Franco Leggeri Fotoreportage-Murales Ospedale Spallanzani di Roma 1)Carlo Urbani Medico italiano, fu il primo a identificare e classificare la SARS-Biblioteca DEA SABINA
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Franco Leggeri Fotoreportage-Murales Ospedale Spallanzani di Roma
1)Carlo Urbani -Medico italiano, fu il primo a identificare e classificare la SARS-
Premessa-Franco Leggeri Fotoreportage: Roma -Portuense-Vigna Pia e Dintorni-Murales Ospedale Spallanzani di Roma
Questo reportage, come quelli a seguire, vuole essere un viaggio che documenta e racconta la storia di un quartiere di Roma: Portuense-Vigna Pia e i suoi Dintorni con scatti fotografici che puntano a fermare il tempo in una città in continuo movimento. Non è facile scrivere, con le immagini di una fotocamera, la storia di un quartiere per scoprire chi lascia tracce e messaggi. Ci sono :Graffiti, Murales, Saracinesche dipinte, Vetrine eleganti che sanno generare la curiosità dei passanti ,il Mercatino dell’usato, il Mercato coperto, le Scuole, la Parrocchia, il Museo, la Tintoria storica della Signora Pina, La scuola di Cinema, la scuola di Musica, Palestre , il Bistrò oltre i Bar , Ristoranti e Pizzerie e ancora Parrucchieri e specialisti per la cura della persona , Artigiani e per finire, ma non ultimo, il Fotografo “Rinaldino” . Il mio intento è di presentare un “racconto fotografico” che ognuno può interpretare e declinare con i suoi ”Amarcord” come ad esempio il rivivere “le bevute alla fontanella”, sita all’incrocio di Vigna Pia-Via Paladini, dopo una partita di calcio tra bambini oppure ricordando i “gavettoni di fine anno scolastico; e ancora vedendo il tronco della palma tagliato ma ancora al suo posto, poter ricordare, con non poca tristezza, la bellezza “antica” di Viale di Vigna Pia.
Roma lungo via Folchi ,dall’inizio di via Portuense, si trovano i Murales che raffigurano gli scienziati che hanno combattuto e vinto le battaglie contro le malattie infettive. Eroi veri ma dimenticati su questo muro di cinta – I Murales ora rischiano il degrado e la “polverizzazione” dell’intonaco. Il muro di cinta costeggia l’Ospedale “Lazzaro Spallanzani” e fa da “sostegno” e “tela” è un muro di cinta di 270 metri, lungo il quale, dal mese di aprile del 2018 sono immortalati 13 volti di scienziati che hanno scritto la storia della ricerca sulle malattie infettive. Un progetto dei Murales è finalizzato a celebrare gli 80 anni della struttura ospedaliera, iniziato a febbraio – e inaugurato il 3 maggio – grazie alla collaborazione fra la Direzione dello Spallanzani e l’Associazione Graffiti Zero, associazione che promuove l’integrazione fra la Street Art e i luoghi che la ospitano. Unica pecca, peccato grave, non vi è immortalata nessuna donna.
Verranno pubblicati le foto dei Murales di tutti i 13 scienziati , uno alla volta, questo al fine di poter evidenziare la biografia e la loro Opera in maniera più completa possibile. Le biografie pubblicate a corredo delle foto sono prese da Enciclopedio Treccani.on line e Wikipedia
Carlo Urbani nasce a Castelplanio, in provincia di Ancona, il 19 Ottobre 1956.
-Medico italiano, fu il primo a identificare e classificare la SARS.
Laureato in medicina all’Università di Ancona, si specializza in malattie infettive e tropicali a Messina. Attivo fin dalla gioventù in operazioni di tipo umanitario, alla fine degli anni ’80, quando era medico di base a Castelplanio, inizia a organizzare insieme ai colleghi viaggi in Africa, in luoghi in cui le popolazioni locali morivano per malattie curabilissime, come diarrea o crisi respiratorie. “Un numero impressionante di bambini muore per disidratazione da diarrea e per salvarli basterebbe qualche bustina di reintegratori da pochi centesimi di euro” – scrive diverse volte, tormentato da un paradosso di cui non si capacita.
