IL DIARIO di IRENE BERNASCONI Anno scolastico 1915-16
Biblioteca DEA SABINA
-IL DIARIO di IRENE BERNASCONI Anno scolastico 1915-16-
Premessa:
Nell’anno scolastico 1915-16, aveva inizio a Palidoro l’attività della scuola materna . La prima maestra che vi prese servizio fu una giovane svizzera che, conseguito il diploma in Italia, aveva una sede, anche disagiata, nella quale l’opera della scuola fosse particolarmente necessaria. Fu così che Irene Bernasconi di Chiasso, nel Canton Ticino, lasciò la sua famiglia benestante e si immerse in una realtà sociale e umana molto diversa da quella che si lasciava alle spalle. In pagine di diario, documentò tali sue esperienze e quelle che successivamente ebbe modo di vivere in altri luoghi, sempre animata da un alto spirito umanitario e professionale. Presentiamo qui alcune parti dell’inedito Diario di Palidoro (ringraziando la figlia dell’Autrice, la Signora Linda Gabrielli Socciarelli che ce ne ha offerto l’opportunità), dalle quali emerge lo stato di miseria , ma anche la genuinità di quegli abitanti di Palidoro di altri tempi. (N.d.R.)
Trascrizione del testo e ricerca foto a cura di Franco Leggeri
per WWW.ABCVOX.INFO-Agenzia REDREPORT
Dal Diario
La mattina del 6 dicembre 1915 giungevo a Palidoro. Una mattina fredda, grigia, malinconica. Non pioveva, ma nell’aria c’era umidità e le staccionate del grande viale di olmi avevano un leggero strato di muschio; nelle cunette , ai lati dell’antica via Aurelia, vi era del fango e i ciottoli squadrati del fondo stradale apparivano lucidi. Nella notte era venuto un acquazzone . Che silenzio suggestivo nella sterminata Campagna Romana! Non una persona per strada; la capanne di canne, le prime che vedevo, mi parvero disabitate; i <rimessini> coi bovi dalle <lunate corna> e i rozzi bufali erano immagini nuove per me ; guardavo tutto con occhi sgranati. La bellezza selvaggia, l’indicibile calma, la torre silenziosa che si ergeva sul mugghiante Tirreno come una sentinella, le persone diverse da noi settentrionali nelle linee del viso e nei costumi (che avevo notato appena scesa dal treno), i cavalli snelli, i bufali, le pecore, i somari, il vasto orizzonte che in quel primo giorno mi impressionò e quasi mi faceva paura, la linea azzurra rigida del mare a ponente… tutto mi conquise!
Avevo scelto di fare scuola in un posto dove non voleva andare nessuno, fra gente primitiva, bisognosa di affetto; fra bambini anche sporchi, scalzi, stracciati: Bambini vicini alla terra. In questo posto perduto nel fondo di qualche valle poco conosciuta o in un luogo abbandonato nelle desolate lande della maremma… e Palidoro è, al dire dei ciociari, la < Maremmaccia>. Era il posto che faceva per me , quello che andavo cercando … Mi dissi fortunata di averlo trovato e decisi di restare.
Il giorno 8 dicembre a mezzodì, un buttero della tenuta aveva recato da Rom i commestibili e il vasellame per la refezione scolastica; la mattina del 9, alle ore 8 e mezzo, l’asilo, o meglio < la casa dei bambini secondo il metodo Montessori> apriva, per la prima volta , i battenti per ricevere 27 iscritti che, nel marzo del 1916, arrivarono a 36; nella maggior parte si trattava di figli di richiamati alle armi.
La scuola era costituita da due locali abbastanza capaci: uno era l’aula, l’altro la cucina; a questi si accedeva da un piccolo atrio e, attraverso una porticina a vetri, ci si immetteva in una specie di corridoio che aveva gli attaccapanni e che in origine era un pollaio; da questo, per mezzo di pochi gradini, si scendeva nel prato percorso dalla <marana>: il gabinetto dei miei piccoli scolari.
