007, all’età di 85 anni a causa di una serie di problemi di salute tra i quali la malattia di Parkinson.
Poetica
Sebbene altri poeti prima di lei avessero già tentato il verso libero, è con Nazik al-Mala’ika che il metro della poesia araba viene rivoluzionato secondo un programma ben preciso. Nel 1962 è lei stessa che scrive:
“Il movimento della poesia libera ha avuto origine nel 1947, in Iraq. E dall’Iraq, anzi dal cuore di Baghdad, questo movimento ha strisciato estendendosi fino a sommergere l’intero mondo arabo e poi, a causa dell’estremizzazione di quanti vi hanno aderito, ha rischiato di trascinare via con sé tutte le altre forme della nostra poesia araba. E la prima poesia in versi liberi ad essere pubblicata, è stata la mia poesia intitolata Il colera “.
Il colera è una poesia ispirata ad un fatto di cronaca: un’epidemia di colera che attraversò l’Egitto e l’Iraq nel 1947. Un intento coraggioso quindi, tenuto anche conto del suo sesso.
Nel 1949 al-Mala’ika pubblica Schegge e cenere, preceduta da una lunga prefazione sulla teoria della metrica della nuova poesia. L’accettazione nel mondo accademico non fu semplice, ma la poetessa non si lasciò intimidire. La poesia di al-Mala’ika non è comunque priva di metro, anzi fa preciso riferimento a sedici metri della tradizione classica araba, è quindi più corretto parlare di verso libero e non di verso sciolto.
L’attenzione della poetessa al metro è strettamente coniugata al suo amore per la scrittura, per la parola in sé come elemento magico:
Domani ci costruiremo un nido di sogno di parole, | in alto, con l’edera che discende dalle sue lettere. | Nutriremo i suoi germogli con la poesia | e innaffieremo i suoi fiori con le parole.
Altra tematica importante è quella della condizione femminile nel mondo arabo. La poetessa scrisse anche alcuni saggi, come Donne fra due estremi: passività e scelta etica, del 1954. In una delle sue più note poesie, Orazione funebre per una donna insignificante, così si esprime:
La notizia si è dissolta nei vicoli | senza che il suo eco si diffondesse | e si è rifugiata nell’oblio di alcune fosse | la luna ha pianto questa tragedia.
Bibliografia
- The Poetry of Arab Women: A Contemporary Anthology, edited by Nathalie Handal, 2000.
- Encyclopedia of World Literature in the 20th Century, by Khalid Al-Maaly, 2000.
- Encyclopedia of World Literature in the 20th Century, vol. 3, ed. 3, ed. by Steven R. Serafin, 1999.
- ‘Nazik al-Mala’ika’s poetry and its critical reception in the West, by Salih J. Altoma, in Arab Studies Quarterly, 1997.
- Reflections and Deflections, by S. Ayyad and N. Witherspoon, 1986.
- Women of the Fertile Crescent: Modern Poetry By Arab Women, ed. Steven R. Serafin, 1999.
Opere
Opere tradotte in italiano
- Non ho peccato abbastanza. Antologia di poetesse arabe contemporanee, a cura di Valentina Colombo, Mondadori 2007.
- La notte mi chiede chi sono, tradotto e curato da Luisa Orelli, Genova, Edizioni San Marco dei Giustiniani, “Quaderni in Lettere d’azzurro”, 2019. ISBN 978-88-7494-2893
Opere tradotte in altre lingue
- Āshiqat al-Laylā, 1947
- Shazaya wa-ramad, 1949
- Al-mar’a bayna ‘ltarafain, al-salbiyya wa-l-akhlaq’, 1953
- ‘Al-tajzi’iyya fi l-mujtama’ al-arabi’, 1954
- Qarárat al-mawya, 1957
- Qadaya l-shi’r al-mu’asir, 1962
- Al-Sawma’a wal-Shurfa Al-Hamraa, 1965
- Shajarat al-qamar, 1968
- Ma’sát al-hayát wa-ugniya li-l-insán, 1970
- Al-tajzi’iyya fi l-mujtama’ al-‘arabi, 1974
- Yugayyir al-wánahu l-bahr, 1976
- Li-l-salat wa-l-tawra, 1978
- Sykolojiyya al-shi’r, 1979
- Yughayyir al-wanah al-bahr, 1999
- Al-‘amal al-nathriyya al-kāmila, 2002 (2 volumi)
- Al-‘amal al-shi’riyya al-kāmila, 2002
Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.
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-La rivista «Atelier»-
http://www.atelierpoesia.it
La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale (marzo, giugno, settembre, dicembre) e si occupa di letteratura contemporanea. Ha due redazioni: una che lavora per la rivista cartacea trimestrale e una che cura il sito Online e i suoi contenuti. Il nome (in origine “laboratorio dove si lavora il legno”) allude a un luogo di confronto e impegno operativo, aperto alla realtà. Si è distinta in questi anni, conquistandosi un posto preminente fra i periodici militanti, per il rigore critico e l’accurato scandaglio delle voci contemporanee. In particolare, si è resa levatrice di una generazione di poeti (si veda, per esempio, la pubblicazione dell’antologia L’Opera comune, la prima antologia dedicata ai poeti nati negli anni Settanta, cui hanno fatto seguito molte pubblicazioni analoghe). Si ricordano anche diversi numeri monografici: un Omaggio alla poesia contemporanea con i poeti italiani delle ultime generazioni (n. 10), gli atti di un convegno che ha radunato “la generazione dei nati negli anni Settanta” (La responsabilità della poesia, n. 24), un omaggio alla poesia europea con testi di poeti giovani e interventi di autori già affermati (Giovane poesia europea, n. 30), un’antologia di racconti di scrittori italiani emergenti (Racconti italiani, n. 38), un numero dedicato al tema “Poesia e conoscenza” (Che ne sanno i poeti?, n. 50).
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