Nel 1993 diventa consulente dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per il controllo delle malattie parassitarie, e con tale incarico si reca numerose volte nel continente africano. Negli anni seguenti, con l’ingresso in Medici Senza Frontiere, opera in Cambogia al termine del regime dei Khmer Rossi per controllare le malattie endemiche tra la popolazione locale. In Cambogia Urbani resta per un anno, e trova sulla sua via – a partire dalle rive del Mekong – un Paese da ricostruire. Pesano le ferite del genocidio, le mine antiuomo che continuano a mutilare giovani e adulti, le ferite degli animi, il dramma dell’Aids. Con il genocidio, due milioni di persone su meno di 7 milioni di popolazione sono state trucidate dai seguaci di Pol Pot. “Sembra un immenso sacrario – annota Urbani – per me e la mia famiglia è stato come conoscere i sopravvissuti di Auschwitz”.
Nel 1999 Carlo diventa presidente di Msf Italia, con cui conduce una vera e propria battaglia per la diffusione dei medicinali essenziali a tutta la popolazione mondiale. Come riporta lo stesso Urbani in un’intervista ad Avvenire nel 2000, “Il 90% del denaro investito in ricerca sui farmaci è per malattie che riguardano il 10% della popolazione del pianeta. Solo lo 0,3% della ricerca è indirizzata verso le cinque principali cause di morte nel mondo”. Basti pensare alla Tbc: “ai giorni nostri la Tbc miete una vittima ogni 10 secondi. È la seconda causa di morte per malattie infettive negli adulti: uccide ogni anno 3 milioni di persone, l’80% delle quali ha un’età compresa tra i 15 e i 49 anni”. Il 95% di loro vive in Paesi a basso reddito, ma “solo 400mila sono potenziali clienti paganti: troppo pochi, dicono le industrie”. Ecco per Urbani la missione del medico-umanitario, impegnato non solo nella cura dei malati ma anche in contesti di povertà, genocidi e guerre civili: curare ma nel frattempo denunciare, testimoniare, far sapere.
Con questo impegno Urbani si reca a Oslo nel 1999, come parte della delegazione che riceverà il Premio Nobel per la pace a nome di Msf.
Nel luglio del 2000 arriva la svolta professionale della vita di Urbani: l’assunzione all’Oms come coordinatore delle politiche sanitarie contro le malattie parassitarie nel Sud-Est asiatico. Si tratta di una scelta radicale – per cui rinuncia anche il ruolo di primario del reparto di Malattie infettive all’ospedale di Macerata -, che porta Carlo e la sua famiglia a trasferirsi in Vietnam.
Nel febbraio 2003 l’ospedale francese di Hanoi contatta l’Oms per il caso di un paziente – mister Chen – che nessuno sa curare e che sta infettando il personale medico. Come accade quando qualcosa di preoccupante arriva ad Hanoi, lo staff dell’Oms decide di “chiamare Carlo”. Urbani quindi decide di recarsi di persona al capezzale di mister Chen, uomo d’affari americano proveniente da Hong Kong, senza inviare preventivamente i “suoi” medici. È il solo, nelle corsie dell’ospedale di Hanoi, ad accorgersi di essere di fronte a una nuova malattia: lancia così l’allarme al governo e all’Oms, riuscendo a convincerli ad adottare misure di quarantena. Non è facile per Urbani riuscire nel suo intento: la necessità di isolare immediatamente i pazienti e di monitorare tutti i viaggiatori va a scontrarsi contro gli interessi economici e di immagine del Paese. Alla fine, tuttavia, il prestigio e la credibilità che Urbani ha acquisito negli anni riescono a persuadere le autorità, che decidono di affidarsi alle sue prescrizioni e di iniziare le procedure di isolamento.
Pochi giorni dopo, mentre è in volo verso la Thailandia, Carlo avverte i primi disturbi: febbre, tosse, debolezza. Con una tragica autodiagnosi, teme di aver contratto il virus e una volta atterrato chiede di essere immediatamente ricoverato e posto in quarantena. Muore dopo due settimane, il 29 marzo 2003, raccomandando che il suo tessuto polmonare venisse utilizzato per la ricerca. Un mese dopo, il 28 aprile, il Vietnam annuncia di aver sconfitto la Sars, con un bilancio di 63 contagi e 5 morti – a differenza di altri Paesi, in cui il virus si è diffuso in modo più capillare.
