Mariella De Santis- Poesie-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Poesie di Mariella De Santis, poetessa pugliese
Grammatica
Se io ti scrivo: oggi resto a casa
e tu mi rispondi: noi andiamo a fare spese
arriva sbiadito quel noi in cui non ci sono io.
Sarà che non si studia a scuola la grammatica dei cuori clandestini, ma imparare da questa pratica è ars amandi acrobatica.
Aspettando i Barbari
Non saremo noi esempio per i timidi i deboli di cuore
Non mescolammo il sangue per fare nuova specie
Rimarranno i forti con i forti i deboli coi deboli
Noi illusi d’essere primi strappati alla carena
Ci togliamo dalle labbra vocali e consonanti
Con cui ardimmo profetare di parole nuove
Non ci renderà migliori la disdetta al sogno
Non interesserà che a uno il nostro sacrificio
Ma tu mentre nella notte ti spogliavi eri solenne
Quanto me credevi nell’onore che portavi al rito.
Una sera di Febbraio
Diciotto minuti di attesa per l’autobus numero 62
In piazzale gabrio piola sciarpato dal freddo umido
Di una sera di febbraio. Non avevano avvisato i ricordi
Che sarebbero arrivati a stormi lasciando piume sul viso
Di te che ascoltavi non so se sorpreso o perplesso.
Di quanta vita sono fatti i silenzi, dici, mentre io mi affretto
a segnalare la fermata all’autista e apro un libro custodito in borsa.
Per il mio bloomsday
Ci lasciamo ridendo la morte nel cuore
Niente è più reale di questo mi hai detto
Nella notte mentre il tuo corpo bianco
Più del mio in me si inabissava.
La poesia di Cortàzar, il viaggio a Marrakesh
La pesca d’alto mare e le ragioni tecniche
Per cinque minuti ancora ci danno la forza
Di avanzare. Due caffè due biscotti una camicia
Da stirare sono i garbati passi dell’addio.
Don’t forget our future, mi raccomandi
Ma dalla finestra il passato tarda ad arrivare.
Non è finzione ne invenzione
Non è finzione né invenzione
Non è finzione né invenzione
che tra affondo e risalita
necessita restar sospesi
nel buio di un fondale.
Ma qui noi siamo emersi,
nel cerchio del tuo letto
lo stagno ha un sogno esteso
e tu radice hai nel buio
mio caldo e nel mio seno.
Due lacrime – umido nell’umido –
avrei voluto darti, ma la gioia
è pianto breve e vedi amor mio,
ora che un po’ di me il limite
amo, mi fletto al tuo confine
di bianco e melograno.
Sei natura e splendore
nei tuoi angoli acuti
e di te conosco stanze
larghe d’improvviso.
Ami di me quello che
a nessuno ho permesso.
Tu di me conosci la segreta luna
ed io di te disvelo il sole ombrato
(pure notte e nebbie di te io amo)
Ora di me angelo e custode,
espugni dal silenzio
il liquido mio gelo.
Non rimproverarmi gli anni negati
io non ti imporrò le assenze
di memoria che ormai non so colmare.
Ritroverai in una piazza senza platani
il ricordo di un momento che al tempo
torna breve.
Mi germini nel petto e
mi germogli sangue.
Nei nostri nomi
ripetuti per conferma
s’appiana ogni rivolta.
Vengo a te mancante
e forse mi perdoni.
Ti dico che sei angelo
di corpo e sangue e
l’ala che mi stendi
su occhi e bocca
non è farmaco né medicamento
ma pura verità che si fa vera.
Aspetterò il tuo ritorno nuda
sul bianco del ricamo,
dalle finestre a guardare
il tuo passo
che nel ventre mi sale.
Rallenterai il venire per
farmi soffrire d’attesa,
aprirai la porta, aprirai la bocca,
riceverai il mio pianto, la mia gioia
e il dileguato silenzio.
Mai più dirò che sono qui per te,
mai più saprai quel che volevo dirti.
Eppure non c’è parola che non
potrei donarti, né ansa di me
in cui tu non possa trattenerti.
Se tu sei su di me o su di te io,
nessuna ombra più ci tormenta.
Saremo, tu lo sai,
la somiglianza di
una unità che non
s’interrompe mai.
Io a te dico
Io a te dico
voglio abbia i miei occhi
la morte quando arriva,
voglio specchiarmi appena civettuola
dentro la vita fatta e da finire.
Per una volta essere
la mia garbata ospite,
porgermi la mano in piedi
poi farmi accomodare,
piano accostare le persiane
e senza rimpianti uscire.
Arriva a ondate il passato
Arriva a ondate il passato
Grandi muri alle spalle
Cadono d’improvviso
Sulla scrivania, nella tazza del the.
Troppa vita? Le chiedo
Alla mia età è solo tanta
Risponde Silvana torpida nel corpo pesante
Lasciando qualche capello tra le dita
Della mia mano già distante dalla sua testa.
Salutarsi sempre
Salutarsi sempre, col sacchetti del pane in mano
sull’ultimo gradino di casa, sotto la luce sbieca
della metropolitana, tra i colleghi in ufficio.
Salutarsi sempre, dita contro dita
guancia su guancia o a labbra socchiuse.
In stazione imbarazzata lasciare una moneta
a chi la chiede, mentre il treno su cui tu sei
dame e dalla città operosa ti allontana.
Salutarsi sempre, te che sopra ogni altro amo
fingendo di ignorare l’addio in agguato
in ogni nostro arrivederci.