Flora ALEJANDRA PIZARNIK Poesie dalla Rivista «Avamposto» -Biblioteca DEA SABINA-
Biblioteca DEA SABINA-
Flora ALEJANDRA PIZARNIK-Poetessa argentina-
Poesie dalla Rivista «Avamposto»
Biografia di Flora Alejandra Pizarnik (Avellaneda, 29 aprile 1936 – Buenos Aires, 25 settembre 1972) è stata una poetessa e traduttrice argentina. Figlia di immigrati ebrei russi, il cognome originario era Požarnik che fu traslitterato all’arrivo in Argentina in Pizarnik.
Ad Avellaneda, il padre lavorava come cuentenik, mestiere tipico ebreo: vendita porta a porta, a volte di gioielli, a volte di elettrodomestici[1].
L’infanzia fu complicata dagli echi della seconda guerra mondiale, soprattutto per il massacro di Rivne, di cui parte dei suoi parenti lontani rimase vittima. Ebbe inolte diversi problemi di salute, come asma, acne e tendenza ad aumentare di peso; questi fattori influenzarono la sua autopercezione fisica e la sua autostima, e, congiuntamente alle pressanti aspettative ”borghesi” dei suoi genitori, sono ritenute il punto di partenza dei suoi tormenti e dei suoi disturbi degli anni a seguire[2].
Nel 1954, dopo molti dubbi, entrò nella facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Buenos Aires, cambiando spesso indirizzo (dapprima Filosofia, poi Giornalismo poi Lettere). In seguito, si dedicò anche alla pittura col surrealista Juan Batlle Planas, per poi abbandonare definitivamente l’accademia e dedicarsi a pieno alla scrittura. Un incontro che la segnò in questo periodo fu con Juan Jacobo Bajarlia, detentore della cattedra di Lettere moderne, che fu un punto di riferimento e un aiuto per le prime pubblicazioni, sia per le correzioni delle bozze sia perché la introdusse personalmente ad editori (Antonio Cuadrado) e poeti (Oliverio Girondo).
I suoi primi maestri furono dunque esponenti del surrealismo, sebbene tra le sue letture e i suoi primi scritti figuri una fascinazione notevole per l’esistenzialismo e la psicoanalisi. Legge con fervore Sartre, Faulkner, Joyce ma anche Mallarmé, Artaud, Kierkegaard, incontrando in essi non solo temi e ispirazione ma anche “tracce della sua stessa identità”[2]. Ebbe diverse sessioni di psicoanalisi con León Ostrov (a cui poi dedicò la poesia “El despertar”) attraverso cui riuscì sia a lenire i suoi problemi sia ad innovare la sua poetica, unendovi l’esplorazione dell’inconscio e della soggettività[2].
Dal 1960 al 1964 lavorò a Parigi per la rivista Cuadernos, ma collaborò anche con Sur e Nouvelle Revue Française e per varie case editrici. Tradusse anche autori come Antonin Artaud, Aimé Césaire, Yves Bonnefoy ed altri. Nel frattempo studiò storia delle religioni all’Università della Sorbona. Parigi fu per lei un rifugio letterario ed emotivo, ebbe modo di conoscere Georges Bataille, Italo Calvino, Roger Caillois e Simone de Beauvoir, strinse poi amicizia con Julio Cortázar, Ivonne Bordelois e il poeta messicano Octavio Paz, che scrisse il prologo ad Árbol de Diana (1962), la sua quarta raccolta di poesie.
Nel 1962 conobbe la poetessa italiana Cristina Campo, per cui provò una profonda attrazione e con cui scambiò per alcuni anni poesie e lettere. Dagli scritti emerge una la pulsione erotica di Alejandra che avvolge la “casta” Cristina, la quale ne resta sopraffatta ma distante[3]. Nonostante l’apparente inconciliabilità tra loro, le due donne accomunate dall’amore per il mistero della poesia[3] mantennero questa relazione epistolare forse fino all’ultima lettera mai spedita della poetessa argentina datata 1970, in cui accetta parzialmente la distanza e la divergenza tra i loro mondi. A Cristina Campo Alejandra Pizarnik dedicò la poesia Anelli di cenere.