Gli ufficiali medici dell’Oms riconoscono che, se non fosse stato per il tempestivo intervento di Urbani, la Sars avrebbe infettato più lontano e più velocemente. Non sapremo mai quante vite ha salvato con la sua.
Il metodo anti-pandemie da lui realizzato rappresenta, ancora oggi, un modello internazionale.
Dopo la sua morte, l’allora Segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan lo ha voluto ricordare con queste parole: Il dottor Carlo Urbani ha dedicato la sua vita a proteggere e salvare la vita degli altri. È stato determinante nel garantire un’imminente reazione da parte della comunità internazionale alla Sindrome Respiratoria Acuta Severa, e questo era caratteristico della sua natura di professionista competente e sempre vigile. Se non avesse intuito che l’insorgere di quel virus era qualcosa di fuori dall’ordinario, molte più persone sarebbero cadute vittima della Sars. È la più crudele delle ironie che egli abbia perso la sua stessa vita ucciso dalla Sars, mentre cercava di preservare il prossimo dalla malattia. Il dottor Urbani lascia un esempio illuminante nella famiglia delle Nazioni Unite e nella comunità sanitaria di tutto il mondo. Per il suo contributo in prima linea nella lotta contro il virus lo ricorderemo come un eroe, nel senso più elevato e più vero del termine.
Biografia
Carlo Urbani nasce a Castelplanio, in provincia di Ancona, il 19 Ottobre 1956.
Già da giovane si dedica ai più bisognosi ed è una presenza costante nell’ambito parrocchiale: collabora a raccogliere le medicine per Mani Tese, promuove un Gruppo di solidarietà che organizza vacanze per i disabili, entra a fare parte del Consiglio Pastorale Parrocchiale; suona inoltre l’organo e anima i canti. Il suo grande amore non è solo per il prossimo, ma anche per la bellezza, per la musica e per l’arte.
Il desiderio di prendersi cura delle persone sofferenti lo porta a scegliere gli studi di Medicina e la specializzazione in malattie infettive. Dopo la laurea, lavora in un primo tempo come medico di base, poi diviene aiuto nel reparto di malattie infettive dell’Ospedale di Macerata, dove rimane dieci anni. Nel frattempo sposa Giuliana Chiorrini. Insieme avranno tre figli: Tommaso, Luca e Maddalena. Sono gli anni in cui Carlo comincia a sentire più forte il richiamo ad assistere i malati dimenticati, trascurati dai paesi opulenti, dai giochi di potere, dagli interessi delle case farmaceutiche. Con altri medici organizza, dal 1988-89, dei viaggi in Africa centrale, per portare aiuto ai villaggi meno raggiungibili. Ancora una volta la sua comunità parrocchiale lo accompagna e lo sostiene con un ponte di aiuti alla Mauritania.
La conoscenza diretta della realtà africana gli rivela con chiarezza che le cause di morte delle popolazioni del Terzo Mondo sono troppo spesso malattie curabili – diarrea, crisi respiratorie – per le quali mancano i farmaci che nessuno ha interesse a fare giungere a un mercato così povero. Questa realtà lo coinvolge al punto che decide di lasciare l’ospedale, quando ormai ha la possibilità di diventare primario.
Nel 1996 entra a fare parte dell’organizzazione Médecins Sans Frontières e parte insieme alla sua famiglia per la Cambogia, dove si impegna in un progetto per il controllo della schistosomiasi, una malattia parassitaria intestinale. Anche qui rileva le forti ragioni sociali ed economiche del diffondersi delle malattie e della mancanza di cure: si muore di diarrea e di Aids, ma i farmaci per curare la infezione e le complicanze sono introvabili.
Nella sua veste di consulente dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per le malattie parassitarie ha l’opportunità di ribadire ulteriormente che la causa primaria del diffondersi delle malattie è la povertà. Come Medico Senza Frontiere, l’interesse primario di Carlo è nella cura dei malati, tuttavia non può tacere sulle cause che provocano quelle sofferenze.
