Itzhak Katznelson “Il canto del popolo ebraico massacrato”-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Itzhak Katznelson “Il canto del popolo ebraico massacrato”
Yitzhak Katzenelson nacque nel 1886 in Bielorussia, ma presto si trasferì con la famiglia a Lodz, in Polonia, dove aprì una scuola e si dedicò alla Letteratura, scrivendo sia in yiddish, sia in ebraico. Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale si rifugiò a Varsavia, dove assisté all’agonia del ghetto.
Nel 1943 la moglie e i suoi due figli minori furono uccisi. Lui, insieme al figlio maggiore, fu portato a Vittel, in Francia. Qui scrisse Il canto del popolo ebraico massacrato. Il 29 aprile 1944 fu deportato ad Auschwitz, dove fu subito eliminato.
La voce di Yitzhak Katzenelson è la voce di Giobbe, un Giobbe della modernità. Una voce dinnanzi alla quale l’intera umanità si arresta turbata. Si tratta di un’opera che non può essere paragonata a nessun’ altra nella storia della Letteratura mondiale: è la voce di un condannato a morte, fra centinaia di migliaia di condannati a morte, consapevole del suo destino di uomo e del destino del suo popolo.
La voce di Yitzhak esce dal grembo di “cieli nulli e vuoti”, impassibili al compiersi del massacro insensato e ingiustificato della
Itzhak Katznelson (Karėličy, 1º luglio 1886 – campo di concentramento di Auschwitz, 1º maggio 1944) è stato un poeta polacco di origine ebraica, vittima dell’Olocausto.-tradotto da Helena Janeczek
Il canto del popolo ebraico massacrato
I Canta
1
«Canta! Prendi in mano la tua arpa, vuota, svuotata e misera,
sulle sue corde fini getta le dita pesanti
come cuori, come cuori afflitti. Canta l’ultimo canto,
canta degli ultimi ebrei in terra d’Europa».
2
– Come posso cantare? Come posso aprir la bocca,
se sono rimasto io da solo –
mia moglie e i miei due bambini- orrore!
Inorridisco d’orrore…si piange! Sento ovunque un pianto-
3
«Canta, canta! Alza la tua voce afflitta e rotta,
cerca, cerca lassù in alto, se c’è ancora Lui,
e cantagli…cantagli l’ultimo canto degli ultimi ebrei,
vissuti, morti, non sepolti e non più…»
4
– Come posso cantare? Come posso alzar la testa?
Deportata mia moglie e il mio Benzion e il mio Yomele- un bimbo –
Non li ho più qui con me e non mi lasciano più!
O ombre oscure della mia luce, o ombre fredde e cieche.
5
« Canta, canta un’ultima volta qui sulla terra,
getta indietro la testa, fissa gli occhi su di Lui
e cantagli un’ultima volta, suonagli la tua arpa:
qui non ci sono più ebrei! Massacrati, e non più qui!».
6
– Come posso cantare? Come posso fissare gli occhi e alzar la testa?
Una lacrima ghiacciata mi si è appiccicata all’occhio…
vorrebbe staccarsi, strapparsi via dall’occhio
– e non può cadere, Dio mio!
7
«Canta, canta, alza il tuo sguardo cieco al cieli alti,
come ci fosse un Dio lassù nei cieli…salutalo, saluta con la mano-
come se da lassù una grande fortuna ci splendesse e ci illuminasse!
Siedi sulle rovine del tuo popolo massacrato e canta!
8
– Come posso cantare? Se il mondo per me è deserto?
Come posso suonare con le mani rotte?
Dove sono i miei morti? Io cerco i miei morti, Dio, in ogni rifiuto,
in ogni mucchio di cenere…O, ditemi dove siete.
9
Gridate da ogni pezzo di terra, da sotto ogni pietra,
da ogni grano di polvere, da tutte le fiamme, tutto il fumo-
è il vostro sangue e succo, è il midollo delle vostre membra,
è la vostra anima e carne! Gridate, Gridate forte!
10
Gridate dai visceri delle fiere nel bosco, dai pesci nello stagno-
Vi hanno mangiati. Gridate dai forni, gridate grandi e piccoli:
voglio uno strepito, un lamento, una voce, voglio una voce da voi,
grida popolo ebraico massacrato, grida, grida fuori!