Non tardai molto ad accorgermi che la scuola era una vera manna per questa gente nomade che, lasciate le case di Ciociaria, viene qui a lavorare ogni autunno per fuggirsene via all’inizio dell’estate scacciata dallo spettro della malaria.
11 dicembre, sabato. Parlano in modo per me incomprensibile; chiedo spiegazioni alla cuciniera che mi chiarisce il linguaggio a modo suo : si inquieta perché non comprendo e le sembra impossibile che io non sappia che cosa sia la <pizza> che i piccoli chiedono ad ogni istante . <Ammàppete-dice-manco sai che è la pizza? Ma è la pizza ,la pizza>. Io resto perplessa e allora si leva da tasca del grembiule un pezzo di pane di granoturco e me lo mostra:<Eccola la pizza>.
L’apparizione della prima scodella di minestra era stata salutata da un rumoroso picchiare di piedi , da manine protese, da visi rasserenati, da lunghi e profondi sospiri, da tante voci:<A me, a me!>.
Poveri piccoli cari! Le piccine, a refezione ultimata, non volevano levarsi la “bavarola” e i maschi nascondevano il cucchiaio.
5 gennaio, mercoledì. Noto che in questi piccini ( ma anche nei grandicelli di 8, 10 12 anni che vedo per strada) un nonnulla basti a scatenare l’istinto aggressivo; e non mi lascio sfuggire le occasioni per dire di essere gentili , usare cortesia con tutti, di volersi bene; ma in genere fanno ciò solo quando vedono in mano a un compagno qualche ghiottoneria della quale sperano di essere messi a parte , sia pure in minima dose.
Mi sento più scoraggiata nel rilevare questi loro modi di fare che non quando me li vedo comparire davanti orribilmente sporchi.
8 gennaio, sabato. Mattina uggiosa: l’Elementare non ha aperto i battenti e così anche i miei piccoli, quelli che abitano lontano e che vengono accompagnati dai fratelli più grandi , si sono concessa una vacanza. Alla fine , prima di lasciare che i pochi venuti tornassero a casa, vincendo una certa ripugnanza, ho indossato un grembiule da cucina e….avanti! Ho lavato loro il viso, il collo, gli orecchi, le mani, le braccia.
Penso : ciò che adesso si fa con amore, al fine di condurre queste persone a tenere un altro regime di vita, vale ben poco , è seme gettato sull’argilla.
La casa e l’ambiente in cui vivono queste creature, così colme d’una naturale freschezza interiore, distruggono ciò che alla scuola si edifica.
Non si potrebbe fare per questa gente qualche casetta, anche di legno, a due, a quattro locali? Allora sì che l’individuo potrebbe cambiare un po’ i costumi. Ma, col vivere in massa in questi porticati, lassù all’Osteriaccia, a Statua, come possono migliorare? I bambini vivono due esistenze ben distinte che non si integreranno mai a formare la loro personalità.
Talvolta mi sento scoraggiata, ma poi guardo all’avvenire, a quel futuro del dopoguerra e scorgo una speranza.
21 gennaio, venerdì. Amalia è stata tutta la mattinata con la testina sul banco; tossiva con urli strazianti; l’ho portata al casale sul tardi : ardeva di febbre, che occhi lucidi aveva!
Angelo e Mariannina Paparozzi sono andati, con la madre, in montagna, probabilmente non ritorneranno che a Pasqua.
24 gennaio, lunedì. A Toto è morto un fratellino di pochi giorni e stamane gli ho chiesto:< Ti dispiace che sia morto il tuo fratellino?>.
Subito si è rizzato sul sedile e, spalancando gli occhi, mi ha risposto tutto d’un fiato, come se avesse fretta di dirlo:< E’ meglio che è morto se no io dovevo dormire sulla panchina con il cappotto>.
Parole dure, e forse non del tutto estranee alla lotta per la sopravvivenza che si svolgeva sotto quei porticati.
12 febbraio, sabato. Poveri piccini, alle volte mi fanno proprio compassione: sono lì pieni di freddo, col nasino moccioso, con le dita fuori dalle cioce, vestiti, o meglio coperti con stracci di cotonina.