Nel gennaio del 2000 Carlo Urbani dichiarò al quotidiano Avvenire: “Io mi occupo come consulente dell’OMS delle malattie parassitarie. In tutti i consessi internazionali si ripete che la causa è solo una: la povertà. In Africa ci sono arrivato fresco di studi. E sono stato ‘deluso’ dallo scoprire che la gente non moriva di malattie stranissime: moriva di diarrea, di crisi respiratorie. La diarrea è ancora una delle cinque principali cause di morte al mondo. E non si cura con farmaci introvabili. Una delle ultime sfide che Msf ha accolto è la partecipazione alla campagna globale per l’accesso ai farmaci essenziali. Ed è lì che abbiamo destinato i fondi del Nobel.”.
Nell’aprile del 1999 viene eletto presidente di Msf Italia. In questa veste partecipa alla delegazione che ritira il premio Nobel per la pace assegnato all’ organizzazione.
Dopo la Cambogia, il suo impegno lo porta nel Laos, e quindi in Vietnam. Nelle ultime settimane di vita si dedica con coraggio alla cura e alle ricerche sulla Sars, la terribile malattia respiratoria che minaccia il mondo intero. E’ perfettamente conscio dei rischi che corre, tuttavia, parlandone con la moglie, osserva: “Non dobbiamo essere egoisti, io devo pensare agli altri”. All’inizio di marzo si reca a Bangkok per un convegno, nulla lascia intuire che abbia contratto il contagio. Dopo l’arrivo i sintomi si manifestano con forza e Carlo, tra i primi a occuparsi della malattia, capisce benissimo la propria situazione. Ricoverato in ospedale a Bangkok avverte la moglie di far tornare in Italia i figli, che vengono subito fatti partire. L’amore per il prossimo che lo ha accompagnato tutta la vita, lo fa rinunciare anche all’ultimo abbraccio per evitare ogni possibilità di contagio. La moglie gli resta vicina, ma nessun incontro diretto è più possibile. Dopo avere ricevuto i sacramenti, Carlo Urbani muore il 29 marzo 2003.
* a cura di Pierluigi Fiorini.
da: http://www.aicu.it/it/carlo-urbani-2.html
Testimonianza su Carlo Urbani
Le testimonianze che seguono sono inedite e ringraziamo quanti ce le hanno donato, perché contribuiscono ad una conoscenza più completa della figura di Carlo Urbani, della sua personalità così ricca, poliedrica eppur nel fondo tanto semplice e lineare, fondata sulla “passione” per la solidarietà concreta verso quanti soffrono, il più delle volte perché vittime di situazioni di violenza ed emarginazione.
La fede ha trasmesso in profondità nel suo animo un grande rispetto per ogni persona umana, a difesa della quale Urbani ha consacrato la sua intera esistenza, sia che si trattasse di un malato incontrato nelle corsie di un ospedale delle sue Marche, sia di un bambino o un anziano sofferente in Mauritania o Cambogia o Vietnam…
Una autentica, evangelica “passione“, per essere “accanto ai fratelli”, che Carlo voleva trasmettere a quanti, colleghi medici e operatori sociali, amici, studenti, mostravano di essere sensibili alle sue parole e al suo esempio.
Tutta la sua vita appare allora un “appello”… e tanti segni mostrano come molti – e in misura crescente – stanno rispondendo generosamente, perché più si diffonde la conoscenza della vita di Carlo Urbani, più sorge spontaneo l’apprezzamento e la volontà di impegnarsi a continuare la sua opera.
Testimonianza di Carlo Urbani
La disponibilità verso gli altri, il non tirarsi indietro di fronte alle difficoltà (anche a costo della propria vita), il rispetto delle diversità, sono gli aspetti che per me rendono più “vivo” il ricordo di mio marito.
La sua convinzione era che fare qualcosa per gli altri non è poi così difficile, basta credere che tutti gli uomini sono uguali ed hanno lo stesso diritto di aspirare alla propria felicità, e su questo ha basato le sue scelte di vita.
