La Poetessa Patrizia Cavalli è scomparsa a 75 anni a Roma-
Biblioteca DEA SABINA
-La Poetessa Patrizia Cavalli arriva a Roma nel 1968, dopo essere passata per Ancona. Nella capitale conosce Elsa Morante, dalla cui frequentazione nasce, nel 1974, la sua prima raccolta di poesie, a lei dedicate. Nel 1976 viene inserita nell’antologia “Donne in poesia – Antologia della poesia femminile in Italia dal dopoguerra ad oggi“, insieme a autrici come Maria Luisa Spaziani, Vivian Lamarque Amelia Rosselli, Anna Maria Ortese.è scomparsa a 75 anni –
-Nata a Todi -Perugia 1947-Morta a Roma 21 giugno 2022-
È morta all’età di 75 anni Patrizia Cavalli una delle poetesse italiane contemporanee più importanti, come scrive Repubblica. Nata a Todi nel 17 aprile 1947, Cavalli viveva a Roma da tempo, ormai e lì, doveva aveva studiato Filosofia, aveva costruito la sua carriera letteraria che era legata a doppio filo con la casa editrice Einaudi per cui aveva pubblicato varie raccolte di poesie. In quegli anni romani aveva legato molto con un’altra delle scrittrici che hanno scritto il canone letterario italiano, ovvero Elsa Morante.
Poesie di Patrizia Cavalli
Sei poesie da Vita meravigliosa di Patrizia Cavalli, Einaudi, 2020.
Continuazione dell’Eden
L’originale comunque non lo voglio
non voglio stare dove ogni momento
se sbagli possono cacciarti via.
Lo preferisco falso e permanente
dove la legge la decido io.
Abolirò memoria e nostalgia,
non ci sarà intenzione né immaginazione
ma un’aria mite e ferma che acconsente:
si morirà per noia, dolcemente.
I nostri alberi non settentrionali
hanno foglie leggere e molto fitte,
vibranti nel dettaglio e pronte a rivelare
il loro lato argenteo, segreto,
solo sfiorate da un qualsiasi vento.
Senza peso sul ramo, ma ornamento,
sono le prime a muoversi, le ultime a star ferme
in quella oscillazione che acconsente
forte all’inizio e poi quasi incosciente.
Non c’era piú, anche se di solito spuntava
da ogni nebbia. Ma questa era una nebbia naturale o mia?
Con un’unghia raschiai un muschio grigio,
di cerchio in cerchio si era sovrapposto
al peperino e ambiva in sfumature
a farsi breccia d’Africa, non levigata,
che teneva in riserva i suoi colori.
Ma il suo colore – verde interiore, acido –
fu scalfittura e non levigatura
che lo scoprí. Gli ulivi intanto
si erano puliti della nebbia.
(Forse la nebbia era soltanto mia).
Si addensava lontano oltre il querceto
e non mi dava Orvieto, che aspettavo.
Era una nebbia a cumulo, potente
e concentrata, il vapore che segue
al fuoco spento, che sale bianco
ma ne mantiene l’empito. Tra poco
si sarebbe sciolto e a poco a poco
avrebbe liberato pure Orvieto. E fu cosí.
Ma era tutta grigia, rassegnata.
Era bruciata.
Era lí senza bene e senza male
aspettava il bene e il male,
aspettava nella stasi
bene o male calcolava
quanto tempo le restava
come rompere l’attesa
di questo persistere
in un’idea stanziale
che vuole sistemarsi in penitenza
eterna paura di esistere, pure
sapeva di non essere immortale.
Cerco i miei versi tra un tavolo e una sedia
nel bosco predisposto pei miei passi
mi apposto e aspetto quel suono che si forma
uscendo da un rumore senza forma.
La mia disperazione è la speranza,
io spero troppo e troppo spesso spero
ma è uno sperare fatto di incostanza,
giro la testa e mi ricala il nero.
Immagine: Foto di Dino Ignani.
