Francesco Pastonchi -” I VERSETTI”-Rivista Pegaso 1931-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
-Francesco PASTONCHI -Raccolta di Poesie ” I VERSETTI”-Editore MONDADORI –
-Articolo di Vladimiro Arangio-Ruiz scritto per la Rivista PEGASO N°3 del 1931-diretta da Ugo Ojetti
Biografia di PASTONCHI Francesco (Giuseppe, Flaminio). – Nacque a Riva Ligure il 31 dicembre 1874 da Davide, di origini toscane, e da Fanny Grossi da Riva, appartenente a una delle più vecchie famiglie di Sanremo.
Rimase presto orfano, prima della madre e successivamente del padre. Dopo aver frequentato il liceo Cassini di Sanremo, nel 1892 si stabilì a Torino per iscriversi alla facoltà di lettere, senza però mai conseguire la laurea. All’università fu allievo di Arturo Graf, professore di letteratura italiana, promotore delle cosiddette sabatine, incontri del sabato pomeriggio dove il ‘maestro’ discuteva con i suoi allievi di letteratura contemporanea. Pastonchi partecipò attivamente alla vita culturale torinese, frequentando la Società di cultura e stringendo amicizia con altri intellettuali quali Cosimo Giorgieri-Contri, Gustavo Balsamo-Crivelli, Enrico Thovez, Giovanni Cena, e il più giovane Guido Gozzano.
Già durante gli anni universitari iniziò a dar mostra delle sue notevoli doti di dicitore di versi propri e altrui, in primo luogo di Dante, ma anche di Petrarca, Graf, Leopardi, Carducci. Negli anni successivi intensificò tale attività facendone quasi una professione che gli portò guadagni e successo a livello nazionale e internazionale, in particolare quando le sue dizioni furono trasmesse alla radio.
Pastonchi cominciò presto a collaborare alle riviste torinesi, e non solo: dal 1893 scrisse per la Gazzetta letteraria, il Venerdì della contessa, la Gazzetta del popolo della domenica, mentre, dal gennaio 1900 al dicembre 1904, collaborò assiduamente alla Riviera ligure di Mario Novaro, pubblicandovi diciassette testi. Oltre che per La Stampa, dal 1902 iniziò a scrivere anche per il Corriere della sera, in particolare per il supplemento mensile La lettura: un sodalizio, quello con il quotidiano milanese, destinato a protrarsi per tutta la vita. Per iniziativa sua, di Domenico Chiattone e Leonardo Bistolfi nel 1903 nacque il settimanale Il Piemonte (pubblicato a Saluzzo a partire dal 27 giugno, cui collaborarono, tra gli altri, Bontempelli e Gozzano), al quale seguì Il Campo, un nuovo settimanale torinese che Pastonchi diresse dal primo numero (20 novembre 1904), fino al febbraio del 1905, quando passò a Balsamo-Crivelli (e ch’ebbe fra i collaboratori Gozzano e Roccatagliata Ceccardi).
Precoce fu anche l’esordio poetico di Pastonchi: alla raccolta Saffiche. 1891-92 (Savona 1892), seguirono Aurei distici (Sanremo 1895) e La Giostra d’amore e le canzoni. 1893-95 (Milano 1898). Nel 1900 dedicò alla madre, precocemente scomparsa, le tre canzoni A mia madre (Bologna). Nel 1903 videro la luce due opere: Italiche (Torino), con cui prese avvio la sua poesia politico-civile, e Belfonte. Sonetti (Torino), di poco anteriori a Sul limite dell’ombra (Torino-Genova 1905).
Pastonchi professò una poetica ormai in via di estinzione, rimanendo fedele agli schemi metrici tradizionali, seguendo il magistero di Carducci, cui rimase sempre legato, e dichiarando così la sua preferenza per i valori formali della poesia, come traspare esplicitamente in Ammonimento: «Che importano tempi e vicende? / Son tutte le forme una sola / Bellezza […]» (Sul limite dell’ombra, p. 167).