Tornata a Buenos Aires scrisse alcuni dei lavori più conosciuti ed apprezzati, come I lavori e le notti, Estrazione della pietra della pazzia e L’inferno musicale.
I suoi diari personali, per molti anni tenuti nascosti da lei e successivamente dai suoi eredi testamentari, lasciano intendere la bisessualità o l’omosessualità della scrittrice.
Nel 1967 il padre morì di infarto; questo avvenimento viene descritto nei suoi diari come una “Morte interminabile, oblio del linguaggio e perdita di immagini. Come mi piacerebbe stare lontano dalla follia e la morte (…) La morte di mio padre rese la mia morte più reale” e segna l’inizio di un progressivo incupimento dei suoi scritti. In alcune lettere successive dichiara apertamente di provare una fatica nel riuscire a dire per davvero ciò che vorrebbe dire, di percepire una “abissale distanza tra desiderio e atto”. Sembra quasi che il linguaggio poetico che prima era stato il suo nutrimento ed il suo vestito si stesse dissolvendo, perdendo “la materica consistenza in grado di renderla corpo, vita, donna”[4].
Successivamente, andò ad abitare con la sua compagna fotografa, Martha Isabel Moia, mentre il suo stile di vita divenne decisamente più irregolare, acuendosi la sua dipendenza da farmaci.
Nel 1969 esce La contessa crudele (o sanguinaria), testo in prosa. Lo stesso anno va a New York per ricevere la borsa di studi Guggenheim,[5] e ne viene frastornata, percependo a pieno la “ferocia insostenibile” della città. Dopo due anni vince anche la borsa di studio Fulbright.
Compie un ritorno in Francia cercando un approdo verso ciò che credeva rimasto del suo precedente periodo parigino. Disillusa fa ritorno in Argentina, iniziando un processo di chiusura e disgregazione che culminerà in due tentativi di suicidio e un internamento in clinica psichiatrica.
Muore a 36 anni, il 25 settembre 1972, dopo aver ingerito cinquanta pastiglie di seconal, mentre era in permesso dalla clinica.
Sul suo letto di morte i suoi ultimi versi “non voglio andare / nulla più / che fino al fondo”
Dopo la sua morte, lo scrittore argentino Julio Cortázar le dedicò la poesia Aquí Alejandra.
Fu sepolta nel cimitero ebreo di La Tablada, ad est di Buenos Aires; ogni due o tre mesi scompare la sua foto dalla tomba[1].
La notte
Della notte so poco
ma di me la notte sembra sapere,
e più ancora, mi assiste come se mi amasse,
mi ammanta di stelle la coscienza.
Forse la notte è la vita e il sole la morte.
Forse la notte è nulla
e nulla le nostre congetture
e nulla gli esseri che la vivono.
Forse le parole sono l’unica cosa che esiste
nel vuoto enorme dei secoli
che ci graffiano l’anima coi ricordi.
Ma la notte conosce la miseria
che succhia il sangue e le idee.
Scaglia l’odio, la notte, sui nostri sguardi
che sa pieni di interessi, di incontri mancati.
Ma accade che la notte, ne senta il pianto nelle ossa.
Delira la sua lacrima immensa
e grida che qualcosa è partito per sempre.
Un giorno torneremo a esistere.
Poesia
Tu scegli il luogo della ferita
dove dicemmo il nostro silenzio.
Tu fai della mia vita
questa cerimonia troppo pura.
Anelli di cenere
a Cristina Campo
Stanno le mie voci al canto
perché non cantino loro,
i grigiamente imbavagliati nell’alba,
i camuffati da uccello desolato nella pioggia.
C’è, nell’attesa,
una voce di lillà che si spezza.
E c’è, quando si fa giorno,
una scissione del sole in piccoli soli neri.
E quando è notte, sempre,
una tribù di parole mutilate
cerca asilo nella mia gola,
perché non cantino loro,
i funesti, i padroni del silenzio.
Presenza
la tua voce
in questo non potersene uscire le cose
dal mio sguardo
mi spossessano
fanno di me un vascello in un fiume di pietre
se non è la tua voce
pioggia sola nel mio silenzio di febbri
tu mi liberi gli occhi
e per favore
parlami
sempre.
Gli occhi aperti
Qualcuno misura singhiozzando
l’estensione dell’alba.
