Mario Monicelli-Oggi il grande Regista avrebbe compiuto 101 anni
Mario Monicelli (Roma, 16 maggio 1915 – Roma, 29 novembre 2010) è stato uno dei più celebri e apprezzati registi italiani. Insieme a Dino Risi e Luigi Comencini, fu uno dei massimi esponenti della commedia all’italiana, che ha contribuito a rendere nota anche all’estero, tanto da vincere numerosi premi cinematografici, riuscendo ad ottenere ben sei candidature al Premio Oscar e, nel 1991 il meritato Leone d’oro alla carriera alla Mostra del cinema di Venezia. La sua commedia all’italiana si poneva in stretta continuità con il Neorealismo di cui raccoglieva l’ispirazione popolare, tanto nei protagonisti quanto nell’ambientazione. In questo senso, ma anche in un’ottica molto più ristretta, gran parte del cinema di Monicelli assume una valenza prettamente politica.
La critica suole individuare l’inizio di tale genere con I soliti ignoti (1958), in cui la narrazione è ambientata in un contesto ultra-popolare (a buon diritto si può parlare di sottoproletariato), che vede all’opera una sgangherata banda di rapinatori di cui fa parte anche Peppe er pantera (Vittorio Gassman), che conclude la sua carriera di ladro facendosi assumere come manovale. L’impegno civile di Monicelli è rintracciabile già in opere precedenti, quali Proibito (1954), ambientato in un paese sardo funestato da una faida, ma che risente ancora di un’impronta ingenuamente positivista, in similitudine con In nome della legge (1948) di Pietro Germi (e di cui Monicelli figura tra gli sceneggiatori) che affronta con il medesimo approccio il ben più complesso fenomeno della mafia. Anche in Un eroe dei nostri tempi (1955), che è ancora un film basato su gag e sketch, possiamo apprezzare un finale che non esita a connotare la polizia e i suoi reparti speciali (largamente adoperati dal governo Scelba) come naturale porto di approdo di un cittadino psicotico e asociale (l’immaturo e succubo della famiglia Alberto Sordi). Nel 1959 Monicelli realizza, oltre al film di tema resistenziale Lettere dei condannati a morte, La grande guerra che pone fine alla trattazione eroica della guerra e mette in evidenza anche la miseria dei sentimenti che muovono le azioni di chi in extremis trova il coraggio di essere, suo malgrado, eroe.
Del 1960 è Risate di gioia che segue le vicissitudini di due povere comparse cinematografiche (Totò e Anna Magnani) coinvolte in un turbinio di tentativi di furti e arriva a esporre con nitidezza, magari con rischio didascalico, una teoria sociologica del crimine. Con I compagni (1963) Monicelli realizza un affresco vivido ed efficace della Torino di fine ‘800 che diviene testimone delle prime lotte operaie e della costituzione dei sindacati nell’Italia che si andava industrializzando, mettendo in rilievo il ruolo reazionario e di classe dello stato post-unitario. Quanti film riescono a parlare dello scontro di classe con la stessa forza e lucidità di I compagni?
L’arrivo degli anni ’70 vede la realizzazione di I colonnelli (1973) che fa esplicito riferimento al golpe Borghese e alle trame stragiste dell’estrema destra alleata con pezzi dello stato. Nel 1976 Monicelli è tra i registi del film collettivo Signore e signori, buonanotte che, seguendo le trasmissioni di una fantomatica emittente televisiva, mette in scena una feroce critica contro la corruzione, i militari e la chiesa. Dello stesso anno è Caro Michele, tratto da un romanzo di Natalia Ginzburg, che affronta in chiave intimistica il tema della lotta armata, collocandosi con maturità nel genere drammatico e anticipando la conclusione dell’esperienza della Commedia all’italiana che avviene per Monicelli con Un borghese piccolo piccolo (1977), incentrato sulle ansie e le insicurezze del ceto piccolo borghese (un misero contesto impiegatizio che vive ristrettezze “operaie” ma con aspirazioni borghesi) disposto a qualunque ignobile compromesso pur di avanzare e non affondare, ma che è condannato ad una disperante solitudine.
Monicelli ritorna all’impegno politico con Un altro mondo è possibile (2001), film collettivo che voleva incaricarsi di raccontare le ambizioni e le proposte dei manifestanti anti G8 di Genova e si è ritrovato a dover raccontare delle brutali repressioni delle forze dell’ordine guidate dal governo Berlusconi, e nell’altro film documentario a regia collettiva Lettere dalla Palestina (2004), dove vengono raccolte alcune testimonianze minime sulla vita nei territori soggetti al dominio israeliano. Anche nel suo ultimo lungometraggio Le rose del deserto (2006) non rinuncia a mostrare i limiti del nostro paese e, narrando le vicende di una compagnia militare di stanza in Africa, riesce a mettere in relazione di continuità la superficialità arrogante dell’esercito fascista con quella di oggi della società italiana, senza rinunciare a mostrare anche il risvolto d’umanità che caratterizza gli italiani, come aveva già fatto con La grande guerra.
L’ideale politico si manifestava anche attraverso esplicite e pubbliche dichiarazioni di voto verso partiti operai: dopo essere lungamente stato socialista fino a prima dell’elezione di Bettino Craxi a segretario, negli ultimi anni si dichiarava sostenitore di Rifondazione Comunista. È rimasta storica la sua intervista fatta ad Annozero il 25 marzo 2010 (la trovate qui: https://www.youtube.com/watch?v=FBZK041EJPk). Rigorosamente ateo e ormai minato da un cancro alla prostata in fase terminale, la sera del 29 novembre 2010 verso le ore 21 decise di togliersi la vita gettandosi nel vuoto dal quinto piano dalla finestra della stanza che occupava del reparto di urologia dell’Ospedale San Giovanni a Roma, dove era ricoverato. Aveva 95 anni. Dopo le commemorazioni civili tenutesi nella sua casa romana al Rione Monti e presso la Casa del cinema, il suo corpo è stato cremato.
OMAGGIO A MARIO MONICELLI E AL SUO CINEMA IMPEGNATO
“Siamo senza speranza. L’aveva già spiegato Pasolini: la speranza è una trappola, usata dal potente politico e religioso per ingabbiare i poveretti, con promesse di futuro benessere o di paradisiaci aldilà. Non c’è alcuna speranza di riscatto per il Paese. Il vero problema non è tanto la classe politica, che è una minoranza, ma questa generazione, che manda giù tutto senza protesta, cullandosi sulle promesse. È tutta una generazione che va cambiata, anzi rigenerata con urgenza.”
(citato in Duellanti, n. 67, gennaio-febbraio 2011, p. 85)
“Io ho una collocazione che è di sinistra, socialista, unitaria, democratica, anticonformista.”
(da Cinquant’anni di cinema)