Poesie di Patrizia Cavalli
Adesso che il tempo sembra tutto mio
Adesso che il tempo sembra tutto mio
e nessuno mi chiama per il pranzo e per la cena,
adesso che posso rimanere a guardare
come si scioglie una nuvola e come si scolora,
come cammina un gatto per il tetto
nel lusso immenso di una esplorazione, adesso
che ogni giorno mi aspetta
la sconfinata lunghezza di una notte
dove non c’è richiamo e non c’è piú ragione
di spogliarsi in fretta per riposare dentro
l’accecante dolcezza di un corpo che mi aspetta,
adesso che il mattino non ha mai principio
e silenzioso mi lascia ai miei progetti
a tutte le cadenze della voce, adesso
vorrei improvvisamente la prigione.
Quante tentazioni attraverso
nel percorso tra la camera
e la cucina, tra la cucina
e il cesso. Una macchia
sul muro, un pezzo di carta
caduto in terra, un bicchiere d’acqua,
un guardar dalla finestra,
ciao alla vicina,
una carezza alla gattina.
Così dimentico sempre
l’idea principale, mi perdo
per strada, mi scompongo
giorno per giorno ed è vano
tentare qualsiasi ritorno.
Addosso al viso mi cadono le notti
e anche i giorni mi cadono sul viso.
Io li vedo come si accavallano
formando geografie disordinate:
il loro peso non è sempre uguale,
a volte cadono dall’alto e fanno buche,
altre volte si appoggiano soltanto
lasciando un ricordo un po’ in penombra.
Geometra perito io li misuro
li conto e li divido
in anni e stagioni, in mesi e settimane.
Ma veramente aspetto
in segretezza di distrarmi
nella confusione perdere i calcoli,
uscire di prigione
ricevere la grazia di una nuova faccia.
E’ tutto così semplice,
sì, era così semplice,
è tale l’evidenza
che quasi non ci credo.
A questo serve il corpo:
mi tocchi o non mi tocchi,
mi abbracci o mi allontani.
Il resto è per i pazzi.
Note: da “Amore non mio e neanche tuo” – Patrizia Cavalli
Per questo sono nata, per scendere
Per questo sono nata, per scendere
da una macchina dopo una corsa
in una strada qualunque e trafficata
e guidata dagli angeli piegarmi
attraverso il finestrino
sopra quei capelli e in silenzio
sentire l’odore di quel viso
dove poco prima avevo visto
come la bocca e gli occhi
si passavano un sorriso che non si apriva mai
e correndo veloce scompariva
in un attimo e tornava.
Questa sfusa felicità che assale
Questa sfusa felicità che assale
le facce al sole,
i gomiti e le giacche
– quante dolcezze
sparse nel mercato,
come son belli
gli uomini e le donne!
E vado dietro all’uno
e guardo l’altra,
sento il profumo
inseguo la sua traccia,
raggiungo il troppo
ma il troppo non mi abbraccia.
Sempre aperto teatro
Indietro, in piedi, da lontano,
di passaggio, tassametro in attesa
la guardavo, i capelli guardavo,
e che vedevo? Mio teatro ostinato,
rifiuto del sipario, sempre aperto teatro,
meglio andarsene a spettacolo iniziato.
O amori – veri o falsi
siate amori, muovetevi felici
nel vuoto che vi offro.
Tutto mi appare in bella superficie
e poi scompare. Perché ritorni
la figura io mi sfiguro, offro
i miei pezzi in prestito o in regalo,
bellezza sia visibile, formata,
guardarla da lontano, anche sfocata,
purché ci sia, purché ci sia, anche non mia.
Note: Patrizia Cavalli, Sempre aperto teatro
Poesie per colazione -153
Era alla luce terribilmente sabato,
quel sole infimo che annunzia svogliatezze
mentre nella piazza fin dentro le mie finestre
chiuse si muoveva il mercato prolungato.