E in che modo parlano? Ancora non si sono abituati a dire <faccia> invece di <muso>; alcuni si puliscono bravamente il naso con le mani.
E’ certo che qui bisogna vincere ogni ripugnanza, rimboccarsi le maniche e… avanti col cuore sereno.
8 marzo, mercoledì. Peppinella è morta…. Nel guardarla mi si stringeva il cuore; la cicatrice del labbro superiore quasi non si notava, la morte l’aveva fatta più bella.
I pochi bambini presenti l’accompagnavano in chiesa portando ceri…..
9 marzo, giovedì. Ho una sensazione di sfacelo: Armando Bellardi, dopo 10 giorni di malattia, stanotte è spirato…. Una ghirlanda di rose di stoffa, di colore chiassoso, la stessa che avevo visto sulla testolina di Peppinella, posava sul capo, una veste da neonato, bianca, lunga con merletto, lo copriva interamente. Le mani gliele avevano accomodate in atto di preghiera e fra le dita gli avevano posto una piccola croce formata da due ceri sottili.
11 marzo, sabato. Stamane Checchinello è venuto tardi, gliene ho chiesto il motivo e ha risposto :< Mamma è malata, Nerina deve cucinare e l’acqua pe’ sciacquarmi non c’era; so’ sceso , ho cercato una pozza pe’ ‘l viso e le mani e ho fatto tardi>. Non voleva presentarsi sporco.
Pure Angelo Bellardi ieri mattina non voleva venire a scuola perché < mamma non teneva l’acqua pe’ sciacquarmi il muso>.
E’ già un bel passo avanti, forse il più importante, il primo per arrivare ad altri.
13 marzo, lunedì. Il morbillo si estende sempre più e degenera in polmonite.
Alfredo Toppi è morto; non sono andata a vederlo, è uno spettacolo troppo triste!
Santino è venuto alla scuola sudicio; gli ho fatto osservare il grembiulino sporco e le dita dei piedi che uscivano dalle cioce mal legate; si è messo un dito in bocca e mi ha guardato dicendo :< Sai, signorì , Marianna è morta e mamma le ha fatto un cuscino di paglia>.
20 marzo, lunedì. Anche Checchinello si è ammalato; ormai non sono che cinque i presenti; si dovrebbe chiudere, ma come si fa? Penso che questi poverini stiano meglio nella scuola che lassù, in quei portici affumicati dove il vento fischia e giuoca a suo talento. Almeno qui trovano una buona e fumante minestra e…..l’acqua non scarseggia: si lavano così volentieri, adesso, che è un piacere il constatarlo.
15 aprile, sabato. Toto guarda sempre con occhi avidi i compagni che mangiano. A merenda si mette davanti a quelli che hanno qualche ghiottoneria ( cipolle, carciofi, lardo, aglio) appoggia i gomiti sul banco, affonda il mento nelle mani, gira gli occhi da un compagno all’altro e si affretta a raccogliere le briciole che cadono. Lo fa per pura golosità, perché la mamma gli prepara perfino la frittata con le erbe, ma lui si ingozza per finire in fretta e poi assaggiare un pochino di tutto ciò che recano i compagni. In uno dei passati giorni, per avere un pezzetto di pizza da Anito si strappo un bottone dalla giacchettina e glielo dette in paga.
25 aprile, martedì. Arrivano tutti con mezze pagnotte di pizza odorante di anice; la pizza di Pasqua rappresenta per questi bambini il dolce più squisito che ci possa essere .
Oggi hanno fatto la gara nel raccontarmi quello che fecero durante le vacanze. Toto e Rosina sono andati a Roma a trovare il papà che è militare:< Quante case e quanti tramve!>.
Peppinello no:<Nessuno me porta a Roma, mamma ha sciacquato li panni e io stavo co’ Attilio solo>.
Checchinello ha ricevuto dolci da una zia che abita lontano :< Il paese c’è, ma non lo so il nome suo>.
