Marino Moretti e Cesenatico- Articolo di Giuseppina Giacomazzi-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Marino Moretti e Cesenatico- Articolo di Giuseppina Giacomazzi
Marino Moretti e Cesenatico- Articolo di Giuseppina Giacomazzi- Negli scrittori crepuscolari i luoghi, fisici o idealizzati, dimore reali o letterarie, costituiscono spesso l’essenza della loro espressione artistica. Il legame con la provincia è una caratteristica comune: nel caso di Marino Moretti, Cesenatico e la Romagna. Nella scelta dei paesaggi, che sono sempre dell’anima, forte è l’influenza dei simbolisti francesi, le cui opere sono pervenute a questi scrittori italiani attraverso riviste quali la “Revue des deux mondes” e “Mercure de France”. Per i simbolisti francesi, come Francis Jammes e Georges Rodenbach, il paesaggio idealizzato è quello della provincia, con i ricordi struggenti e gli oggetti ad essa legati e aventi profonda risonanza interiore: conventi, chiostri, ospedali (luoghi appartati e solitari, in contrapposizione con quelli dei futuristi) e giardini, orti, cimiteri, organetti di Barberia, proiettati in una stagione autunnale e grigia, i vecchi angoli di una città, i mobili di una casa, le fotografie ingiallite, le stampe. Gli oggetti, entrando in colloquio con il poeta, diventano un motivo di sensazioni raffinate e di evasioni, nella trasfigurazione della banalità quotidiana. I personaggi sono spesso malati, beghine, suore o maestre, ma anche signorine di provincia; la terminologia e i toni usati sono perfettamente conformi e coerenti con questa particolare ambientazione. Gli spazi, sia dei luoghi e ambienti natali, sia di quelli lontani, come le Fiandre per Moretti, sono comunque spazi dell’altrove. Egli rifiutò il termine crepuscolare per la sua poesia, non accettò i limiti di tale appartenenza e molto si è dibattuto sulla presenza di elementi crepuscolari nella sua tarda poesia e nella prosa, dove sembrano dominare piuttosto aspetti veristici e naturalistici, ma solo apparentemente, per un continuo coinvolgimento dell’autore, operato attraverso il confronto fra realtà esterna e verità interiore. Non c’è luogo per me che sia lontano, asserisce Moretti (in Andar lontano. Le Poverazze, Milano, Mondadori, 1973) perché ogni luogo, anche il più distante, può essere avvertito come luogo dell’anima. Il paesaggio che fa da sfondo alla sua produzione letteraria non è solo Cesenatico o la Romagna, ma anche Firenze, dove abitò, e le Fiandre, in particolare Bruges, patria di uno dei più significativi suoi modelli di riferimento, Georges Rodenbach. Marabini afferma: separa Moretti dai suoi luoghi una natura contestatrice acutamente critica e sostanzialmente inappagata. […] Si può amare e non amare nello stesso tempo, essere dentro e fuori, essere e non essere borghese, realizzare oggettivamente un mondo ma cercare la verità più gelosa in un altro luogo. Moretti mantiene infatti con l’ambiente che lo circonda indipendenza e capacità polemica, che si esprimono attraverso l’ironia. A differenza di Guido Gozzano guarda più al presente o ad un passato più vicino, anche se i paesaggi e gli oggetti sono idealizzati e trasfigurati in atmosfere che sottolineano uno stato di malinconia, di noia esistenziale e di nostalgia del non vissuto, di malessere, suscitando interrogativi senza risposte. Moretti è consapevole dell’esaurimento di uno stile poetico che nella nuova realtà ha perso ogni funzione di messaggio. La poesia è poesia della non poesia, della sua impossibilità. Cesenatico e la sua casa sul porto canale sono presenti soprattutto nelle prime raccolte poetiche. Luogo privilegiato dell’interiorità è il giardino della sua casa, spazio in cui forte è il richiamo della morte, hortus conclususche chiude lo scorrere del tempo e consente apparizioni, ma anche giardino dell’Eden, frutteto antidannunziano, metafora di poesia. Il giardino dei frutti (Napoli, Ricciardi, 1916) dà il titolo ad una raccolta poetica, e fiori e frutti non sono che i prodotti della sua creatività, del suo impegno letterario. “Ecco: dicon queste cose, / ma non so se vero sia: / che un bel fiore è poesia / e che il frutto è solo prosa”. Il giardino Hortus incultus, hortus animulae, il giardino di casa sua, in Poesie scritte col lapis (Bari, Palomar, 1992) è anche il giardino della memoria familiare e del ricordo. “Angolo d’hortulus / E’ dolce ricordare! Ogni fil d’erba / dell’orto mio potrebbe ricordare, / ché molto sa […]. Ne Il giardino dei morti, in Poesie scritte col lapis, il cimitero in cui riposa il fratellino, scomparso ad un mese d’età, che Marino non conobbe: “Il piccol camposanto / è un precluso giardino. / Precluso”, perché in esso è il mistero che si schiuderà con la morte. Il giardino della stazione di piccoli luoghi della provincia romagnola, che si scorge dal finestrino del treno, è un luogo dove non ci si ferma quasi mai, perché: “poveri illusi, si va / in cerca di felicità, / verso città sempre nuove, / verso l’ignoto e la sera!” (Il giardino della stazione, in Il giardino dei frutti) e il petalo che cade nella fontana richiama la vita che passa inesorabilmente. Posto privilegiato fra gli spazi familiari occupa la cucina, alla quale viene dedicata una sezione intera della raccolta Il giardino dei frutti; la cucina in cui il poeta desidera sempre vedere sua madre in un ruolo casalingo e rassicurante. Nella poesia La madre risponde, la madre comunica al figlio di amare gli utensili presenti in essa: “[…] e vorrò bene a quella / casseruola di rame, al testo ed al tegame, / al vaglio e alla gretella …” e il sentirli nominare “… / in quell’ora / omai crepuscolare” (Mia madre risponde, in Il giardino dei frutti) tranquillizza Marino, legato ad un ruolo tradizionale della donna all’interno della società e della famiglia. Nelle ultime raccolte, oltre a quelli della sua casa, gli spazi rievocati sono Cesenatico e la Romagna, rivissuta dall’interno. Si tratta sempre di un paese ripercorso e guardato dalle mura domestiche, in una dimensione familiare e locale che lo salva dalla vita assente e dal deserto dell’anima. Moretti volge lo sguardo ai luoghi della quotidianità: la locanda denominata L’albergo della tazza d’oro (in Poesie scritte col lapis), un salone di parrucchiere di provincia, dove i bei conversari ironizzati da Gozzano, diventano pettegolezzi, conversari popolari, rivissuti dal poeta con l’ambiguità dell’odio e del sorriso bonario che nasce dalla comprensione. “Il tedio pio di tutta questa gente / che forse è ancor dei sogni e dei segreti!” (Salone, in Poesie scritte col lapis). Il suo paese è un paese marino, nel quale “il mare è da per tutto”, ma “In cimitero s’ode / Così come alla riva / Lì ci verranno a stare godendo il lido in pace”(Cesenatico vecchia, in Diario senza le date, Milano, Mondadori, 1974). Il paesaggio marino che si presuppone ridente e assolato, spesso si adombra di immagini crepuscolari. Il ponte sul porto canale ricostruito secondo criteri moderni suscita un sentimento di nostalgia, al ricordo di quello antico che il poeta attraversava tornando da scuola. (I due ponti, in Diario senza le date). La spiaggia del suo paese balneare ritorna ad appartenergli allorquando, deserta, mostra “gusci e alcunché d’informe, / tracce del mare infido (Paese balneare, in L’ultima estate, Milano, Mondadori, 1969) quando possono scorgersi rifiuti e meduse morenti sulla battigia. (Battigia, in L’ultima estate). Nella raccolta Le Poverazze, che prende il nome da un onesto mollusco, cibo dei poveri, si ripropongono gli stessi temi della casa protettiva e degli oggetti quotidiani: la cucina-tinello, il giardino, la libreria, gli animali domestici. Anche i versicoli del poeta sono le ultime poverazze, metafora, nella loro umiltà, della scrittura: “Le poverazze: cronache dell’io. / Le poverazze: cronache di pena. / Le poverazze: scelte per la cena. / Le poverazze: scelte per l’addio. Le immagini e il tono, dimessi nella loro semplicità, sono pervasi da malinconia. La poesia crepuscolare è percorsa da una concezione del tempo, quale tempo dell’anima disgiunto da quello storico, spesso inteso come vuoto, noia esistenziale che scandisce la monotonia della vita di provincia, ripetitività e non senso che conducono alla morte. Uno dei temi ricorrenti della poesia di Marino Moretti è quello della Domenica, spazio tempo del grigiore e della noia, nei quali è immersa la provincia. A tale tema è dedicata un’intera sezione delle Poesie scritte col lapis. Fra queste, un posto particolare occupa La Domenica di Bruggia, nella quale Moretti introduce un nuovo luogo dell’anima, quello delle Fiandre che acquisteranno centralità nel romanzo La casa del Santo Sangue.
Giuseppina Giacomazzi
RepubblicaLetterariaItaliana