Dopo l’entrata in guerra, tra il 1917 e il 1918 prestò servizio al corpo d’armata di stanza a Milano con il ruolo di tenente, dedicandosi anche alla scrittura di poesie per l’infanzia: Rititì (Milano 1920), con illustrazioni di Primo Sinopico e Tre favole belle (Roma 1920), con illustrazioni di Bruno Angoletta. Proprio con la pubblicazione di questo volume, seguita dal poema Il randagio (Roma 1921), Pastonchi iniziò una lunga collaborazione con Arnoldo Mondadori e la sua casa editrice.
Nel quadro di un progetto mai portato a termine, che vedeva la scrittura di tre poemi (con chiaro riferimento alle tre cantiche dantesche: l’ultimo dal titolo Beatrice), Il randagio rappresenta la prima parte, formata da 365 sonetti divisi in 7 libri e 35 canti. Nel frontespizio viene riportato il verso pastonchiano «errai cercando me di verso in verso» e, subito dopo la dedica, il poeta spiega che si tratta della «storia di una liberazione, è il cantico del solo: il quale erra cercando se stesso, e […] starebbe quasi per naufragare oblioso in superficiali aspetti di leggerezza, quando non si sentisse attratto, per vaghe lontananze prima e poi risolutamente, a fronte dell’anima profonda: sino a riconoscere, irradiato dall’infanzia, il fondamento e il vertice della propria vita e dell’arte sua» (p. 9). Il randagio, che conferma la fedeltà di Pastonchi alla tradizione e la distanza dai contemporanei sviluppi della lirica novecentesca, ebbe grande successo di vendite grazie anche alle numerose dizioni pubbliche che il poeta ne fece.
Nel 1923 riannodò le fila civili delle Italiche in una nuova raccolta dallo stesso titolo: Italiche. Nuove poesie (Roma-Milano). Debitore della poesia carducciana e dannunziana, Pastonchi si fece interprete del nazionalismo, ambendo ad assumere un ruolo di poeta-vate nell’Italia fascista.
Sempre nel 1923 Mondadori istituì un premio ‘per la giovane letteratura’, e Pastonchi fu chiamato a far parte del collegio giudicante. Nel 1924 il collegio si trasformò in accademia: venne infatti istituito un Consiglio nazionale per i premi nazionali Mondadori (detto anche Accademia Mondadori), di cui Pastonchi divenne vicepresidente dal dicembre 1926. Inoltre gli venne affidata la direzione di una nuova collana che avrebbe dovuto avere il titolo di «Raccolta nuova dei classici italiani», per la quale egli cercò persino un nuovo carattere tipografico. Nel 1927 fu pubblicato un volume di presentazione della collana, ma il progetto fu accantonato da Mondadori per procedere alla pubblicazione dell’opera omnia di d’Annunzio. Solo il nuovo carattere tipografico, che prese il nome di Pastonchi, fu approntato e successivamente utilizzato per i volumi dei «Classici italiani», la cui direzione venne però affidata a Francesco Flora: del progetto di Pastonchi rimase il motto dantesco «In su la cima» che accompagna il marchio editoriale mondadoriano.
Con gli anni Trenta si registra, invece, un evidente cambiamento nella scrittura poetica pastonchiana, testimoniata dall’uscita de I versetti (Milano 1931), stampati con il ‘suo’ carattere tipografico e dedicati all’amico Balsamo-Crivelli, da poco scomparso.