Bellardi ha mutato la camicia:< Tengo la camicia e la giacchettina lavati da mamma e li bottoni elloli (eccoli)>.
Remo e Irma sono stati al mare ed hanno portato un fazzoletto pieno di conchiglie:< Le cucchiole che ci hanno dentro il mare>.
Anito e Suntarella sono venuti con una pezzuola da naso nuova e Anito non finiva mai di stenderla per terra, così che ogni volta che la usava lasciava del sudiciume sul viso.
Pasqualina con un abituccio bianco e delle mutandine candide:< Sai, papà mio ha magnato troppo e mò gli ha ripigliato la febbre>.
Nel pomeriggio , mentre mi salutava per ritornarsene al casale, Peppinello mi ha detto:< Non c’eri in chiesa quando faceva festa , perché? A lu loco teo non ci stevi, perché?>.
Ho risposto che ero andata a Roma.
<Dalla mamma tea?>.
<No , la mia mamma è lontano, lontano>.
Nel dire così mi è venuto il magone; se ne è accorto il piccino, mi ha baciato la mano, povero caro , e :< Mmbèh, te vojo bene!>. i suoi occhi grandi, vivi, espressivi, la personcina infagottata nei poveri panni ebbero, in quel momento, il potere di confortarmi tanto, tanto.
3 maggio, mercoledì. Appena sentono, anche se da molto lontano, il rumore delle automobili, che passano sovente, i maschietti corrono fuori tutti festosi a salutare e gridare: <La benzina corre pe’ la strada romana (l’Aurelia) quanta polvere!>.
4 maggio, giovedì. Con un gran mazzo di margherite fissato in uno strappo della giacca, è comparso stamane Augusto Bellardi : le ciocie mal legate, le calze a buchi, una nera, l’altra a righe nere e marrone, i calzoni che mostravano la pelle , il cappello troppo grande e tutto sforacchiato con una margherita in ogni foro. Teneva in mano due fette di pizza, cotta da chissà quanto tempo, si è avvicinato con un sorriso furbo, le guance rosse, lo sguardo vivo , certo che in mente aveva qualcosa; mi ha porto la mano senza parlare, ha posato la pizza, si è seduto vicino a Remo che stava contando le conchiglie e, approfittando di una distrazione del compagno , si è cacciato in tasca , con incredibile tre conchiglie. Poco dopo, si è alzato invitando fuori Anito per fare <piccichino> con lui.
19 maggio, venerdì. Checchino sta poco bene, ricominciano le febbri; i suoi occhi hanno delle fissità strane come se il suo pensiero fosse fermo su cose dolorose: è stanco , mi si appoggia, mi accarezza, mi guarda, ma non una sola parola esce dalla sua bocca. Quando far sta male la malaria!
20 maggio, sabato. Nelle prime ore pomeridiane, i grandicelli cantano le canzoncine religiose che ascoltano in chiesa ; i bambini dell’Osteriaccia formano un gruppo a parte e cantano le litanie e una preghiera per la < Madonna del Divino Amore che fa le grazie a tutte l’ore >, la stessa preghiera che la sera, sul tardi, le mamme e le sorelle cantano davanti ad una immagine della Vergine che hanno appesa all’esterno di una delle porte del casale , mentre arde un lumicino ad olio.
30 maggio, martedì. Nella prima quindicina di questo mese, come ho già detto, le donne del casale dell’Osteriaccia si riunivano per cantare le litanie in onore di Maria. Cantavano con una bella voce robusta, con cadenza molle, davanti ad una sacra immagine fissata sul muro , dove è pure attaccato il pezzo di una pagina del < Giornale d’Italia>, e incorniciata da una ghirlanda di fiori campestri. Però, da oltre una settimana, non fanno più sentire i loro canti; stamane ne chiesi il motivo ai bambini che vengono da lassù e Peppino mi rispose che le < le ragazze sono stanche e non tengono la fantasia per cantare>.
Bellardi, invece, mi disse:<Sai? Non cantano perché li fiori si sono seccati>. E Amelia:< Ma che fiori! Io lo saccio, non cantano perché non c’è più l’olio per il lume>.