11
Al cielo non gridare: ti sente quanto il cielo, il mucchio di letame.
Non gridare al sole, non rivolgerti a una lampada…Ah se potessi
spengerlo come si spegne una lampada in questa tana d’assassini!
Tu, popolo mio, mi splendevi, tu mi davi luce!
12
O mostrati a me, popolo mio, dimostrati, tendi le mani
dalle fosse profonde e lunge per miglia e stipate,
strato su strato, coperti di calce e bruciati.
Su! Su! Alzatevi dall’ultimo, dal più profondo strato.
13
Venite tutti da Treblinka, da Sobibor, da Auschwitz,
da Belec venite e da Ponary e ancora da altrove, ancora, ancora!
Con gli occhi spalancati e gelati e con grida e strepiti privi di voce,
venite dalle paludi, dal fango profondo, dai muschi marci-
14
Venite essiccati, macinati, stritolati, venite,
mettetevi intorno a me, in tondo, in un grande anello-
nonne, nonni, padri, madri con bambini tenuti in grembo-
venite ossa ebree ridotte in polvere, in pezzetti di sapone.
15
Mostratevi a me, dimostratevi, venite tutti, venite,
voglio vedervi tutti, voglio guardarvi tutti, voglio
gettare uno sguardo muto, ammutolito sul mio popolo massacrato-
e voglio cantare…sì…datemi l’arpa- io suono!
3-5.10.1943.
IX Ai cieli
1
Così ebbe principio, incominciò…Cieli, dite perché, dite per chi?
Perché sulla terra tutt’intera ci tocca essere tanto umiliati ?
La terra, sordomuta, ha come chiuso gli occhi…Ma voi, voi cieli, voi avete visto,
stavate a guardare voi, lassù dall’alto; eppure non vi siete capovolti!
2
Non si è rannuvolato il vostro azzurro, scontato azzurro, splendeva falso come sempre,
il sole rosso come un boia crudele ha continuato a girare in tondo,
la luna, vecchia sgualdrina peccatrice, andava a passeggiare in voi la notte,
e le stelle sconce brillavano, strizzavano gli occhietti come topi.
3
Via! Non voglio alzar lo sguardo, non voglio vedervi, non voglio saper nulla di voi!
O cieli falsi e bugiardi, o lassù nell’alto bassi cieli! Quanto mi addolora:
Io vi credevo un tempo,vi confidavo gioia e tristezza, riso e pianto,
ma voi non siete meglio della schifosa terra, del grande mucchio di letame!
4
Io vi lodavo, cieli, io vi inneggiavo in ogni mia canzone, ogni mio canto-
io vi amavo come si ama una moglie; lei non c’è più, disciolta come schiuma.
io somigliavo sin dalla mia infanzia il sole in voi, il sole fiammeggiante del tramonto
alla mia speranza: “così svanisce la mia speranza, così muore il mio sogno!”
5
Via!Via! Vi siete fatti beffa di noi tutti, beffati il mio popolo, beffata la mia stirpe!
Da sempre voi ci sbeffeggiate: già i miei padri, i miei profeti sbeffeggiavate!
A voi, a voi – alzavano gli occhi, alla vostra fiamma si accendevano,
i più fedeli a voi qui sulla terra che sulla terra si struggevano per voi.
6
A voi anelavano….a voi per primi esclamavano: haazinu!- Ascoltate!
E solo poi la terra. Così il mio Mosè e cosi Isaia, il mio Isaia: shimu!- Udite!
E shomu! gridava Geremia: shomu! A chi, se non a voi? Perché d’un colpo vi siete estraniati?
O aperti e vasti cieli, luminosi e alti cieli! voi siete tali quali alla terra.
7
Non ci conoscete, non ci riconoscete più- perché? Saremo poi
tanto diversi, tanto cambiati? Ma se siamo gli stessi ebrei di sempre-
e anche molto migliori…Io no! Non voglio paragonarmi ai miei profeti, non devo,
ma loro, tutti quegli ebrei portati a morire, i milioni massacrati ora –
8
Loro sì, sono migliori: più provati, purificati dall’esilio! E quanto vale
uno dei grandi ebrei di allora di fronte a un piccolo, semplice, qualsiasi ebreo di oggi
in Polonia, Lituania, Volinia, in ogni terra d’esilio, – in ogni ebreo si lamenta e grida
un Geremia, un Giobbe disperato, un re deluso intona il Qohelet.