Scelte portate avanti fin da giovane, quando partecipava con entusiasmo ai campi di lavoro organizzati da Mani Tese, quando era l’animatore degli adolescenti del paese, per i quali organizzava incontri e campeggi, quando insieme ad altri coetanei progettava ed animava vacanze per portatori di handicap, basate sull’allegria e la voglia di stare insieme.
Scelte proseguite poi anche nell’ambito della sua professione, che in seguito ci hanno portato ai radicali cambiamenti di luoghi (Italia, Cambogia, Vietnam) ed abitudini di vita.
Il suo entusiasmo è stato per un certo senso “travolgente”: nei suoi primi viaggi all’estero è riuscito a coinvolgere le persone più “diverse” (con l’obiettivo del gusto per le scoperte ed il rendersi utile agli altri), fino poi ad arrivare a vivere con noi all’estero, scelta che per lui era “testimonianza di barriere abbattute”.
“Nella vita sono sempre più sorgente”, scriveva ad una sua amica suora (1) un anno fa, “la superficialità mi è divenuta intollerabile, l’indifferenza, mi fa quasi diventare violento. Si dice in genere che non esiste mai una situazione con il bianco e il nero ben distintiti, ma che si può trovare della ragione e del torto ovunque. Io invece, per una dolorosa passione e romanticismo, continuo a credere che si possa dire “questo è sbagliato o questo fa schifo” senza titubare. Occorre saper distinguere dove il BENE sta, e dove il MALE si annida. Essere disponibile è un sogno non poi tanto difficile da realizzare (basta volerlo), “tendere una mano” è un modo per avvicinarsi alle diversità e trarne ricchezza”.
Scriveva dalla Cambogia quando era membro di “Medici senza frontiere”: “Noi volontari siamo osservatori privilegiati che possono vedere l’orrore di fatti ed eventi che fanno della dignità umana un sanguinante e misero fardello. E poi raccontare, urlare, le privazioni dei diseredati, la lontananza degli esclusi, indicare in abusi e violenze i veri fenomeni contro cui è davvero difficile costruire argini e rifugi…“
Testimonianza di Elvia Carloni, già caposala del reparto malattie infettive presso l’Ospedale civile Umberto I di Ancona (2) .
Carlo Urbani era un uomo che non agiva d’impulso, in tutte le scelte era cosciente. In ospedale ad Ancona, quando era lo specializzando (3), faceva tante guardie mediche. I turni di servizio per gli specializzandi erano di tre o quattro ore a settimana, invece lui si fermava tutti i giorni, gratuitamente, per essere vicino agli ammalati. Quando lo si chiamava per qualche caso particolare, lui arrivava con il sorriso sulle labbra e diceva: “E allora?” Parlava con l’ammalato, lo tranquillizzava, lo incoraggiava, poi faceva la visita e dava la terapia.
Anche quando veniva chiamato di notte arrivava sempre con il sorriso sulle labbra e con il suo modo di fare gentile. Era di una disponibilità senza pari, cortese. Non era un tipo espansivo, ma dolce e comprensivo. Sempre disponibile nell’aiuto a tutti: ammalati, colleghi e personale sanitario.
Aveva due occhini grandi, bellissimi ed un sorriso che incoraggiava. Verso i colleghi era molto corretto e cortese, taceva se vedeva qualcosa di storto, ma poi prendeva provvedimenti, in modo discreto. Amava gli ammalati ed era profondamente toccato dagli ammalati terminali, gli facevano pena e per loro si adoperava in ogni modo.
Carlo ha fatto il liceo a Jesi, un giorno sapendo che io venivo da Filottrano , mi domandò se conoscessi una sua compagna di scuola del liceo. Gli dissi che era una mia nipote e che in quel periodo era molto sofferente a causa di una grave patologia della tiroide. Gli chiesi consiglio e lui mi disse che era cosa preoccupante, in quanto la malattia se non curata, poteva degenerare in tumore alla tiroide. E mi consigliò di convincerla a curarsi, di starle vicina. Si propose anche di farla venire in Ancona, ma lui non voleva assolutamente comparire per non far sentire a disagio la paziente. Allora si offerse di dare alla famiglia il nome di un bravo specialista di Roma e, volendo, di contattarlo lui direttamente. Finalmente la ragazza ha accettato di fare i controlli a Roma, si è curata, è guarita, si è sposata ed ha due bellissimi figli.