Se in questa raccolta Pastonchi si scontra consapevolmente con la modernità, prendendo atto della desolazione e del vuoto che lo circonda («Notte di stelle, infinita, sul mare… / O mia inquïeta vita, posare!»: Sospiro, p. 136), anche sperimentando unità strofiche più brevi e persino il verso libero, nelle raccolte successive – le Rime dell’amicizia (Milano 1943) e gli Endecasillabi (Milano 1949) – l’autore non insiste su questa deriva di cauta sperimentazione: così, da una parte, abbandona il verso libero e recupera l’endecasillabo, sebbene più prosaico, mentre dall’altra riprende il tema della solitudine, non più però come quella sorta di beatitudine cui allude nelle sue prime raccolte, bensì come sentimento pieno d’angoscia in cui rispecchiarsi («Magra strada tra scarni ulivi: bimbo / mi sorprendo a rifarti con le donne / che salgon sotto il peso delle corbe. / Felicità de’ miei passetti a sghembo / dietro una farfalluccia. Ma tornare / negato è all’uomo ancora udendo il mare / frangere a l’orizzonte tra le canne / e risorbirsi un rotolio di ghiaie. / Ahi stolta gente che la città rode»: Mare, in Endecasillabi, cit., p. 67).
Nel marzo 1933, in qualità di direttore, Pastonchi invitò Paul Valéry a partecipare ai ‘Lunedì letterari’ del Casinò di Sanremo. Divenuto scrittore ‘di regime’, mosse alla ricerca di riconoscimenti ufficiali che culminarono nel 1935 con la nomina per ‘chiara fama’ (imposta da Roma) a professore di letteratura italiana presso l’Università di Torino, dove si attendeva la nomina di Carlo Calcaterra, succedendo così a Vittorio Cian.
Nei suoi insegnamenti universitari si dedicò soprattutto al commento della Commedia. Gli anni Trenta lo videro impegnato anche nel teatro, verso il quale aveva manifestato interesse fin dalla giovinezza. È del 1936 la tragedia Simma (Milano), una vera e propria celebrazione di Benito Mussolini, che ne seguì l’allestimento al Lirico di Milano, dove andò in scena il 27 gennaio 1936, senza successo. Di nuovo alla ricerca di riconoscimenti ufficiali, nel 1939 Pastonchi fu nominato accademico d’Italia per la classe di lettere e in tale veste, nel 1941, venne chiamato a celebrare in Campidoglio il sesto centenario dell’incoronazione capitolina di Petrarca.
Nel 1939, a testimonianza del suo amore per i classici, tradusse il primo libro delle Odi di Orazio (Milano).
Nel 1947 Pastonchi abbandonò l’insegnamento universitario per limiti d’età, ottenendo nel 1950 il titolo di professore onorario; nello stesso anno pubblicò un volume di ricordi, Ponti sul tempo (Milano), i cui tre nuclei principali riguardano altrettante figure fondamentali della sua vita: Carducci, Gozzano e Valéry.
Morì il 29 dicembre 1953 nell’appartamento torinese di via Sineo ed è sepolto a Riva Ligure.
Attivo per tutto il primo cinquantennio del Novecento, Pastonchi scelse di rimanere fedele a una poetica legata al culto della forma e al ruolo ufficiale del poeta: una posizione epigonica la sua, lontana dagli innovativi sviluppi della lirica novecentesca, ch’è alla base della sempre minor attenzione verso la sua opera. Ligure ma trapiantato a Torino, tuttavia Pastonchi partecipò a quell’asse ligure-torinese che caratterizzò parte della poesia primonovecentesca, mostrandosi una presenza attiva nella Torino universitaria di Graf e soprattutto di Gozzano, cui è dedicata la poesia Nostra Genova, in ricordo delle sue visite al poeta torinese a San Francesco d’Albaro. Spettò a lui definire Gozzano «Il terzo Guido» e sottolineare come non gli si addicesse l’etichetta di poeta crepuscolare. Da atmosfere gozzaniane come «le malinconie di vecchie cose smorte!» e le «Povere vecchie nonne rococò» di Festa in costume (v. Il randagio, pp. 97 s.) Pastonchi trascorse, con gli anni Trenta, alle suggestioni della poesia ligure: I versetti, la raccolta di maggiore interesse, uscirono sei anni dopo gli Ossi di seppia montaliani e una fra le poesie si intitola Pianissimo, con chiaro riferimento a Camillo Sbarbaro. La Liguria, sua terra d’origine, caratterizza molti suoi versi come avviene in Paese natale («Lungo l’unica strada strette case / saldate insieme, frustate dal vento / marino che sa d’alghe e di catrame. / E il mare è lì, frange alle soglie, arremba / in secco i gozzi all’orlo della piazza, / getta barbagli nei fondachi bui./ Di là campagna tra muretti d’orto»: cfr. Endecasillabi, cit., p. 85).
