Fotoreportage di Franco Leggeri -Roma Municipio XIII- TORRETTA TROILI-Biblioteca DEA SABINA-
Biblioteca DEA SABINA
ROMA MUNICIPIO XIII-Torri della Campagna Romana-
-TORRETTA TROILI-
-Fotoreportage di Franco Leggeri
DESCRIZIONE –TORRETTA TROILI– Nota di Roberto Castracane-Fotoreportage di Franco Leggeri-Al punto di congiunzione delle Vie Aurelie, Vecchia e Nuova, un centinaio di metri sulla destra(spalle a piazza Irnerio) si trova Via dei Faggella dove è situata la Torretta TROILI che prende il nome degli ultimi proprietari che hanno posto sul fronte dell’edificio il loro stemma marchionale. La Torretta , a basa quadrata, misura 5 metri per lato ed è alta 8 metri. La struttura muraria è tipica del Medioevo. L’edificio è stato realizzato con materiali di recupero, laterizi, sfridi di marmo, scaglie di selce, il tutto tenuto insieme da una abbondante malta. Lo spessore del muro della Torretta è di circa un metro, quindi, non particolarmente eccezionale. Nella parte superiore la struttura è di uno spessore inferiore al metro. La Torretta si affacciava , ora è circondata da alti edifici, sul Fosso di Val Canuta e in ottima posizione , a suo tempo, per poter sorvegliare il territorio e gli eventuali eserciti che si avvicinavano a Roma protetti dalla Campagna e per evitare di essere avvistati se avessero utilizzato la Via Aurelia. La Torretta fu utilizzata come punto Trigonometrico dall’Istituto Geografico Militare(IGM), ora Punto Fiduciario. Il luogo su cui sorge la Torretta è noto con l’appellativo “CONNEOLUS” ed è ricordato tra i possedimenti della Chiesa romana sin dai tempi di Papa Onorio I (625-638) . La successiva trasformazione del nome in “CANUTOLI” , testimoniata in documenti del secolo XI, ci fa meglio intendere la derivazione originaria del termine , oggi VALCANNUTA, dalla presenza nella zona di numerosi canneti.Il “fundus “ appartenne , sin dal XIII secolo alla Basilica di San Pietro. In seguito fu venduto alla Famiglia Santacroce.La Torretta, anche se oggi è stata trasformata in abitazione, è abbastanza ben conservata nella sua struttura originale.
Con la locuzione Campagna romana si indica la vasta pianura del Lazio, ondulata e intersecata da fossi o marrane, della provincia di Roma, che si estende nel territorio circostante l’intera area della città di Roma fino ad Anzio con il piano collinare prossimo, comprendente parte dell’Agro romano, fino al confine con l’Agro Pontino. Storia
Secondo Carocci e Vendittelli la struttura fondiaria e produttiva della Campagna Romana risale al tardo medioevo e si è conservata senza soluzione di continuo fino alla riforma agraria a metà del XX secolo.
Le invasioni barbariche, la guerra greco-gotica e la definitiva caduta dell’Impero romano d’Occidente favorirono il generale spopolamento delle campagne, compresa quella romana, e i grandi latifondi imperiali passarono nelle mani della Chiesa, che aveva ereditato le funzioni assistenziali e di governo già assolte dai funzionari imperiali, e le esercitava nei limiti del possibile.
A partire dall’VIII secolo le aziende agricole (villae rusticae) di epoca imperiale si trasformarono – dove sopravvissero – in domuscultae, entità residenziali e produttive autosufficienti e fortificate, dipendenti da una diocesi – o una chiesa, o un’abbazia – che deteneva la proprietà delle terre e le assegnava in enfiteusi ai contadini residenti. Questi spesso ne erano gli originali proprietari, ed avevano conferito la proprietà dei fondi alla Chiesa in cambio di un piccolo canone di affitto e dell’esenzione dalle tasse. Queste comunità godevano di completa autonomia, che implicava anche il diritto ad armarsi per autodifesa (da dove la costruzione di torri e torrette), e in alcuni casi giunsero anche a battere moneta.
Già dal X secolo, tuttavia, la feudalizzazione costrinse i contadini ad aggregarsi attorno ai castelli dei baroni ai quali veniva man mano attribuito il possesso – a vario titolo – di molte proprietà ecclesiastiche, e la coltivazione della pianura impaludata e malarica fu abbandonata, col tempo, quasi completamente. Là dove si continuava a coltivare, questi nuovi latifondi ormai deserti, nei quali sorgevano sparsi casali fortificati, furono destinati a colture estensive di cereali e a pascolo per l’allevamento di bestiame grande e piccolo. Il loro scarso panorama umano era costituito da pastori, bovari e cavallari, braccianti al tempo delle mietiture, briganti.
L’abbandono delle terre giunse a tal punto che con la conseguente scomparsa degli insediamenti urbani nel territorio circostante Roma attorno alle vie Appia e Latina, l’ex Latium Vetus, venne ripartito in “casali”, tenute agricole di centinaia di ettari dedicato all’allevamento di bestiame, soprattutto ovini, e alla coltivazione di cereali, a cui erano addetti lavoratori salariati spesso stagionali. Questi latifondi in età rinascimentale e moderna divennero proprietà delle famiglie legate al papato. A seguito dello spopolamento delle terre pianeggianti ritornate a pascolo, si aggravò il grave problema dell’impaludamento e della malaria.
Nel XVII secolo, dopo la redazione del Catasto Alessandrino[1], furono concessi ai contadini, ai piccoli proprietari e agli abitanti dei borghi l’uso civico dei terreni spopolati e abbandonati ed esenzioni fiscali (mentre venivano aggravate le imposizioni sui proprietari noncuranti), allo scopo di stimolare il ripopolamento di quelle campagne.
-Ricerche Bibliografiche di Franco Leggeri per l’Associazione CORNELIA ANTIQUA-
Fotoreportage di Franco Leggeri per l’Associazione CORNELIA ANTIQUA-