Il socialismo non è nato per innalzare muri -Articolo di Matteo Rossi-
Biblioteca DEA SABINA
Il socialismo non è nato per innalzare muri.
-Articolo di Matteo Rossi-
“Il socialismo non è nato per innalzare muri. Socialismo significa tendere la mano agli altri e insieme ad essi convivere pacificamente. Non è il sogno di un visionario ma un preciso progetto politico”. Fra poche ore ci teletrasporteremo tutti quanti a Berlino, porta di Brandeburgo, con un triplo salto mortale rovesciato di ben trentadue anni. E saremo tutti li assieme ad un’enorme calca di persone, pronte a oltrepassare e ad abbattere il più famoso muro della nostra triste storia umana. Per ricordare quel giorno, prendo spunto da uno dei miei film preferiti dal quale ho rubato la citazione con la quale ho aperto questo mio pensiero. Un film ben scritto e ben recitato; quello che colpiva all’epoca della sua uscita al cinema (e che colpisce ancora oggi) di Good Bye, Lenin! non è solo la ricostruzione storica, ma è ma la capacità di trasmettere l’universo della Repubblica Democratica Tedesca attraverso un vestito “pop”. Come è riuscito un piccolo film tedesco, con attori tedeschi e che narra una storia profondamente tedesca a diventare in pochi mesi un caso cinematografico mondiale? Becker, il regista del film, decide di riproporre con fedeltà gli ambienti e i colori della Germania dell’Est riuscendo renderli universali. Nella pellicola ci sono sia scene incentrate sulla critica delle vecchie strutture governative, nelle quali è servito un obiettivo più realistico, freddo, distaccato (come la manifestazione in strada iniziale a cui partecipa Alex); e scene con un approccio morbido e colorato, che viene invece utilizzato per quei momenti che guardano più affettuosamente alla vecchia DDR, compreso il largo uso dei feticci di quell’epoca (i famosi cetrioli Spreewald per intenderci). Il ricordo “istituzionalizzato” e ricordo “affettivo” quindi entrano in una sorta di conflitto, creando una “nostalgia ambivalente” attorno al quale ruota la pellicola. Diversamente da un film come “Le vite degli altri”, dove domina, la condanna di un regime che opprime l’individuo per preservare la collettività, in Good Bye, Lenin! la narrazione ruota attorno al passaggio da un mondo all’altro, capace di essere al tempo stesso dolorosa ma anche umoristica. Lungo tutto film, vengono inevitabilmente a galla scontri continui, come quello che da una parte mette il socialismo della DDR, e dall’altra la nuova Germania unita e il suo concetto di “progresso” (che sembra tagliare fuori le aspirazioni di una semplice famiglia della Germania Est). Cos’è meglio? Una risposta non il film non la da (o non la vuole dare), il messaggio è però chiaro: bisogna guardare oltre e far dialogare passato e presente. E allora sono le relazioni private e familiari, con le loro verità nascoste e i ricordi confusi la vera “nostalgia del quotidiano”, che fa pulsare il cuore di Good Bye, Lenin! e quello di tutti noi. Un tributo che inizialmente potrebbe essere letto come un ultimo inno ai fasti socialisti, ma che si rivela invece come una testimonianza del potere del ricordo individuale su quello della collettività. Considerazione questa che mi porta inevitabilmente al messaggio più importante che secondo me ci ha trasmesso questo bellissimo film, cioè che l’unica possibilità per affrontare quello che abbiamo davanti (come per Alex, la paura dell’oblio dato da un mondo senza più cerniere di mattoni tra est e ovest) è riconoscere i limiti della Storia di fronte alle storie personali e ai ricordi più intimi che ognuno porta con se. Ed è proprio questo che vuole trasmetterci il regista di Good Bye Lenin!, una nostalgia vincente nata a colpi di piccone contro il muro di Berlino; una nostalgia positiva che ognuno di noi deve coltivare e fare germogliare.