Fra le opere non citate nel testo: Oltre l’umana gioia. Favola in terza rima (Torino 1898); Il violinista [romanzo] (Torino 1908); Fiamma. Tragedia in quattro atti, (Torino 1911, in collaborazione con Giannino Antona-Traversi); Calendario italico per il 1912 [poesia] (Torino 1912); La sorte di Cherubino. Commedia in tre atti (Ivrea 1912); Il mazzo di gelsomini. Novelle (Firenze 1913); Il pilota dorme [poesia] (Genova 1913); Momento politico (Alessandria 1913); Patria. Antologia di prose e poesie per le scuole secondarie inferiori (Milano 1913); Il campo di grano [novelle] (Milano 1916); Le trasfigurazioni [novelle] (Milano 1917); Don Giovanni in provincia. Teatrino ironico (Milano 1920); Le più belle pagine di Annibal Caro, scelte da F. Pastonchi (Milano 1923); Alessandro Dumas figlio, La dama dalle camelie, traduzione di F. Pastonchi Milano 1932); Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi, prefazione di F. Pastonchi (Torino 1948); Patria e mondo. Antologia per la scuola media (Milano 1954).
Fonti e Bibl.: L’Archivio P., ereditato alla sua morte da Luigi Manuel-Gismondi, è conservato dagli eredi a Bordighera.
Bergami, Il fenomeno P. nella vicenda letteraria e culturale torinese, in Almanacco piemontese, 1986, pp. 45-51; E. Decleva, Arnoldo Mondadori, Torino 1993, ad ind.; G. Bergami, Paesaggi torinesi e performance di P. nelle lettere a Gustavo Balsamo-Crivelli, in Belfagor, L (1995), 4, pp. 450-475; F. Contorbia – C. Carena – M. Guglielminetti, Ricordo di F. P. (1874-1953), Atti del convegno di Santa Maria Maggiore…, Novara 1997; P.: ricordo di un poeta ligure. Atti del convegno…, Riva Ligure – Sanremo… 1997, con antologia, a cura di G. Bertone, Novara 1999; M.L. Altieri, Il regime e il poeta. Documenti sul fascismo di F. P. (1934-1941), in Levia Gravia, 2001, 3, pp. 305-328; La Riviera Ligure, XVI (2005), 48 (n. monografico).
Clementina Cavicchia, seguì a Firenze il corso di lettere nell’Istituto di studi superiori dal 1905 al 1910, laureandosi in letteratura greca con G. Vitelli.
Fu questo un periodo ricco di relazioni e di amicizie: da R. Serra a E. Cecchi, da G. Amendola a E. Corradini. L’A. fu intimo, con Chiavacci e il musicista G. Bastianelli, di Carlo Michelstaedter e insieme a lui studiò con passione la poesia greca (Il coro nella tragedia greca fu l’argomento della tesi) e Platone. Collaboratore de La Voce, primo editore degli scritti dell’amico, scomparso tragicamente, (Dialogo della salute – Poesie, Genova 1912, La persuasione e la retorica, ibid. 1913), assunse quel suo caratteristico atteggiamento di critica dall’intemo, di “ricostruzione”, come la chiamerà più tardi (Ricostruzione filosofica, in Arch. di filosofia, X[1940], p. 20) dell’idealismo storicistico e dell’attualismo, con il Discorso del metodo (in L’anima, I[nov. 1911], pp. 323-344), e con l’articolo Svolgimento e progresso (in La cultura contemporanea, IV[1912], n. 58, pp. 174-181), scritti ai quali si richiamerà l’Introduzione all’attualismo (in Giorn. crit. d. filos. ital., XXXV, 2 [1954], pp . 178-208).