9
Non ci conoscete, non ci riconoscete più, nessuno: come fingessimo di essere altri.
Ma noi siamo gli stessi, gli ebrei di sempre, e come sempre pecchiamo contro noi stessi,
e come sempre rinunciamo alla nostra felicità e vogliamo ancora salvare il mondo-
E voi, com’è che siete così azzurri, voi cieli azzurri, mentre ci stanno massacrando, com’è che siete così belli?
10
Come Saul, il mio re, nella mia pena cercherò la maga,
troverò la strada disperata e scura per Endor,
e chiamerò fuori dalle tombe tutti i miei profeti e tutti implorerò: guardate, guardate in alto
ai vostri chiari cieli e sputate loro in faccia: “che siate maledetti, maledetti!”
11
Voi cieli stavate a guardare da lassù quando hanno portato i bambini del mio popolo
– per navi, su treni, a piedi, in pieno giorno e nella notte scura- a morire,
milioni di bambini, mentre li ammazzavano, hanno alzato le mani a voi- non vi siete commossi,
milioni di nobili madri e padre- non si è accapponata la vostra azzurra pelle.
12
Voi avete visto i Yomele di undici anni, semplice gioia! gioia e bontà,
e i Benzion, i piccoli geonim così seri e studiosi…consolazione di tutto il creato!
Avete visto le Hanne che li hanno avuti e consacrati a Dio nella sua casa,
e siete rimasti a guardare…Non avete nessun Dio in voi, cieli! Cieli da niente, cieli smagliati!
13
Non avete nessun Dio in voi! Aprite le vostre porte, cieli, aprite e spalancate
e lasciate entrare tutti i bambini del mio popolo massacrato, del mio popolo torturato,
aprite per la grande ascensione: tutto un popolo crocefisso con gravi sofferenze
deve entrare in voi…Ciascuno dei miei bambini massacrati può essere il loro Dio!
14
O cieli desolati e vuoti, o cieli come un deserto vasti e desolati,
io ho perso in voi il mio unico Dio, e a loro averne tre non basta:
il Dio degli ebrei, il suo spirito e l’ebreo della Galilea che giustiziarono, sono pochi:
ci hanno spediti tutti quanti in cielo, – o schifosa e vigliacca idolatria!
15
Rallegratevi, cieli, rallegratevi!- Eravate poveri, adesso siete ricchi,
che messe benedetta- tutto, tutto un intero popolo, che gran fortuna, vi è stato regalato!
Rallegratevi cieli lassù con i tedeschi, e i tedeschi si rallegrino quaggiù con voi,
e un fuoco dalla terra salga fino a voi e divampi un fuoco da voi fino alla terra.
26.11.1943
Breve Biografia-Yitzhak Katzenelson nacque nel 1886 in Bielorussia, ma presto si trasferì con la famiglia a Lodz, in Polonia, dove aprì una scuola e si dedicò alla Letteratura, scrivendo sia in yiddish, sia in ebraico. Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale si rifugiò a Varsavia, dove assisté all’agonia del ghetto.
Nel 1943 la moglie e i suoi due figli minori furono uccisi. Lui, insieme al figlio maggiore, fu portato a Vittel, in Francia. Qui scrisse Il canto del popolo ebraico massacrato. Il 29 aprile 1944 fu deportato ad Auschwitz, dove fu subito eliminato.
La voce di Yitzhak Katzenelson è la voce di Giobbe, un Giobbe della modernità. Una voce dinnanzi alla quale l’intera umanità si arresta turbata. Si tratta di un’opera che non può essere paragonata a nessun’ altra nella storia della Letteratura mondiale: è la voce di un condannato a morte, fra centinaia di migliaia di condannati a morte, consapevole del suo destino di uomo e del destino del suo popolo.
La voce di Yitzhak esce dal grembo di “cieli nulli e vuoti”, impassibili al compiersi del massacro insensato e ingiustificato della