Essendo presidente regionale degli Infermieri Cattolici, il giorno dell’Immacolata, in occasione del tesseramento, invitai anche il dott. Urbani, che venne alla messa con due amici uno dei quali convinto comunista.
Il dott. Urbani conosceva la vita di San Giuseppe Moscati, il medico santo di Napoli, perché un giorno io stessa portai in reparto il libro di Papasogli, “Giuseppe Moscati, vita di un medico santo”. Il libro fu letto da entrambi e alla fine il dott. Urbani commentò: “E’ stato un bravo medico!” Molto probabilmente questa lettura suscitò in lui l’intenzione di seguirne la scia.
Il dott. Urbani non era un uomo di grandi energie fisiche, non era molto resistente, era magrolino, delicato, ma è riuscito a compiere grandi opere, per mezzo della grazia di stato, ossia di quei doni che il Signore ci dà a seconda della professione e in generale dello stato in cui ci troviamo, così come per esempio dà alle mamme che hanno figli piccoli la capacità di dormire poche ore a notte.
Questa testimonianza che rilascio non è tanto ad onore del dott. Urbani, che essendo molto umile non avrebbe apprezzato che si fosse parlato di lui, ma a ricordo dei figli, in particolare dei più piccoli. Il grande ha vissuto le esperienze che ha fatto insieme al padre e le ha vissute coscientemente da ragazzino maturo, i piccoli le hanno vissute come immagini sfuggenti senza poterne avere coscienza.
Testimonianza di Therese Nijem, di Nazareth (4) .
Mi chiamo Therese Nijem e sono nata a Nazareth, sono una consacrata appartenente all’Istituto Mater Misericordiae di Macerata (suore laiche). Sono affetta dalla sindrome di immunodeficienza congenita, un male terribile che mi ha costretto a lunghi ricoveri ospedalieri.
L’ultima volta accadde nel 1999, trascorsi ben nove mesi presso l’ospedale di Macerata, di cui tre o quattro presso il reparto di malattie infettive. Qui ebbi modo di conoscere il dottor Carlo Urbani. Un uomo che faceva seriamente il suo dovere, ma di poche parole. Con me, invece, che ero di natura timida, il dottore amava trattenersi a parlare e a volte confidarmi qualche piccolo segreto, con molta sorpresa degli altri ammalati.
Di quel periodo non riesco ad avere ricordi nitidi e dettagliati, ma ho molti flash. La malattia era gravemente degenerata tanto da portarmi al coma, dal quale non so come sono uscita. Soffrii molto in quei mesi, ma ebbi la fortuna di avere accanto a me la presenza dolce e consolante del Dott. Urbani. Un giorno, mentre ero preda a terribili sofferenze, arrivò il Dott. Urbani, al quale confidai che dovevo affrontare bene la sofferenza per offrirla al Signore. Il dottor Urbani mi disse: “Non solo voi ammalati, ma anche noi medici dobbiamo offrire con voi la sofferenza!“
Colpita da febbre con brividi, non riuscivo proprio a riscaldarmi, arrivò il Dott. Urbani che dolcemente mi sussurrò: “Non ti preoccupare se le coperte non ti scaldano, c’è Gesù dentro di te a scaldarti. Continuamente il mio fisico era sottoposto ad analisi per monitorare i valori del sangue, un giorno avevo tanta sete, mi lamentai con il Dott. Urbani per non poter soddisfare il mio bisogno di bere e lui mi disse: “Ma come? Tu che sei una consacrata non ti ricordi che pure Gesù in croce ha sofferto la sete e per dissetarlo i centurioni gli diedero l’aceto? Dunque, sopporta!” Qualche volta prima delle analisi mi chiedeva: “Therese, allora oggi non fai il tuo segno della croce? Non dici l’Ave Maria nel tuo cuore?”
Ci fu una volta in quei tragici mesi che scoraggiata gridai al dottore: “Dottore, voglio andare a casa!” E lui, con calma e con dolcezza mi disse: “Ricordati che il Signore vuole da te tante cose e che con la tua sofferenza dà l’occasione a noi medici di capire e trovare la cura per la malattia che ti ha colpito.”
