Franco Leggeri Fotoreportage-Campagna Romana in forma di Poesia-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Franco Leggeri Fotoreportage
Campagna Romana in forma di Poesia
Fotoreportage Campagna Romana in forma di Poesia-La Storia Secondo Carocci e Vendittelli la struttura fondiaria e produttiva della Campagna Romana risale al tardo medioevo e si è conservata senza soluzione di continuo fino alla riforma agraria a metà del XX secolo.Le invasioni barbariche, la guerra greco-gotica e la definitiva caduta dell’Impero romano d’Occidente favorirono il generale spopolamento delle campagne, compresa quella romana, e i grandi latifondi imperiali passarono nelle mani della Chiesa, che aveva ereditato le funzioni assistenziali e di governo già assolte dai funzionari imperiali, e le esercitava nei limiti del possibile.A partire dall’VIII secolo le aziende agricole (villae rusticae) di epoca imperiale si trasformarono – dove sopravvissero – in domuscultae, entità residenziali e produttive autosufficienti e fortificate, dipendenti da una diocesi – o una chiesa, o un’abbazia – che deteneva la proprietà delle terre e le assegnava in enfiteusi ai contadini residenti. Questi spesso ne erano gli originali proprietari, ed avevano conferito la proprietà dei fondi alla Chiesa in cambio di un piccolo canone di affitto e dell’esenzione dalle tasse. Queste comunità godevano di completa autonomia, che implicava anche il diritto ad armarsi per autodifesa (da dove la costruzione di torri e torrette), e in alcuni casi giunsero anche a battere moneta.Già dal X secolo, tuttavia, la feudalizzazione costrinse i contadini ad aggregarsi attorno ai castelli dei baroni ai quali veniva man mano attribuito il possesso – a vario titolo – di molte proprietà ecclesiastiche, e la coltivazione della pianura impaludata e malarica fu abbandonata, col tempo, quasi completamente. Là dove si continuava a coltivare, questi nuovi latifondi ormai deserti, nei quali sorgevano sparsi casali fortificati, furono destinati a colture estensive di cereali e a pascolo per l’allevamento di bestiame grande e piccolo. Il loro scarso panorama umano era costituito da pastori, bovari e cavallari, braccianti al tempo delle mietiture, briganti.L’abbandono delle terre giunse a tal punto che con la conseguente scomparsa degli insediamenti urbani nel territorio circostante Roma attorno alle vie Appia e Latina, l’ex Latium Vetus, venne ripartito in “casali”, tenute agricole di centinaia di ettari dedicato all’allevamento di bestiame, soprattutto ovini, e alla coltivazione di cereali, a cui erano addetti lavoratori salariati spesso stagionali. Questi latifondi in età rinascimentale e moderna divennero proprietà delle famiglie legate al papato. A seguito dello spopolamento delle terre pianeggianti ritornate a pascolo, si aggravò il grave problema dell’impaludamento e della malaria.Nel XVII secolo, dopo la redazione del Catasto Alessandrino[1], furono concessi ai contadini, ai piccoli proprietari e agli abitanti dei borghi l’uso civico dei terreni spopolati e abbandonati ed esenzioni fiscali (mentre venivano aggravate le imposizioni sui proprietari noncuranti), allo scopo di stimolare il ripopolamento di quelle campagne.
Il paesaggio-Nel XVIII e nel XIX secolo il paesaggio della Campagna romana, rappresentato da vaste aree pressoché disabitate dove spesso era possibile imbattersi nelle vestigia di imponenti costruzioni romane in rovina, divenne un luogo comune, un simbolo della tramontata grandezza di Roma, insieme con l’immagine del quotidiano pittoresco rappresentato dai briganti, dai pastori e dai popolani di Bartolomeo Pinelli e dei pittori europei del Grand Tour.
le Poesie sono di:Ada Negri,Antonia Pozzi, Rocco Scodellaro,Lalla Romano,Ernest Hemingway,Sara Teasdale,Eugenio Montale,Umberto Saba.
Ada Negri – Estate
«Nei mesi estivi il solleone
rende i muri così abbaglianti
che a fissarli vien sonno:
tende gialle e rosse
si abbassano sui negozi;
il nastro di cielo
che s’allunga fra due strisce
parallele di tetti
è una lamina di metallo rovente.
Dolce è non far niente,
accucciati sulle pietre roventi,
respirando il caldo.»
ANTONIA POZZI- ODORE DI FIENO
Chissà da dove esala
quest’odore di fieno:
ha la pesantezza di un’ala
che giunga da troppo lontano.
Si affloscia, si lascia piombare
su me, con abbandono insano,
come l’alito di una creatura
che non sappia più continuare.
Tutte le lagrime di questo ignoto interrotto cammino
tremolano nella mia anima impura,
come il tintinnio roco di quel grillo,
in giardino,
che rode la solitudine oscura.
Milano, I giugno 1929
ANTONIA POZZI
Rocco Scodellaro-RESEDA, ODORE RITROVATO E PERSO
*
Avevi tutti gli odori dei giardini
seppelliti nei fossi attorno le case;
tu sei, reseda selvaggia, che mi nutri
l’amore che cerco, che mi fa sperare.
E come l’onda non la puoi fermare,
non puoi chiudere la bocca ai germogli,
non serrare le persiane a questo sole,
io ti guardo e mi bevo il tuo sorriso,
amica del caso, scoperta del cuore
che deve colmare la sua sera.
(Rimini, maggio 1948)
Lalla Romano-L’Estate
Già impallidivano i grani.
Ferma era la mente
rappresa sotto l’inverno.
Dei papaveri fatui
già era acceso il delirio.
Ernest Hemingway-L’INESPRIMIBILE
*
Quando in giugno svolazzavano moscerini
intorno al lampione
all’angolo
gettando ombre guizzanti sulla strada;
Quando tu passeggiavi a piedi nudi
in una calda e buia sera di giugno
con l’erba che ti bagnava i piedi di rugiada;
Quando sentivi strimpellare un banjo
sulla veranda della casa di fronte,
e dal parco ti giungeva il profumo dei lillà
c’era qualcosa che lottava, in te,
che non riuscivi a mettere in parole…
Eri viva poesia, nel buio, là!
Oak Park, 1917
Sara Teasdale-NOTTE DI GIUGNO
*
Oh Terra, quanto sei cara stanotte,
Come posso dormire mentre intorno
Aleggia odore di pioggia e lontano
La voce dell’oceano parla alla spiaggia.
Terra, mi hai dato tutto quel che ho,
Ti amo, ti amo, oh che cosa ho
Io che possa darti in cambio — se non
Il mio corpo dopo che sarò morta?
Eugenio Montale-Meriggiare pallido e assorto
Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.
Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
a sommo di minuscole biche.
Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
m entre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.
E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.
Umberto Saba – Meriggio d’estate
Silenzio! Hanno chiuso le verdi
persiane delle case.
Non vogliono essere invase.
Troppe le fiamme
della tua gloria, o sole!
Bisbigliano appena
gli uccelli, poi tacciono, vinti
dal sonno. Sembrano estinti
gli uomini, tanto è ora pace
e silenzio… Quand’ecco da tutti
gli alberi un suono s’accorda,
un sibilo lungo che assorda,
che solo è così: le cicale.