2 giugno, venerdì. Stamane Angelino è venuto accompagnato da una sua sorella grande; una ragazza che avevo sempre vista disordinata nell’abito e sporca più di tutte le altre del casale, spettinata al punto che il viso le restava nascosto , ma che , questa mattina, appariva linda e pettinata, tanto da sembrare quasi un’altra persona. Mi ha detto:< Va bene così signorina?>. Al mio sguardo compiaciuto, ha ripreso:< Ho sciacquato Angelino e nel barattolo grande mi sono pulita da sola per lu loco alla marana>.
Ogni anno, terminata la mietitura, questi contadini lasciano la tenuta, così che Palidoro resta quasi deserto; se ne vanno in montagna ad Anticoli Corrado, perché qui, come a Maccarese, la malaria impera più che in ogni altro luogo dei dintorni. Lassù, la loro abitazione deve essere migliore di quella che hanno qui; così credo stando ai discorsi che mi fanno i piccoli e poi< l’aria è boona, non ci stanno le zanzare>. Peppinello mi ha detto che ad Anticoli ha una casa bella con cinque finestre e che adesso, quando vi tornerà, metterà i fiori alla finestra della camera,< ma no la camera in dove stemo a dormi, no, quella indove tenemo lu tavolo e le scodelle>.
Augusto Bellardi racconta che ci stanno tre chiese: una della Trinità, una di S.Giuseppe e l’altra di :Rocco col cane, < se tu senti come so belle le messe a Anticoli!>.
Anito s’è fatto buono, non bestemmia , non morde più.
5 giugno, lunedì. Cari piccoli! Mi parlano di Anticoli Corrado con una marcata punta di nostalgia nelle parole, nel timbro della voce mentre gli occhi s’illuminano e il pensiero corre lassù in montagna . <Quando me ne rivado in montagna vieni pure tu-mi ha detto Anito- io ti faccio posto agliu treno e alla casa mea, sa, ci sta lo “cucciaro” (cucchiaio) perché ti mangi le “ciammaruche” (lumache)>
10 giugno, sabato. Mario mi si siede vicino e racconta dei lavori che fanno i bifolchi e le donne in campagna :< Stanno a prepara i fienili e già le macchine legano l’avena; è bello si lavora così, si suda, si diventa rossi, ma il padrone ti dà il pane, cipolle e una fojetta di vino, hai voglia a finire tutto quel vino!>.
21 giugno, mercoledì. Ieri Toto non è venuto perché è andato con la madre a mietere il grano; stamane, appena entrato , ha chiamato i compagni e, in gran segreto, ha rivelato loro che in campagna si sta meglio perché < se magna la zuppa di vino!>.
22 giugno, giovedì. Sono venuti i bambini di Statua per una mezz’ora perché i fratelli maggiori dovevano recarsi in dispensa a comprare del petrolio e così hanno creduto bene lasciare i piccoli alla mia scuola. Quando sono tornati , c’era con loro pure la figlia di Gigi lo zampognaro, quello che ogni anno, a Natale, viene chiamato a corte per suonare. La ragazza è una bella ciociara robusta che mi ha detto:< E’ vero che te ne rivai?>.
<Si>. <Allora vieni pure a Statua a salutacce, sa(i) ricòrdatelo, non te lo scordà(re)>.
La bontà di questa gente mi commuove.
27 giugno, martedì. Qualcuno mi rimproverò la confidenza che uso quando mi reco nelle capanne di canna di Statua, all’Osteriaccia, dai ciociari:<Come fa ad andare da quella gente; ci vuole del fegato, con tante pulci che ci sono>.
Non capisco; perché non dovrei fare quattro chiacchere con quei lavoratori? Sono così contenti quando vado lassù al casale; mi vedono da lontano e mi chiamano:< Signorì, vieni e sbrigate, stasera ti metti a sède(re) alla porta mea, nevvero nì?> Non poche volte ebbi occasione di notare che i vecchi, appena mi scorgono, vanno frettolosamente dietro le capannelle per pulirsi il naso a modo loro, prima di venirmi davanti; le donne si sbattono il grembiule, con le mani danno un colpo ai capelli, si aggiustano il corsetto e sempre dicono:< I nostri fiarelli ti vogliono bene e noi pure>.