Io non lavoro, non ho reddito, dunque non ho soldi a disposizione, un giorno vennero degli amici e mi regalarono 5.000 lire (l’euro ancora non era stato introdotto). Io fui felicissima perché avevo una gran sete e desideravo moltissimo un bicchiere di Coca Cola, chiesi al Dott. Urbani se la potevo bere, lui acconsentì. Diedi i soldi ad un familiare di un ammalato chiedendogli di andarmi a prendere al bar una bottiglia. Non rividi più né i soldi, né la Coca Cola! Più tardi, il Dott. Urbani mi chiese se avessi gustato la Coca Cola, raccontai con molto rammarico l’accaduto. Il giorno dopo, il Dott. Urbani arrivò accanto al mio letto, prelevò 10.000 lire dal suo portafoglio e me le diede, pregandomi di non raccontare nulla né ai medici, né agli infermieri. Io sorpresa, ma contenta, chiesi come avrei potuto sdebitarmi e lui mi disse: “Con preghiere per i miei figli!”
Conversando con lui gli raccontai della mia passione per le carte telefoniche e lui mi disse: “Quando andrò all’estero con MSF (Medici Senza Frontiere) ne porterò molte sia a te che a Rita.”
Un giorno mi sorprese a pregare e mi disse: “Noi medici lavoriamo e voi pregate, così sappiamo se facciamo bene il nostro lavoro!”
Spessissimo ero sottoposta a dolorosi prelievi per vedere la quantità di ossigeno presente nel sangue, un giorno mi opposi al prelievo, affermando: “Basta! Fa tanto male!” E lui in modo risoluto: “Therese, tu sai che c’è Gesù con te, ma l’ossigeno si vede solo con gli esami del sangue! Facciamo un patto: tu devi promettermi che obbedirai al primario come ubbidisci alla tua Superiora e da oggi in poi non rifiuterai più di fare le analisi.”
Prima di entrare in coma a causa di un ascesso al polmone, mentre stavo vomitando sangue lui mi accompagnò fino alla sala di rianimazione dicendomi: “Non ti lasceremo, rimarremo con te fino alla fine!“ Quando poi dopo molto tempo mi ripresi, ogni volta che mi vedeva mi diceva: “Mi hai fatto tribolare!” e poi spesso mi incoraggiava: “Se tu non avessi avuto la volontà di guarire dalla malattia, ora non saresti in vita, saresti già morta da tempo!”
Qualche volta quando mi veniva a visitare si fermava a fare quattro chiacchiere ed era il momento della confidenza, un giorno mi disse: “Mi piacerebbe vedere mio figlio divenire dottore come lo sono io: per amare gli ammalati, non per lavorare per i soldi!“
Quando, dopo essermi rimessa, gli comunicai che sarei ritornata in Israele per una visita, lui mi disse: “Prima di partire ti darò alcune cose nuove da portare in Israele per i bisognosi, ma ricordati Therese ciò che dice il Vangelo: ciò che fa la mano destra, la sinistra non lo deve sapere! Voi poveri e voi stranieri siete i primi nel mio cuore!
Ritornata all’ospedale per un controllo, annunciai al dottore che sarei partita per un soggiorno a Lourdes di due o tre settimane e lui, ricordando ciò che ero solita dire durante la mia dolorosa malattia, mi disse: “Io sono sicuro che tu non vai solo a pregare, ma anche per offrire la tua sofferenza!” e mi diede un’offerta per accendere un cerone aggiungendo: “Prega anche per la mia famiglia: per mia moglie ed i miei figli!”
Testimonianza di Don Mariano Piccotti, Parroco di S.Sebastiano a Castelplanio, Ancona (5) .
Conservo gelosamente una lettera che Carlo mi ha inviato dopo il primo tempo del suo trasferimento con la famiglia in Cambogia. Porta la data dell’11 febbraio 1997.
