Franco Leggeri Fotoreportage -Museo Paleontologico Polledrara di Cecanibbio-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Franco Leggeri Fotoreportage
Museo Paleontologico Polledrara di Cecanibbio
Diciamo subito che il termine Polledrara di Cecanibbio, Fotoreportage di Franco Leggeri, non si riferisce ad allevamenti di polli o similari che dir si voglia, ma bensì ad un recinto per cavalli (puledri) e che la località di Cecanibbio,Museo Paleontologico Polledrara di Cecanibbio ,nonostante il nome che sembrerebbe di fantasia, esiste davvero e si trova fra la via Aurelia e la Boccea a circa sei chilometri dall’incrocio che dalla statale porta a Fregene, andando però dalla parte opposta verso l’interno e non verso il mare.
La Polledrara di Cecanibbio, la quale come luogo e nome alla maggior parte delle persone non dice assolutamente nulla essendo peraltro completamente sconosciuta ai più, gode invece di fama internazionale fra gli archeologi e i paleontologi di tutto il mondo per tutta una serie di motivi ed in particolare per alcuni che a seguire cercheremo di spiegare in maniera dignitosa. Nel Pleistocene medio- superiore (300.000 anni fa), la campagna romana si presentava come è oggi il cuore dell’Africa, ciò vuoi per motivi climatici, che per quelli ambientali con grande varietà e ricchezza di vegetazione ed una forte presenza di corsi d’acqua e di grandi zone paludose; un habitat questo che permise la sopravvivenza di una fauna estremamente varia ad iniziare dall’elefante antico (Palaeoloxodon antiquus), un gigante di circa 6 metri d’altezza con zanne di 4 metri e mezzo, per proseguire poi con rinoceronti, bufali (tanti stando ai ritrovamenti), lupi, cervi, cinghiali ed anche scimmie della specie macaco, per non dire poi di varie specie di rettili (tartarughe d’acqua e di terra incluse) e di uccelli particolarmente di specie acquatica.
Ma la Polledrara di Cecanibbio è famosa fra gli esperti soprattutto perché in una estensione di circa un chilometro quadrato si trova un grande accumulo di resti fossili degli animali succitati mantenutisi in maniera eccezionale ed ivi accumulati in un alveo torrentizio (un torrente di circa 40 metri di larghezza con una profondità di un metro e mezzo che le portò con le sue piene, una sorta quasi di Arrone ante litteram; Arrone che, attualmente, per inciso, scorre non lontano da lì) furono inglobati perfettamente nei sedimenti vulcanici ivi “sparati” dal vulcano Sabatino (ora lago di Bracciano – tutti i laghi del Lazio sono il frutto del riempimento acqueo di ex coni vulcanici) tali da conservarsi, fino ai nostri giorni, in maniera ineccepibile per la “gioia” degli specialisti di cui sopra e per la curiosità ed il piacere visivo dei visitatori di oggi.
I primi indizi di questo ampio giacimento di fauna fossile si ebbero già nel 1984 quando in una ricognizione di superficie la Soprintendenza Archeologica individuò lungo i fianchi di una collinetta un gran numero di resti, con, a seguire, delle ricerche più approfondite, fatte in loco successivamente in vari periodi.
Nel corso degli anni l’area ha restituito resti non completi di una cinquantina di elefanti antichi, tra cui – per la prima volta in Italia – sette crani di individui adulti appartenenti a questa specie. Ma anche, tramite la campagna di scavo iniziata nel 2011, un reperto assolutamente straordinario (sempre di elefante antico) di cui vale la pena di parlare visto e considerato che si tratta di una vera e propria “tragedia” animale nella quale incappò un rappresentante di tale specie.
Ecco la stupefacente storia emersa dalle ricerche effettuate. Uno di questi elefanti giganti scivolò all’interno di una grande e profonda fossa completamente piena di vischioso fango e, purtroppo per lui, cadde dentro con le zampe messe in malo modo, in particolare quelle posteriori, tanto da non poter più spingersi in alto verso la liberazione, anzi, probabilmente quei pochi movimenti che riuscì a fare complicarono ulteriormente la sua situazione avviandolo verso una bruttissima fine ed anzi esponendolo ai brutali attacchi animali ed umani che mai si sarebbero verificati se fosse stato libero di muoversi disponendo a difesa, verso qualsiasi direzione, le sue tremende zanne e la sua potente proboscide. C’è da dire che l’esemplare fossile della Polledrara di Cecanibbio con il fatto che rimase bloccato in posizione anatomica verticale ha permesso degli studi particolarmente esaustivi su questa specie e delle precise comparazioni con gli elefanti dei nostri giorni.
A proposito degli attacchi che l’elefante prigioniero subì vanno segnalati quelli che effettuò l’uomo preistorico nello specifico l’Homo Heidelbergensis (ritrovato, in prima battuta, presso Haidelberg in Germania ed antenato dell’Homo Sapiens) che stanziava anche lui nella zona, probabilmente proprio per le ampie opportunità di caccia che essa offriva. Anzi, come dimostrato dagli istrumenti rinvenuti intorno alla carcassa del grande animale, lo macellò letteralmente fratturandogli anche le ossa sia a scopo alimentare che per trarne strumenti appunto di quella natura. E di ciò vi è assoluta certezza in quanto le analisi effettuate al microscopio elettronico, pure tramite l’Università La Sapienza, hanno infatti evidenziato, su alcuni oggetti usati dall’Homo Heidelbergensis, delle sicure tracce lasciate dal taglio della pelle, della carne e dell’osso. Va anche detto che la capacità cerebrale dell’Homo Heidelbergensis è praticamente quasi uguale alla nostra per cui non si può escludere totalmente che il Palaeoloxodon antiquus fu spinto volutamente nella fangaia per poi poter infierire su di esso con il minor pericolo possibile considerando la mole la forza dell’animale che libero di muoversi sarebbe stato un avversario estremamente poderoso molto difficile da uccidere.
Fra l’altro non è da trascurare, sempre alla Polledrara di Cecanibbio, il fatto del ritrovamento dei resti fossili di bufali visto e considerato che, fino a questi rinvenimenti, mai nel Pleistocene medio – superiore tali animali erano stati, fino ad allora, documentati nell’Europa meridionale. Attualmente questo luogo, molto particolare e molto speciale, è visitabile dal pubblico sia in gruppi che singolarmente (guardare per informazioni orari e giorni su internet digitando “Polledrara di Cecanibbio”) in maniera estremamente intelligente attraverso delle funzionali passerelle aeree che evitano, in tal modo, il calpestio di questa interessantissima area preistorica. Dimenticavo di dire che dei grandi e bei pannelli illustrativi a colori fanno vedere come doveva presentarsi tutta la zona 300.000 anni fa sia in ambito botanico che animale.
Articolo scritto dal Prof.Arnaldo Gioacchini – Membro del Comitato Tecnico Scientifico dell’Associazione Beni Italiani Patrimonio Mondiale Unesco
Foto di Franco Leggeri-