29 giugno, giovedì. Oggi, alle due del pomeriggio, le ragazze hanno accompagnato i pochi bambini alla stazione, per salutarmi; tutti avevano nelle mani dei rami di ginestra, delle spighe di lavanda, dei mazzetti di frumento… il treno si è mosso….< Addio, addio, signorì, rivieni, t’aspettamo, addio, addio…>.
Bambini di Palidoro, faccine gialle, piccoli malarici dagli occhi di fuoco, ciociaretti insaccati in povere vesti, piccini di appena due anni, ometti e donnine di quattro di cinque anni, dal passo silenzioso, dal grave portamento; piccoli cari che, con la vostra rude dolcezza, con la vostra esuberanza d’affetto, con la freschezza gioconda delle vostre trovate (che non trovai nei bambini del settentrione), mi faceste tornare fanciulla, vi incontrerò ancora sul mio cammino?
Bifolchi di Palidoro, butteri di Castel Campanile, ragazze buone, premurose, mamme affettuose e riconoscenti, vi vedrò ancora?
Troverò ancora l’animo squisitamente cortese e buono di quella egregia Signora che si chiama Teresina Bozzi? E la cara Compagnia che mi tenne con tutta l’ottima famiglia, per non farmi sentire troppo la nostalgia della mia casa? (Erano affittuari della tenuta).
L’augurio migliore che mi posso fare è quello di tornare in quella landa dell’Agro Romano. Un lavoro caro mi aspetta laggiù.
Ricordo quando la domenica mi recavo nei casali a chiedere alle mamme alcune notizie riguardanti i bambini: l’anno di nascita, le malattie avute, il numero dei componenti la famiglia , l’eventuale consanguineità dei genitori; lo facevo per tentare la compilazione di una carta anagrafica per mio uso, ma confesso che potei ricavare ben poco.
A una madre chiesi quanti figli avesse, mi rispose :< Ne ho fatti tanti che manco mi ricordo, certi sono morti>. A un’altra chiesi quanti anni avesse:< Che vuoi che sappia quanti anni tengo, manco è ora d’andà(re) agli cipressi>.
Una terza mi fu larga di dati, chiesi:< Siete perente con vostro marito?>. E lei:< Che te devo dì, so’ nata a Maenza vicino a Terracina, dopo pochi giorni m’hanno portata all’Ospedale di Santo Spirito a Roma, pure mio marito viene da Santo Spirito>.
Come altre donne non ricorda il proprio cognome da ragazza.
Nei sette mesi trascorsi a Palidoro, ho avvertito il bisogno che ha l’Agro di avere scuole , insegnanti affettuose e con qualche iniziativa propria , perché non né detto che qui si debba procedere col programma delle Normali sul tavolo.
Ho cercato di fare il mio dovere, ma ora mi si permetta una confessione: ebbi modo di leggere alcuni diari di <Case dei Bambini> nei quali le Signorine vantavano modi <graziosi> dei loro allievi. Non lo nascondo , rimasi male; i miei piccoli non sanno essere sgarbati tra di loro, usano modi cortesi raramente e solo quando non trovano ostacoli al loro volere, e ciò nonostante i miei sforzi per migliorarli in questo senso. Io ne soffro e, per rasserenarmi un poco, mi dico: i bambini dell’Agro sono naturali, più sinceri! Se non riuscii a rendere più graziosi i loro modi , sono però fiera di constatare che questi piccoli, i quali in principio venivano sporchi e assai trascurati nell’abito e nella persona, e di ciò non sembra darsi pena, ora chiedono grembiulini e bavarole sempre puliti.
Trascrizione del testo e ricerca foto a cura di Franco Leggeri per WWW.ABCVOX.INFO-Agenzia REDREPORT