Scrive a me e a Suor Anna Maria Vissani (6) insieme, riconoscendoci suoi amici. “[…] Ho pensato di parlarvi insieme, per non far passare altro tempo, e perché tutto sommato siamo abituati a parlare insieme, ed in entrambi ho sempre trovato allo stesso tempo la calda attenzione dell’amico e la dolce acutezza dell’assistente spirituale.”
Per un parroco è questo un bel riconoscimento. Ma ancora più bello è il fatto riconosciuto in quest’altro passaggio: “Cosa sto facendo qui della mia Fede? Beh, qualche volta, magari incollati ad un ventilatore per il caldo torrido che c’è anche di notte, diciamo insieme qualche preghiera, ed ogni 15 giorni partecipiamo alla messa per la comunità francofona nella missione francese. La messa è molto piacevole, semplice, sentita, ed è bello scoprire come quella famiglia di figli di Dio alla quale diciamo di appartenere, ma che in realtà immaginiamo sempre come un concetto astratto, in realtà esiste in carne ed ossa, ed è pronta ad accoglierti tra le sue braccia anche in posti lontani come questo.” La chiesa è cattolica! Questo significa che in ogni parte del mondo ti puoi trovare a casa. E questo per Carlo era una esperienza centrale.
Ancora più interessante è l’altro passaggio sulla fede. Dice: “Ma poi soprattutto nella Fede cerco in questo tempo la luce per rispondere ad angoscianti interrogativi che mi tengono sveglio. Il primo è la fatidica questione sulla vera natura dell’uomo. Quanto vedo qui, quanto sento nei racconti dei miei colleghi provenienti dalle mille ferite di questa terra, campi di battaglia, campi profughi, la profonda povertà delle bidonvilles, le assurde lotte fratricide, e le carceri grondanti sangue di tutti i regimi dittatoriali del mondo… tutto questo scoraggia un po’, e a volte vedere qualcosa di buono nell’altro, in chi ti è “prossimo”, diventa veramente difficile ed invita a chiudersi in se stessi. Ma i piccoli lumi che brillano nei cuori di quanti si prodigano in questo magma dolorante lasciano sperare, ed il ricordo di chi ha deciso di scendere in questo scenario di continui soprusi e guerre, per morire poi su una croce, mi fa credere che una luce di pace sarà pure nascosta dietro qualche orizzonte”.
Qui c’è tutto Carlo: nella fatica di cercare e nella speranza di trovare; nella tragica situazione che scoraggia e nella speranza dei piccoli lumi di quanti si prodigano. Ed è bellissima quella chiara allusione al Cristo Crocifisso. E’ la discrezione del credente, che preferisce esprimere con la vita quanto un predicatore direbbe con parole.
La lettera si conclude con il Natale, quello vero fatto di persone che vivono la situazione della Santa Famiglia. “Vi so vicini, ed a volte vorrei che vedeste con i miei occhi, per fissarvi su quegli sguardi di chi ha perso tutto, la famiglia nella guerra, il raccolto nell’alluvione, il figlio per la diarrea, i risparmi per un ladro, o per scaldarvi il cuore alla vista di una donna che partorisce sola, in una palafitta in un remoto villaggio, lontano, da tutto e da tutti, il marito inginocchiato al fianco, un legno che arde in un braciere per scaldarla… non credo che in altre scene avreste potuto vedere meglio rappresentato il mistero della natività di questa che ho visto a Sdau, piccolo villaggio su nel nord, due settimane fa.”
Ecco il Carlo che io porto in mente e sento vivo nel cuore. Di altri aspetti, della sua collaborazione con la Parrocchia e la diocesi, nel campo della promozione sociale e liturgica ed educativa, parlano benissimo i libri. La memoria di lui ci sproni a convertirci, a cambiare stile di vita, perché ormai la nostra famiglia è il mondo.
Note
1. Suor Anna Maria Vissani. Lettera del 2003.
2. Testimonianza rilasciata ad Elisabetta Nardi e a Luciana Vissani, il 29 giugno 2004.
3. Carlo Urbani stava allora specializzandosi in malattie infettive e tropicali.
4. Therese Nijem, suora laica appartenente all’istituto Mater Misericordiae. Testimonianza raccolta il 4 luglio 2004.
5. Intervista del 1° luglio 2004.
6. Vedi nota n.1.