Dopo avere insegnato come ordinario nei ginnasi di Stato e avere partecipato come ufficiale d’artiglieria alla guerra dei ’15-’18, dove fu ferito, si laureò in filosofia nel 1921 con P. Martinetti (tesi: Conoscenza e moralità, Città di Castello 1922). Fu quindi professore di ruolo nei licei e poi preside nei licei scientifici, a Modena e a San Remo, e dal 1934 preside della scuola italiana di Alessandria d’Egitto.
Con Platone (Gorgia, Firenze 1925), il Manzoni (Morale filosofica e morale religiosa, Lanciano s. d.), Leopardi e Machiavelli, sono gli interlocutori intorno al suo tema costante: la vita morale e l’esperienza artistica. Del 1935 sono le Prose morali (Roma) fra cui la “meditazione” Questa incomprensibile vita (A Augusto Guzzo), la raccolta Arte e filosofia (Genova), dove è ristampato Il problema estetico della Divina Commedia già apparso nella Critica del 1920. Ma nel 1926 era uscito nel Giornale critico, in polemica con Gentile e accompagnato da una sua postilla di risposta, l’articolo L’individuo e lo Stato (a. VII, fasc. II, pp. 132-52; cfr. recens. di B. Croce in La Critica, vol. XXIV [1926], pp. 182-3) affermazione di quel liberalismo che sarà un motivo ispiratore dei suoi scritti del secondo dopo guerra. L’A. vedeva nell’attualismo una teoria dell’esperienza morale della persona, da non identificarsi, contrariamente all’affermazione del Gentile, con “la vita nello Stato” la legge in interiore homine è universale, la vita politica non è “omnis homo“, è solo una parte delle azioni che la legge comanda. Per questo, attualismo e idealismo oggettivo hegeliano sono inconciliabili (cfr. la prima delle Quattro lettere di R. Le Senne e L’Umanismo di VI. A. R. cit. nella Bibl.).
Tornato dall’Egitto per assumere la vicepresidenza della Scuola Normale Superiore di Pisa, passava per concorso ad occupare nel 1940 la cattedra di storia della filosofia nella facoltà di magistero di Firenze fino alla morte, avvenuta dopo lunga infermità l’8 nov. 1952.
È questo il periodo più laborioso e fecondo dell’A. Oltre gli articoli negli Annali della Scuola Normale (fra cui Dialettica delle distinzionì e dialettica delle opposizioni. Note sullo storicismo di B. Croce, 1941), le edizioni di classici (fra cui le Liriche e tragedie del Manzoni [Torino 1949], alla poetica del quale dedicò un corso [Firenze 1948], la traduzione e interpretazione del Sofista [Bari 1951]), il volumetto di saggi Umanità dell’arte, Firenze 1951 (“saggi” dice l’A. “che hanno tutti lo stesso intendimento: di combattere la separazione dell’artista e dell’uomo, di arte e vita”, p. 7), con la ininterrotta collaborazione a riviste filosofiche e letterarie (come a Leonardo con le note Sic et non) e a vari quotidiani (dalla Nazione del popolo al Giornale d’Italia e al Giornale dell’Emilia) prendeva compiuto profilo la sua fisionomia di saggista “morale” aperto ad ogni interesse della vita reale ed insieme raccolto nell’intima coscienza di un valore assoluto (cfr. Otherworldness, in Rassegna d’Italia, I, 6 [1946], pp. 80-88). Pur senza dar luogo a grossi libri sistematici ed eruditi, il suo “moralismo assoluto” (così lo Sciacca; ed è titolo che egli accettò; cfr. Il mio moralismo, in Filosofi ital. contemp., Como 1944, pp. 47-58). Si colloca in modo significativo nel movimento del pensiero italiano del suo tempo e, soprattutto, ha un tono inconfondibile, se si guarda allo scrittore e all’uomo. Negli ultimi anni, sofferente e costretto a lunghi periodi di immobilità, continuò a lavorare e far lezione, in casa, e discutere con gli amici (assidui, oltre il “fraterno” Chiavacci, E. Garin e L. Scaravelli), mantenendo, consapevole del suo stato, la sua consueta serenità fino alla fine.