L’ultima offerta e poi si chiude. Poi la festa
untuosa e il silenzio. Già si smontavano
i banchetti con la ferocia trasandata
della fine. Forse era possibile
una corsa per prendere qualcosa, forse
restava qualche cassetta ancora non riposta.
Ma non mi decidevo a quella corsa.
Quando scendevo ormai era tardi
tra i mucchi di foglie di carciofi
e i pomodori sfatti dove una vecchietta china
correva rapace alla riscossa di mezze mele
di peperoni buoni per tre quarti.
Ma io non cercavo frutta marcia o fresca,
io volevo soltanto la certezza
della settimana che finisce,
dell’occasione persa.
Note: Patrizia Cavalli, “L’io singolare proprio mio” in Poesie, Einaudi, 1992.
Pure scoprendo che quello che vedevo,
e lo vedevo in te amore amato
in verità non c’è, non c’è mai stato,
forse per questo è meno vero? No,
continua ad essere vero, e non perché
così mi era sembrato, non si tratta
di soggettività. Nessuno infatti
avrebbe in sé alcuna qualità
se non fosse per quel sentire che spinge
a concepire mischiandosi all’oggetto
un pensiero commosso per cui la nostra mente
intenerita fa che la morte venga differita,
almeno per un po’, giocando a questo
o a quello, prestando al giocatore
opaco il suo fervore, anche inventato.
Note: da “Pigre divinità e pigra sorte” – Patrizia Cavalli
Essere animale per la grazia
di essere animale nel tuo cuore.
Mi scorge amore, mi scorge quando dormo.
Per questo io dormo. Di solito io dormo.
Mi ero tagliata i capelli, scurite le sopracciglia,
aggiustata la piega destra della bocca, assottigliato
il corpo, alzata la statura. Avevo anche regalato
alle spalle un ammiccamento trionfante. Ecco ragazza
ragazzo
di nuovo, per le strade, il passo del lavoratore,
niente abbellimenti superflui. Ma non avevo dimenticato
il languore della sedia, la nuvola della vista.
E spargevo carezze, senza accorgermene. Il mio corpo
segreto intoccabile. Nelle reni
si condensava l’attesa senza soddisfazione; nei giardini
le passeggiate, la ripetizione dei consigli,
il cielo qualche volta azzurro
e qualche volta no.
Note: tratta da “Poesie”,Patrizia Cavalli, Einaudi, 1999)
Biografia di Patrizia Cavalli. – Poetessa italiana (n. Todi, Perugia, 1947-Roma 21 giugno 2022 ). La sua lirica, limpida e diretta, rivela spesso intensa drammaticità. Ha scritto: Le mie poesie non cambieranno il mondo (1974); Il cielo (1981); Poesie 1974-1992 (1992); Sempre aperto teatro (1999), con il quale ha vinto il premio Viareggio-Repaci; La Guardiana (2005); Pigre divinità e pigra sorte (2006); Flighty matters (2012); Datura (2013). C. si è dedicata anche a traduzioni per il teatro, e nel 2012 ha pubblicato, con la musicista D. Tejera, Al cuore fa bene far le scale, CD e libro con poesie e musiche originali nate dalla collaborazione tra le due artiste. Nel 2019 C. ha pubblicato la raccolta di prose Con passi giapponesi, finalista al Premio Campiello 2020; è dello stesso anno la raccolta di versi Vita meravigliosa.- Patrizia Cavalli arriva a Roma nel 1968, dopo essere passata per Ancona. Nella capitale conosce Elsa Morante, dalla cui frequentazione nasce, nel 1974, la sua prima raccolta di poesie, a lei dedicate. Nel 1976 viene inserita nell’antologia “Donne in poesia – Antologia della poesia femminile in Italia dal dopoguerra ad oggi“, insieme a autrici come Maria Luisa Spaziani, Vivian Lamarque Amelia Rosselli, Anna Maria Ortese.
Fonte Enciclopedia Treccani