Massimo Boddi-Carne da maschi-Donne africane nella narrativa imperialista. Fascismo e romanzi-Biblioteca DEA SABINA
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Massimo Boddi-Carne da maschi
-Donne africane nella narrativa imperialista. Fascismo e romanzi-
Descrizione del libro di
-Carne da maschi-Donne africane nella narrativa imperialista. Fascismo e romanzi-Africa, terra d’elezione del piacere; donne africane, “carne da maschi” alla mercé del conquistatore. Il saggio analizza i dispositivi lessicali e metaforici del mito imperiale fascista, espressi in una dozzina di romanzi coloniali scelti con cura, per poi focalizzare l’attenzione sulla rappresentazione letteraria dei corpi femminili colonizzati e sul loro rapporto di sudditanza verso militari e coloni di stanza in Libia, Somalia, Eritrea ed Etiopia. Romanzi in cui abbondano i richiami sessuali e che offrono una casistica completa di comportamenti, ripetitivi ma con sfumature diverse. Aprendo a nuove prospettive di studio testuale e stilistico, il saggio è uno spaccato insieme storico e letterario, documento sia della retorica parodistica che della smaniosa velleità imperialista del regime fascista.
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A proposito di colonialismo italiano in Africa, rimosso dalle istituzioni e da tanta parte degli italiani, cade a fagiolo questo saggio che è la riedizione di Letteratura dell’impero e romanzi coloniali (1922-1935), pubblicato nel 2012.
L’autore, freelance nel settore della comunicazione e nell’editoria, analizza i dispositivi lessicali e metaforici del mito imperiale fascista espressi in 13 romanzi coloniali da 6 autori: Arnaldo Cipolla, Luciano Zuccoli, Enrico Cappellina, Guido Milanesi, Mario Dei Gaslini, Gino Mitrano Sani, Vittorio Tedesco Zammarano.
E focalizza l’attenzione sulla rappresentazione letteraria dei corpi femminili colonizzati e sul loro rapporto di sudditanza verso militari e coloni lanciati nelle campagne coloniali in Eritrea, Etiopia, Libia e Somalia. Boddi: «La metafora sessuale delle penetrazione espansionistica, della conquista e del dominio richiama l’immagine dell’aggressione maschile nei confronti della donna indigena, intesa come bottino di guerra o come “sprone” all’avventura del soldato e del colono».
In questo immaginario diffuso, spiega l’autore, l’africana subsahariana era dipinta come una vera e propria “bestia” carnale, mentre la donna nordafricana, legata all’iconografia del velo e dell’harem, era ritenuta più sensuale e seducente. Entrambe private della storia e dell’appartenenza culturale, dunque destituite di soggettività.
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