Bibl.: G. Bontadini, Dall’attualismo al problematicismo, Brescia s. d. [ma 19461], pp. 266 ss., 303 ss.; M. F. Sciacca, Il secolo XX, Torino 1947, pp. 437 ss., 815 (bibl.); I. Mancini, Il platonismo di VI. A. R., in Giorn. di metafisica, VIII(1953), pp. 312-323; E. Garin, in Enc. filos., I, Venezia-Roma 1957, coll. 320 s.; Id., Cronache di filosofia ital., Bari 1955, passim; D. Faucci, L’umanesimo di VI. Arangio–Ruiz,in Filosofia, XI(1960) pp. 297-315; Filosofi d’oggi, VI. A.-R., a cura di D. Faucci, G. Chiavacci, V. E. Alfieri, con Quattro lettere di R. Le Senne, Torino 1960 (con elenco delle opere e bibl. sull’A.).
Fonte Enciclopedia TRECCANI on line
Biografia di Vladimiro ARANGIO-RUIZ-Nato a Napoli il 19 febbraio 1887, da Gaetano, professore di diritto costituzionale, e da Clementina Cavicchia, seguì a Firenze il corso di lettere nell’Istituto di studi superiori dal 1905 al 1910, laureandosi in letteratura greca con G. Vitelli.
Fu questo un periodo ricco di relazioni e di amicizie: da R. Serra a E. Cecchi, da G. Amendola a E. Corradini. L’A. fu intimo, con Chiavacci e il musicista G. Bastianelli, di Carlo Michelstaedter e insieme a lui studiò con passione la poesia greca (Il coro nella tragedia greca fu l’argomento della tesi) e Platone. Collaboratore de La Voce, primo editore degli scritti dell’amico, scomparso tragicamente, (Dialogo della salute – Poesie, Genova 1912, La persuasione e la retorica, ibid. 1913), assunse quel suo caratteristico atteggiamento di critica dall’intemo, di “ricostruzione”, come la chiamerà più tardi (Ricostruzione filosofica, in Arch. di filosofia, X[1940], p. 20) dell’idealismo storicistico e dell’attualismo, con il Discorso del metodo (in L’anima, I[nov. 1911], pp. 323-344), e con l’articolo Svolgimento e progresso (in La cultura contemporanea, IV[1912], n. 58, pp. 174-181), scritti ai quali si richiamerà l’Introduzione all’attualismo (in Giorn. crit. d. filos. ital., XXXV, 2 [1954], pp . 178-208).
Dopo avere insegnato come ordinario nei ginnasi di Stato e avere partecipato come ufficiale d’artiglieria alla guerra dei ’15-’18, dove fu ferito, si laureò in filosofia nel 1921 con P. Martinetti (tesi: Conoscenza e moralità, Città di Castello 1922). Fu quindi professore di ruolo nei licei e poi preside nei licei scientifici, a Modena e a San Remo, e dal 1934 preside della scuola italiana di Alessandria d’Egitto.