Qualcuno pugnala il cuscino
in cerca del suo impossibile
spazio di quiete.
Questa notte, in questo mondo
a Martha Isabel Moya
questa notte in questo mondo
le parole del sogno dell’infanzia della morte
non è mai questo che si vuol dire
la lingua materna castra
la lingua è un organo di conoscenza
del fallimento di ogni poesia
castrata dalla sua stessa lingua
che è l’organo della ri-creazione
del ri-conoscimento
ma non della resurrezione
di qualcosa in forma di negazione
del mio orizzonte di maldoror col suo cane
e niente è promessa
tra il dicibile
che equivale a mentire
(tutto ciò che si può dire è menzogna)
il resto è silenzio
solo che il silenzio non esiste
no
le parole
non fanno l’amore
fanno l’assenza
se dico acqua berrò?
se dico pane mangerò?
questa notte in questo mondo
straordinario il silenzio di questa notte
con l’anima succede che non si vede
con la mente succede che non si vede
con lo spirito succede che non si vede
da dove viene questa cospirazione d’invisibilità?
nessuna parola è visibile
ombre
spazi viscosi dove si occulta
la pietra della follia
neri corridoi
li ho percorsi tutti
oh fermati un altro po’ tra di noi!
la mia persona è ferita
la mia prima persona singolare
scrivo come chi alza un coltello nel buio
scrivo come dico
la sincerità assoluta sarebbe sempre
l’impossibile
oh fermati un altro po’ tra di noi!
lo sfacelo delle parole
che sloggiano il palazzo del linguaggio
la conoscenza tra le gambe
che cosa hai fatto del dono del sesso?
oh miei morti
li ho mangiati mi sono strozzata
non ne posso più di non poterne più
parole camuffate
tutto scivola
verso la nera liquefazione
e il cane di maldoror
questa notte in questo mondo
dove tutto è possibile
tranne
la poesia
parlo
sapendo che non si tratta di ciò
sempre non si tratta di ciò
oh aiutami a scrivere la poesia più prescindibile
quella che non serva nemmeno
a essere inservibile
aiutami a scrivere parole
in questa notte in questo mondo
***
La poesia che non dico,
quella che non merito.
Paura di essere due
sulla via dello specchio:
qualcuno che dorme in me
mi mangia e mi beve.
***
no, la verità non è la musica
io, triste attesa di una parola
qual è il nome che cerco
e che cosa cerco?
non il nome della deità
non il nome dei nomi
ma i nomi precisi e preziosi
dei miei desideri nascosti
qualcosa in me mi punisce
da tutte le mie vite:
– Ti abbiamo dato tutto il necessario perché comprendessi
e hai preferito l’attesa,
come se tutto ti annunciasse la poesia
(quella che non scriverai mai perché è un giardino inaccessibile
- sono solo venuta a vedere il giardino –)
BIOGRAFIA
-FONTE- Rivista «Avamposto»
Le Poesie sono pubblicate dalla Rivista di Poesia «Avamposto» è uno spazio di ricerca, articolato in rubriche di approfondimento, che si propone di realizzare un dialogo vivo rivolto allo studio della poesia attraverso un approccio multidisciplinare, nella consapevolezza che una pluralità di prospettive sia maggiormente capace di restituirne la valenza, senza mai sfociare in atteggiamenti statici e gerarchizzanti. Ma «Avamposto» è anche un luogo di riflessione sulla crisi del linguaggio. L’obiettivo è interrogarne le ragioni, opponendo alla tirannia dell’immediatezza – e alla sciatteria con la quale viene spesso liquidata l’esperienza del verso – un’etica dello scavo e dello sforzo (nella parola, per la parola). Tramite l’esaltazione della lentezza e del diritto alla diversità, la rivista intende suggerire un’alternativa al ritmo fagocitante e all’omologazione culturale (e linguistica) del presente, promuovendo la scoperta di autori dimenticati o ritenuti, forse a torto, marginali, provando a rileggere poeti noti (talvolta prigionieri di luoghi comuni) e a vedere cosa si muove al di là della frontiera del già detto, per accogliere voci nuove con la curiosità e l’amore che questo tempo non riesce più a esprimere.