Con Platone (Gorgia, Firenze 1925), il Manzoni (Morale filosofica e morale religiosa, Lanciano s. d.), Leopardi e Machiavelli, sono gli interlocutori intorno al suo tema costante: la vita morale e l’esperienza artistica. Del 1935 sono le Prose morali (Roma) fra cui la “meditazione” Questa incomprensibile vita (A Augusto Guzzo), la raccolta Arte e filosofia (Genova), dove è ristampato Il problema estetico della Divina Commedia già apparso nella Critica del 1920. Ma nel 1926 era uscito nel Giornale critico, in polemica con Gentile e accompagnato da una sua postilla di risposta, l’articolo L’individuo e lo Stato (a. VII, fasc. II, pp. 132-52; cfr. recens. di B. Croce in La Critica, vol. XXIV [1926], pp. 182-3) affermazione di quel liberalismo che sarà un motivo ispiratore dei suoi scritti del secondo dopo guerra. L’A. vedeva nell’attualismo una teoria dell’esperienza morale della persona, da non identificarsi, contrariamente all’affermazione del Gentile, con “la vita nello Stato” la legge in interiore homine è universale, la vita politica non è “omnis homo“, è solo una parte delle azioni che la legge comanda. Per questo, attualismo e idealismo oggettivo hegeliano sono inconciliabili (cfr. la prima delle Quattro lettere di R. Le Senne e L’Umanismo di VI. A. R. cit. nella Bibl.).
Tornato dall’Egitto per assumere la vicepresidenza della Scuola Normale Superiore di Pisa, passava per concorso ad occupare nel 1940 la cattedra di storia della filosofia nella facoltà di magistero di Firenze fino alla morte, avvenuta dopo lunga infermità l’8 nov. 1952.
È questo il periodo più laborioso e fecondo dell’A. Oltre gli articoli negli Annali della Scuola Normale (fra cui Dialettica delle distinzionì e dialettica delle opposizioni. Note sullo storicismo di B. Croce, 1941), le edizioni di classici (fra cui le Liriche e tragedie del Manzoni [Torino 1949], alla poetica del quale dedicò un corso [Firenze 1948], la traduzione e interpretazione del Sofista [Bari 1951]), il volumetto di saggi Umanità dell’arte, Firenze 1951 (“saggi” dice l’A. “che hanno tutti lo stesso intendimento: di combattere la separazione dell’artista e dell’uomo, di arte e vita”, p. 7), con la ininterrotta collaborazione a riviste filosofiche e letterarie (come a Leonardo con le note Sic et non) e a vari quotidiani (dalla Nazione del popolo al Giornale d’Italia e al Giornale dell’Emilia) prendeva compiuto profilo la sua fisionomia di saggista “morale” aperto ad ogni interesse della vita reale ed insieme raccolto nell’intima coscienza di un valore assoluto (cfr. Otherworldness, in Rassegna d’Italia, I, 6 [1946], pp. 80-88). Pur senza dar luogo a grossi libri sistematici ed eruditi, il suo “moralismo assoluto” (così lo Sciacca; ed è titolo che egli accettò; cfr. Il mio moralismo, in Filosofi ital. contemp., Como 1944, pp. 47-58). Si colloca in modo significativo nel movimento del pensiero italiano del suo tempo e, soprattutto, ha un tono inconfondibile, se si guarda allo scrittore e all’uomo. Negli ultimi anni, sofferente e costretto a lunghi periodi di immobilità, continuò a lavorare e far lezione, in casa, e discutere con gli amici (assidui, oltre il “fraterno” Chiavacci, E. Garin e L. Scaravelli), mantenendo, consapevole del suo stato, la sua consueta serenità fino alla fine.
Bibl.: G. Bontadini, Dall’attualismo al problematicismo, Brescia s. d. [ma 19461], pp. 266 ss., 303 ss.; M. F. Sciacca, Il secolo XX, Torino 1947, pp. 437 ss., 815 (bibl.); I. Mancini, Il platonismo di VI. A. R., in Giorn. di metafisica, VIII(1953), pp. 312-323; E. Garin, in Enc. filos., I, Venezia-Roma 1957, coll. 320 s.; Id., Cronache di filosofia ital., Bari 1955, passim; D. Faucci, L’umanesimo di VI. Arangio–Ruiz,in Filosofia, XI(1960) pp. 297-315; Filosofi d’oggi, VI. A.-R., a cura di D. Faucci, G. Chiavacci, V. E. Alfieri, con Quattro lettere di R. Le Senne, Torino 1960 (con elenco delle opere e bibl. sull’A.).
Fonte Enciclopedia TRECCANI on line